Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 1 luglio 2019, n. 4495.
La massima estrapolata:
Laddove il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici fra loro autonome, la conformità a legge anche di una sola di esse è sufficiente a sorreggere la legittimità dell’atto.
Sentenza 1 luglio 2019, n. 4495
Data udienza 11 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 6130 del 2014, proposto da
Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa prima dall’avvocato Ro. Pa., poi dall’avvocato Ro. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
ATS costituita tra l’ente capofila Consiglio nazionale delle ricerche ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Vi. Io., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
ed altri;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (sezione terza) n. 05989/2013, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ATS costituita tra l’ente capofila Consiglio nazionale delle ricerche-Istituto di ricerche sulle attività terziarie e il Consorzio Eu.;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consorzio Eu.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica dell’11 aprile 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Ma. Vi. De Ge., in sostituzione dell’avv. Pa., Vi. Io. e Or. Ab.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania l’Associazione temporanea di scopo costituita tra il soggetto capofila Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto di ricerche sulle attività terziarie e il Consorzio Eu. impugnava la deliberazione di Giunta n. 36 dell’8 febbraio 2013, con la quale la Regione Campania aveva annullato, ai sensi degli artt. 21-octies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, le delibere di Giunta regionale n. 2130/2007 e n. 180/2008, di approvazione di alcuni progetti speciali, tra cui quello della ricorrente, poi trasmessi al Ministero del lavoro per il finanziamento di cui all’art. 26 della l. 845 del 1978, parzialmente erogato. L’impugnazione veniva estesa, mediante motivi aggiunti, alle conseguenti determinazioni applicative.
Nel contenzioso così instaurato, la parte ricorrente domandava l’annullamento di tutti gli atti gravati e la declaratoria dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione e dell’arresto procedimentale, nonché del suo diritto a svolgere le attività già autorizzate, con conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti.
2. Con la sentenza n. 5989 del 2013 segnata in epigrafe, nella resistenza della Regione Campania, l’adito Tribunale (sezione terza), respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso spiegata dalla parte resistente per omessa notifica dello stesso al Ministero del lavoro e al Ministero dell’economia e delle finanze, accoglieva il ricorso e i motivi aggiunti quanto alla domanda demolitoria. Respingeva le domande di accertamento e di condanna, perchè, rispettivamente, inammissibili e carenti di prova. Condannava la Regione al pagamento delle spese di giudizio.
Quanto all’accoglimento della domanda demolitoria, il primo giudice, in estrema sintesi:
– rilevava che l’autotutela si era fondata: a) sulla pendenza di un procedimento penale per truffa presso la Procura della Repubblica di Napoli relativo ai finanziamenti di cui alle delibere annullate; b) sulla incompetenza dell’organo di indirizzo politico (Giunta regionale) che aveva deliberato l’assegnazione dei contributi, avvenuta in carenza di una programmazione regionale e di procedure comparative; c) sull’incompiutezza della realizzazione dei progetti finanziati, tale da essere non più utile al raggiungimento degli obiettivi della programmazione regionale, oltre che inadeguata rispetto alle finalità di cui all’art. 26 della legge n. 845/1978; d) sull’insussistenza dell’interesse pubblico a erogare il finanziamento, che rendeva recessivo il corrispondente interesse dei beneficiari a ottenere i contributi;
– rilevava che lo stesso Tribunale, con le sentenze n. 2305 del 2012 e n. 356 del 2013, aveva già annullato alcuni atti regionali che avevano disposto la sospensione delle attività formative finanziate per cui è causa;
– riteneva il difetto di motivazione dell’atto di autotutela sotto vari profili, rilevando che esso era basato su ragioni riconducibili a cause produttive di effetti affatto diversi (annullamento; revoca; contestazioni di inadempimento), senza la possibilità di enucleare l’interesse pubblico attuale e concreto all’annullamento, dovendosi escludere, anche alla luce delle predette sentenze, che la mera pendenza del procedimento penale fosse suscettibile di fondare l’autotutela, travolgendo l’incolpevole affidamento ingenerato nel beneficiario sulla contribuzione pubblica, anche considerando l’avanzato stato della procedura e delle attività poste in essere, giunte ormai a conclusione, nonché il rilevante lasso temporale intercorso tra l’autotutela e le delibere annullate:
– riteneva per le stesse ragioni che i vizi di legittimità indicati nell’atto, anche in disparte ogni questione sulla loro sussistenza, erano insuscettibili di determinare l’annullamento d’ufficio ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, anche perché, contrariamente a quanto paventato dalla Regione, il Ministero del lavoro non aveva avviato alcuna iniziativa volta al recupero delle somme erogate o alla contestazione dell’operato del beneficiario.
