Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 21 settembre 2018, n. 5492.
La massima estrapolata:
La previsione dell’esclusione dalla gara del concorrente che offra un costo medio orario del lavoro inferiore a quello previsto nel contratto collettivo è nulla e deve essere disapplicata, in quanto integra un’ipotesi di esclusione ulteriore rispetto a quelle tassativamente previste dal codice dei contratti.
Sentenza 21 settembre 2018, n. 5492
Data udienza 13 settembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6787 del 2015, proposto da
Le. Fr. Vi. in proprio e quale titolare Azienda Ag. Le. Fr. Vi., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fe. Gu., con domicilio eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);
contro
A.S.P. Poveri Vergognosi, non costituita in giudizio;
Asp Città di Bologna – Azienda Pubblica di Servizi alla persona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ma. e An. Pi., con domicilio eletto presso lo studio An. Pi. in Roma, piazza (…);
nei confronti
Azienda Ag. Na. Ro. e altri, tutti non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna Sezione Seconda n. 375/2015, resa tra le parti, concernente diniego concessione in affitto di fondi agricoli e relativo risarcimento danni;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Asp Città di Bologna – Azienda Pubblica di Servizi Alla persona;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 luglio 2018 il Cons. Giorgio Calderoni e uditi per le parti gli avvocati Mi. Pe. su delega di Fe. Gu. e An. Ab. su delega di An. Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Nell’atto di appello si espone in fatto quanto segue:
1.1. Nel 2007, l’allora IPAB “Opera Pia dei Poveri Vergognosi” (poi trasformata nell’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona “Poveri Vergognosi”) indiceva una gara per assegnare in affitto alcuni fondi di cui era proprietaria, posti in vari Comuni della Provincia di Bologna.
Il relativo Bando:
– assegnava un punteggio maggiore ai coltivatori diretti (10 punti) rispetto agli imprenditori agricoli ex art. 2135 c.c. (3 punti);
– prevedeva (par. 3) che il possesso dell’una o dell’altra qualifica dovesse formare oggetto di autocertificazione, ai sensi delD.P.R. n. 445/2000;
– stabiliva, inoltre, che le medesime qualifiche dovevano risultare possedute alla data indicata, quale termine per la presentazione delle domande, ossia al 29.10.2007.
1.2. L’appellante Le. Fr. Vi. ha partecipato alla gara dichiarando di essere coltivatore diretto ed è risultato aggiudicatario provvisorio dei Fondi situati in (omissis) (“Cà Ve. Op.” e altri), come da comunicazione prot. n. 6149 dell’8.11.2007 inviatagli dall’Opera Pia.
Con la stessa comunicazione, si chiedeva all’appellante di produrre, entro il termine perentorio di dodici giorni dal suo ricevimento, prove documentali idonee ad attestare il possesso dei requisiti richiesti, non essendo ritenuto sufficiente, a tal fine, il certificato rilasciato dalla Camera di Commercio su richiesta della medesima Opera Pia.
1.3. L’appellante richiedeva il 10.11.2007 (e per la prima volta) alla Provincia di Bologna la certificazione della qualifica di coltivatore diretto per sé e per il figlio.
In data 27.11.2007, la Provincia rilasciava certificazione che “Il richiedente risulta condurre i terreni dall’annata agraria 2006/2007 (P.I. dell’11.11.2006) e risulta coltivatore diretto iscritto all’INPS dall’1.1.2007 (dal 31.8.2007 ha cessato l’attività di camionista dipendente presso la ditta Ro. S.R.L. di Bo.”).
