Le liti relative alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari

Consiglio di Stato, Sentenza|18 marzo 2022| n. 1972.

Le liti relative alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari alle dipendenze di una pubblica amministrazione sono attratte alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001 allorquando siano oggetto di impugnazione i provvedimenti di rigetto delle istanze con cui si rivendica un loro diritto soggettivo all’assunzione a tempo indeterminato (anche attraverso le procedure cc.dd. di stabilizzazione), assumendo la sussistenza dei presupposti di legge per accedere al beneficio.

Sentenza|18 marzo 2022| n. 1972. Le liti relative alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari

Data udienza 24 febbraio 2022

Integrale

Tag- parola chiave: Pubblico impiego – Lavoro precario – Liti relative alla stabilizzazione – Giurisdizione ordinaria – Sussistenza – Ipotesi

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 299 del 2022, proposto da
La. Ra., rappresentato e difeso dall’avvocato Ro. D’A., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
contro
ARIF- Agenzia Regionale Attività Irrigue e Forestali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Ba., Ca. Ba., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
nei confronti
Sa. Ma. Te., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Prima n. 01350/2021, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia Regionale Attività Irrigue e Forestali-ARIF;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2022 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati D’A. e Ba.;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
1. L’Agenzia Regionale Attività Irrigue e Forestali (di seguito “ARIF”)- ente pubblico strumentale della Regione Puglia istituito con L.R. 25 febbraio 2010 n. 3, preposto alle attività di gestione, conservazione e miglioramento del patrimonio forestale e boschivo regionale – indiceva, con avviso pubblicato sul B.U.R.P. n. 140 dell’8 ottobre 2020, una selezione riservata mediante corso concorso per la copertura a tempo pieno ed indeterminato di n. 110 unità complessive di personale (per le categorie D/1 funzionario amministrativo-tecnico, C/1 Istruttore amministrativo-tecnico e B3 Esecutore amministrativo-tecnico) ai sensi dell’art. 20, comma 2, del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), finalizzato al superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni.

Le liti relative alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari

2. Il sig. Raffaele Lacorte, dipendente dell’Ente in forza di contratti di lavoro a tempo determinato, l’ultimo con scadenza il 31 luglio 2021, avendo presentato due domande di partecipazione (per le categorie C1e B3 con preferenza verso il profilo amministrativo), impugnava innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – sede di Bari la sua esclusione dalla procedura selettiva (comunicatagli con p.e.c. del 28 maggio 2021), in uno ad ogni altro atto presupposto e conseguente, compresa la deliberazione del Direttore Generale di ARIF del 2 luglio 2021, recante la “proroga dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato finalizzato al completamento della procedura di stabilizzazione prevista dal D.Lgs. n. 75/2017 (cd personale ex Sma)” e l’allegato A) contenente la graduatoria degli ammessi, in cui il ricorrente non era stato incluso.
2.1. In particolare, il ricorrente formulava plurime censure avverso gli atti gravati, lamentando: “1) violazione dell’art. 2 punto n. 12 della lex specialis; violazione del successivo comma 13; violazione del principio di massima partecipazione alle procedure concorsuali; eccesso di potere dal punto di vista della disparità di trattamento; violazione dell’art. 3 Cost.; 2) violazione ed erronea applicazione dell’art. 2 comma 11 del bando – eccesso di potere dal punto di vista della manifesta irragionevolezza; 3) eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, illegittimità derivata; 4) illegittimità derivata”.
Esponeva che l’esclusione era stata disposta per l’omessa produzione della copia di un documento di identità in corso di validità in asserita violazione dell’art. 2, comma 11, dell’avviso pubblicato, avendo egli allegato alle due domande di partecipazione copia della tessera sanitaria, ritenuta però dall’Amministrazione inidonea, siccome non rientrante nel novero dei documenti di identità in base alla legge; egli era stato perciò escluso anche dall’elenco dei soggetti ammessi alla proroga dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, fino al 31 dicembre 2021 e al completamento della procedura di stabilizzazione ai sensi del citato decreto legislativo n. 75/2017.
2.2. Nel giudizio così istaurato si costituiva ARIF, eccependo in limine il difetto di giurisdizione ed argomentando comunque l’infondatezza nel merito del ricorso, chiedendone il rigetto.