– riteneva altresì la violazione del principio del contrarius actus, da cui la fondatezza anche della censura di incompetenza articolata dalla ricorrente, non avendo la Regione coinvolto in alcun modo nel procedimento di autotutela il Ministero del lavoro, che aveva a suo tempo concesso il finanziamento con proprio decreto.
3. La Regione Campania ha proposto appello avverso la predetta sentenza, di cui ha domandato la riforma, deducendo: 1) error in judicando e in procedendo, violazione del d.lgs. n. 104/2010, violazione della l. n. 845/1978, nullità, difetto e illogicità della motivazione, difetto del contraddittorio processuale, inammissibilità del ricorso di primo grado; 2) error in judicando e in procedendo, violazione dell’art. 117 Cost., violazione del d.lgs. n. 104 del 2010, della l. n. 845/1978, del d.P.R. n. 616/1977, della l. n. 241/1990, del d.lgs. n. 163/2006, difetto, illogicità e insufficienza della motivazione, violazione della par condicio; 3) error in judicando e in procedendo, violazione del d.l.gs. n. 104 del 2010, della l. n. 845/1978, della l. n. 241/1990, del d.lgs. n. 163/2006, violazione dei principi dell’autotutela, motivazione illogica e insufficiente, nullità, violazione dell’art. 2909 Cod. civ., violazione dell’art. 2697 Cod. civ., violazione del principio di riserva di amministrazione; 4) error in judicando e in procedendo, violazione dell’art. 117 Cost., violazione del d.lgs. n. 104 del 2010, della 1. n. 845/1978, della l. n. 241/1990, del d.lgs. n. 163/2006, difetto, illogicità e insufficienza della motivazione, nullità, violazione dell’art. 2909 Cod. civ..
4. L’ATS appellata si è costituita in giudizio, sostenendo con articolate argomentazioni l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello e concludendo per il suo rigetto.
Si è costituito in appello anche il Consorzio Eu..
5. La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza dell’11 aprile 2019.
6. L’appello è fondato.
Il Collegio non ravvisa, infatti, ragioni per discostarsi dai precedenti di questo Consiglio di Stato aventi a oggetto la stessa attività di autotutela qui in esame e conclusisi con statuizioni favorevoli alla Regione Campania (V, 17 marzo 2015, n. 1373; 23 marzo 2015, n. 1552; VI, 4 aprile 2017, n. 1563).
7. Deve, pertanto, anche in questa sede, rilevarsi la fondatezza delle censure, di valenza assorbente, con cui la Regione: ha affermato la propria competenza a procedere in autotutela, tenuto conto che al Ministero del lavoro spettava esclusivamente di fornire la provvista e ricevere le rendicontazioni finali, mentre le concessioni erano di stretta incombenza regionale; ha lamentato che l’attribuzione delle agevolazioni è avvenuta da parte di un organo incompetente, in carenza di una programmazione regionale e di una procedura selettiva pubblica, in spregio all’art. 12 della l. n. 241 del 1990, nonché al di fuori di ogni aspetto concorsuale; ha rappresentato che, per ciascun progetto, oltre la metà delle agevolazioni erano impiegate in “azioni di sistema”, palesemente inadeguate rispetto alle finalità di equilibrio tra domanda e offerta di lavoro ai sensi della l. n. 845 del 1978, oltre che inconsistenti e prive di concreta utilità, e che le attività formative previste sono state realizzate solo in parte, esponendo la Regione sia alla mancata erogazione dei fondi ancora da erogare che alla restituzione di quanto erogato.
8. In particolare, va osservato che, come già riconosciuto da questo Consiglio di Stato (VI, n. 1563/2017 cit.), le deliberazioni regionali costituivano il necessario ed esclusivo presupposto degli atti di approvazione ministeriale.
Indi, se l’iniziativa del finanziamento spettava all’ente Regione, a esso va riconosciuta la pari potestà di adottare tutti gli atti di segno contrario per sospendere l’erogazione delle somme e procedere al loro recupero.
9. Va poi rimarcata la violazione, da parte delle delibere annullate in via di autotutela, del principio di cui all’art. 12 della l. n. 241 del 1990, secondo il quale qualsiasi genere di sovvenzione, contributi o sussidi a soggetti privati o pubblici deve essere preceduta dalla predeterminazione e dalla pubblicazione da parte delle pubbliche amministrazioni procedenti, dei criteri cui le stesse amministrazioni devono attenersi nell’an e nel quantum da concedere, che, nella specie, è mancata, come emerge, tra altro, anche dall’assenza di una graduatoria.