1.4. Con determinazione dirigenziale n. 792 del 6.12.2007, si approvavano le graduatorie in questione, con aggiudicazione in favore delle quattro Aziende Agricole qui appellate (“Va. Ro.” e altri), a seguito della decurtazione del maggior punteggio precedentemente attribuito al sig. Le. per la qualifica di coltivatore diretto, decurtazione motivata in quanto le certificazioni, rilasciate dopo il termine per la presentazione delle domande di partecipazione alle gare (ossia il 29.10.2007), sarebbero inidonee a dimostrare la qualifica di “coltivatore diretto” a tale data (testualmente: “la certificazione della Provincia di Bologna… non contiene alcun riferimento alla data dalla quale sono stati riscontrati i requisiti di coltivatore diretto. Pertanto si ritiene che il sig. Fr. Vi. Le. abbia ottenuto tale certificazione tardivamente ai fini dell’attribuzione del punteggio per le graduatorie di aggiudicazione delle gare relative all’affitto dei fondi……le autodichiarazionì contenute nella dichiarazione aziendale relativa alla conduzione d’impresa diretto coltivatrice rivolta all’INPS, da valere dal 01/09/2007, non hanno valore né costitutivo né certificante in relazione alla qualifica di coltivatore diretto”).
1.5. Il Sig. Le. Ta. ha impugnato tale provvedimento (e formulato domanda risarcitoria) avanti il Tar Emilia-Romagna, sede di Bologna, che ha respinto il ricorso con la sentenza n. 375/2015 in epigrafe, così in sintesi argomentata:
i) la documentazione dal medesimo prodotta sarebbe tardiva in quanto successiva alla data del 29.10.2007, termine ultimo per la presentazione delle domande di partecipazione alla gara e quindi per la dimostrazione dei requisiti;
ii) in ogni caso, la certificazione di coltivatore diretto della Provincia di Bologna e la dichiarazione aziendale di conduzione d’impresa diretto coltivatrice ai fini INPS, oltre a non costituire – se non supportate da altri elementi – piena prova della qualifica di coltivatore diretto, contrasterebbero nella specie con la diversa posizione derivante dall’iscrizione, quale imprenditore agricolo, attestata dalla Camera di Commercio;
iii) lo svolgimento, sino al 31.8.2007, dell’attività di autotrasportatore alle dipendenze di un’impresa sarebbe poco compatibile con il dato imprescindibile della professionalità, in via principale, richiesto ai fini della qualifica di coltivatore diretto.
2. Dopo aver più diffusamente riportato al capo A le motivazioni di cui sopra, l’appellante passa a contestarle nei successivi capi B, C e D, così articolati:
B) sulla tardività della produzione documentale:l’appellante ha prodotto in termine la documentazione richiestadal bando (apposito modulo con fotocopia documento di identità ) e, comunque, la determinazione n. 792/2007 impugnata in primo grado non sarebbe in alcun modo motivata in punto di tardività delle produzioni documentali di cui si tratta, bensì di asserita tardività dell’acquisizione della qualifica di coltivatore diretto;
C) sulla prova della qualifica di coltivatore diretto: contrariamente a quanto affermato in sentenza, la professionalità non sarebbe requisito tipico del coltivatore diretto (cfr. art. 48 L. n. 454/1961, art. 31 L. n. 590/1965 e art. 6 L. n. 203/1982), bensì dell’imprenditore agricolo professionale, definito dall’art. 1 D.Lgs. n. 99/2004.
In sintesi: l’imprenditore agricolo professionale si caratterizzerebbe per professionalità, utilizzo principale di manodopera salariata, tempo dedicato e reddito percepito (questi ultimi: almeno il 50% di quelli complessivi); mentre il coltivatore diretto, lo sarebbe per il fatto di svolgere abitualmente e direttamente la propria attività, avvalendosi esclusivamente o per almeno un terzo di manodopera interna, cioè dello stesso coltivatore e dei suoi familiari.
In tal senso, la giurisprudenza della Corte di Cassazione non richiede per il coltivatore diretto l’esercizio professionale dell’attività di coltivazione e ritiene che il requisito della “abitualità ” dell’attività di coltivazione agricola – richiesto dal citato art. 31 legge n. 590/1965 in capo al coltivatore diretto – non implichi necessariamente che l’attività di conduzione del fondo debba essere svolta in forma professionale e neppure in misura preponderante rispetto ad altre sue attività, purché la forza lavoro del coltivatore diretto e della sua famiglia costituisca, per l’appunto, almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo.
