Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 4 giugno 2020, n. 3502.
La massima estrapolata:
Diversamente dai casi di concentrazioni e di accertamenti della posizione dominante, in cui la definizione del mercato rilevante è presupposto dell’illecito, in presenza di una intesa la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all’individuazione dell’intesa, poiché l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa medesima circoscrivono il mercato.
Sentenza 4 giugno 2020, n. 3502
Data udienza 7 maggio 2020
Tag – parola chiave: Concorrenza e mercato – Violazioni art. 101 del TFUE – Art. 2, Legge n. 287/90 – Intese restrittive della concorrenza – Impedimento e ostacolo all’ingresso sul mercato di nuovi operatori – Clausole di obblighi di non concorrenza – Definizione di mercato rilevante – Mercato della fornitura di servizi di raccolta e smistamento domanda di servizio taxi – Radiotaxi – Istruttoria – Prova dell’intesa – Intese restrittive per oggetto e per effetto – Distinzione – Configurazione di intese verticali rilevanti ai sensi dell’art. 101 TFUE – Effetto anticoncorrenziale e danno concorrenziale – Società cooperative
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIAN-O
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5321 del 2019, proposto da
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
Ta. – Consorzio Ra. Sa. Società Cooperativa (02-4040), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fi. Fi., Ni. Mo. e Ma. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
My. It. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Ci., prof. Fr. Go., Ga. Io. Fi., Si. Pi. e Lu. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Au. Società Cooperativa e Ye. Ta. Mu. Srl non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. 05419/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti il ricorso in appello incidentale e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ta. – Consorzio Ra. Sa. Società Cooperativa (02-4040);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Francesco De Luca nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2020, svoltasi, ai sensi dell’art. 84 comma 5, del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, attraverso l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.”;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con provvedimento n. 26345 del 18 gennaio 2017 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito, per brevità, anche Autorità ) ha avviato un’istruttoria, ai sensi dell’articolo 14 della legge n. 287/90, nei confronti delle società Ta. Consorzio Ra. Sa. Società Cooperativa (per brevità, anche Ta.), Ye. Ta. Mu. S.r.l. (per brevità, anche ) e Au. Società Cooperativa (per brevità, anche Au. ), per accertare l’esistenza di violazioni dell’articolo 101 del TFUE o dell’articolo 2 della legge n. 287/90.
Con delibere nn. 26631, 26632 e 26633 del 7 giugno 2017 l’Autorità ha rigettato gli impegni presentati da Au., e Ta., tenuto conto che, da un lato, sussisteva l’interesse dell’Autorità a procedere all’accertamento dell’infrazione, facendosi questione di condotte potenzialmente idonee a pregiudicare lo sviluppo di nuovi operatori concorrenti e di nuovi assetti di mercato, dall’altro, gli impegni risultavano, complessivamente considerati, inidonei a rimuovere i profili di anticoncorrenzialità evidenziati nel provvedimento di avvio, in quanto non sarebbero venute meno tutte le restrizioni concorrenziali ipotizzate con riferimento allo sviluppo di strumenti di raccolta e smistamento del servizio taxi, ulteriori rispetto al radiotaxi.
Con atto del 9 marzo 2018 è stata notificata alle Pa. la Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (CRI).
Con provvedimento n. 27245, adottato nell’adunanza del 27 giugno 2018, l’Autorità ha ritenuto violato l’art. 101 TFUE, avendo le società Ta., e Au. “posto in essere intese restrittive della concorrenza con riferimento alla previsione, negli atti che disciplinano i rapporti tra le predette società e i tassisti aderenti, di clausole che individuano specifici obblighi di non concorrenza, che, nel loro insieme, per le ragioni indicate in motivazione, sono suscettibili di produrre effetti anticoncorrenziali impedendo od ostacolando l’ingresso sul mercato di nuovi operatori”.
Per l’effetto, l’Autorità ha disposto “b) che le società Ta. Consorzio Ra. Sa. Società Cooperativa in breve Ta. S.c., Ye. Ta. Mu. S.r.l. e Au. Società Cooperativa adottino, entro centoventi giorni dalla notifica del presente provvedimento, misure idonee ad eliminare l’infrazione di cui alla lettera a) e si astengano in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata alla lettera precedente; c) che le società Ta. Consorzio Ra. Sa. Società Cooperativa in breve Ta. S.c., Ye. Ta. Mu. S.r.l. e Au. Società Cooperativa entro centoventi giorni dalla notifica del presente provvedimento, diano comunicazione all’Autorità, trasmettendo una specifica relazione scritta, delle iniziative adottate per ottemperare a quanto richiesto alla precedente lettera b)”.
In particolare, l’Autorità, dopo aver descritto il procedimento istruttorio, le risultanze istruttorie e le argomentazioni delle parti, ritenuto di avere garantito il diritto di difesa endoprocedimentale e la correttezza dell’analisi istruttoria svolta, ha ravvisato l’integrazione di una fattispecie di illecito anticoncorrenziale ex art. 101 del TFUE, valutando che:
– il mercato rilevante era quello della fornitura di servizi di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi nell’ambito territoriale del Comune di Milano, a prescindere dalla tecnologia caratterizzante l’attività di intermediazione svolta dai radiotaxi o dalle piattaforme digitali;
– le reti parallele di intese verticali concluse tra i radiotaxi parti del procedimento e i tassisti aderenti – estrinsecatesi in clausole di non concorrenza di portata assoluta – valutate nell’ambito del contesto economico e giuridico di riferimento, risultavano idonee a produrre un effetto cumulativo di foreclosure, ostacolando o precludendo sensibilmente l’accesso al mercato di imprese concorrenti (come avvenuto per il nuovo operatore My.); tenuto conto, in particolare, della non contendibilità del mercato, dell’impossibilità per i nuovi operatori di fare ingresso o di crescere nel mercato, della riconducibilità eziologica dell’effetto di foreclosure alle clausole di non concorrenza utilizzate dalle parti del procedimento, nonché dell’assenza di giustificazioni economiche legittimanti l’apposizione di siffatte clausole, non essendo a tale fine sufficiente il richiamo agli artt. 2527 c.c e 1567 c.c.;
– sussisteva un contributo significativo di ciascuna intesa alla produzione dell’effetto cumulativo anticoncorrenziale rilevato;
– non ricorrevano i presupposti per l’applicazione dell’esenzione per categoria di cui al Regolamento comunitario sulle intese verticali n. 330/2010, in ragione della durata dell’obbligo di non concorrenza, oltre che della quota di mercato complessiva detenuta dalle parti, superiore al 50% e di quella del primo operatore, superiore al 30%;
– non ricorrevano neanche i presupposti per l’applicazione della deroga di cui all’articolo 101, par. 3, TFUE;
– sussisteva il pregiudizio al commercio intracomunitario;
– le intese non erano di gravità tali da giustificare l’applicazione del trattamento sanzionatorio previsto dall’articolo 15 della legge n. 287/90.
2. La Ta. – Consorzio Ra. Sa. Società Cooperativa ha proposto ricorso dinnanzi al Tar Lazio, Roma, chiedendo l’annullamento: i) del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Agcm n. 27245 del 27 giugno 2018, notificato tramite PEC il 9 luglio 2018; nonché di tutti gli atti presupposti, prodromici, connessi, consequenziali ovvero collegati anteriori e successivi, ivi inclusi tutti gli atti del procedimento, compresi: (i) il provvedimento n. 26345 del 18 gennaio 2017 (procedimento n. I801B), con cui è stata avviata l’istruttoria nei confronti della Società ; (ii) il provvedimento n. 26631 del 7 giugno 2017, con cui sono stati rigettati gli impegni presentati dalla Società .