 

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3. Con sentenza breve resa ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm. il Tribunale amministrativo ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile per difetto di giurisdizione (salva la traslatio judicii di cui all’art. 11 Cod. proc. amm.) e in parte infondato.
In particolare, la sentenza appellata ha ritenuto insussistente la giurisdizione amministrativa quanto all’impugnazione del diniego di inclusione nell’elenco dei lavoratori beneficiari della proroga, in quanto “la proroga in parola postula un atto di gestione dell’originario rapporto di lavoro a tempo determinato rispetto al quale i lavoratori precari, in possesso dei requisiti previsti dalla legge per essere assunti, vantano un diritto soggettivo, non già un interesse legittimo”, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulla questione; per la restante parte ha ritenuto invece il ricorso infondato nel merito in quanto il bando prevedeva la produzione a pena di esclusione di un valido documento di identità, tale non essendo invece la tessera sanitaria, dovendo poi escludersi che una regola siffatta sia contraria ai principi di massima partecipazione alle procedure selettive e di proporzionalità, nonché al divieto di disparità di trattamento (l’unico tra i candidati ad aver commesso l’errore era stato infatti il solo ricorrente), anche perché la regolarizzazione postuma della domanda, invocata dal ricorso, costituiva mera facoltà per l’amministrazione.
4. L’appello, rivolto sia avverso le statuizioni della sentenza declinatorie della giurisdizione, sia contro la decisione di rigetto del merito, è affidato in particolare ai seguenti motivi di impugnazione: “I) Erronea pronuncia per travisamento dei presupposti di fatto in ordine all’affermato difetto di giurisdizione parziale; II) Errores in judicando. Violazione e/o erronea interpretazione dell’avviso di selezione (art. 2, commi 11, 12 e 13). Violazione del principio di massima partecipazione alle procedure concorsuali. Violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione. Travisamento dei presupposti di fatto. Eccesso di potere. Illogicità . Ingiustizia manifesta. Violazione dei principi di buon andamento della Pubblica Amministrazione. Violazione de principi di correttezza e buona fede. III. Errores in judicando. Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 40 c.p.a.. Eccesso di potere. Violazione del principio di proporzionalità e del favor partecipationis. IV. Errores in judicando. Eccesso di potere. Illogicità . Ingiustizia manifesta”.
4.1. Si è costituita in resistenza ARIF, confutando i motivi di appello e insistendo per il rigetto.

 

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4.2. Alla camera di consiglio del 24 febbraio 2022 fissata per la trattazione cautelare, previo avviso alle parti presenti della possibile definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., la causa è stata trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato.
6. In primo luogo deve essere respinto il primo motivo.
6.1. Correttamente la sentenza appellata ha dichiarato in parte inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso laddove ha impugnato la citata D.D.G. n. 641 del 02.07.2021, recante “Proroga contratti di lavoro subordinato a tempo determinato finalizzata al completamento della procedura di stabilizzazione prevista dal D. Lgs. n. 75/2017 (c.d. personale ex SMA)”.
6.2. Deve anzitutto rammentarsi che, secondo i consolidati principi giurisprudenziali, le liti relative alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari alle dipendenze di una pubblica amministrazione sono attratte alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001 allorquando siano oggetto di impugnazione i provvedimenti di rigetto delle istanze con cui si rivendica un loro diritto soggettivo all’assunzione a tempo indeterminato (anche attraverso le procedure cc.dd. di stabilizzazione), assumendo la sussistenza dei presupposti di legge per accedere al beneficio (in tal senso cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2018, n. 7183).
6.3. L’appellante contesta la declinatoria di giurisdizione, negando che il ricorso proposto al giudice amministrativo contenesse la domanda di accertamento del suo diritto alla proroga del contratto a tempo determinato, essendosi egli limitato invece ad impugnare l’elenco degli ammessi al concorso, destinatari anche della proroga dei contratti a termine, tra i quali egli però non figurava, al solo fine di censurare sempre la sua illegittima esclusione dalla procedura e non prestarvi acquiescenza.
6.4. L’assunto non può condividersi.
6.5. Sotto un primo profilo deve ricordarsi che la giurisdizione del giudice ordinario ovvero del giudice amministrativo deve essere verificata con riferimento all’oggetto della domanda, delineato alla stregua del petitum sostanziale individuato in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio e in base agli elementi oggettivi che caratterizzano la sostanza del rapporto giuridico posto a fondamento della pretesa fatta valere (Cass., S.U., n. 12307 del 2004; 30 giugno 1999, n. 379; Cass. 2 agosto 2002, n. 11626); d’altra parte, poi, ove il privato deduca comunque in giudizio la lesione attuale di una posizione giuridica soggettiva avente consistenza di diritto soggettivo, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario.