Peraltro, le qualifiche di coltivatore diretto e imprenditore agricolo a titolo principale erano equiparate, nella gara de qua, ai fini dell’attribuzione di 10 punti, contro i tre punti riconosciuti all’imprenditore agricolo ex art. 2135 c.c.
Al riguardo di quest’ultima qualifica e rispetto all’autocertificazione presentata in sede di gara, il dubbio nei riguardi del Sig. Le. è sorto a seguito del certificato rilasciato dalla Camera di commercio “in cui l’odierno appellante è rappresentato, per l’appunto, come imprenditore agricolo ai sensi dell’art. 2135 c.c., anziché come coltivatore diretto”.
In proposito, nell’appello si ribadisce che la qualifica di coltivatore diretto “è principalmente legata al rapporto forza lavoro/terreno; e che, una volta accertato che la percentuale di apporto lavorativo rispetto al fabbisogno del terreno è soddisfatta direttamente o tramite familiari, divengono irrilevanti altri aspetti quali la portata del reddito agricolo nella complessiva economia dell’interessato, o l’intensità della sua dedizione all’agricoltura rispetto ad altri impegni di altro tipo”.
Ciò premesso in linea generale, si svolgono le seguenti e rispettive deduzioni in ordine al certificato della C.C.I.A.A. e alle certificazioni rilasciate dalla Provincia:
* quanto al certificato della Camera di commercio, esso non presupporrebbe né comporterebbe alcun accertamento circa l’esistenza di una coltura in atto, né circa la capacità lavorativa impiegata e il fabbisogno necessario per l’attività di coltivazione del fondo, in quanto detto certificato assolve per legge altre finalità .
In particolare, l’obbligo per gli imprenditori agricoli e i coltivatori diretti di iscriversi nel Registro delle Imprese Sezione Speciale tenuto dalla Camera di Commercio è dettato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 228/2001, che essenzialmente limita la valenza di detta iscrizione alle funzioni di certificazione anagrafica e di pubblicità dichiarativa ex art. 2193 c.c., ossia di opponibilità ai terzi (e presunzione di conoscenza da parte dei terzi stessi) dei fatti ivi trascritti: cosicché il certificato rivestirebbe una “pressoché nulla efficacia probatoria” in relazione alle suddette qualifiche.
Nella specie, l’iscrizione venne tempestivamente richiesta dal sig. Le. nel 2006, allorché iniziò l’attività di commercializzazione dei prodotti agricoli come semplice impresa agricola ex art. 2135 C.c.; dopodiché, l’attività si è trasformata in quella di “coltivatore diretto”, con l’inserimento in azienda del figlio e la decisione di dedicarsi unicamente all’azienda agricola, decisione maturata nell’agosto 2007, alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato e ben prima di partecipare al Bando, indetto nell’ottobre 2007.
“Semplicemente, il dato in C.C.I.A.A. non è stato aggiornato”: né ve ne sarebbe stata necessità, considerate le funzioni che la legge attribuisce a tale certificazione e il fatto che il Bando non richiedeva la produzione di detto certificato in sede di presentazione della domanda di partecipazione;
* quanto ai certificati rilasciati dalla Provincia: viceversa, le funzioni concernenti la certificazione della qualifica di coltivatore diretto, di imprenditore agricolo a titolo principale e di ogni altra qualifica richiesta in materia di agricoltura spettano agli Enti locali (ai sensi del D.Lgs. 60/1998) e sono esercitate in Emilia-Romagna dalla Provincia, secondo quanto previsto dalla L.R. n. 15/1997 e s.m.