Nell’illustrare i fatti di causa Ta. ha dedotto, tra l’altro:
– di essere stata fondata nel 1999 in forma di consorzio tra cooperative di taxi preesistenti con l’obiettivo di promuovere e favorire l’incremento e lo sviluppo degli enti associati per mezzo della gestione della centrale radiotaxi;
– di essere il primo gestore del servizio radiotaxi nell’area di Milano, avente cinque soci persone giuridiche, di cui quattro sono società cooperative di servizi radiotaxi (Es. Società Cooperativa S.r.l. ed altri), a cui aderiscono in qualità di soci o utenti tutti i tassisti operanti tramite la c.d. centrale radio Ta., cui si aggiunge una quinta cooperativa di servizi che fornisce ai tassisti servizi di riparazione, di fornitura di pezzi di ricambio ed altri servizi correlati al servizio di trasporto;
– di effettuare la raccolta della domanda attraverso vari strumenti, quali la chiamata telefonica, l’utilizzo di applicazioni di chiamata e messaggistica istantanea per smartphone (e.g. Sk. ed altri), il modem per la chiamata diretta senza passare dall’operatore e l’interfaccia web tramite computer, nonché l’utilizzo di applicazioni interamente dedicate all’erogazione del servizio taxi (Ap. e Ta. Mi.);
– di fornire, oltre al servizio di raccolta e di smistamento delle chiamate per il servizio taxi, anche ulteriori servizi, quali la gestione dei servizi amministrativi e di segreteria, l’accesso a finanziamenti pubblici e privati e la stipula di convenzioni per l’acquisto di beni e servizi (assicurativi, bancari, pubblicitari ecc.), nonché ulteriori servizi accessori.
La società ricorrente ha contestato la legittimità del provvedimento assunto dall’Autorità, articolando sei motivi di doglianza.
Con il primo motivo di ricorso l’operatore economico ha censurato la “illegittimità per violazione dei principi discendenti dall’applicazione dell’art. 2527, comma 2, c.c. in materia di società cooperative”, tenuto conto che lo scopo mutualistico caratterizzante ogni cooperativa, ai sensi dell’art. 2527, comma 2, c.c., precluderebbe ai soci di condurre o porre in essere attività in concorrenza con quella della cooperativa di adesione o dei cui servizi usufruiscono; ragion per cui l’Autorità avrebbe accertato una condotta illecita in realtà tradottasi nell’attuazione di una disposizione codicistica di natura inderogabile, da ritenere compatibile con la disciplina sovranazionale.
Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato la “illegittimità per violazione della libertà di iniziativa economica”, tenuto conto che il provvedimento impugnato sarebbe stato emesso, da un lato, nell’esercizio di un potere di regolamentazione “in senso ampio” del mercato non attribuito dal legislatore all’Autorità, dall’altro, in violazione della libertà di iniziativa economica della cooperativa e dei tassisti ad essa aderenti
Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato un “errore nella valutazione dell’applicabilità dell’esenzione per categoria”, tenuto conto che l’Autorità avrebbe erroneamente escluso l’applicazione dell’esenzione per categoria di cui al Regolamento n. 330/2010.
Con il quarto motivo il ricorrente ha censurato la “illegittimità del provvedimento di rigetto degli impegni (e in via derivata del provvedimento finale) per difetto di motivazione e valutazione manifestamente errata degli impegni presentati in sede istruttoria”, tenuto conto che la motivazione sottesa al rigetto degli impegni avrebbe dovuto ritenersi insufficiente e comunque erronea.
Con il quinto motivo il ricorrente ha censurato la “illegittimità per violazione del diritto di difesa, del principio del contraddittorio e dell’equo processo”, tenuto conto che il provvedimento sarebbe stato adottato in violazione del diritto di difesa delle parti e, in particolare, senza che a queste ultime fosse stata concessa la possibilità di conoscere elementi fondamentali posti a base della decisione e/o di fornire la propria valutazione su tali elementi.
Con il sesto motivo di impugnazione il ricorrente ha contestato la “illegittimità per difetto di motivazione e carenza istruttoria”, tenuto conto che il provvedimento sarebbe stato adottato in carenza di istruttoria, senza dimostrare la sussistenza della condotta contestata alle parti, travisando le circostanze di fatto poste a base del provvedimento e, quindi, in difetto di motivazione; in specie, la carenza istruttoria e il difetto motivazionale avrebbero riguardato la definizione del mercato rilevante, l’applicazione di una metodologia di accertamento delle presunte condotte illecite in violazione dei principi comunitari in tema di accertamento degli illeciti antitrust (con particolare riferimento all’accertamento delle intese di tipo verticale derivanti da obblighi di esclusiva/non concorrenza), nonché l’inadempimento dell’onere probatorio circa l’esistenza del nesso eziologico tra condotta illecita contestata e presunti effetti restrittivi riscontrati.
3. L’autorità resistente e la società My. si sono costituite in giudizio, al fine di resistere al ricorso.
4. A definizione del giudizio di primo grado, nell’ambito del quale le parti hanno ulteriormente svolto le proprie argomentazioni con il deposito di memorie difensive, alla stregua della documentazione prodotta in atti, il Tar ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento impugnato nei limiti di interesse della ricorrente.
In particolare, il Tar ha ravvisato una generale carenza istruttoria, consistita in mera elaborazione di dati forniti dalle parti e, in parte significativa, dalla denunciante, la mancanza di un’analisi strutturale chiara dello stesso accordo anticompetitivo e la presenza, in punti nevralgici della motivazione, di affermazioni apodittiche, con conseguente difetto (altresì ) di un’adeguata motivazione sottesa alla decisione impugnata.
5. L’Autorità resistente (in via principale) e la società My. (in via incidentale) hanno appellato la sentenza di primo grado, denunciandone l’erroneità sotto plurimi profili; avuto riguardo, in particolare, alle statuizioni riferite: a) al difetto di istruttoria e di motivazione generalmente inficiante il provvedimento impugnato in primo grado; b) alla configurazione di reti parallele di intese verticali; c) all’insussistenza dei presupposti per l’esenzione delle intese; d) alla definizione di mercato rilevante; e) alla definizione di danno concorrenziale; f) alla sussistenza di un sensibile effetto anticoncorrenziale, con pregiudizio per il commercio tra gli Stati membri.
6. La società Ta. si è costituita in giudizio, al fine di resistere agli appelli proposti dall’Autorità e da My., riproponendo il primo e il quarto motivo di ricorso, incentrati sulla “illegittimità per violazione dei principi discendenti dall’applicazione dell’art. 2527, comma 2, c.c. in materia di società cooperative (Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2527, comma 2, C.C.; Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 TFUE; Eccesso di potere per carenza e/o travisamento dei presupposti in fatto e in diritto, difetto di istruttoria, irragionevolezza manifesta, nonché per violazione del principio di proporzionalità ; Sviamento)”, nonché sulla “illegittimità del provvedimento di rigetto degli impegni (e in via derivata del provvedimento finale) per difetto di motivazione e valutazione manifestamente errata degli impegni presentati in sede istruttoria (Violazione e/o falsa applicazione degli art. 2 e 14-ter della legge 287/1990 e dell’art. 101 TFUE; eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, difetto dei presupposti in fatto e in diritto; irragionevolezza manifesta)”; motivi assorbiti in primo grado dal Tar.
7. In vista dell’udienza di discussione dell’appello gli appellanti e Ta. hanno depositato memorie difensive e di replica, insistendo nelle rispettive conclusioni. Le stesse parti hanno, altresì, prodotto note di udienza, chiedendo la decisione della controversia e ulteriormente rappresentando la propria posizione in relazione alle questioni componenti il thema decidendum del presente giudizio di appello.
8. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 7 maggio 2020.
