Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 4 febbraio 2020, n. 915.
La massima estrapolata:
Le scelte di pianificazione urbanistica costituiscano esercizio di ampia discrezionalità da parte dell’Amministrazione; e che le stesse, nell’ambito del sindacato di legittimità, sono censurabili, oltre che per violazione di legge, solo per manifesta illogicità e/o irragionevolezza ovvero insufficienza della motivazione (nei sensi precisati dalla giurisprudenza), onde evitare un indebito “sconfinamento” nel cd. “merito amministrativo”.
Sentenza 4 febbraio 2020, n. 915
Data udienza 28 gennaio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9942 del 2009, proposto da
Mi. Sa. ed altri, rappresentati e difesi dall’avv. An. Le. De. ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via (…), presso l’avv. Al. Pl.i
contro
– Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ni. Se. Ma. ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via (…), presso l’avv. Al. Pl.
– Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione I n. 2460 del 30 ottobre 2008, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2020 il Cons. Roberto Politi e uditi per le parti gli avvocati Fr. Ma. e An. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Espongono i ricorrenti di essere proprietari:
– la sig.ra Ma. Lu. Ca., di un suolo sito nel Comune di (omissis), contraddistinto in N.C.E.U. al foglio (omissis), particella (omissis);
– i sigg.ri Mi. Sa. e Fr. Sa., del finitimo suolo contraddistinto in Catasto al foglio (omissis), particella (omissis);
entrambi prospettanti su via (omissis) e via (omissis), circondati da edifici residenziali e serviti da opere di urbanizzazione (rete fognaria, pubblica illuminazione, rete stradale da tempo asfaltata, impianto di deflusso delle acque meteoriche).
Rappresentano che il Commissario ad acta nominato dalla Regione per l’adozione del P.R.G. ravvisava, sulla base dell’analisi degli elaborati redatti dai progettisti incaricati, l’esistenza di un errore relativamente al fondo dei ricorrenti, atteso che la strada pubblica (via (omissis)) risultava erroneamente traslata, sovrapponendosi ai suoli in questione.
Lo stesso organo commissariale, con delibera n. 1 del 12 gennaio 2001, nell’adottare il Piano, introduceva d’ufficio una rettifica (art. 2 – All. 2 – Tav. 9b) al fine di correggere l’errore cui erano incorsi i progettisti; e tipizzava l’area di proprietà degli odierni appellanti come B – di completamento, in attuazione al criterio seguito dai redattori del Piano di imprimere siffatta qualificazione a tutte le aree immediatamente prospicienti via (omissis), dotate di tutte le principali urbanizzazioni.
Sottoposto il Piano all’esame del Comitato Urbanistico Regionale, quest’ultimo, con relazione del 29 luglio 2004:
– accoglieva la prospettata modifica alla viabilità ;
– e tipizzava l’area residuale come C2, “in analogia alla contigua zona di espansione di tipo C2”.
La Giunta regionale, con deliberazione n. 2020 del 23 dicembre 2004, approvava il Piano Regolatore con le modifiche introdotte dal C.U.R.
Il Piano, così modificato, tornava all’esame del Consiglio Comunale di (omissis): il quale, con deliberazione n. 12 del 9 ottobre 2006, recepiva le modifiche introdotte dalla Regione.
2. Nell’osservare come la modificata tipizzazione (da B4 a C2) riduca drasticamente l’indice di fabbricabilità e comporti la necessità di provvedere alla redazione di un piano esecutivo al fine di poter esercitare lo jus aedificandi, gli odierni appellanti rappresentano di aver chiesto, con ricorso n. 96 del 2007, proposto innanzi alla Sede di Bari del T.A.R. della Puglia, l’annullamento degli atti regionali e comunali che, variando la tipizzazione impressa dalla deliberazione del Commissario ad acta, avevano classificato i suoli di che trattasi come C2.