Ebbene, la Provincia ha rilasciato detti certificati richiamando espressamente gli articoli 48 L. n. 454/1961 e 31 L. n 590/1965 e all’esito delle verifiche condotte in ordine alla sussistenza delle condizioni per attestare la qualifica di coltivatore diretto del sig. Le. (estensione dei terreni; idoneità della manodopera dei signori Le. – padre e figlio – a sopperire al relativo fabbisogno di attività ; coltivazione in atto al 28.11.2007 e pregressa coltivazione dall’annata agraria 2006/2007; esistenza dell’azienda agricola dal 2006; iscrizione all’INPS come coltivatori diretti dei signori Le.; e, infine, possesso di adeguate e idonee macchine agricole).
Circa l’avvenuto rilascio dopo il 29.10.2007, le risultanze del certificato non smentirebbero quanto autocertificato dal sig. Le. in sede di gara, poiché presupporrebbero “un’attività stabile e continua di gran lunga antecedente alla data del rilascio stesso nonché all’indizione della gara”.
Né il Bando prescriveva che, per potersi avvalere dei vari punteggi, l’interessato dovesse dimostrare dì essere imprenditore agricolo professionale, coltivatore diretto, imprenditore ex art. 2135 c.c. a partire da una certa data, antecedente l’indizione della procedura, prescrivendosi unicamente che il possesso della qualifica dovesse sussistere al momento della chiusura del termine di presentazione delle domande (29.10.2007);
D) sulla validità dell’autocertificazione: gli accertamenti istruttori compiuti dall’Amministrazione non smentirebbero, dunque, la qualifica di “coltivatore diretto” dichiarata dal concorrente.
Infine, l’appellante insiste nella richiesta risarcitoria formulata in primo grado e quantificata in euro 593.000 (ricavo complessivo per cinque anni, ritraibile dai terreni di cui alla concessione in affitto e calcolato sulla base del listino prezzi della Borsa di Bologna al 14/02/2008) oltre a euro 85.000 (utile ricavabile da un progettato impianto a biogas): importi da attualizzare al momento della decisione del presente appello.
3. Costituendosi in giudizio il 28 settembre 2015, l’ASP appellata controdeduce che:
– dal certificato anagrafico rilasciato dalla Camera di Commercio di Bologna per la Ditta Le. Fr. Vi., emesso in data 5.11.2007, emerge che l’impresa è iscritta nella sezione speciale con la qualifica di “impresa agricola”;
– viceversa, i certificati anagrafici delle altre aziende partecipanti hanno confermato quanto dalle stesse dichiarato nelle domande di partecipazione alla gara, essendo iscritte quali piccoli imprenditori coltivatori diretti;
– inoltre, l’ulteriore documentazione prodotta dall’appellante a seguito della comunicazione ASP dell’8.11.2007, sarebbe effettivamente tardiva rispetto alla data del 29.10.2007, in quanto consistente nelle certificazioni di coltivatore diretto rilasciate dalla Provincia di Bologna all’esito di domande presentate il 19.11.2007 e nella dichiarazione aziendale relativa alla conduzione d’impresa diretto coltivatrice, presentata all’INPS l’8.11.2007;
– in concreto, queste ultime certificazioni non avrebbero “alcuna efficacia di accertamento dello status di coltivatore diretto” e non sarebbero “idonee a provare la qualifica richiesta alla data del 29.10.07”, poiché l’interessato avrebbe dovuto produrre documenti che provassero la sussistenza del rapporto di proporzionalità per almeno un terzo, tra il fabbisogno di attività lavorativa dei fondi condotti e la forza lavorativa familiare (nella fattispecie, del figlio Le. Le.);
– in ogni caso l’istruttoria prodotta dal ricorrente accerta i requisiti alla data del sopralluogo (26.11.2007) e non a data anteriore (la certificazione “fotografa la situazione fattuale riscontrata in concreto alla data di emissione del certificato”).
L’ASP conclude chiedendo la conferma della sentenza impugnata e la reiezione della richiesta risarcitoria avversaria, in quanto infondata e non provata.