DIRITTO
I. Sulla sussistenza di un generale difetto di istruttoria e di motivazione inficiante il provvedimento impugnato in primo grado.
1. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato con il primo motivo di appello (punto 3 motivazione in diritto, rubricato “Il presunto difetto di istruttoria e motivazione”, successivo all’illustrazione del contenuto del provvedimento impugnato – punto 1 – e alla descrizione della portata della sentenza appellata – punto 2) ha inteso censurare la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto che il provvedimento impugnato in prime cure fosse inficiato da un generale difetto di istruttoria e di motivazione.
Secondo la prospettazione dell’appellante principale, il provvedimento amministrativo per cui è controversia sarebbe il portato di un’istruttoria ricca e articolata, caratterizzata dall’utilizzo di tutti i poteri di indagine nella titolarità dell’Autorità (ispezioni, richieste di informazioni e pareri a soggetti informati dei fatti o dotati di particolari competenze tecniche), nonché recherebbe una disamina di tutte le deduzioni svolte dalle parti in sede procedimentale.
Tanto sarebbe comprovato dalla parte del provvedimento dedicata all’esame delle evidenze raccolte, fondanti la qualificazione della fattispecie, la determinazione del mercato rilevante e l’analisi di restrittività dell’intesa: l’Autorità avrebbe, infatti, svolto le proprie valutazioni sulla base di studi di settore eseguiti da soggetti terzi e indipendenti, nonché di dati e informazioni forniti dalle stesse imprese parti dell’intesa; in ogni caso, i dati forniti dall’impresa denunciante potrebbero essere impiegati dall’Autorità, ove attendibili e coerenti con il rimanente quadro probatorio, come riscontrabile nella specie.
2. Il primo motivo di appello principale deve essere esaminato congiuntamente al primo motivo di appello incidentale (rubricato “Error in iudicando. Sugli asseriti generali difetti di motivazione e di istruttoria. Violazione dei principi nazionali ed europei sul sindacato sulle scelte tecniche complesse delle Autorità antitrust. Violazione dell’art. 7, co. 1, d.lgs 19 gennaio 2017, n. 3. Violazione dei principi sull’onere della prova in materia antitrust”), con cui anche My. ha censurato la sentenza di primo grado per avere ritenuto l’intero provvedimento antitrust inficiato da un generale difetto di istruttoria e di motivazione.
In particolare, secondo quanto censurato dall’appellante incidentale, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime cure, l’Autorità avrebbe condotto un’istruttoria articolata, fornendo esaurienti, dettagliate e pertinenti spiegazioni e motivazioni dei passaggi logici seguiti per arrivare alle proprie conclusioni, alla stregua della documentazione istruttoria acquisita al procedimento; rappresentata, altresì, da: a) documenti acquisiti nell’ambito di accertamenti ispettivi svolti presso le sedi dei radiotaxi interessati e l’U. de. ra. d’I.- UR., b) risposte a richieste di informazioni fornite dalle parti del procedimento, c) informazioni acquisite nell’ambito di numerose audizioni con le parti del procedimento, d) un parere reso dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti, nonché e) documenti acquisiti tramite verifiche d’ufficio, memorie, scritti ed analisi depositati dalle parti del procedimento. L’Autorità, inoltre, avrebbe svolto un compiuto esame del contesto giuridico, fattuale ed economico di riferimento, prendendo posizione, tra l’altro, sulla natura di cooperativa della ricorrente in primo grado.
Peraltro, il Tar non avrebbe tenuto conto dei principi di diritto sovranazionali e convenzionali (sanciti dalla CEDU) in materia di riparto dell’onere della prova gravante sulle Autorità antitrust, incentrato sulla ragionevole plausibilità dell’ipotesi accusatoria alla luce di valutazioni complesse solo limitatamente sindacabili in sede giurisdizionale, secondo modalità comunque insuscettibili di estendersi ai profili tecnici che non presentino un oggettivo margine di opinabilità .
3. Nel controdedurre rispetto ai relativi motivi di appello (principale e incidentale) la ricorrente in primo grado ha ritenuto corretta la sentenza appellata, sussistendo effettivamente un difetto di istruttoria (e, in conseguenza, di motivazione) inficiante la valutazione dell’Autorità .
In particolare, secondo la prospettazione della cooperativa appellata:
– le argomentazioni svolte dall’Autorità a sostegno del provvedimento impugnato in prime cure risulterebbero prive di riscontro probatorio, recependo acriticamente le valutazioni e i dati forniti dal segnalante My.;
– difetterebbe un’idonea definizione ed analisi del mercato interessato, oltre che un’idonea analisi economica delle condotte oggetto del procedimento, anche alla luce del contesto di mercato;
– non risulterebbero indagate possibili spiegazioni alternative alle problematiche contestate dal segnalante;
– non sarebbero state coinvolte le società di trasporto taxi, sebbene il loro apporto fosse necessario per esaminare tutti gli aspetti oggetto di istruttoria;
– sussisterebbe uno sviamento dalla funzione, tenuto conto che l’Autorità avrebbe inteso verificare – anziché l’eventuale impatto delle clausole di concorrenza sulle dinamiche concorrenziali del mercato – il mancato raggiungimento del livello di performance atteso da My.;
– non risulterebbe valutata adeguatamente la possibilità dell’appellante incidentale di sviluppare e implementare il proprio modello di business, tenuto conto, peraltro, che la stessa società, lungi dall’incontrare difficoltà di accesso nel mercato, avrebbe registrato risultati definiti dalla stessa My. da record per l’anno anno 2018, perfino migliorati nell’anno 2019; il che sarebbe confermato da una recente trasformazione del proprio modello di business, attraverso un rebranding con denominazione Fr. No., caratterizzato dalla collaborazione tra la Da. e la BM., con ampliamento del relativo raggio di azione e consolidamento dell’operatore economico nel mercato di riferimento del trasporto pubblico anche del Comune di Milano;
– nella specie risulterebbe rispettato il limite del sindacato giurisdizionale in materia antitrust;
– le informazioni fornite dalla segnalante risultavano impiegate acriticamente e senza previa sottoposizione ad un attento scrutinio.
4. I motivi di appello in esame investono l’intero impianto motivazionale della sentenza di primo grado, incentrato sulla generale carenza di istruttoria e di motivazione inficiante il provvedimento assunto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato per cui è controversia.
Trattasi di doglianze riguardanti i vari temi di indagine affrontati dal giudice di prime cure, concernenti il profilo strutturale delle intese in contestazione, la definizione del mercato rilevante (in specie, del prodotto), la sussistenza di un effetto anticoncorrenziale riconducibile alle intese de quibus, la corretta esecuzione del test cd. Delimitis alla stregua di quanto precisato dalla giurisprudenza europea, nonché la ricorrenza dei presupposti di esenzione delle intese in esame.
Tali questioni giuridiche sono oggetto di disamina e censura nei successivi motivi di impugnazione proposti dalle parti appellanti – specificatamente diretti a contestare le statuizioni giudiziali fondanti la decisione di primo grado -, ragion per cui l’eventuale erroneità della sentenza appellata, per aver ravvisato una carente istruttoria e motivazione in ordine all’integrazione degli elementi costitutivi dell’illecito sanzionato ex art. 101 TFUE, dovrà essere dettagliatamente valutata infra, nel pronunciare sui corrispondenti motivi di appello.
Nella presente sede è sufficiente rilevare che il primo motivo (di impugnazione principale e incidentale) pone tematiche concernenti, da un lato, la completezza dell’istruttoria e l’adeguatezza della motivazione – da vagliare tenuto conto della natura giuridica dell’intesa in contestazione -, dall’altro, l’intensità dell’onere probatorio gravante sull’Autorità procedente e l’effettività del sindacato giurisdizionale esercitabile sui provvedimenti antitrust.