Né persuade l’affermazione dell’appellata ATS secondo cui le procedure di finanziamento in questione avrebbero assunto un carattere sostanzialmente idoneativo e non comparativo-concorrenziale.
L’argomentazione è stata infatti già ritenuta infondata dalla Sezione, che, nei citati precedenti, ha rilevato come debba partirsi dal presupposto che l’art. 12 della l. n. 241 del 1990 riveste carattere di principio generale dell’ordinamento giuridico e, in particolare, della materia che governa tutti i contributi pubblici, la cui attribuzione deve essere retta da norme programmatorie che definiscano un livello minimo delle attività da finanziare, ciò che costituisce, poi, il metro di valutazione di un’eventuale comparazione di un numero di domande superiori allo stanziamento, escludendo al contempo che il concetto di “finanziamento” possa profilarsi in termini diversi da quello di contributo o di agevolazione, e dunque escluso dall’applicazione della disposizione in parola.
A tale ultimo riguardo, si è anche rilevato come né l’art. 26 della l. 21 dicembre 1978, n. 845, norma sulla base del quale il finanziamento poi revocato è stato a suo tempo concesso, né l’art. 35 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, regolante le funzioni regionali nella materia dell’istruzione artigiana e professionale, investita dal finanziamento, precedenti alla l. n. 241 del 1990, offrano spunti per discernere agevolazioni pubbliche sotto forma di “accreditamento”, al pari della materia sanitaria e ospedaliera.
10. Infine, è ancora evidente come la Giunta regionale campana, nell’approvare i progetti da finanziare con le delibere poi oggetto di autotutela, abbia dato luogo ad atti tipicamente di gestione e di spettanza dirigenziale, e che tale vizio non possa ritenersi sanato dai conseguenti atti dei dirigenti che hanno di seguito approvato i progetti, avendo questi una mera natura attuativo-esecutiva.
11. Chiarita, come sopra, la fondatezza delle principali ragioni di illegittimità che giustificano il provvedimento di annullamento d’ufficio, in applicazione del consolidato principio giurisprudenziale secondo cui, laddove – come nella fattispecie – il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici fra loro autonome, la conformità a legge anche di una sola di esse è sufficiente a sorreggere la legittimità dell’atto (Cons. Stato, VI, 18 maggio 2012, n. 2894; 7 gennaio 2014, n. 12), va ancora osservato, quanto all’interesse pubblico concreto fatto valere e sempre in conformità ai richiamati precedenti, che, a fronte di una scorretta spendita di denaro pubblico, e della presa d’atto che l’erogazione ha riguardato solo una prima parte dei contributi, non si può assumere come maturato quell’affidamento del privato che solo un lungo decorso del tempo può permettere di considerare consolidato, al punto di ritenere esaurita qualsiasi forma di autotutela.
12. Resta solo da precisare, alla luce delle difese formulate dalla ATS appellata, che non si pone alcun problema di violazione delle sentenze del Tar n. 2305 del 2012 e n. 356 del 2013 citate nella sentenza gravata e passate in giudicato, che, riguardando provvedimenti di mera sospensione delle attività progettuali approvate, sono insuscettibili di dispiegare la vincolante autorità del giudicato anche ai fini dell’odierno giudizio, concernente atti definitivi di annullamento in autotutela; tanto si deriva, del resto, anche da quanto affermato in quelle sedi dal giudice di primo grado, che, nel primo contenzioso, si è limitato a rilevare che il provvedimento di sospensione era sine die, mentre nel secondo ha stigmatizzato che “l’Amministrazione regionale, anziché assumere finalmente una decisione definitiva, chiara e ben istruita e motivata, sulla sorte di questo rapporto di concessione di contributi, ha ritenuto di prolungare lo stato di incertezza del rapporto”, affermando altresì che “la complessiva condotta dell’amministrazione non comporti l’avvenuta consumazione del potere di autotutela”.
13. Per le suesposte considerazioni l’appello deve essere accolto, disponendosi, per l’effetto, la riforma della sentenza appellata e la reiezione del ricorso di primo grado.
14. La peculiarità della questione giustifica la compensazione tra le parti delle spese di giudizio di entrambi i gradi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo accoglie, disponendo, per l’effetto, la riforma della sentenza appellata e la reiezione del ricorso di primo grado.
Compensa tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore
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