Consiglio di Stato, Sentenza|3 febbraio 2022| n. 770.
La distinzione di una tettoia da un pergolato, in disparte il materiale utilizzato per la realizzazione de qua, è la sua permeabilità agli agenti atmosferici. La nozione di pergolato, quale manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile non cambia se alle piante si sostituiscono i pannelli fotovoltaici, sicché gli stessi devono essere collocati in modo tale da lasciare spazi per il filtraggio della luce e dell’acqua e non devono caratterizzarsi come copertura stabile e continua degli spazi sottostanti.
Sentenza|3 febbraio 2022| n. 770. La distinzione di una tettoia da un pergolato
Data udienza 20 gennaio 2022
Integrale
Tag- parola chiave: Interventi edilizi – Tettoia e pergolato – Distinzione – Nozioni – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1573 del 2021, proposto da
Or. Ca., rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Ar., Ed. Ce., El. Pi., Gi. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Sa. Ca., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Tr., Al. Ne., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al. Ne. in Bergamo, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda n. 00029/2021, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Sa. Ca.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 gennaio 2022 il Cons. Thomas Mathà e uditi per le parti gli avvocati An. Fa. per delega dell’avvocato Gi. Ro. e Fe. Or.per delega degli avvocati Pi. Ar., Ed. Ce., El. Pi. e Gi. Ve.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
La distinzione di una tettoia da un pergolato
FATTO e DIRITTO
1. Or. Ca. è proprietaria di un edificio residenziale con giardino pertinenziale, situato nel Comune di (omissis), in via (omissis). L’area confinante è di proprietà del controinteressato Sa. Ca. che nel 2001 ha realizzato a sua volta un edificio residenziale e si era impegnato a demolire alcuni fabbricati accessori presenti nell’area al fine di reperire la volumetria necessaria, in quanto la costruzione dell’edificio residenziale aveva esaurito interamente la capacità edificatoria del fondo. Il controinteressato non aveva provveduto però a demolire tutti i fabbricati accessori, avendo mantenuto integri una tettoia e un ripostiglio, che sono così divenuti abusivi per superamento della volumetria disponibile.
1.1 Il controinteressato ha ottenuto, in relazione a tali manufatti, dapprima il condono edilizio (8 febbraio 2007) e poi un titolo edilizio per la demolizione e ricostruzione (21 marzo 2011).
1.2 Questo Consiglio di Stato, con sentenza n. 1518/2018, in riforma della sentenza del 5 settembre 2014, n. 985 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ha accolto l’appello ed ha annullato i suddetti provvedimenti.
1.3 Il Comune, con ordinanza 13 dicembre 2018, n. 77, 4, ha ingiunto la demolizione, nel termine di novanti giorni, della tettoia e del ripostiglio ricostruiti.
1.4 Il controinteressato ha chiesto, in data 27 febbraio 2019, il rilascio di un permesso di costruire, al fine di: i) trasformare la tettoia, ai sensi dell’art. 48 del regolamento edilizio, in un pergolato destinato a ospitare pannelli fotovoltaici; ii) ricondurre il ripostiglio nei limiti di superficie dei depositi di attrezzi agricoli, ai sensi dell’art. 40 delle norme tecniche di attuazione della variante al piano generale territoriale in corso di approvazione.
1.5 Il Comune, con provvedimento del responsabile del servizio edilizia privata del 18 aprile 2019, ha respinto la domanda, rilevando che la nuova disciplina urbanistica non fosse ancora entrata in vigore.
1.6 In data 10 aprile 2019, il controinteressato ha iniziato la demolizione dei manufatti, lasciando però intatte alcune strutture. Con comunicazione inizio lavori (CILA) depositata il 17 luglio 2019, più volte integrata fino al 7 novembre 2019, il controinteressato ha chiesto l’assenso per i medesimi interventi edilizi oggetto della domanda di permesso di costruire del 27 febbraio 2019.
1.7 Il Comune, con atto del responsabile del servizio edilizia privata del 18 novembre 2019, n. 17465 ha acquisito la CILA e ha prescritto il rispetto della distanza minima di cinque centimetri tra i pannelli fotovoltaici.
La distinzione di una tettoia da un pergolato
2. La sig.ra Ca. ha invitato il Comune ad accertare l’inottemperanza del controinteressato all’ordine di demolizione del 13 dicembre 2018, con acquisizione del sedime al patrimonio comunale (diffida del 26 marzo 2019) e ha chiesto l’inibizione della CILA (diffida del 9 dicembre 2019). Il Comune, con note del responsabile del servizio edilizia privata del 6 dicembre 2019 e dell’8 gennaio 2020, ha escluso che si fosse verificato l’effetto acquisitivo della proprietà .