4.1 Preliminarmente, occorre indagare la natura giuridica dell’illecito contestato dall’Autorità appellante, al fine di individuare i suoi elementi costitutivi e, quindi, le questioni che avrebbero dovuto essere esaminate e accertate in sede procedimentale, onde condurre un’istruttoria completa, immune da vizi di legittimità .
Nel presente giudizio, si fa questione di reti di intese verticali, restrittive “per effetto”, avendo l’Autorità ritenuto che tre radiotaxi operanti nel mercato milanese avessero “posto in essere intese restrittive della concorrenza con riferimento alla previsione, negli atti che disciplinano i rapporti tra le predette società e i tassisti aderenti, di clausole che individuano specifici obblighi di non concorrenza, che, nel loro insieme, per le ragioni indicate in motivazione, sono suscettibili di produrre effetti anticoncorrenziali impedendo od ostacolando l’ingresso sul mercato di nuovi operatori”.
La prima distinzione da operare in subiecta materia è, quindi, quella intercorrente fra intese restrittive per oggetto e per effetto, suscettibile di incidere, altresì, sull’oggetto della prova da acquisire nell’ambito del procedimento antitrust (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 1 ottobre 2019, n. 6565).
Al riguardo, un accordo può qualificarsi come intesa restrittiva della concorrenza per oggetto ove presenti, di per sé, “un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per ritenere che non sia necessario individuarne gli effetti” (Corte di Giustizia U.E., sentenza 2 aprile 2020, in causa C-228/18, Gazdasá gi Versenyhivatal, punto 37): trattasi di accordi che, comportando una riduzione della produzione e un aumento dei prezzi, in considerazione del loro tenore letterale, dei relativi obiettivi e del contesto di riferimento, si caratterizzano per una scorretta allocazione delle risorse – con pregiudizio dei consumatori, producendo effetti negativi sul prezzo, sulla quantità o sulla qualità dei prodotti e dei servizi – talmente alta da ritenere inutile, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, dimostrare la produzione in concreto di effetti sul mercato.
Un accordo, invece, è qualificabile come intesa restrittiva per effetto, ove abbia di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo sensibile, il gioco della concorrenza: al riguardo, occorre valutare quale sarebbe stato il gioco della concorrenza nel contesto economico e giuridico di riferimento, se l’accordo non fosse stato concluso, in particolare, verificando la relativa incidenza sui parametri di concorrenza, quali il prezzo, la quantità e la qualità dei prodotti o dei servizi (Corte di Giustizia U.E., 30 gennaio 2020, in causa C-307/18, Generics (UK) Ltd, punti 117 e 118).
Ne deriva, in prima analisi, che, qualora si faccia questione di intesa restrittiva per effetto, l’Autorità è tenuta a valutare la situazione concreta in cui l’accordo è realizzato, tenendo conto del contesto economico e giuridico nel quale operano le imprese interessate, della natura dei beni o servizi coinvolti, nonché delle condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato in esame.
Un’ulteriore distinzione da operare in materia di intese restrittive della concorrenza – parimenti rilevante per individuare le questioni di fatto e di diritto che l’Autorità è chiamata ad esaminare, onde ritenere compiutamente istruito il procedimento antitrust – è quella intercorrente fra intese orizzontali e verticali, a seconda della posizione occupata dalle imprese (partecipanti all’intesa) nell’ambito della catena di produzione o di distribuzione del prodotto o del servizio.
Per quanto più interessa ai fini del presente giudizio, gli accordi sono qualificabili come verticali, ove siano conclusi tra due o più imprese operanti ciascuna ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione, regolando le condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi (art. 1, par. 1, lett. a), Reg. UE n. 330/2010 del 20 aprile 2010).
Tale tipologia di accordi solleva particolari criticità in materia antitrust, in presenza di reti parallele di accordi verticali simili, posti in essere da fornitori o acquirenti concorrenti, suscettibili di produrre un effetto anticoncorrenziale cumulativo, idoneo ad ostacolare l’ingresso nel mercato di nuovi operatori.
In siffatte ipotesi, la valutazione dell’effetto anticoncorrenziale non può arrestarsi all’esame del singolo accordo verticale o della singola rete di intese verticali concluse dal medesimo operatore, bensì richiede un’indagine estesa alle ulteriori reti di intese verticali eventualmente riscontrabili nel medesimo mercato, valutando la percentuale del mercato in tale modo complessivamente vincolata, il numero delle imprese operanti sul mercato e la quota di mercato da ciascuna detenuta, il numero dei concorrenti, il quadro regolatorio di riferimento – con particolare riguardo alla sussistenza di barriere all’ingresso – e ogni altro elemento utile per ricostruire le condizioni reali di funzionamento e la struttura del mercato, alla stregua del contesto economico e giuridico di riferimento.
L’Autorità è, quindi, chiamata a valutare gli effetti che l’accordo produce -in combinazione con altri contratti dello stesso tipo- sulle possibilità per i concorrenti nazionali o originari di altri Stati membri di inserirsi nel mercato di riferimento o di espandere la loro quota di mercato (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 11 settembre 2008, in causa C-279/06, CEPSA Estaciones de Servicio SA, punto 43, in cui vengono richiamate, altresì, le sentenze 28 febbraio 1991, causa C- 234/89, Delimitis, punti13- 15, e 7 dicembre 2000, causa C- 214/99, Neste, punto 25).
4.2 In ordine all’onere probatorio gravante sull’Autorità procedente, ai sensi dell’art. 2 Regolamento (CE) n. 1/2003, nei procedimenti nazionali relativi all’applicazione della disciplina unionale in materia di intese restrittive della concorrenza, l’onere della prova dell’infrazione grava sull’Autorità procedente, mentre incombe sull’impresa l’onere di dimostrare la ricorrenza dei presupposti di esenzione di cui all’art. 101, par. 3, TFUE.
Come chiarito dal 5° Considerando del medesimo Regolamento n. 1/03 e confermato dalla Corte di Giustizia (Corte di Giustizia, sentenza 21 gennaio 2016, in causa C-74/14, “Eturas” UAB, punto 30), la disciplina sovranazionale non incide né sulle norme nazionali in materia di grado di intensità della prova, né sugli obblighi delle autorità garanti della concorrenza e delle giurisdizioni nazionali degli Stati membri inerenti all’accertamento dei fatti pertinenti di un caso.
L’autonomia procedurale riconosciuta alle autorità nazionali in subiecta materia deve, tuttavia, essere esercitata nel rispetto dei principi generali del diritto europeo, in particolare, del principio di effettività della tutela giurisdizionale (ostativo a misure interne tali da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione) e di equivalenza (non potendo le situazioni giuridiche soggettive riconosciute dal diritto sovranazionale essere tutelate con rimedi meno favorevoli rispetto a quelli operanti per situazioni analoghe assoggettate al diritto interno).
Questo Consiglio (sez. VI, 20 febbraio 2017, n. 740) ha ritenuto, al riguardo, che, ferma rimanendo la necessità di imputare in capo all’Autorità procedente l’onere di dimostrare l’infrazione concretamente occorsa alla normativa antitrust, la prova può emergere anche da indizi seri, precisi e concordanti, atteso che la circostanza per cui la prova sia indiretta (o indiziaria) non comporta necessariamente che la stessa abbia una forza probatoria attenuata.
In particolare, il giudice investito di una controversia antitrust, in cui venga contestata l’adeguatezza dell’istruttoria svolta in sede procedimentale, è tenuto a valutare globalmente gli elementi istruttori raccolti dall’Autorità procedente, onde verificare se gli stessi siano complessivamente idonei a condurre con certezza o con ragionevole probabilità al medesimo risultato probatorio.