4. In vista dell’odierna udienza di discussione, l’appellante ha prodotto due memorie:
– nella prima (4 giugno 2018), si ribadiscono le argomentazioni svolte nell’atto di appello e, in particolare, quella per cui i certificati della Provincia si riferiscono ad un periodo antecedente alla scadenza del termine di presentazione delle domande (“il richiedente risulta condurre i terreni dall’annata agraria 2006/2007 (P.I. dell’11.11.2006) e risulta coltivatore diretto iscritto all’INPS dall’1.1.2007”);
– la seconda (14 giugno 2018) è dedicata alla proposta domanda risarcitoria.
5. Dopodiché, all’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Passando, dunque, ad affrontarne il merito, il Collegio rileva, innanzitutto, come sia incontroverso tra le parti che, alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione di cui si tratta, l’appellante fosse iscritto – nella sezione speciale del registro delle imprese, tenuto dalla Camera di commercio – quale imprenditore agricolo ex art. 2135 e non quale coltivatore diretto.
E ciò a seguito di sua apposita domanda del 2006, allorquando iniziò l’attività di commercializzazione dei prodotti agricoli.
Allo stesso modo, è incontroverso che tale dato iniziale non sia stato in seguito aggiornato.
6.1. Ciò che l’appellante sostiene è, infatti, che il relativo certificato della Camera di Commercio rivestirebbe una “pressoché nulla efficacia probatoria” (stante il suo valore di pubblicità dichiarativa) e che non vi sarebbe stata necessità di aggiornarlo, non essendo la sua produzione richiesta dal bando.
6.2. Al contrario, la recente giurisprudenza della Sez. I della Corte di Cassazione civile (9/08/2017, n. 19761) ha avuto modo di chiarire, nei termini di seguito illustrati, la funzione assolta dal registro delle imprese, dopo aver sottoposto – ai sensi dell’art. 267 del TFUE – alcune questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di protezione dei dati personali ivi contenuti e dopo l’intervenuta pronuncia della Corte di giustizia 9 marzo 2017, C398/15.
Il capo di sentenza che assume rilievo ai fini della presente controversia è il 5.3.1., che integralmente si riporta:
” Ci si può, dunque, limitare a ricordare come la pubblicità giuridica, caratteristica del contemporaneo stato di diritto e fondamento di civiltà, risponda all’interesse generale della conoscibilità a chiunque di determinati fatti giuridici, mediante registri, albi, elenchi, pubblicazioni periodiche ufficiali: che, accessibili a chiunque, e tenuti da un ufficio pubblico, producono “sicurezza giuridica”, in quanto danno certezza di fatti giuridicamente rilevanti, favorendo i rapporti economici e sociali.
E’ forse necessario evidenziare che la certezza del diritto non è un bene come gli altri, in quanto portato della stessa statualità : la prima come proiezione in termini giuridici della sicurezza fisica garantita dalla seconda.
Nell’ambito di tali strumenti spicca – in ragione della obbligatorietà e non facoltatività (salvo rare eccezioni) delle iscrizioni, presidiata dal meccanismo delle iscrizioni d’ufficio ex art. 2190 c.c., in perfetta analogia con l’anagrafe delle persone nei registri dello stato civile – il registro delle imprese, che mira a predisporre un organico regime di pubblicità degli imprenditori individuali e collettivi, a base soggettiva, contenendo un elenco di imprenditori e delle loro vicende.
Istituito nel 1942, nell’ambito (come si osservò all’epoca) di un sistema economico che si avviava al ricorso sistematico al credito, già nei progetti (OMISSIS) si pensò di affidarne la tenuta alle camere di commercio, allo scopo “di rendere quanto più è possibile il registro accessibile, quasi familiare ai commercianti, collocandolo in una sede, come la camera di commercio, con la quale i commercianti hanno quotidiani rapporti”. Le regole previste nella L. 29 dicembre 1993, n. 580 (art. 8, comma 6) che ha attuato il registro miravano ad assicurare la tempestiva informazione su tutto il territorio nazionale, mediante gli stessi mezzi realizzati già da tempo dalle camere di commercio e che avevano propiziato la particolare funzionalità del registro delle ditte.
