Consiglio di Stato, Sentenza 30 ottobre 2020, n. 6692.
La disciplina relativa alla collocazione della segnaletica stradale è diretta a tutelare un valore di primaria importanza quale l’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione veicolare anche per la tutela della pubblica incolumità e comporta scelte di merito riservate all’amministrazione competente in funzione della tutela di tale interesse generale , con la conseguenza che l’impatto visivo e le potenzialità di disturbo delle insegne, in considerazione delle loro caratteristiche (dimensioni, luminosità, intermittenza, rifrangenza, ecc.) e della correlazione con il luogo e le eventuali installazioni contigue (centro abitato, periferia dello stesso, suburbio, insegne viciniori od assenza di esse, ecc.) devono essere previamente valutate dall’ente proprietario della strada o dal Comune, onde adempiere alla funzione loro demandata della tutela della sicurezza della circolazione; inoltre la valutazione in ordine alla pericolosità per la circolazione stradale è basata su un potere di natura tecnico-discrezionale, sindacabile solo per manifesta illogicità o per difetto di motivazione.
Sentenza 30 ottobre 2020, n. 6692
Data udienza 29 settembre 2020
Tag – parola chiave: Commercio – Insegna di esercizio – Collocazione – Autorizzazione – Diniego – Disciplina del codice della strada – Ratio – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1956 del 2011, proposto da
Me. S.r.l. e Do. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Gi. Si. e An. Za., con domicilio eletto presso l’avv. An. Za. in Roma, via (…);
contro
Au. Ve. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Co. e Ma. Sa., con domicilio eletto presso l’avv. Ma. Sa. in Roma, viale (…);
Anas S.p.A. – Ente nazionale per le strade, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza n. 5904/2010, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento dell’11 maggio 2002 di diniego della autorizzazione alla insegna d’esercizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della società Au. Ve. S.p.A. e di Anas S.p.A. – Ente nazionale per le strade;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 settembre 2020 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti gli avvocati Gi. Si. e Ma. Sa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente appello le società Me. s.r.l. e Do. s.r.l. hanno impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto n. 5904 del 3 novembre 2010, che ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento della società Au. Ve. dell’11 maggio 2001, di diniego dell’autorizzazione alla collocazione di insegna di esercizio su area privata di pertinenza delle attività dell’impresa in prossimità dell’ingresso principale.
Il diniego era stato preceduto dal parere negativo dell’ANAS, del 12 marzo 2001, basato sul carattere pubblicitario della insegna, in contrasto con le disposizioni dell’art. 23 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, codice della strada, essendo tale insegna collocata su una struttura metallica rivolta verso il tracciato autostradale (autostrada Venezia Trieste).
Con il ricorso di primo grado erano state proposte censure di eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità manifesta e contraddittorietà e di violazione dell’art. 23 del codice della strada e dell’art. 47 del relativo Regolamento di esecuzione (D.P.R., 16 dicembre 1992, n. 495), contestando le indicazioni contenute nel provvedimento impugnato circa la natura pubblicitaria della insegna, deducendo che si trattasse di una insegna di esercizio consentita dall’art. 23 del codice della strada e conforme alla definizione di insegna di esercizio dell’art. 47 del Regolamento di esecuzione, contenendo solo caratteri alfanumerici e segni distintivi dell’azienda; era stata censurata, altresì, la violazione dell’art. 7 del D.M. Lavori Pubblici 8 agosto 1997, n. 524, e dell’art. 53 del D.P.R. 495 del 1992 per la tardività del parere dell’ANAS da cui, dunque, la società Autovie avrebbe dovuto prescindere, indicando anche il riferimento all’art. 20, ultimo comma, della legge n. 241 del 1990.
Era stata proposta, peraltro genericamente, domanda di risarcimento danni.
Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso, ritenendo l’insegna, per la sua collocazione “rivolta direttamente verso il tracciato autostradale”, di carattere pubblicitario e comunque riconoscendo il potere discrezionale dell’Amministrazione rispetto alle valutazioni circa l’impatto visivo per gli utenti della autostrada.