3. La sig.ra Ca. ha proposto azione avverso il silenzio inadempimento innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, che, con sentenza 7 febbraio 2021, n. 29, ha ritenuto che non si fosse consumato alcun silenzio inadempimento, avendo l’amministrazione risposto alle diffide. Ritenendo, pertanto, che il giudizio fosse impugnatorio ha esaminato il merito e rigettato il ricorso.
4. La ricorrente in primo grado ha proposto appello.
5. Si è costituito in giudizio il Comune, rilevando, in via preliminare: i) la tardività dell’impugnazione, venendo in rilievo censure relative ad un provvedimento amministrativo; ii) l’inammissibilità dell’appello per carenza di interesse.
6. Si è costituito in resistenza anche il controinteressato Sa. Ca..
7. La sezione, con sentenza non definitiva n. 5567/2021, ha respinto l’eccezione di rito del Comune, ritenendo invece presente l’interesse ad agire dell’appellante.
8. Scrutinando a prosieguo i primi due motivi dell’appellante in merito all’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non avrebbe rilevato l’inerzia del Comune rispetto alle due diffide sopra riportate, la Sezione li ha respinti, disponendo la conversione del rito da camera di consiglio ad udienza pubblica per la trattazione delle altre censure relative ad un giudizio di annullamento.
9. In vista dell’udienza pubblica, le parti hanno depositato ulteriore memorie e memorie di replica.
10. La causa è stata introitata in decisione all’udienza del 20 gennaio 2022.
11. Può prescindersi dall’esame della seconda eccezione sollevata dal Comune di (omissis), stante l’infondatezza nel merito dell’appello.
12. Preliminarmente, il Collegio precisa che oggetto di questo ulteriore scrutinio di censura mira sostanzialmente ad esaminare la legittimità dell’operato dell’amministrazione appellata. Trattandosi nel caso di specie di una CILA, ovvero di un atto privato unilaterale col quale il soggetto dichiara, sotto la propria responsabilità di avviare i lavori di una determinata opera che viene attestata come conforme alle norme edilizie ed urbanistiche vigenti. Questo esclude la necessità che l’amministrazione adotti un provvedimento impositivo e/o prescrittivo di identico contenuto, altrimenti si configurerebbe un procedimento di rilascio di un preventivo titolo autorizzatorio.
Si discute in sostanza solo della mancata adozione di provvedimenti repressivi da parte del Comune, che ha tuttavia risposto sinteticamente alle diffide del controinteressato con le note del 6 dicembre 2019 e 8 gennaio 2020 per cui non sussiste alcun silenzio o inerzia del Comune che – a fronte della presentazione della CILA – in sostanza non ha inteso esercitare poteri repressivi ed ha informato il terzo che ne aveva sollecitato l’esercizio che non riteneva di portare ad ulteriore seguito le diffide.
La distinzione di una tettoia da un pergolato
Rileva il Collegio che il sindacato sugli atti della pubblica amministrazione debba rispondere ai principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, dovendo, pertanto, estendersi anche all’accertamento dei fatti anche se operato sulla base di concetti giuridici indeterminati e, qualora necessario, come nel caso di specie, valutare l’azione di tutela come di legittimità del rapporto amministrativo, e non l’atto in senso stresso (essendo l’oggetto contestato una CILA; d’altra parte la materia dell’edilizia è oggetto di giurisdizione esclusiva ex art. 133 c.p.a. e ciò consente di evitare ogni problema qualificatorio dell’azione proposta – con i motivi successivi ai primi due già scrutinati con la prima sentenza non definitiva con la quale si è disposta la conversione del rito – se come azione di nullità od annullamento delle citate note).
In ogni caso – come si vedrà – non sussiste la nullità per violazione di giudicato in quanto la vicenda successiva della CILA è legittimata dall’intervento di uno ius superveniens e va scrutinata alla luce di detto ius superveniens mentre le note predette non hanno in sé valore provvedimentale, ma solo attestano l’intento dell’amministrazione di non esercitare poteri repressivi ritenendo i manufatti conformi a legge e prescrizioni di piano (contengono in sostanza manifestazioni di giudizio più che di volontà non essendo ravvisabile nella specie un provvedimento espressivo della volontà di non provvedere e ciò consente anche di prescindere da ogni questione relativa alla tardività dell’impugnazione delle predette note).
Può passarsi ora alla disamina analitica dei residui motivi di ricorso.
13. Con il terzo motivo del ricorso l’appellante censura che il manufatto oggetto della CILA avrebbe le medesime caratteristiche di quelli che il Consiglio di Stato ha già ritenuto abusivi, e da ciò, pertanto discenderebbe la violazione del giudicato e l’erroneità della sentenza del TAR sul punto.