Nell’ambito di tale indagine, deve essere valutata, altresì, la credibilità della parte dichiarante, tenendo conto della sua idoneità a riferire la verità sulle circostanze dichiarate, nonché deve ammettersi che, senza inversione alcuna dell’onere probatorio, gli elementi di fatto che una parte fa valere possano essere tali da obbligare l’altra parte a fornire una spiegazione o una giustificazione, in mancanza della quale è lecito ritenere che l’onere della prova sia stato assolto (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 17 giugno 2010, in Causa C-413/08 P, Lafarge SA, punto 29).
Soltanto in caso di persistente dubbio in ordine all’integrazione dell’illecito, deve ritenersi non adempiuto l’onere probatorio gravante sull’Autorità, con conseguente illegittimità del provvedimento sanzionatorio comunque emesso.
4.3 Infine, relativamente all’intensità del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti sanzionatori emessi dall’Autorità antitrust, il Collegio ritiene di dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale che, pur affermando la necessità di un sindacato di attendibilità tecnica, implicante un diretto accesso ai fatti del giudizio e un controllo sulla qualificazione giuridica degli elementi di natura economica rilevanti per l’integrazione della fattispecie illecita – con conseguente sindacato del percorso intellettivo e volitivo seguito dall’amministrazione – non consente di sostituire la valutazione giudiziale a quella amministrativa.
In particolare, qualora ad un certo problema tecnico ed opinabile (in particolare, la fase di c.d. “contestualizzazione” dei parametri giuridici indeterminati ed il loro raffronto con i fatti accertati) l’Autorità abbia dato una determinata risposta, il giudice (sia pure all’esito di un controllo “intrinseco”, che si avvale cioè delle medesime conoscenze tecniche appartenenti alla scienza specialistica applicata dall’Amministrazione) non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell’Autorità, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate, che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. VI, 19 marzo 2020, n. 1943).
Trattasi di un modello di sindacato giurisdizionale coerente con quello affermatosi a livello sovranazionale, tenuto conto che anche la Corte di Giustizia, pur riconoscendo la competenza del giudice europeo a controllare la qualificazione giuridica di dati di natura economica operata dalla Commissione, ha precisato come non sia ammissibile la sostituzione della valutazione giudiziale a quella della Commissione, la quale ha in materia competenza istituzionale. L’effettività e la pienezza della tutela giurisdizionale richiedono, comunque, pure in ambito unionale la necessità che il giudice non soltanto verifichi l’esattezza materiale degli elementi di prova invocati, la loro affidabilità e la loro coerenza, ma anche accerti se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti, che devono essere presi in considerazione per la valutazione di una situazione complessa e se siano idonei a corroborare le conclusioni che ne sono tratte (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 11 settembre 2014, in Causa C 67/13 P, Groupement des cartes bancaires, punto 46).
4.4 Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, emerge la fondatezza del primo motivo di impugnazione, articolato negli atti di appello, principale e incidentale.
Ferma rimanendo la necessità di un esame specifico delle singole statuizioni giudiziali, oggetto degli ulteriori motivi di appello articolati dall’Autorità e da My., preliminarmente, devono ritenersi irrilevanti le deduzioni svolte dalla ricorrente in primo grado in ordine all’eventuale successo ottenuto da My. in ambito mondiale: come si preciserà infra, nell’analisi del mercato rilevante, nella presente sede occorre valutate le sole condizioni di concorrenza registratesi nel mercato milanese, ben potendo dipendere il successo dell’appellante incidentale dalle diverse condizioni concorrenziali presenti in altri mercati, in conseguenza, quindi, di fattori non rilevanti nel presente giudizio.
Ciò premesso, si osserva che il Tar ha ritenuto il provvedimento impugnato in primo grado inficiato da un generalizzato difetto di istruttoria e di motivazione, tenuto conto che l’Autorità si sarebbe limitata all’elaborazione di dati forniti dalle parti e, in parte significativa, dalla denunciante, senza svolgere un’analisi strutturale chiara dello stesso accordo anticompetitivo, riscontrandosi, in punti nevralgici della motivazione affermazioni apodittiche; sicché l’Autorità, da un lato, non avrebbe ricostruito l’intera fattispecie nei termini della necessaria congruenza narrativa, dall’altro, non sarebbe stata in grado di superare le spiegazioni alternative al riguardo avanzate dalle imprese.
Tale valutazione non sembra corretta, come contestato dalle parti appellanti.
Nella specie, l’Autorità avrebbe dovuto provare, secondo le modalità supra tracciate, valutando complessivamente le risultanze istruttorie acquisite al giudizio, l’esistenza di un accordo concluso tra ciascun radiotaxi e i tassisti aderenti, la possibilità di qualificare detto accordo come intesa verticale, la ricorrenza di reti parallele di intese verticali e la produzione di un effetto anticoncorrenziale cumulativo (sul mercato rilevante all’uopo da definire), idoneo ad ostacolare sensibilmente l’ingresso nel mercato di nuovi operatori, con pregiudizio al commercio intracomunitario.
Sotto tale ultimo profilo, al fine di valutare se l’intesa avesse di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo sensibile il gioco della concorrenza sul mercato intracomunitario, l’Autorità avrebbe dovuto tenere conto del contesto economico e giuridico nel quale operavano le imprese interessate, della natura dei beni o servizi coinvolti, delle condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato in esame, imputando la responsabilità dell’effetto di chiusura del mercato in capo ai fornitori che vi avessero contribuito in modo significativo.
Tale verifica risulta essere stata svolta dall’Autorità appellante, che ha preso specifica posizione, altresì, sulle contestazioni svolte dalle parti del procedimento.
4.4.1 In primo luogo, come emerge dal provvedimento impugnato in primo grado, l’Autorità ha esaminato, tra l’altro:
– il mercato rilevante, sotto il profilo merceologico e geografico (sez. V.2 provvedimento);
– la natura giuridica degli accordi sotto indagine, con particolare riferimento alla possibilità di una loro qualificazione in termini di reti parallele di intese restrittive verticali (sez. V.3.1 provvedimento);
– la produzione di un effetto anticoncorrenziale, tenendo conto della possibilità di giustificare economicamente le clausole di esclusiva in esame, della configurazione di un danno concorrenziale e della possibilità di ricondurre siffatto danno alle intese concluse tra i radiotaxi e i tassisti, svolgendo al riguardo il cd. test Delimitis, secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza sovranazionale (sez. V.3.2 e seguenti provvedimento);
– il contributo di ciascuna intesa all’effetto cumulativo (sez. VI provvedimento);
– l’assenza dei presupposti per l’applicazione dell’esenzione (sez. VII provvedimento);
– il pregiudizio al commercio intracomunitario (sez. VIII provvedimento);
– la gravità e la durata dell’infrazione (sez. IX provvedimento).
Trattasi di questioni aventi ad oggetto esattamente gli elementi costitutivi dell’illecito concorrenziale contestato dall’Autorità, supra evidenziati; il che costituisce un primo indice della completezza dell’istruttoria svolta, sub specie di corretta individuazione dei profili di indagine da esaminare in sede procedimentale.