Con l’atto di appello è stata lamentata l’erroneità della sentenza formulando motivi di eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità manifesta e contraddittorietà della sentenza impugnata, violazione dell’art. 23 comma 7 del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 e dell’art. 47 del Regolamento di esecuzione, D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, con cui sono state riproposte le censure del ricorso di primo grado, contestando la natura pubblicitaria della insegna; inoltre è stata dedotta la violazione degli artt. 16 e 20 della legge n. 241 del 1990, dell’art. 53 del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, dell’art. 7 del D.M. Lavori Pubblici 8 agosto 1997, n. 524, riproponendo la censura relativa alla tardività del parere dell’ANAS da cui la società Au. Ve. avrebbe dovuto prescindere; è stata, altresì, sostenuta l’avvenuta formazione del silenzio assenso, in quanto il diniego sarebbe intervenuto dopo il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 53 del regolamento di esecuzione del codice della strada. Non è stata riproposta la domanda di risarcimento danni.
Si è costituita in giudizio l’ANAS con atto di mero stile; la società Au. Ve., con la memoria di costituzione, ha eccepito l’inammissibilità del motivo relativo alla violazione degli artt. 19 e 20 della legge n. 241 del 1990, con cui è stata dedotta l’avvenuta formazione del silenzio assenso, in quanto motivo nuovo formulato per la prima volta in appello; ha poi contestato la fondatezza dell’appello.
Per l’udienza pubblica sia la parte appellante che la società Au. Ve. hanno presentato memorie e repliche.
La parte appellante ha depositato, altresì, fotografie dell’attuale stato dei luoghi relative alla sua insegna e a numerose altre insegne e stabilimenti collocati in prossimità della autostrada.
La difesa di Au. Ve. ha eccepito la inammissibilità della nuova documentazione in appello e comunque ha dedotto che le fotografie riproducono la situazione attuale, che non è quella del momento di adozione del provvedimento impugnato, nel 2001, a cui deve essere fatto riferimento, ai fini dell’esame della legittimità del provvedimento di diniego.
All’udienza pubblica del 7 aprile 2020 è stato disposto rinvio ai sensi dell’art. 84 comma 2 del d.l 20 marzo 2020 n. 18.
All’udienza pubblica del 29 settembre 2020 l’appello è stato trattenuto in decisione.
L’appello è infondato.
Ai sensi dell’art. 23 comma 1 del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, nel testo vigente al momento di adozione dell’atto impugnato, “lungo le strade o in vista di esse è vietato collocare insegne, cartelli, manifesti, impianti di pubblicità o propaganda, segni orizzontali reclamistici, sorgenti luminose, visibili dai veicoli transitanti sulle strade, che per dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione possono ingenerare confusione con la segnaletica stradale, ovvero possono renderne difficile la comprensione o ridurne la visibilità o l’efficacia, ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione; in ogni caso, detti impianti non devono costituire ostacolo o, comunque, impedimento alla circolazione delle persone invalide. Sono, altresì, vietati i cartelli e gli altri mezzi pubblicitari rifrangenti, nonché le sorgenti e le pubblicità luminose che possono produrre abbagliamento. Sulle isole di traffico delle intersezioni canalizzate è vietata la posa di qualunque installazione diversa dalla prescritta segnaletica”.
In base al comma 7 dell’art. 23, in particolare, “è vietata qualsiasi forma di pubblicità lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi. Su dette strade è consentita la pubblicità nelle aree di servizio o di parcheggio solo se autorizzata dall’ente proprietario e sempre che non sia visibile dalle stesse. Sono consentiti i cartelli indicanti servizi o indicazioni agli utenti purché autorizzati dall’ente proprietario delle strade. Sono altresì consentite le insegne di esercizio, con esclusione dei cartelli e delle insegne pubblicitarie e altri mezzi pubblicitari, purché autorizzate dall’ente proprietario della strada ed entro i limiti e alle condizioni stabilite con decreto del Ministro dei lavori pubblici”
Tali disposizioni del codice della strada sono ricondotte dalla giurisprudenza alla volontà del legislatore “di prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o disturbo dell’attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa dall’unica ed essenziale funzione al momento commessale, che è quella della guida del veicolo” (Cons. Stato Sez. VI, 29 novembre 2012, n. 6044).