14. La censura non coglie nel segno. La sentenza di primo grado ha accertato:
1) il giudicato del Consiglio di Stato n. 1518 del 2018 riguarda l’applicabilità ai precedenti manufatti (tettoia e ripostiglio) della sanatoria edilizia, dipendente dalla circostanza che la capacità edificatoria del fondo del controinteressato era oramai esaurita, e non afferma che tali manufatti non sarebbero potuti essere realizzati (se fosse esistita una residuale capacità edificatoria);
2) il nuovo manufatto (pergolato) è ammissibile, in quanto – essendo diverso da quelli dichiarati abusivi – rientra nella disciplina dell’art. 48 del vigente regolamento edilizio comunale di (omissis), non oggetto di precedente esame in sede giudiziale.
L’appellante invoca in tale contesto il preteso silenzio-inadempimento del Comune in ordine alla richiesta di adozione dei provvedimenti repressivi dell’abuso e di acquisizione gratuita dell’area di sedime al patrimonio disponibile del Comune. Osserva il Collegio che è rimasto salvo il potere della P.A. di pronunciarsi nuovamente su una determinata fattispecie, assumendo la medesima conclusione dispositiva che caratterizzava l’atto giudizialmente illegittimo, laddove, emendati i vizi procedurali e sostanziali riscontrati in quella sede, essa assuma la determinazione confermativa sulla scorta di una motivazione diversa da quella originaria, o mediante l’applicazione di altre disposizioni legislative o regolamentari che le consentano di giungere ad un nuovo risultato voluto dalla parte e conforme alle previsioni urbanistiche ed edilizie sopravvenute.
La distinzione di una tettoia da un pergolato
La vicenda oggetto del pronunciamento di questo Consiglio di Stato è quindi da collocarsi in un contesto normativo ed urbanistico differente da quello attuale. Dal 2007, quando venne rilasciato il permesso edilizio in sanatoria oggetto della citata pronuncia n. 1518/2018, sono stati modificati sia il Regolamento Edilizio Comunale (approvato nel 2014) che il P.G.T. (la variante n. 4 è entrata in vigore nel 2019). La cornice urbanistica modificata ha consentito la realizzazione dei manufatti di cui si controverte, ammettendo in seguito alla demolizione del vecchio manufatto (quasi totale), il nuovo pergolato ai sensi dell’art. 48 del REC, mentre il nuovo ripostiglio è stato possibile realizzare in virtù dell’art. 40 della NTA del PGT.
15. Con il quarto motivo, l’appellante deduce che l’intervenuta acquisizione gratuita al patrimonio disponibile dell’area di sedime su cui insistevano i manufatti abusivi avrebbe impedito al controinteressato la realizzazione del pergolato. Il ricorrente sostiene che ciò si sarebbe verificato ipso iure in seguito alla scadenza del termine di 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza di demolizione ed il controinteressato avrebbe mantenuto alcuni pali ed alcune travi del precedente pergolato, errando il TAR a considerare l’atto comunale come pienamente ottemperato.
16. La censura non convince il Collegio. Il TAR della Lombardia ha rilevato correttamente i motivi per poter accertare l’ottemperanza alla diffida a demolire, ovvero la necessità che l’autore dell’abuso privi il manufatto illegittimo della funzionalità tecnica e economica che lo caratterizzano e ne giustificano l’esistenza, oppure che lo stesso venga ridotto ad elementi che non lo rendano più riconoscibile come fabbricato, quindi irrilevanti sotto il profilo urbanistico-edilizio (sono rimasti alcuni pali ed alcune travi). I manufatti oggetto dal provvedimento sanzionatorio non erano ex se illegittimi e abusivi, ma lo erano in quanto la loro esistenza aveva determinato il superamento del limite volumetrico consentito nella zona per effetto della costruzione del fabbricato principale.
Risulta dunque logica la statuizione del TAR che i manufatti, potendo essere sostituiti con altri conformi alla normativa di zona, sarebbe stato troppo oneroso per il controinteressato e non necessario né conforme al principio di proporzionalità, che l’autore dell’abuso dovesse subire un aggravio ulteriore, consistente nella radicale inutilizzabilità dei materiali del vecchio manufatto. Conclusivamente l’operato dell’amministrazione a considerare eseguita l’ottemperanza alla diffida a demolire e di non procedere all’acquisizione gratuita dell’area di sedime deve ritenersi corretto. È logico e non irragionevole che il soggetto che, entro i termini previsti dall’ordinanza, procede a privare le opere abusive della loro funzionalità e riconoscibilità per sottrazione di elementi essenziali, presentando nel contempo un titolo edilizio (la CILA) per realizzare i nuovi interventi in virtù della nuova disciplina urbanistica. L’assenza della volontà di eludere l’ordine è dimostrata anche dal fatto che, una volta ricevuto dal Comune di (omissis) il diniego del richiesto permesso di costruire (per via dalla ritardata entrata in vigore delle nuove disposizioni del P.G.T.), il controinteressato ha demolito i manufatti oggetto dell’ordinanza per poi realizzarli ex novo, in virtù di un nuovo titolo edilizio, una volta che è entrata in vigore la variante n. 4 del P.G.T. di (omissis). I presupposti per l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 31 co. 3 del D.P.R. 380/2001 non risultano, mancando l’inadempimento dell’odierno controinteressato.