 

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E’ stato inoltre chiarito al riguardo che, determinandosi la giurisdizione in base al petitum sostanziale, il quale va individuato con riferimento ai fatti materiali allegati dall’attore e alle particolari caratteristiche del rapporto dedotto in giudizio, anche l’esistenza di atti di contenuto generale incidenti sui rapporti di lavoro di interesse delle pubbliche amministrazioni non risulti di per sé determinante ai fini del riparto di giurisdizione (e in particolare al fine di superare l’ordinario criterio di riparto di cui all’articolo 63, cit.) quante volte il ricorso risulti comunque finalizzato a rivendicare un asserito diritto soggettivo all’assunzione a tempo indeterminato (così Cons. Stato, V, 7183/2018 cit.; Cass. Civ., Sez. un. 16 dicembre 2016, n. 25973).
6.6. Ciò premesso, ritiene il Collegio che in effetti il ricorrente, impugnando in parte qua l’elenco dei beneficiari della proroga dei contratti a termine di cui alla DDG n. 641 del 2021 laddove egli non era stato incluso, ha sostanzialmente contestato il diniego di proroga del proprio contratto di lavoro subordinato a tempo determinato che, come correttamente rilevato dall’appellata sentenza, postula un atto di gestione dell’originario rapporto di lavoro a tempo determinato rispetto al quale i lavoratori precari, in possesso dei requisiti previsti dalla legge per essere assunti, vantano un diritto soggettivo, non già un interesse legittimo (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2015 n. 2271; id., sez. VI, 27 febbraio 2012 n. 1095).
6.7. Pertanto, la domanda proposta con il ricorso riguarda in sostanza una specifica richiesta di prosecuzione del rapporto di lavoro precario, avente natura di diritto soggettivo quale atto gestionale (Cons. Stato, sez. III, 28 giugno 2017 n. 2772), con il conseguente difetto di giurisdizione amministrativa.
Avvalora tale conclusione anche il fatto che il contestato diniego di proroga del contratto a tempo e la mancata inclusione nell’elenco dei beneficiari è stato posto a fondamento dell’istanza cautelare, con cui si è chiesta la sospensiva degli atti impugnati, per effetto dei quali si afferma che “il ricorrente si vede preclusa la possibilità di essere stabilizzato”.
6.8. Insomma il ricorrente intende far valere, contestando in parte qua i su indicati provvedimenti, una posizione di diritto soggettivo volta ad ottenere l’assunzione a tempo indeterminato, ai sensi della normativa inerente alla stabilizzazione del personale precario (di cui al citato art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017), asserendo la sussistenza dei presupposti di legge, con conseguente radicarsi della giurisdizione del giudice ordinario, al quale sono devolute tutte le controversie in materia di lavoro pubblico contrattualizzato, ivi comprese quelle in tema di stabilizzazione.
Del resto parte appellante non ha fornito alcun elemento da cui dedurre la connotazione pubblicistica dei poteri esercitati dall’Amministrazione appellata ovvero da essa invocati: nel caso in esame, come emerge dagli atti di causa e dalle tesi delle parti, l’appellante non contesta affatto le scelte organizzative dell’Amministrazione, espressione di potere autoritativo, di procedere o meno alla stabilizzazione delle persone assunte a tempo determinato o con contratti flessibili o, in alternativa, di indire procedure concorsuali, né censura la correttezza formale della stessa.