Infatti, la disciplina relativa alla collocazione della segnaletica stradale è diretta a tutelare un valore di primaria importanza quale l’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione veicolare anche per la tutela della pubblica incolumità e comporta scelte di merito riservate all’amministrazione competente in funzione della tutela di tale interesse generale (cfr. Cass. civ. Sez. II, 26 luglio 2017, n. 18565), con la conseguenza che l’impatto visivo e le potenzialità di disturbo delle insegne, in considerazione delle loro caratteristiche (dimensioni, luminosità, intermittenza, rifrangenza, ecc.) e della correlazione con il luogo e le eventuali installazioni contigue (centro abitato, periferia dello stesso, suburbio, insegne viciniori od assenza di esse, ecc.) devono essere previamente valutate dall’ente proprietario della strada o dal Comune, onde adempiere alla funzione loro demandata della tutela della sicurezza della circolazione (Cass. civ. Sez. II, 7 novembre 2017, n. 26346); inoltre la valutazione in ordine alla pericolosità per la circolazione stradale è basata su un potere di natura tecnico-discrezionale, sindacabile solo per manifesta illogicità o per difetto di motivazione (Cons. Stato Sez. VI, 29 novembre 2012, n. 6044).
La funzione di evitare qualsiasi pericolo per la sicurezza della circolazione deve ritenersi massima per i percorsi autostradali, in relazione alle loro caratteristiche di percorribilità, per cui il comma 7 vieta qualsiasi forma di pubblicità “lungo e in vista degli stessi”.
Se, quindi, tale disposizione consente le insegne di esercizio, è evidente che queste debbano essere tali da non avere alcun profilo di carattere pubblicitario, in relazione alla ratio del divieto generale posto dall’art. 23, comma 7, del D.Lgs. n. 285 del 1992, teso ad evitare qualsiasi fonte di distrazione con conseguente pericolo per la circolazione stradale.
Si deve considerare che l’art. 47 del Regolamento di esecuzione del codice della strada definisce “insegna di esercizio la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa”.
La nozione di insegna di esercizio, comportando un eccezione al divieto di installazione di impianti pubblicitari lungo e in vista delle autostrade, va intesa in senso rigorosamente restrittivo circoscrivendola a quei soli casi in cui l’insegna serva esclusivamente a segnalare il luogo ove si esercita l’attività di impresa, esulando qualsiasi funzione di carattere pubblicitario potenziale fonte di distrazione e di pericoli per la circolazione (Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 2012, n. 2480; sez. IV, 25 novembre 2013, n. 5586, che fa riferimento, ai fini di una tale distinzione e della individuazione della funzione pubblicitaria, alle dimensioni delle insegne di esercizio e alla collocazione in altezza rispetto al piano terra dell’edificio).
Insegne di esercizio, consentite in prossimità di tratti autostradali dall’art. 23 comma 7, del D.Lgs. n. 285 del 1992, sono, dunque, solo le insegne necessarie ai fini della normale attività aziendale, in quanto atte a consentire alla clientela di individuare agevolmente il punto di accesso ai locali dell’impresa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 28 giugno 2007, n. 3782).
Per insegna di esercizio va intesa l’insegna che risulti installata sulla sede dell’attività per individuare l’azienda nella sua dislocazione fisica, e che non contenga alcun elemento teso a pubblicizzare l’attività produttiva dell’impresa, limitandosi soltanto a segnalare la denominazione dell’impresa medesima, nel rispetto del dettato dell’art. 47 del D.P.R. n. 495 del 1992, quanto a dimensioni e luminosità (Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 2018, n. 3974; id. 25 novembre 2013, n. 5586).
L’installazione delle insegne di esercizio può essere negata quando “a giudizio dell’ente gestore della strada l’insegna rivesta carattere prettamente pubblicitario e, comunque, arrechi disturbo visivo agli utenti dell’autostrada, distraendone l’attenzione con conseguente pericolo per la circolazione” (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 29 novembre 2012, n. 6044)
Applicando tali coordinate giurisprudenziali al caso di specie – prescindendo dalla circostanza che l’insegna è stata comunque collocata in mancanza delle prescritta autorizzazione, come risulta dalle stesse fotografie depositate dalla parte appellante – da tali fotografie risulta che l’insegna, di notevole dimensioni, è effettivamente rivolta verso l’autostrada, ad altezza che comporta la visibilità dal tracciato autostradale e, anche se collocata nel perimetro dello stabilimento, è comunque discosta dalla entrata dello stabilimento; inoltre contiene la scritta identificativa sia sul lato rivolto in entrata allo stabilimento che sul lato posteriore della insegna, rivolto verso l’interno dell’azienda.
