Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 9 dicembre 2019, n. 8369
La massima estrapolata:
La nozione di “ristrutturazione edilizia” ha subito nel tempo modifiche e aggiustamenti, sempre funzionali alla finalità ad essa naturaliter sottesa di incoraggiare gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, così da ricomprendervi espressamente anche la ricostruzione conseguente a previa demolizione, in passato affidata all’elaborazione pretoria. Benché, in particolare, detta ipotesi di ricostruzione sia stata espressamente inserita nel d. P.R. 6 giugno 2001, n. 380 solo a seguito della novella allo stesso apportata ad opera della l. 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del d.l. n. 69/2013, essa, cioè, risultava già ammessa in ambito pretorio, ancorché con precise delimitazioni oggettive.
Sentenza 9 dicembre 2019, n. 8369
Data udienza 22 ottobre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9856 del 2008, proposto dalla signora Si. Ka. El., rappresentata e difesa dall’avvocato An. St., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Gi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. St. Gr. in Roma, corso (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 1837/2008, resa tra le parti, concernente diniego di sanatoria e conseguente ingiunzione a demolire
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2019 il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Gi. Pe., su delega dell’avvocato An. St. e l’avvocato Ga. Pa., su delega dell’avvocato Ma. Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La signora Ka. El. Si. ha presentato ricorso al T.A.R. per la Toscana avverso il diniego della sanatoria (atto prot. n. 12989/13/1 del 10 marzo 2006) richiesta per interventi su un complesso di sua proprietà ubicato nel territorio del Comune di (omissis), in località “(omissis)”, nonché avverso la conseguente intimazione a demolire (ordinanza n. 22004/13/1 del 19 aprile 2006). In particolare, le opere realizzate insistevano su un fabbricato, già oggetto di un precedente abuso per riscontrata difformità da un pregresso Piano di recupero assentito, ma mantenute in essere in forza dell’ottenuta commutazione dell’ingiunzione a demolire conseguentemente adottata in sanzione pecuniaria, giusta la rilevata non effettuabilità della stessa senza pregiudizio per la rimanente parte del manufatto.
2. Con sentenza n. 1837 del 29 luglio 2008 il T.A.R. per la Toscana ha respinto il ricorso ritenendo infondati tutti i motivi, di cui ha alterato per comodità espositiva l’ordine di disamina, condannando anche la ricorrente al pagamento delle spese di giustizia.
In particolare, ha ritenuto non necessario il preventivo parere della Commissione edilizia, trattandosi di procedimento di condono, come tale speciale, e non assoggettabile alle regole generali sul rilascio dei titoli edilizi; inquadrato l’intervento effettuato sub specie di nuova costruzione, anziché di ristrutturazione edilizia, avendo esso comportato un’evidente modifica della conformazione esteriore, dell’altezza e della sagoma dell’edificio; negato rilevanza al mancato preventivo inoltro del preavviso di cui all’art. 10 bis della l. n. 241/1990, stante la natura necessitata dei provvedimenti impugnati; negato del pari rilevanza all’avvenuta notifica dell’ingiunzione a demolire prima di quella del diniego di sanatoria; ritenuto corretto l’approccio interpretativo del Comune, che ha valutato l’intervento nel suo complesso, comprensivo della demolizione e della successiva, diversa, ricostruzione; escluso infine, in ragione dell’inquadramento giuridico dell’intervento, l’assoggettabilità dello stesso a mera sanzione pecuniaria, essendo esso assentibile con permesso di costruire e non con D.I.A.
3. Con appello notificato il 1° dicembre 2008 l’interessata ha impugnato la predetta sentenza, riproponendo in chiave critica tutte le precedenti doglianze.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), che in vista dell’odierna udienza ha depositato memoria contestando ciascun motivo di doglianza e insistendo per la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
5. All’udienza pubblica del 22 ottobre 2019, sentite le parti, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
6. L’appello è infondato e come tale deve essere respinto, confermando la sentenza n. 1837/2008 del T.A.R. per la Toscana.
7. Afferma l’appellante che il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere non necessario il previo parere della Commissione edilizia, in quanto la concessione edilizia in sanatoria altro non è che un titolo postumo del tutto assimilabile a quello originario, per il quale, appunto, ridetto parere è indispensabile.