 

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6.9. Si tratta in definitiva di profili inerenti non già alla procedura concorsuale finalizzata all’assunzione di alcuni lavoratori mediante il loro passaggio dallo stato di personale precario a quello di personale di ruolo, devoluti alla giurisdizione del giudice amministrativo (ex multis: Cass., Sez. un., 13 dicembre 2017, n. 29915), bensì afferenti alla gestione privatistica del rapporto di lavoro e alla dedotta lesione del diritto soggettivo dell’appellante ad ottenere l’assunzione a tempo indeterminato e quindi la stabilizzazione del rapporto lavorativo in essere, ricorrendone le condizioni di legge, con conseguente devoluzione delle questioni e domande proposte alla giurisdizione del giudice ordinario (come già ritenuto dalla Sezione: cfr. Cons. di Stato, V, 17 ottobre 2016, n. 4273).
7. Con il secondo motivo l’appellante critica la sentenza per aver respinto i primi due motivi di ricorso con cui si è censurato il provvedimento di esclusione dalla procedura concorsuale per violazione dei principi di massima partecipazione alle procedure concorsuali, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, nonché per violazione ed erronea interpretazione delle disposizioni di cui all’avviso di selezione (e segnatamente di cui all’art. 2, commi 11, 12, 13 e 14). In particolare l’appellante ribadisce che la mancata allegazione di un documento di identità in corso di validità non figura tra le ipotesi tassative di esclusione dal concorso (previste invece soltanto dall’art. 2, comma 12, dell’avviso).
Secondo l’appellante ARIF avrebbe poi dovuto attivare il soccorso istruttorio di cui comma 13 dell’avviso (che disciplina la procedura di regolarizzazione di eventuali inesattezze o carenze nella domanda di ammissione), in ossequio al principio di leale collaborazione e senza violazione della par condicio, anziché procedere alla sua immediata esclusione, non potendo certamente la selezione dei migliori candidati cui è preordinata la procedura essere alterata nei suoi esiti da errori meramente formali e perciò certamente emendabili. Il bando di concorso, al comma 11 del medesimo art. 2, regolamenterebbe infatti il solo caso della domanda priva della materiale allegazione di un qualsivoglia documento identificativo, mentre sarebbe l’art. 2, comma 12, a contemplare, in via tassativa, le ipotesi di esclusione dal concorso: l’esclusione non poteva perciò conseguire alla mera produzione di un documento asseritamente inidoneo, quale la tessera sanitaria, considerato anche che, sebbene questa non sia inclusa nel novero dei documenti di cui al d.P.R. n. 445/2000, non vi sono dubbi sulla sicura riconducibilità della domanda al candidato, già dipendente e noto all’amministrazione appellata.
La sentenza avrebbe poi omesso di considerare il principio per cui, a fronte di più possibili interpretazioni di una clausola della lex specialis, non può che aderirsi a quella che consenta l’ammissione del concorrente, in conformità al principio del favor partecipationis.
7.1. Anche tale motivo è infondato.
7.2. L’avviso di selezione all’art. 12, comma 12, indica le cause di esclusione dal concorso, disponendo che “l’esclusione dalla procedura selettiva ha luogo: a) nel caso di mancata sottoscrizione della domanda; b) nel caso in cui la domanda pervenga all’Ufficio protocollo oltre il termine di scadenza indicato nell’avviso; c) in caso di mancanza dei requisiti richiesti dall’avviso; d) in caso di mancanza del curriculum vitae”.
Si tratta delle ipotesi di esclusione basate su elementi sostanziali, quali la mancanza dei requisiti di partecipazione, l’oggettiva tardività della domanda ovvero l’incertezza assoluta ed oggettiva sulla riferibilità dell’istanza ad un soggetto determinato.
7.3. Nondimeno, come bene rilevato dall’appellata sentenza senza incorrere in alcun travisamento o erronea interpretazione delle previsioni del bando, i provvedimenti impugnati non hanno violato i principi di tassatività delle cause di esclusione e massima partecipazione alle procedure concorsuali.
7.4. A tali condivisibili conclusioni il primo giudice è pervenuto all’esito di un’interpretazione logico- sistematica dell’avviso di selezione.