In prime cure, venivano dedotti i seguenti argomenti di censura:
– violazione di legge (art. 28 della legge 1150 del 17 agosto 1942); eccesso di potere per travisamento dei presupposti in fatto; difetto di istruttoria; disparità di trattamento, in quanto l’obbligatoria predisposizione di un piano esecutivo per l’edificazione sarebbe illegittima, atteso che la zona di che trattasi non risulta carente di alcuna urbanizzazione;
– eccesso di potere per travisamento dei presupposti in fatto e diritto; contraddittorietà ; difetto di motivazione; illogicità, in quanto la Giunta Regionale ha tipizzato la medesima area come C2, in asserita analogia alla contigua zona di espansione di tipo C2.
La decisione della Giunta, secondo la prospettazione di parte, sarebbe erronea, atteso che quest’ultima ha omesso di verificare, con adeguata istruttoria, la eventuale (ed asseritamente insussistente) necessità di opere di urbanizzazione, limitandosi ad applicare un criterio analogico avulso dalla situazione di fatto.
Né sarebbero state indicate le motivazioni che hanno condotto a considerare – nella tipizzazione dell’area de qua – la contiguità alla zona C2, anziché a quella B4 (modificando la precedente determinazione del Commissario per il P.R.G.).
3. Con sentenza n. 2460/2008 del 30 ottobre 2008 – oggetto del presente appello – il T.A.R. adito ha rigettato il proposito mezzo di tutela, compensando integralmente inter partes le spese di giudizio.
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
– per quanto l’area di proprietà dei ricorrenti insista in una zona posta a confine tra quelle tipizzate B e quelle tipizzate C, la stessa avrebbe potuto essere classificata come di completamento ove avesse avuto le caratteristiche di tali zone;
– una simile dimostrazione non è stata fornita dai ricorrenti, i quali che si sono limitati ad allegare dati generici o parziali, senza definire un quadro di riferimento in cui si inserisce il lotto di loro proprietà ;
– gli stessi avrebbero allegato solo una mappa catastale dalla quale risulterebbe una non intensa attività costruttiva “a macchia di leopardo”.
5. Avverso tale pronuncia è stato interposto l’odierno appello, notificato il 25-26 novembre 2009 e depositato il successivo 10 dicembre, lamentando quanto di seguito sintetizzato:
– con riferimento al vizio di difetto di motivazione, dedotto in prime cure con specifico riferimento al mutamento di tipizzazione introdotto dalla Regione in sede di approvazione dello strumento urbanistico generale, sostengono gli appellanti che, per quanto l’Ente regionale abbia la possibilità di introdurre modifiche d’ufficio al piano, nondimeno tali scelte devono essere adeguatamente motivate, in specie laddove vengano ad incidere su porzioni del territorio assai circoscritte (per l’effetto, assumendosi che il Giudice di primo grado abbia omesso di apprezzare tale profilo inficiante);
– avrebbe, inoltre, errato il Tribunale nel ritenere gravante sugli odierni appellanti (ricorrenti in prime cure) l’onere di dimostrare l’esistenza delle condizioni legittimanti l’inclusione del lotto nella zona B, atteso che non ha formato oggetto di censura la mera tipizzazione a zona C delle aree di proprietà : quanto, piuttosto, il “mutamento” di destinazione introdotto in sede di approvazione regionale, rispetto ad una tipizzazione già effettuata dai redattori del Piano ed approvata dal Commissario ad acta.
– con specifico riferimento alla dimostrazione delle caratteristiche del suolo, la conclusione cui è pervenuto il T.A.R. non sarebbe corretta, atteso che gli odierni appellanti avevano allegato alcuni elementi oggettivi che dimostravano inequivocabilmente, con riferimento al suolo di proprietà, la ricorrenza delle caratteristiche proprie della zona B (edificazione delle altre aree prospicienti via (omissis) e presenza di opere di urbanizzazione e dei principali servizi). A fronte di un’allegazione probatoria avente elevato grado di specificità, il Tribunale, quand’anche avesse ritenuto tali elementi non sufficienti a fondare la domanda, avrebbe potuto (rectius: dovuto) disporre C.T.U. al fine di adeguatamente valutare la situazione;
– quanto, da ultimo, all’ulteriore argomentazione esplicitata dal T.A.R. (zona non dotata di tutte le opere di urbanizzazione primaria), gli appellanti sostengono che, affinché una zona venga classificata come “di completamento” non è richiesta la presenza di tutte le opere di urbanizzazione, ma un livello di urbanizzazione sufficiente: tale, cioè, da rendere inutile la pianificazione attuativa, che finirebbe per avere l’unica funzione di pregiudicare i proprietari senza alcun effettivo vantaggio per il pubblico interesse.