Eventi essenziali nella vita dell’imprenditore individuale (come l’inizio e la cessazione dell’impresa, la ditta, le procure institorie, le autorizzazioni per il minore) e della società (la costituzione, le modificazioni dell’atto costitutivo, la fusione, lo scioglimento, la cancellazione) vengono dunque obbligatoriamente iscritti nel registro delle imprese nei termini di legge, decorrendo dall’iscrizione particolari effetti. In sostanza, non vi è evento significativo della vita dell’imprenditore individuale e collettivo (si pensi pure ai consorzi), dal suo esordio alla sua liquidazione e cessazione, che non sia soggetto a deposito od iscrizione nel registro delle imprese.
Il registro delle imprese – come, in precedenza, il registro tenuto presso le cancellerie dei tribunali ai sensi dell’art. 101 disp. att. c.c. e L. Fall., art. 262 – svolge un ruolo essenziale nella regolamentazione dei rapporti d’impresa, rientrando l’attuazione della pubblicità commerciale nei compiti primari della pubblica amministrazione e fra i doveri inderogabili dello stesso imprenditore.
I profili strutturali e funzionali del registro delle imprese sono delineati dall’art. 2188 c.c. e della L. n. 580 del 1993, art. 8, in una con il regolamento di cui al D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581. Sono previsti, in particolare, i procedimenti d’iscrizione e di cancellazione d’ufficio (artt. 2190-2191 c.c., D.P.R. n. 581 del 1995, artt. 16-17): quest’ultima (da non confondere con la cd. cancellazione della società, che, invece, è una nuova iscrizione) è legittima ed, anzi, doverosa, per i soli casi in cui siano avvenute senza il concorso delle “condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione” (art. 2189 c.c., comma 2 e art. 2191 c.c.).
La “dichiarazione d’intenti” del legislatore italiano al riguardo potrebbe trarsi della Legge Istitutiva n. 580 del 1993, art. 8, comma 6, secondo cui la tenuta del registro ed il funzionamento dell’ufficio “sono realizzati in modo da assicurare completezza ed organicità di pubblicità per tutte le imprese soggette ad iscrizione, garantendo la tempestività dell’informazione su tutto il territorio nazionale”.
Tanto essenziale è il sistema, che il legislatore ha corredato l’adempimento della sanzione prevista all’art. 2630 c.c., a presidio dell’interesse della collettività a conoscere gli atti essenziali d’impresa afferenti l’esistenza di essa, quale centro d’imputazione di attività economica organizzata ed autonomia patrimoniale, come ricorda la stessa Corte UE.
L’importanza del ruolo del registro delle imprese non ha bisogno, in definitiva, di essere oltre sottolineata” .
6.3. La funzione di pubblicità legale assolta dal registro dalle imprese è stata successivamente ribadita dalla Sezione Tributaria della stessa Corte di cassazione (28/12/2017, n. 31037), con specifico riferimento all’iscrizione di una società svolgente attività agricola nella sezione speciale del registro delle imprese, prevista dall’art. 8, comma 4 legge 29 dicembre 1993, n. 580.
In precedenza, sempre la Sez. I della Corte di cassazione aveva ulteriormente affermato (cfr. capo 2 sentenza 7/02/2017, n. 3196) che “il sistema di pubblicità legale, mediante il registro delle imprese, determina invero nei terzi un legittimo affidamento sull’applicabilità alle società ivi iscritte di un regime di disciplina conforme al nomen juris dichiarato” e che l’iscrizione al registro delle imprese determina l’assunzione della qualità di imprenditore commerciale.
Infine, la III Sezione della Cassazione civile (13/12/2016, n. 25487) ha ribadito che la pubblicità legale del registro delle imprese risulta efficace per i terzi, salva naturalmente la prova contraria.
6.4. Prova contraria (quanto al mutato status, rispetto a quello di imprenditore agricolo risultante dal Registro) e tempestiva (con riferimento alla data limite di presentazione delle domande di cui si tratta) che, nel caso di specie, l’appellante non è stato in grado di fornire, né in sede procedimentale né nel corso dei due gradi di giudizio.