7.5. Se è vero infatti che l’art. 12, comma 2, dell’avviso non indica tra le cause di esclusione ivi elencate l’omessa produzione di copia del documento di identità in corso di validità (sebbene anche ciò possa comportare, al pari della mancanza di sottoscrizione, incertezza assoluta ed oggettiva sulla riferibilità dell’istanza di partecipazione ad un soggetto determinato, e dunque sul contenuto e provenienza della domanda), è anche vero che, come correttamente rilevato dalla sentenza appellata, la causa che ha determinato la gravata esclusione “se non rientra in quelle previste dal successivo comma 12, deve essere comunque aggiunta ad esse, in quanto espressamente prevista dalla lex specialis” e che “l’avviso pubblico sul punto non è equivocabile, anche stando a una lettura sistematica e in successione dei commi dell’art. 2”.
7.6. La sentenza appellata ha dunque bene ritenuto che le ipotesi di esclusione previste dall’avviso di selezione non siano solo ed esclusivamente quelle di cui al comma 12 dell’art. 2, dovendo le stesse essere integrate con quanto disposto nel precedente comma 11, a mente del quale alla domanda di partecipazione doveva essere allegata la fotocopia di un documento di identità valido a pena di esclusione ed un dettagliato curriculum vitae.
7.7. Acclarato dunque che l’esclusione gravata è stata disposta ai sensi dell’art. 2, comma 11, del bando laddove si prevede espressamente l’allegazione alla domanda di un “documento di identità valido, a pena di esclusione” e che la mancata produzione costituiva anch’essa ipotesi di esclusione espressamente prevista dalla lex specialis, in aggiunta a quelle indicate dal successivo comma 12 (non comprendendosi altrimenti, in base a un’interpretazione logico-sistematica, perché il bando abbia specificato la necessità di allegazione di una valido documento identificativo “a pena di esclusione”) deve poi convenirsi con il primo giudice sul fatto che la tessera sanitaria fornita dall’appellante non può essere ritenuta documento di identità idoneo ai fini dell’allegazione alla domanda di partecipazione richiesta dal bando.
In effetti la tessera sanitaria non è annoverabile tra i documenti indicati dall’art. 1, lett. d) del d.P.R. n. 445/2000, validi per attestare l’identità della persona.
In base all’art. 35, comma 2, del D.P.R. n. 445/2000 “Sono equipollenti alla carta di identità il passaporto, la patente di guida, la patente nautica, il libretto di pensione, il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, il porto d’armi, le tessere di riconoscimento, purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente, rilasciate da un’amministrazione dello Stato”.
Non possono quindi condividersi le argomentazioni dell’appellante il quale insiste nell’affermare la validità e idoneità della tessera sanitaria ai fini dell’allegazione alla domanda di partecipazione al concorso né sono applicabili alla fattispecie i principi affermati dalla giurisprudenza dallo stesso richiamata, siccome riferiti a fattispecie affatto diverse, relative ai servizi sanitari (dove la tessera sanitaria è usata con pik e puk) o al rilascio di permesso di soggiorno per protezione sussidiaria (dove la tessera in questione è utilizzata a corredo di altri documenti identificativi).
7.8. Come poi pure rilevato dalla sentenza di primo grado, non è applicabile alla fattispecie neppure il comma 13 dello stesso art. 2 del bando sulla possibilità di regolarizzazione di eventuali carenze, in quanto, a prescindere dalla considerazione per cui tale possibilità è solo eventuale, costituendo testualmente in base alle stesse previsioni su indicate mera “facoltà ” per l’amministrazione riservata alla sua discrezionalità, deve anche osservarsi che, come evidenziato, il precedente comma 11 prevede l’allegazione alla domanda di un valido documento di identità “a pena di esclusione”, laddove la disposizione di cui al citato comma 13 si riferisce invece espressamente “ad altre eventuali carenze e inesattezze” della domanda di ammissione, cioè diverse da quelle elencate nei precedenti commi 11 e 12.
7.9. Non può altresì essere richiamato il principio di massima partecipazione al concorso, in quanto la clausola della lex specialis è chiara tanto da non ingenerare alcun dubbio, né sussiste la dedotta violazione del principio di parità di trattamento, atteso che il ricorrente non riporta alcun caso simile a quello in esame, nella procedura de qua, che sia stato trattato diversamente o con maggior favore.