L’assunto è infondato. Costituisce infatti principio consolidato nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, dalle cui risultanze non vi è ragione di decampare, che il parere della Commissione edilizia non è necessario i fini del rilascio della concessione in sanatoria o del condono (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2019, n. 7141; id., 12 novembre 2018, n. 6338; 25 novembre 2016, n. 5336, 2 novembre 2009, n. 6784 e 16 ottobre 1998, n. 1306; sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5336; id., 8 maggio 2007, n. 2120; sez. VI, 17 dicembre 2013, n. 6042 e 5 aprile 2012, n. 2038).
8. Secondo l’appellante, l’intervento effettuato sarebbe stato erroneamente ascritto al paradigma della nuova costruzione, trattandosi piuttosto di una ristrutturazione edilizia effettuata previa demolizione del pregresso: la mancata rispondenza all’assetto planovolumetrico preesistente, infatti, non sarebbe affatto ostativo allo scopo, potendo l’intervento “portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente”, giusta la declinazione della relativa definizione effettuata dal legislatore.
L’affermazione non è condivisibile.
La nozione di “ristrutturazione edilizia” ha subito nel tempo modifiche e aggiustamenti, sempre funzionali alla finalità ad essa naturaliter sottesa di incoraggiare gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, così da ricomprendervi espressamente anche la ricostruzione conseguente a previa demolizione, in passato affidata all’elaborazione pretoria. Benché, in particolare, detta ipotesi di ricostruzione sia stata espressamente inserita nel d. P.R. 6 giugno 2001, n. 380 solo a seguito della novella allo stesso apportata ad opera della l. 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del d.l. n. 69/2013, essa, cioè, risultava già ammessa in ambito pretorio, ancorché con precise delimitazioni oggettive. Ciò in ragione del ricordato scopo, fatto proprio dal legislatore, di agevolare il recupero estetico e funzionale di manufatti già inseriti nel tessuto edilizio, senza determinare un incremento del carico urbanistico dell’area considerata.
In tale contesto, tuttavia, pur in assenza di esplicita previsione, la possibilità di qualificare come “ristrutturazione edilizia” anche la ricostruzione conseguente a previa demolizione, è sempre stata subordinata al necessario rispetto della sagoma e del volume preesistenti, oltre che all’unitarietà temporale dell’intervento (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 15 febbraio 2000, n. 1906; id. 27 settembre 1999, n. 1183; 24 febbraio 1999, n. 197; Sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4011).
Il rispetto dell’identità tra sagoma e volume, cioè, distingueva la ristrutturazione dalla nuova costruzione anche prima del 2001, per cui secondo la giurisprudenza si restava nell’ambito della ristrutturazione solo quando ad un manufatto preesistente fossero apportate modifiche qualitative inidonee ad incidere sulla volumetria, sulla superficie e sulla sagoma del fabbricato ovvero quando, a seguito della demolizione di un manufatto precedente, ne venisse realizzato, a breve distanza di tempo, uno nuovo, purché tuttavia uguale per sagoma, volume e superficie. Negli altri casi si cadeva nell’ambito della nuova costruzione (cfr. ancora Cons. Stato, sez. II, 26 agosto 2019, n. 5871).
9. Nel caso di specie è incontestato tra le parti che l’intervento abbia comportato un mutamento dell’assetto planovolumetrico, vertendo la controversia proprio sul diverso rilievo che parte appellante vorrebbe attribuire a ridette modifiche, non ritenute ostative alla qualificazione dello stesso come “ristrutturazione”, come tale riconducibile sotto l’egida di quelli assentibili ai sensi del d.l. 12 luglio 2004, n. 168. Sul punto, peraltro, diversamente da quanto lamentato dalla ricorrente, il giudice di prime cure ha sufficientemente motivato con riferimento alla tipologia delle modifiche, che hanno inciso su conformazione esteriore, altezza e sagoma, con conseguente alterazione di “tutti i suoi quattro prospetti “, nonché, in parte, finanche della collocazione, siccome visualizzabile dalle tavole di progetto versate in atti.