4.4.2 In secondo luogo, nell’esaminare tali questioni l’Autorità, diversamente da quanto ritenuto dal Tar e come correttamente denunciato dagli appellanti, non si è limitata ad acquisire, quali elementi di prova, i soli dati forniti dalle parti dalle parti del procedimento e, in maniera significativa, dal denunciante, bensì ha richiamato e posto a base del provvedimento, altresì :
– le risultanze degli accertamenti ispettivi presso le sedi delle parti del procedimento e presso l’U. de. ra. d’I. – UR., comportanti l’acquisizione d’ufficio di documentazione rilevante per il procedimento (punto 8 provvedimento – all. 4 produzione 8.3.2019 Autorità resistente in primo grado);
– gli elementi forniti dal Comune di Milano (punto 12 provvedimento – all. 14 produzione 8.3.2019 Autorità resistente in primo grado);
– un parere dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (punto 14 provvedimento);
– elementi informativi acquisiti via internet (punto 12 provvedimento);
– uno studio KP. sul mercato dei ta. di Ro. e di Mi. (valorizzato al punto 63, nota 74 e punto 104, nota 105 provvedimento).
In ogni caso, non risulta certamente contestabile l’utilizzo in sede procedimentale degli elementi informativi forniti dalle parti del procedimento, non potendo dubitarsi della possibilità di dimostrare la sussistenza di un’infrazione alla disciplina antitrust sulla base dei documenti e delle informazioni forniti direttamente dalla parte contro cui si procede: in applicazione del principio di autoresponsabilità, che permea anche la materia istruttoria, la parte dichiarante non può contestare l’inattendibilità degli elementi sfavorevoli dalla stessa forniti, salve circostanze eccezionali all’uopo da allegare e provare, idonee a dimostrare la fortuita o non voluta divergenza tra quanto dichiarato e quanto realmente esistente.
Ne deriva che i dati forniti dai radiotaxi (si vedano i dati in ordine al numero dei tassisti aderenti ai radiotaxi parti del procedimento, alle chiamate taxi ricevute dalle piattaforme, alle quote di mercato delle parti, al tasso di corse inevase, all’offerta e alla domanda di ciascuna piattaforma registrate negli anni) risultavano utilizzabili ai fini della decisione amministrativa.
Con riferimento ai dati forniti dall’impresa denunciante, parimenti, si è in presenza di elementi che, pur forniti da una società avente una posizione di controinteresse, possono essere apprezzati nell’ambito del procedimento antitrust, valutandone previamente la non contraddittorietà con il corredo documentale acquisito al procedimento, oltre che la credibilità del dichiarante.
Nel caso di specie non emergono ragioni specifiche per le quali My., operatore professionale, esercente attività d’impresa in molteplici mercati di intermediazione (par. 3 provvedimento), debba ritenersi non credibile, né tali oggettive ragioni sono state allegate dalla ricorrente in primo grado. Pertanto, la mera provenienza soggettiva di un elemento istruttorio dall’operatore denunciante non può ritenersi causa di inattendibilità ; in ogni caso, nella specie, come osservato, i dati forniti dal denunciante non sono gli unici elementi acquisiti al procedimento, atteso che il provvedimento impugnato in prime cure risulta fondato su altri concorrenti elementi di prova, alcuni dei quali provenienti direttamente dalle parti del procedimento.
4.4.3 Alla stregua delle considerazioni svolte, emerge, da un lato, che l’Autorità ha correttamente individuato le questioni di fatto e di diritto da esaminare in sede procedimentale, dall’altro, ha svolto un’attività istruttoria completa, non limitandosi a provare l’infrazione ascritta ai radiotaxi parti del procedimento sulla base di un’acritica accettazione degli elementi forniti dal controinteressato, bensì acquisendo d’ufficio ulteriori elementi istruttori rilevanti ai fini della decisione, nell’esercizio di poteri ispettivi, nell’utilizzo di fonti accessibili al pubblico, qualificate per la loro provenienza soggettiva (cfr. studio KP.), nonché nella collaborazione con altre Amministrazioni istituzionalmente competenti (anche) in relazione al mercato sottoposto ad indagine (cfr. Comune di Milano e Autorità di Regolazione dei Trasporti).
Il che è coerente con la disciplina sovranazionale (art. 2 Reg. UE n. 1 del 2003 cit.), che ascrive in capo all’Autorità procedente l’onere di dimostrare gli elementi costitutivi dell’illecito contestato, da ritenersi adempiuto, qualora l’esame complessivo degli elementi istruttori raccolti conduca con certezza o con ragionevole probabilità al medesimo risultato probatorio.
Nel rinviare all’esame dei successivi motivi di impugnazione ogni compiuta valutazione sulla completezza dell’istruttoria e sull’adeguatezza della motivazione sottese al provvedimento antitrust, giova rilevare, fin da ora, inoltre, che l’Autorità, diversamente da quanto censurato dalla cooperativa appellata, ha esaminato in maniera approfondita, anche replicando alle contestazioni sollevate dalle parti del procedimento e prendendo in esame possibili spiegazioni alternative:
– il ruolo dei tassisti all’interno dell’intesa, indagando i benefici derivanti dalla pattuizione complessiva conclusa tra tassisti e radiotaxi; in particolare, nei par. 220 e 244 del provvedimento, l’Autorità ha valutato i costi da sopportare in caso di recesso dai radiotaxi, richiamando, altresì, la perdita dei benefici da economie di rete, alla stregua del complesso assetto di interessi divisato dalle parti, di cui il divieto di non concorrenza costituisce la clausola oggetto di censura nell’ambito del procedimento;
– l’interdipendenza tra la scelta della piattaforma da parte dei consumatori finali e la scelta effettuata dai tassisti in ordine all’intermediario cui aderire, nonché la sostituibilità tra le due piattaforme di intermediazione e l’individuazione del mercato rilevante, con l’analisi del bisogno da soddisfare, dell’accessibilità e della qualità dei servizi all’uopo offerti dai diversi canali di intermediazione (cfr. parr. 176 e ss. provvedimento);
– l’effetto anticoncorrenziale delle clausole di non concorrenza, con un’indagine approfondita del contesto economico e giuridico di riferimento (parr. 188 e ss. provvedimento);
– l’integrazione di un accordo suscettibile di configurare un’intesa verticale restrittiva della concorrenza per effetto, non rilevando, ai fini dell’accertamento dell’infrazione, la sussistenza di una comune volontà volta ad impedire l’ingresso di nuovi operatori; elemento certamente valutabile dall’Autorità, ma non determinante per l’integrazione dell’illecito.
Non risultava, invece, necessario coinvolgere i tassisti nell’ambito del procedimento, disponendo l’Autorità già degli elementi rilevanti per la ricostruzione del contesto economico e giuridico di riferimento, tenuto conto dell’acquisizione, non soltanto dei dati forniti dalle parti, ma anche dell’avviso delle Amministrazioni competenti in relazione al mercato sotto esame (Comune di Milano e Autorità di Regolazione dei Trasporti) e di uno studio (KP.) idoneo a fornire utili elementi sul mercato dei taxi di Milano.
Rilevate la corretta individuazione delle questioni oggetto di esame e la completezza del quadro istruttorio complessivamente acquisito al giudizio, esaminato dall’Autorità con valutazioni plausibili, ragionevoli e proporzionate (ai sensi di quanto osservato al par. 4.3), è necessario soffermarsi sulle singole questioni investite dai rimanenti motivi di appello, afferenti all’esistenza degli elementi costitutivi dell’infrazione accertata con il provvedimento impugnato in primo grado.
II Sulla configurazione di intese verticali rilevanti ai sensi dell’art. 101 TFUE.
1. Con il secondo motivo di appello (punto 4 motivi in diritto, rubricato “La qualificazione della fattispecie come intesa verticale”) l’Autorità ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui, da un lato, ha ritenuto mancante un’analisi riferita all’effettiva sussistenza di una comunanza di interessi in capo ai soggetti operanti nei diversi livelli della catena produttiva; dall’altro, ha ritenuto maggiormente coerente con una ricostruzione in termini di abuso di posizione dominante la circostanza per cui i tassisti siano stati reputati, al contempo, parti dell’intesa e soggetti danneggiati dalla stessa.