 

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Per converso, poiché il bando costituisce la lex specialis del pubblico concorso e va interpretato in termini strettamente letterali, le regole in esso contenute vincolano rigidamente l’operato dell’Amministrazione, obbligata alla loro applicazione con ristretti margini di apprezzamento discrezionale, proprio in considerazione degli invocati principi di affidamento e parità di trattamento.
8. Con il terzo motivo l’appellante lamenta che il primo giudice avrebbe preliminarmente affermato l’inammissibilità delle doglianze articolate con il terzo motivo per omessa impugnazione del bando, senza avvedersi che il ricorso introduttivo, sebbene non abbia incluso nell’epigrafe il bando di concorso tra i provvedimenti gravati, ha comunque inteso impugnare con specifiche censure anche il bando medesimo (per violazione del principio di proporzionalità e del favor partecipationis) “per la denegata ipotesi in cui dovesse darsi del bando la lettura che ne ha dato ARIF e ritenere che lo stesso prevedesse l’obbligo di produzione di un documento d’identità a pena d’esclusione, quale che sia la forma di presentazione della domanda di partecipazione al concorso”.
La sentenza appellata, nel dichiarare l’inammissibilità della doglianza proposta, avrebbe quindi erroneamente applicato l’art. 40 Cod. proc. amm e i principi giurisprudenziali in merito all’individuazione degli atti impugnati che va operata non già con riferimento alla sola epigrafe, bensì in relazione all’effettiva volontà del ricorrente, quale è desumibile dal tenore complessivo del gravame e dal contenuto delle censure dedotte; sicché ben possono ritenersi oggetto di impugnativa tutti gli atti che, seppure non espressamente indicati tra quelli impugnati ed indipendentemente dalla loro menzione in epigrafe, costituiscono (come sarebbe avvenuto nella presente fattispecie) senz’altro oggetto di contestazione in base ai contenuti dell’atto di ricorso.
La sentenza viene poi criticata anche nella parte in cui ha ritenuto comunque non sproporzionato chiedere, in una selezione pubblica, un documento di identità in corso di validità, a pena di esclusione, legando la dichiarazione sostitutiva al documento allegato in fotocopia, nell’ambito di un collegamento unitario teso ad attribuire, come forma di semplificazione, legale autenticità alla sottoscrizione apposta in calce alla dichiarazione e giuridica esistenza ed efficacia all’autocertificazione, in quanto “rivolto a stabilire…oltre alle generalità del dichiarante, la soggettiva imputabilità della dichiarazione al soggetto che la presta”.
Al fine di valutare la proporzionalità dell’adempimento in questione, la sentenza non poteva invece omettere di considerare: a) la ricordata tassatività delle cause di esclusione; b) la sicura riferibilità della domanda di partecipazione alla persona dell’odierno appellante (considerate anche le modalità di presentazione della stessa, a mani all’ufficio protocollo); c) l’assenza di incertezza assoluta sulla provenienza della domanda, finalizzata alla partecipazione di una platea determinata di concorrenti (i soli dipendenti precari dell’amministrazione, tra cui anche il ricorrente); d) la rammentata possibilità di regolarizzazione di eventuali inesattezze o carenze nella domanda di ammissione.
8.1. Anche tali censure non possono essere accolte.
8.2. A prescindere dalla questione concernente l’effettiva impugnazione del bando con il ricorso introduttivo, è decisivo osservare ai fini del rigetto delle doglianze che il Tribunale amministrativo, nell’esaminare comunque la censura nel merito, l’ha correttamente ritenuta infondata in quanto non è in effetti sproporzionato chiedere, in una selezione pubblica, un documento di identità in corso di validità, a pena di esclusione, specie se si considera che per l’art. 38, comma 3, del d.P.R. n. 445/2000, le autocertificazioni sono sottoscritte dall’interessato in presenza del dipendente addetto, ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore. L’allegazione di copia del documento di identità è, pertanto, parte integrante dell’autocertificazione sul possesso dei requisiti.