6. In data 26 gennaio 2010, l’Amministrazione appellata si è costituita in giudizio; ed ha, con memoria depositata in data 11 luglio 2013, analiticamente controdedotto alle doglianze articolate con l’atto di appello, insistendo, conclusivamente, per il rigetto del proposto mezzo di tutela.
7. Con memoria depositata in data 7 gennaio 2020, in vista della trattazione della controversia, parte appellante ha replicato a quanto rappresentato dal Comune di (omissis) con memoria depositata il 26 dicembre 2019, conclusivamente insistendo nelle già prese conclusioni.
L’Amministrazione comunale, con memoria depositata alla medesima data del 7 gennaio, ha controreplicato rispetto alle considerazioni come da ultimo esplicitate dalla parte appellante.
8. Il ricorso viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 28 gennaio 2020.
DIRITTO
1. L’appello è infondato.
2. Va, in primo luogo, osservato come nel previgente Programma di Fabbricazione, il suolo di proprietà degli odierni appellanti fosse classificato come zona C2; di talché l’avversata previsione contenuta nel nuovo P.R.G., riveste valenza confermativa rispetto alla pregressa destinazione urbanistica.
3. Non può il Collegio, alla luce delle censure sollevate con il presente mezzo di tutela – segnatamente, per quanto concerne la contestata (e confermata) vocazione impressa all’area de qua; nonché la valutazione in proposito operata dalla procedente Amministrazione regionale (alle cui indicazioni si è, da ultimo, conformato il Comune di (omissis)) – che confermare il costante (e consolidato) orientamento giurisprudenziale in materia formatosi.
Innumerevoli pronunzie (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2016, n. 3806 e 11 ottobre 2017, n. 4707) hanno ribadito i seguenti principi in materia di pianificazione urbanistica, che ben possono essere applicati (e trovare conferma) in sede di decisione della presente controversia:
– sul piano generale, e relativamente alla latitudine espansiva del sindacato giurisdizionale, si è ribadito come le scelte di pianificazione urbanistica costituiscano esercizio di ampia discrezionalità da parte dell’Amministrazione; e che le stesse, nell’ambito del sindacato di legittimità, sono censurabili, oltre che per violazione di legge, solo per manifesta illogicità e/o irragionevolezza ovvero insufficienza della motivazione (nei sensi precisati dalla giurisprudenza), onde evitare un indebito “sconfinamento” nel cd. “merito amministrativo”;
– sempre sul piano generale, si è sottolineato che l’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio non è limitato alla (sola) considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti (Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710);
– quanto alla motivazione che deve sorreggere le scelte urbanistiche, l’onere di motivazione gravante sull’Amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui esse incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e “mirata” (Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2008, n. 5478);
Conseguentemente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 2016, n. 2221; id., 8 giugno 2011, n. 3497), “le scelte urbanistiche richiedono una motivazione più o meno puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la pianificazione in generale ovvero un’area determinata, ovvero qualora incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative; così come mentre richiede una motivazione specifica una variante che interessi aree determinate del P.R.G., per le quali quest’ultimo prevedeva diversa destinazione (a maggior ragione in presenza di legittime aspettative dei privati), non altrettanto può dirsi allorché la destinazione di un’area muta per effetto della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale, che provveda ad una nuova e complessiva definizione del territorio comunale. In questa ipotesi, infatti, non è in discussione la destinazione di una singola area, ma il complessivo disegno di governo del territorio da parte dell’ente locale, di modo che la motivazione non può riguardare ogni singola previsione (o zonizzazione), ma deve avere riguardo, secondo criteri di sufficienza e congruità, al complesso delle scelte effettuate dall’ente con il nuovo strumento urbanistico. Né, d’altra parte, una destinazione di zona precedentemente impressa determina l’acquisizione, una volta e per sempre, di una aspettativa di edificazione non più mutabile, essendo appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un nuovo P.R.G., conseguenza di una nuova e complessiva valutazione del territorio, alla luce dei mutati contesti e delle esigenze medio tempore sopravvenute”.