9. Proprio le incontestate modifiche di sagoma e prospetti, tali da rendere prima facie inapplicabile l’invocato paradigma della ristrutturazione, rendono ineludibile il contenuto di entrambi gli atti avversati: il diniego di sanatoria, venendo all’evidenza un intervento di sostanziale nuova costruzione effettuato sine titulo; l’ingiunzione a demolire, in quanto conseguito all’accertato abuso edilizio come atto sanzionatorio necessitato. Ne consegue che può effettivamente trovare applicazione l’art. 21 octies della l. n. 241/1990, laddove consente di non dare rilievo a vizi meramente formali, e nello specifico all’omessa comunicazione di avvio del procedimento, stante che il coinvolgimento della parte non avrebbe potuto comunque mutare i contenuti del provvedimento adottato. La ratio di pretermettere le garanzie partecipative è infatti quella di dare credibilità e stabilità ad un ordinamento che è caratterizzato dall’esercizio, nelle sue attività, di un potere. Il concetto su cui si vuole far leva è che il mancato rispetto di tali garanzie, di natura prettamente procedimentale, non possa mai condurre di per sé all’annullamento del provvedimento finale, trasformandosi piuttosto in una censura di travisamento dei fatti che deve essere valutata ed esaminata in combinazione con i rilievi in merito alla vicenda.
Secondo la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, peraltro, “I provvedimenti di diniego del condono edilizio non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, perché i procedimenti finalizzati alla sanatoria degli abusi edilizi sono avviati su istanza di parte” (Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2012 n. 3969; id.,18 settembre 2012 n. 4945). Ancora sul punto, è indirizzo parimenti incontrastato di questo Consesso quello secondo cui la natura vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi e, quindi, anche delle determinazioni di sanatoria, esclude la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, conseguentemente, di un obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della relativa domanda. “Ciò anche in applicazione dell’art. 21 octies comma 2 primo periodo, della l. n. 241 del 1990, secondo cui il mancato preavviso di diniego non produce effetti vizianti ove il Comune non avrebbe comunque potuto emanare provvedimenti diversi da quelli in concreto adottati ” (Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2714).
10. Del tutto priva di rilievo appare altresì la lamentata posticipazione della notifica del diniego di condono (avvenuta il 22 maggio 2006) rispetto all’atto demolitorio, notificato invece il giorno precedente, ovvero il 21 maggio 2006. Il ritardo nella notifica della reiezione della sanatoria, che reca la data del 9 marzo 2006, quand’anche non riconducibile a precedenti tentativi non andati a buon fine, come riferito dal Comune appellato, ma addebitabile a inopportuno temporeggiamento da parte dello stesso, non può comunque impattare sulla legittimità di entrambi i procedimenti, la cui consecutio è fatta palese finanche dalla numerazione dei protocolli degli atti. Da qui poi ad inferirne addirittura “indizi” di sostanziale falsità, peraltro non denunciata alla competente Autorità giudiziaria ordinaria, pare al Collegio oltre che fantasioso, di sicuro del tutto inutile ai fini dell’Amministrazione procedente.
11. Le ragioni sopra esposte consentirebbero di non approfondire gli ulteriori motivi di doglianza, essendo già di per sé sufficienti a sostenere la legittimità dei provvedimenti avversati.
Per mera completezza ricostruttiva, tuttavia, il Collegio rileva ancora come si palesi infondato anche l’originario quinto motivo di ricorso, riproposto in chiave critica nell’odierno atto di appello: correttamente, infatti, il Comune – e successivamente il T.A.R. – ha valutato l’intervento nella sua interezza, avuto riguardo all’omogeneità funzionale dello stesso, per come peraltro proposto, non parcellizzandone la disamina. L’affermata separazione, nel calcolo della volumetria, tra demolizione e ricostruzione, infatti, consegue necessariamente alla effettiva autonomia di quest’ultima rispetto alla prima, non potendo certo limitare l’analisi al solo “trasferimento” della stessa, siccome pretenderebbe la ricorrente. In sintesi, ciò che viene in rilievo è necessariamente l’intervento ricostruttivo complessivamente inteso, in quanto del tutto diverso e come tale non sovrapponibile all’edificio preesistente, non la sola parte di esso relativo alla traslazione di cubatura, con ciò consentendone la quantificazione in soli 25 mc., come tali inferiori ai 100 mc. Previsti come limite massimo dalla normativa regionale (L.R. n. 53/2004). Quanto detto, peraltro, a prescindere dall’ulteriore conferma della sostanziale diversità dell’edificio ricostruito rispetto a quello demolito, riveniente anche da tale ulteriore prospettazione di parte.
12. Conclusivamente, pertanto, l’appello deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza del T.A.R. per la Toscana n. 1837/2008.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore del Comune appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la reiezione del ricorso n. r. 1141/2006 al T.A.R. per la Toscana.
Condanna la parte alla rifusione, in favore del Comune appellato, delle spese del grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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