8.3. Nelle procedure amministrative, l’allegazione della copia fotostatica del documento del sottoscrittore della dichiarazione sostitutiva, prevista dall’art. 38, comma 3, D.P.R. n. 445/2000, è adempimento inderogabile atto a conferire, in virtù della sua introduzione come forma di semplificazione, legale autenticità alla sottoscrizione apposta in calce alla dichiarazione e giuridica esistenza ed efficacia all’autocertificazione: si tratta quindi, come bene ritenuto dalla sentenza appellata, di un imprescindibile elemento integrante della fattispecie normativa, rivolto a stabilire, data l’unità della fotocopia sostitutiva del documento di identità e della dichiarazione sostitutiva, un collegamento tra la dichiarazione e il documento, nonché a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, la soggettiva imputabilità della dichiarazione al soggetto che la presta (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 aprile 2013, n. 1915).
8.4. Neppure può attribuirsi poi rilievo alla mera circostanza fattuale concernente le modalità di presentazione della domanda (avvenuta non telematicamente ma tramite consegna a mani all’Ufficio protocollo dell’ARIF): tanto non vale a superare il decisivo argomento secondo cui la lex specialis era chiara nel richiedere a pena di esclusione l’allegazione alla domanda di un documento di identità in corso di validità e tale non era la tessera sanitaria fornita in copia dal ricorrente, risultando quindi l’esclusione disposta in base alle previsioni del bando non sproporzionata né irragionevole.
9. Con il quarto motivo l’appellante ha impugnato l’ultimo capo della sentenza, con il quale il giudice di prime cure, incidenter tantum, rileva la non abnormità dell’esclusione disposta dall’ARIF, relativamente alle caratteristiche curriculari del ricorrente: lamenta, in particolare, l’inconferenza di siffatte argomentazioni e la loro eccentricità rispetto alle questioni poste dai motivi di ricorso, considerato che l’allegazione del documento identificativo, richiesta dall’avviso di selezione, non era certamente finalizzata ad accertare le capacità professionali del candidato.
9.1. La censura è inammissibile essendo il punto della sentenza in questione privo di contenuto decisorio (“solo per inciso, deve evidenziarsi…”) e utile al giudice di primo grado soltanto a motivare compiutamente le ragioni dell’infondatezza del ricorso.
9.2. La censura è comunque infondata.
9.3. In effetti, il ricorrente ha già svolto pubbliche mansioni (anche di concetto) e ora aspira ad essere stabilizzato da un ente pubblico come funzionario di categoria C, avendo espresso preferenza per il profilo amministrativo: non appare quindi ingiustificato, sproporzionato o abnorme esigere in base all’ordinaria diligenza l’allegazione alla domanda di un valido documento di identità, tale non essendo ex lege né potendo ritenersi per le ragioni anzidette la tessera sanitaria, non rientrante nel novero legale dei documenti idonei ad attestare l’identità personale indicati dal ricordato art. 35 del d.P.R.n. 445/2000.
9.4. Pertanto, condivisibilmente il primo giudice ha concluso che “la conseguenza di tale errore (l’esclusione dalla selezione) è meno abnorme di quel che sembra, proprio perché l’errore commesso è alquanto censurabile, in relazione al livello culturale e alle caratteristiche curriculari del ricorrente”.
10. L’appello deve essere pertanto interamente respinto, restando salvi gli effetti processuali e sostanziali delle domande qualora il processo nei limiti indicati in motivazione sia riproposto innanzi al giudice ordinario nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza ai sensi dell’art. 11 Cod. proc. amm.
11. Sussistono giusti motivi, in considerazione della natura della controversia, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente
Angela Rotondano – Consigliere, Estensore
Giovanni Grasso – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere
Giorgio Manca – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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