Infatti, per un verso, la certificazione di coltivatore diretto è stata rilasciata dalla Provincia in data successiva rispetto alla predetta data limite e con espresso riferimento alla “coltivazione in atto al 28.11.2007”; e, per altro verso, le altre evenienze storiche riportate in tale certificazione (sulle quali fa particolare leva la difesa dell’appellante) sono in sé sì cronologicamente calzanti, ma non atte a integrare una prova contraria tale da vincere la qualità /qualifica di imprenditore ex art. 2135 c.c.risultante dalla sezione speciale del registro delle imprese.
6.5. In primo luogo, quanto alla pregressa coltivazione dall’annata agraria 2006/2007 non si specifica a quale titolo tale coltivazione sia stata svolta, per cui la circostanza non può essere ritenuta determinante.
6.6. Secondariamente, per costante giurisprudenza della Corte di cassazione l’iscrizione all’INPS quale coltivatore diretto (nella specie dall’1.1.2007) non vale a provare il possesso della suddetta qualifica (Sez. trib., 28/09/2016, da n. 19127 a 19132 e 5/06/2015, n. 11698), occorrendo una dimostrazione in via autonoma della conduzione diretta dei terreni.
6.7. Dimostrazione che – si ribadisce – nel caso di specie sussiste solo a partire da una data successiva a quella di scadenza di presentazione delle domande (id est: certificazioni della Provincia in data 29.11.2007).
6.8. Infine, un’ultima considerazione si impone a proposito dell’osservazione dell’appellante circa la non necessità di aggiornamento, da parte sua, del dato esistente nel Registro delle imprese in riferimento alla sua persona: essa trova, innanzitutto, diretta confutazione nel capo 5.3.1. della sentenza Cass. civ. n. 19761/2017, riportato al precedente capo 6.2., laddove si afferma che “eventi essenziali nella vita dell’imprenditore individuale (come l’inizio e la cessazione dell’impresa…) vengono dunque obbligatoriamente iscritti nel registro delle imprese nei termini di legge, decorrendo dall’iscrizione particolari effetti. In sostanza, non vi è evento significativo della vita dell’imprenditore individuale e collettivo (…), dal suo esordio alla sua liquidazione e cessazione, che non sia soggetto a deposito od iscrizione nel registro delle imprese”.
Pertanto, era necessario e obbligatorio per l’appellante comunicare tempestivamente la cessazione dell’attività di impresa.
Anche perché l’art. 4 del Decreto del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato 23 maggio 2001, n. 278 disponeva espressamente che: “fermo restando quanto disposto dagli articoli 2 e 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, le certificazioni e le attestazioni rilasciate ai sensi dell’articolo 8, comma 8, lettera b), della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (disposizione, quest’ultima, in vigore all’epoca dei fatti e non più contenuta nel nuovo testo dell’art. 8, introdotto dall’art. 1, comma 10 D.Lgs. 15 febbraio 2010, n. 23) ed ogni altra risultanza tratta dal registro delle imprese e dal REA relativa ad ogni stato, fatto e qualità riguardante l’esercente attività agricola sono sostitutive di ogni altra dichiarazione o attestazione riguardante i medesimi stati, fatti e qualità dell’esercente attività agricola”.
7. In conclusione, le censure dedotte nel presente atto di appello devono essere disattese e, con le precisazioni e integrazioni motivazionali che precedono, la gravata sentenza deve essere confermata.
Dalla conferma della reiezione della domanda annullatoria discende le reiezione della domanda risarcitoria, riproposta in questa sede di appello.
Appello che deve, pertanto, essere respinto, pur potendosi compensare le spese del grado, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda dedotta in causa e alla natura altrettanto particolare delle questioni di diritto affrontate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza gravata nei sensi di cui in motivazione.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giorgio Calderoni – Consigliere, Estensore
Solveig Cogliani – Consigliere
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