Secondo quanto contestato dall’appellante, la comunanza di interessi non sarebbe un elemento costitutivo della fattispecie di intesa verticale, essendo sufficiente la configurazione di una volontà comune delle parti di tenere un dato comportamento sul mercato; tale fattispecie risulterebbe realizzata nella specie, in cui le clausole di non concorrenza sarebbero state liberamente accettate dai tassisti, senza l’imposizione di alcun atto unilaterale da una parte a carico dell’altra.
Inoltre, il coinvolgimento dei tassisti nel procedimento, oltre a non poter essere assicurato in ragione del numero elevato dei tassisti interessati dalle clausole di esclusiva, sarebbe risultato contrario alla prassi della Commissione Europea e dell’Autorità che, in materia di intese verticali, hanno sempre proceduto nei soli confronti dell’operatore principale.
2. Il motivo di appello principale deve essere esaminato congiuntamente al quarto motivo di appello incidentale, con cui My. ha censurato l’erroneità della sentenza di primo grado, nella parte in cui ha rilevato “asseriti vizi in relazione al mancato coinvolgimento dei singoli tassisti nell’istruttoria procedimentale e alla mancata dimostrazione di una “comunanza di interessi” tra tassisti e radiotaxi”.
Secondo la prospettazione di My., il Tar avrebbe errato nel ritenere illegittimo il provvedimento impugnato in primo grado per mancato coinvolgimento dei tassisti, tenuto conto che, in presenza di intese verticali, il procedimento, di prassi, verrebbe condotto nei confronti della parte principale del rapporto, da individuare nella specie nei radiotaxi.
Inoltre, l’esistenza di un incontro di volontà tra le parti di un accordo risulterebbe riscontrabile, altresì, qualora taluna delle parti abbia esercitato una certa pressione sull’altra, anche ove la misura non sia a prima vista proposta nell’interesse della controparte.
3. Nel controdedurre ai motivi di appello, la ricorrente in primo grado ha rilevato – alla stregua, altresì, di un precedente di questo Consiglio (n. 743 del 2016) – la correttezza della sentenza di primo grado, avendo l’Autorità omesso di accertare la vera natura del rapporto tra tassisti e cooperative e la sussistenza di un comune interesse tra queste ultime; elementi ritenuti necessari ai fini della prova del fascio di intese verticali.
4. I motivi di appello sono fondati.
Provvedendo all’esame dei motivi di impugnazione, si rileva che il Tar, nel pronunciare sugli elementi strutturali dell’intesa anticoncorrenziale, ha ritenuto che “il meccanismo descritto (singoli fasci di intese riconducibili ai rapporti tra ciascun operatore e singoli tassisti, e valutazione, con riferimento ai tre operatori nel loro insieme, dell’effetto cumulativo di blocco) appare più accennato che indagato (a tale aspetto sono infatti dedicati pochi e non troppo chiari passaggi dell’intero provvedimento). In particolare, il rapporto tra singoli tassisti e operatore di riferimento è ricondotto dall’Autorità ad una pluralità di intese verticali sulla mera base dell’esistenza delle clausole di non concorrenza, senza che sia stato svolto alcun approfondimento in ordine alla oggettiva ricorrenza di una rete parallela di accordi (sulla necessaria dimostrazione, da parte dell’Autorità, della sussistenza di una effettiva “comunanza di interessi” in capo ai soggetti che si trovano nei diversi livelli della catena produttiva o distributiva presa in esame, la ricorrenza della quale configura un elemento del tutto centrale al fine di ritenere la sussistenza della condotta anticoncorrenziale, pur nella peculiare forma del “fascio di intese verticali”, cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 24 febbraio 2016, n. 743). La circostanza è confermata dal fatto che il provvedimento, benché qualifichi i tassisti come parte dell’intesa, in alcuni passaggi argomentativi (cfr., tra gli altri, parr. 84, 177, 244, 247 e 252) individua poi l’esistenza di un pregiudizio concorrenziale in danno degli stessi, ciò che sarebbe stato coerente con una ricostruzione della fattispecie in termini di abuso di posizione dominante, ma che è antitetico al concetto stesso di intesa (sul dato per cui l’Autorità, nell’effettuare la scelta di impostare nel modo ritenuto più corretto l’impianto di fondo del proprio ordito accusatorio, assume un autovincolo, in forza del quale essa è tenuta a declinare in maniera coerente la premessa logico-concettuale che intende
dimostrare, cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 24 febbraio 2016, n. 743)”.
La ricostruzione operata dal Tar, alla stregua di quanto censurato dagli appellanti, non sembra condivisibile.
4.1. In materia di intese restrittive della concorrenza “per effetto” – fattispecie rilevante nel presente giudizio – non è necessario verificare l’intento anticoncorrenziale, essendo sufficiente riscontrare la comune volontà delle parti di tenere un dato comportamento sul mercato.
La volontà soggettiva delle parti di escludere dal mercato i propri concorrenti costituisce, infatti, un elemento che, pur potendo essere preso in considerazione per valutare l’illiceità dell’intesa, non risulta a tali fini essenziale (cfr. Corte di Giustizia U.E., 2 aprile 2020, in causa C-228/18, Gazdasá gi Versenyhivatal, punto 53).
Tanto è confermato sia dagli Orientamenti sulle restrizioni verticali (Comunicazione della Commissione Europea 2010/C 130/01), secondo cui “perché vi sia accordo ai sensi dell’articolo 101, è sufficiente che le imprese in questione abbiano espresso la loro volontà comune di comportarsi sul mercato in una determinata maniera” (punto 25); sia dalla Corte di Giustizia, secondo cui “dalla costante giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenza ACF Chemiefarma/Commissione, citata, punto 112), ripresa dal Tribunale al punto 198 della sentenza impugnata, risulta che la nozione di accordo ai sensi dell’art. 85, n. 1, del Trattato deriva dall’espressione, da parte delle imprese partecipanti, della volontà comune di comportarsi sul mercato in un determinato modo” (Corte di Giustizia, sentenza dell’8 luglio 1999, in Causa C-49/92 P, Commissione c. Anic Partecipazioni SpA, punto 130).
Del resto, come osservato nella disamina del primo motivo di appello, la valutazione dell’obiettivo perseguito dalle parti risulta maggiormente coerente con la qualificazione dell’intesa come restrizione per oggetto, dovendo in tali ipotesi verificarsi se l’accordo presenti un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente per ritenere che non sia necessario individuarne gli effetti, tenuto conto, oltre che del suo tenore letterale e del contesto di riferimento, altresì degli obiettivi perseguiti dalle parti.
Per tali ragioni, non risulta utilmente invocabile il precedente di questo Consiglio richiamato dalla parte appellata (Consiglio, sez. VI, 24 febbraio 2016, n. 743), atteso che, coerentemente alle considerazioni appena espresse, la valutazione circa la sussistenza di una comunanza di interessi di natura escludente era stata valorizzata in quella sede:
– da un lato, perché posta a fondamento del provvedimento dell’Autorità ; nella sentenza n. 743/16 si dà atto che “l’Autorità ha ritenuto che l’oggetto anticoncorrenziale consistesse: i) nel comune intento di trasferire l’importo della MIF sulle Merchant Fees (commissioni a carico degli esercenti), in questo modo facendone gravare l’onere sull’operatore più debole della filiera…”; a conferma di come l’elemento della finalità perseguita dalle parti fosse stato esaminato in giudizio, in quanto posto a fondamento del provvedimento antitrust;
– dall’altro, perché si faceva questione di restrizione per oggetto -nella sentenza n. 743/16, è stato ritenuto “fondato il motivo qui riproposto dalle banche appellate (articolo 101, comma 2 del c.p.a.) secondo cui l’Autorità non avrebbe dimostrato in modo adeguato che le pattuizioni intercorse fra MasterCard e le banche licenziatarie fossero idonee a determinare una violazione delle regole concorrenziali “per oggetto”)-, come tale suscettibile di dare luogo anche ad un’analisi in ordine all’intento anticoncorrenziale perseguito dalle parti dell’intesa.