È, quindi, pacifico in giurisprudenza che:
– le scelte effettuate dall’Amministrazione, in concomitanza con l’adozione di uno strumento urbanistico, costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, salvo che siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità (Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24; Sez. IV, 20 giugno 2012, n. 3571)
– in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, l’Amministrazione ha la più ampia discrezionalità nell’individuare le scelte ritenute idonee per disciplinare l’uso del proprio territorio (e anche nel rivedere le proprie, precedenti previsioni urbanistiche), valutando gli interessi in gioco e il fine pubblico e, tra l’altro, non deve fornire motivazione specifica delle singole scelte urbanistiche (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4867).
In tal senso, la scelta compiuta in un piano generale (o in una variante ad esso) di imprimere una particolare destinazione urbanistica ad una zona non necessita di particolare motivazione, in quanto essa trova giustificazione nei criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nella impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiono meritevoli di specifiche considerazioni (cfr., ex pluribus, Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854).
Tali evenienze generatrici di affidamento “qualificato”, sulla scia della giurisprudenza ormai consolidata, sono state ravvisate nell’esistenza di convenzioni di lottizzazione, di accordi di diritto privato intercorsi tra Comune e proprietari, di giudicati di annullamento di dinieghi di concessioni edilizie o di silenzio-rifiuto su domanda di concessione.
In mancanza di tali elementi, non è configurabile una aspettativa “qualificata” ad una destinazione edificatoria non peggiorativa di quella pregressa, ma solo una aspettativa “generica”, analoga a quella di qualunque altro proprietario di aree che aspiri ad un’utilizzazione più proficua dell’immobile (posizione, questa, cedevole rispetto alle scelte urbanistiche dell’Amministrazione): sicché non può essere invocato il difetto di motivazione, in quanto si porrebbe in contrasto con la natura generale dell’atto e i criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione dello stesso (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, n. 854/2012 cit.; Sez. IV, 4 aprile 2011, n. 2104).
4. Alla luce dei suesposti principi, non appaiono ravvisabili emersioni inficianti sub specie della illogicità, contraddittorietà, carenza di istruttoria e difetto di motivazione.
Il mantenimento della pregressa vocazione dell’area (C2), lungi dal porsi in contrasto con la mutata vocazione alla stessa impressa dall’Organo commissariale (e, poi, superata in sede approvativa dalla Regione, previo parere da parte del C.U.R.) non integra, infatti, idoneo fondamento giustificativo alla pretesa conservativa di parte appellante, atteso che le previsioni introdotte dal P.R.G. rivelano palese continuità con la previgente disciplina dettata dal P.d.F. del Comune di (omissis).
Né, sotto altro profilo, è ravvisabile illogicità della scelta operata dall’Amministrazione (e/o errato apprezzamento delle circostanze di fatto) in relazione all’affermato grado di urbanizzazione della zona, che ben avrebbe consentito – secondo la tesi di parte appellante – la qualificazione dell’area come B – di completamento.