Sulla base di tali circostanze di fatto, ritiene il Collegio che le valutazioni espresse dall’ANAS e dalle Au. Ve., circa la funzione pubblicitaria della insegna, non siano affette da manifesti profili di illogicità e irragionevolezza, considerato che, anche la qualificazione come insegna di esercizio, rientra nella discrezionalità tecnica dell’ente proprietario con i limiti di sindacato giurisdizionale che ne derivano (Cons. Stato, Sez. VI, 28 giugno 2007, n. 3782; Sez. IV, 28 giugno 2018, n. 3974).
Quanto al deposito in appello delle fotografie dell’attuale stato dei luoghi circostanti, con molteplici stabilimenti e centri commerciali visibili dall’autostrada, a prescindere dalla tardività del deposito, non può avere comunque rilevanza lo stato attuale dei luoghi rispetto alla presente vicenda, dovendo farsi riferimento alla situazione esistente al momento di adozione del provvedimento impugnato l’11 maggio 2001, salva ovviamente la presentazione di una nuova istanza di autorizzazione.
Infondata è, altresì, la censura formulata, peraltro genericamente in primo grado, e riproposta in appello relativa alla tardività del parere dell’Anas da cui- secondo la ricostruzione difensiva- la società Au. Ve. avrebbe dovuto prescindere.
Tale motivo è infondato, in quanto sia l’art. 7 del D.M. Lavori Pubblici 8 ottobre 1997 n. 524 sia l’art. 16 della legge n. 241 del 1990, nel testo allora vigente, prevedevano solo la facoltà per l’amministrazione procedente di non attendere il parere se tardivo senza alcun obbligo in tal senso, né può ravvisarsi alcun profilo di illegittimità dell’atto successivamente emesso.
Quanto al motivo relativo alla violazione degli articoli 19 e 20 della legge n. 241 del 1990 per l’avvenuta formazione del silenzio assenso sulla istanza di autorizzazione presentata il 20 novembre 2000, come eccepito dalla difesa della società Au. Ve., si tratta effettivamente di questione proposta per la prima volta in appello, che non deve, dunque, essere esaminata.
Peraltro, il motivo è anche infondato, non essendo prevista alcuna ipotesi di silenzio assenso con riferimento ai procedimenti in materia di sicurezza stradale, restando, dunque, tale procedimento disciplinato dalle norme speciali dell’art. 23 del codice della strada e dall’art. 53 del regolamento di esecuzione. Infatti, l’art. 20 del legge n. 241 del 1990, nel testo vigente al momento di presentazione della istanza, applicabile alla presente vicenda, rinviava, per il silenzio assenso, alla disciplina dei regolamenti, poi emanati con D.P.R. 26 aprile 1992, n. 300, il D.P.R. 9 maggio 1994, n. 407, e il D.P.R. 9 maggio 1994, n. 411, nei cui elenchi non risulta l’autorizzazione prevista dalle disposizioni del codice della strada (cfr. Cass. civ. Sez. II, 27 novembre 2006, n. 25165, 10 giugno 2010, n. 13985 che hanno escluso la natura perentoria del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 53 del D.P.R. 495 del 1992)
In ogni caso, anche nelle successive versioni dell’art. 20, sono stati sempre esclusi dalla disciplina del silenzio assenso i procedimenti riguardanti, tra gli altri, la “pubblica incolumità “, tra cui rientra la autorizzazione prevista dall’art. 23 del codice della strada (cfr. in tal senso Cass. civ. Sez. II, 1 marzo 2007, n. 4869).
In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.
Le spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 3000,00 (tremila,00) oltre accessori di legge in favore della società Au. Ve. s.p.a., seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della parte appellante. Possono essere compensate le spese nei confronti dell’ANAS, in relazione alla costituzione in giudizio con atto di mero stile.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore del della società Au. Ve. s.p.a., pari a euro 3000,00 (tremila,00) oltre accessori di legge.
Spese compensate nei confronti dell’ANAS.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Francesco Frigida – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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