La distinzione di una tettoia da un pergolato
17. Con l’ultimo motivo di gravame l’appellante deduce l’erroneità della sentenza per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e per contraddittorietà e non pertinenza della motivazione, sulla fondatezza delle domande formulate ai sensi dell’art. 31 comma 3 c.p.a. sul vizio di omessa pronuncia in relazione al quarto motivo di ricorso dedotto nel giudizio di primo grado (violazione e falsa applicazione dell’art. 6-bis del D.P.R. 380/2001; nullità del provvedimento comunale ex art. 21-septies della L. n. 241/1990). La signora Ca. sostiene che il pergolato di cui trattasi non avrebbe potuto essere assentito perché il manufatto (pergolato) sarebbe abusivo in quanto identico a quello già come tale considerato dalla sentenza del Consiglio di Stato, con conseguente violazione del giudicato amministrativo. Il TAR avrebbe errato a ritenere la normativa urbanistica modificata idonea a poter realizzare le nuove opere, che sarebbero sostanzialmente identiche. Inoltre, eccepisce la nullità del provvedimento di acquisizione della CILA.
18. Anche questa doglianza non convince il Collegio. Il TAR aveva chiarito che “Tale norma (l’art. 48 del R.E.: N.d.R.), in deroga agli indici edilizi delle nuove costruzioni, consente la realizzazione di pergolati, gazebo e manufatti assimilabili, purché la superficie non superi i 16 mq per ogni unità immobiliare, e si tratti di strutture leggere (legno o ferro), aventi copertura in materiali che ne garantiscano la permeabilità, e libere su tutti i lati, o almeno su un lato se poste in aderenza a fabbricati. Per residualità, le opere minori determinano una trasformazione permanente del territorio senza essere considerate nuove edificazioni ai fini dell’applicazione degli indici edilizi ricadono nella disciplina della CILA ex art. 6-bis del DPR 380/2001. 24. L’applicazione dell’art. 48 del regolamento edilizio appare condivisibile. Il concetto di struttura leggera non corrisponde a quello di struttura poco robusta o precaria. Anche i pergolati presuppongono un’utilizzazione in sicurezza per un tempo indeterminato, e dunque possono essere realizzati con materiali in grado di sopportare pesi significativi, e avere un saldo ancoraggio al suolo”.
La distinzione di una tettoia da un pergolato, in disparte il materiale utilizzato per la realizzazione de qua, è la sua permeabilità agli agenti atmosferici. La nozione di pergolato, quale manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile non cambia se alle piante si sostituiscono i pannelli fotovoltaici, sicché gli stessi devono essere collocati in modo tale da lasciare spazi per il filtraggio della luce e dell’acqua e non devono caratterizzarsi come copertura stabile e continua degli spazi sottostanti (in termini Cons. Stato, Sez. VI, n. 2134/2015).
Ana è il ragionamento del TAR per il ripostiglio, che in base alle sue dimensioni e caratteristiche è corrisponde alla previsione dell’art. 40 delle NTA del Comune di (omissis) (recinto coperto per la custodia della legna, diverso quindi da un ripostiglio). Non giova all’appellante ricordare il manufatto dovrebbe essere rimosso perché avente funzioni identiche a quelle del pergolato, eccezione valida solamente nel caso se la precedente tettoia sarebbe rimasta inalterata, mentre risulta dalla documentazione che è stata trasformata in un pergolato sfornito di copertura idonea ad impedire la permeabilità agli agenti atmosferici (specificando che i pannelli fotovoltaici installati sarebbero stati posizionati con un distacco minimo tra gli stessi di 5 centimetri). Questo dimostra la diversa funzionalità dei due manufatti.
Non può neanche essere avvallata la tesi che in base agli artt. 21-septies e 6-bis del DPR 380/2001 ci sarebbe la nullità dell’atto acquisitivo della C.I.L.A, non essendo queste norme pertinenti nel caso di specie. Come sostiene la difesa del Comune, l’art. 42, co. 10 della L.R. n. 12/2005 della Lombardia, disponendo che “Qualora non debba provvedere ai sensi del comma 8, il dirigente o il responsabile dello sportello unico per l’edilizia, attesta sulla segnalazione certificata di inizio attività la chiusura del procedimento”, rende equivalente l’acquisizione della CILA l’attestamento della chiusura del procedimento.
19. In ragione della particolarità della vicenda, le spese di lite sono integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e per l’effetto, conferma la sentenza del TAR Lombardia, n. 29/2021. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 gennaio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Andrea Pannone – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
Thomas Mathà – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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