La stessa parte, nel formulare le censure avverso la pronunzia appellata, non ha infatti confutato – in punto di fatto – la solo parziale presenza delle opere di urbanizzazione: dovendosi, in proposito, rammentare come la sentenza di prime cure si sia data carico di rilevare l’assenza di talune opere di urbanizzazione primaria (spazi di sosta o di parcheggio; rete di distribuzione del gas; verde attrezzato; cavedi multiservizi e cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, secondo l’elencazione dell’art. 16, commi 7 e 7-bis, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), laddove (come leggesi nella pronunzia stessa) gli interessati “neppure accennano a quelle di urbanizzazione secondaria (art. 16, comma 8)”.
Nel rammentare come l’art. 2 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 stabilisca che:
– se rientrano nella zona B le “parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A)” (dovendosi considerare “parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5%… della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq”);
– mentre sono classificabili in ambito C “le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali la edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B)”;
va escluso che (nel giudizio di prime cure, come rilevato nella sentenza appellata; ma anche nel presente giudizio d’appello) la parte abbia fornito elementi valutativi suscettibili di dimostrare, in ragione della percentuale di copertura edilizia esistente, l’univoca sussumibilità dell’area in ambito B, piuttosto che C.
5. Né, d’altro canto, la presenza di una parziale edificazione (e, con essa, di una non completa realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria) riguardante un ambito territoriale, consente di prescindere comunque – come dagli appellanti sostenuto – dall’esigenza di un piano attuativo preordinato alla compiuta espansione dello jus aedificandi.
Costituisce, infatti, jus receptum (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 4 luglio 2017, n. 3256; Sez. IV, 17 luglio 2013, n. 3880; Sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4200; Sez. V, 29 febbraio 2012, n. 1177) che:
– in linea di principio, sono eccezionali e di stretta interpretazione i casi in cui il P.R.G. (o lo strumento urbanistico equivalente) consenta il rilascio del permesso di costruire diretto, senza previa approvazione dello strumento attuativo;
– pure in presenza di una zona (in tesi) già urbanizzata, la necessità dello strumento attuativo è esclusa solo nei casi nei quali la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo (ad esempio, in presenza di un lotto residuale, intercluso in area completamente urbanizzata), ma non anche nell’ipotesi in cui per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona (ad esempio, completando il sistema della viabilità secondaria nella zona o integrando l’urbanizzazione esistente per garantire il rispetto degli standards minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l’armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all’edificazione);
– l’esigenza di un piano attuativo, quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia, si impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e, quindi, anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già compromesse ed urbanizzate, che richiedano una necessaria pianificazione della maglia e perciò anche in caso di lotto intercluso o di altri casi analoghi di zona già edificata e urbanizzata.
L’applicazione dei principi da ultimo riportati alla vicenda in esame persuade il Collegio delle non illogicità della scelta, operata dall’Amministrazione, di subordinare l’edificazione nell’area de qua alla previa predisposizione di strumento attuativo: per l’effetto, non potendo trovare condivisione la tesi formulata dagli odierni appellanti, circa l’escluso ricorrere di siffatta esigenza.
Anche gli elaborati grafici prodotti dalla parte appellante a corredo di perizia, comprovano, infatti, che il suolo di proprietà di questi ultimi insiste in un’area caratterizzata da spazi non ancora edificati e non completamente urbanizzati: nei quali, il rilascio di singoli titoli edilizi, fuori dalla previa individuazione di un complessivo disegno al quale è elettivamente deputata la predisposizione di un piano attuativo, è suscettibile di condurre a conseguenze di disomogenea configurazione urbanistica.
6. Nel quadro dei limiti espansivi del sindacato giurisdizionale di legittimità in materia, le censure articolate dalla parte appellante non rivelano la presenza di profili inficianti gli atti impugnati in prime cure: per l’effetto, imponendosi – con il rigetto dell’esaminato appello – la conferma della sentenza gravata.
Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna i ricorrenti sigg.ri Mi. Sa., Fr. Sa. e Ma. Lu. Ca., in solido, al pagamento delle spese di lite, inerenti il presente grado di giudizio, in favore dell’Amministrazione comunale di (omissis), in misura pari ad Euro 3.000.00 (euro tremila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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