Pertanto, deve confermarsi che, qualora si faccia questione di una restrizione per effetto, non è necessario riscontrare una comune volontà delle parti di escludere i concorrenti dal mercato, ma soltanto la comune volontà di attuare un definito assetto di interessi nei rispettivi rapporti, accettando di comportarsi sul mercato in un determinato modo.
Tale elemento costitutivo risulta configurabile anche qualora, nell’ambito del complessivo assetto di interessi all’uopo convenuto, vi siano alcune clausole sfavorevoli per una parte, unilateralmente predisposte dall’altra, detentrice di una posizione di dominanza economia sul piano dei rapporti sostanziali: anche tali clausole, benché favorevoli ad una parte e sfavorevoli all’altra, possono ritenersi accettate da tutte le parti e, quindi, espressive di una regola di condotta condivisa da osservare sul mercato; con conseguente loro qualificazione come intese ai sensi della disciplina antitrust.
Tanto risulta desumibile anche dalla giurisprudenza europea, che ammette la coesistenza di intese anticompetitive e di abuso di posizione dominante. In particolare, a giudizio della Corte di Giustizia, la sussistenza di una pluralità di accordi posti in essere da un’impresa in posizione dominante può integrare sia la fattispecie di cui all’art. 101 TFUE, sia la fattispecie di cui all’art. 102 TFUE, qualora la strategia negoziale seguita dalla parte titolare di una posizione dominante sul mercato abbia la capacità di limitare la concorrenza e, in particolare, di produrre effetti di preclusione che superano gli effetti anticoncorrenziali specifici di ciascuno degli accordi conclusi (cfr. C.G.U.E., sentenza 30 gennaio 2020, in causa 307/18 cit.).
Non può, quindi, escludersi:
– da un lato, che un’impresa in posizione dominante possa concludere intese con altre imprese operanti nel medesimo mercato o ad un diverso livello del processo di distribuzione o fornitura del prodotto;
– dall’altro, che, anche a fronte di clausole singolarmente pregiudizievoli per una parte, questa possa essere comunque avvantaggiata dalla complessiva pattuizione, ove idonea, all’esito di una valutazione globale, ad arrecare benefici giustificanti la conclusione dell’accordo.
Anche in tali ipotesi, pertanto, può configurarsi una comune volontà delle parti di comportarsi secondo concordate modalità sul mercato; il che costituisce l’elemento strutturale dell’intesa ai sensi dell’art. 101 TFUE.
4.2 Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, emerge la fondatezza dei motivi di impugnazione proposti dagli appellanti (principale e incidentale).
Con l’adesione alla piattaforma di intermediazione si conclude un accordo tra il tassista e il radiotaxi, mediante cui le parti si impegnano ad operare sul mercato secondo modalità predefinite.
Sebbene la clausola di non concorrenza (cfr. art. 8 Statuto e art. 3 Regolamento interno di Au. sub doc. 5 e 6 produzione Autorità in primo grado; punto 14 divieti Regolamento Utenti Ta. 2013, punto 4, sez. I, Regolamento Utenti Ta. 2016 e punto 4, sez. I, Regolamento Ta. 2017 sub doc. 7, 8 e 10 produzione Autorità in primo grado; art. 5, lett. c), contratto di somministrazione concluso da , il cui modello tipo è stato prodotto in primo grado dall’autorità sub doc. 9) sia idonea a produrre una limitazione della sfera giuridica del solo tassista, impedendo a questi di acquistare servizi in concorrenza con quelli forniti dal radiotaxi di appartenenza, la clausola medesima è contenuta nell’ambito di un complessivo assetto di interessi attuato nei rapporti tra le parti e dalle stesse interamente accettato (definito, tra l’altro, dallo statuto e dal Regolamento interno di Autoradiotassi sub doc. 5 e 6 cit.; dal Regolamento Utenti Ta. sub doc. 7, 8 e 10 cit. ovvero dai contratti di somministrazione conclusi da sub doc. 9 cit.).
In particolare, il tassista, sebbene limitato nella propria posizione giuridica dalla clausola di non concorrenza, gode comunque di benefici derivanti dall’adesione al radiotaxi, che giustificano l’accettazione dell’intera pattuizione in cui siffatta clausola è inserita.
Pertanto, l’Autorità correttamente:
– da un lato, ha rilevato che la presenza delle clausole di non concorrenza limita la capacità produttiva del tassista, tenuto conto che in loro assenza, il tassista potrebbe avere la disponibilità di una pluralità di fonti di approvvigionamento, suscettibili di ampliare la sua attività lavorativa e il suo reddito (cfr. par. 177);
– dall’altro, ha evidenziato che il negozio di adesione al radiotaxi produce comunque, all’esito di una sua valutazione complessiva, benefici in capo ai tassisti, potendo gli stessi profittare di economie di rete, assicurate dalla possibilità di accedere alla domanda fidelizzata al radiotaxi di appartenenza (cfr. parr. 220 e 223).
Ne deriva che la clausola di non concorrenza non è recata in un atto unilaterale, bensì è contenuta in un negozio giuridico accettato dalle parti e, quindi, anche dal tassista, interessato ad usufruire comunque dei complessi benefici derivanti dall’attuazione dell’assetto di interessi globalmente condiviso.
Di conseguenza, posto che il tassista accetta l’intera pattuizione convenuta con il radiotaxi, ivi compresa la clausola di non concorrenza, deve ritenersi che anche tale clausola concorra a delineare l’assetto di interessi globalmente accettato da tutte le parti, espressivo di una comune volontà di agire secondo date modalità sul mercato; il che costituisce il proprium dell’intesa ai sensi del diritto antitrust.
4.3 Nella specie, inoltre, risulta che l’intesa (sub specie di clausola di non concorrenza) intercorre fra imprese operanti ciascuna ad un livello differente della catena di fornitura del servizio e che, pertanto, si è in presenza di un’intesa verticale ai sensi dell’art. 1, par. 1, lett. a), Reg. UE n. 330/2010 del 20 aprile 2010.
Difatti:
– i radiotaxi e i tassisti devono considerarsi imprese ai sensi dell’art. 101 TFUE, qualificazione da riconoscersi in capo ad ogni operatore esercente un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (cfr. Corte di Giustizia U.E., sentenza 5 settembre 2019, in Cause riunite C-447/17 P e C-479/17 P, punto 103); ragion per cui sia i tassisti che i radiotaxi, operando nell’esercizio di un’attività economica sul mercato, devono ritenersi imprese ai fini della configurazione di intese anticoncorrenziali;
– i radiotaxi eseguono una prestazione strumentale all’attività di impresa svolta dai tassisti, ponendosi, quindi, ad un diverso livello della catena di fornitura del servizio;
– sul mercato esaminato dall’Autorità risultavano presenti plurime intese, concluse da ciascuno dei principali radiotaxi operanti nel mercato milanese con i rispettivi tassisti aderenti.
Ne deriva l’avvenuta integrazione degli elementi costitutivi delle reti parallele di intese verticali, risultando la fattispecie concreta correttamente sussunta dall’Autorità sotto la previsione dell’art. 101, par. 1, TFUE.
4.2.4 Né a diversa conclusione potrebbe pervenirsi sulla base della mancata ricerca di una comune volontà tra le imprese radiotaxi, deputata a mantenere le proprie quote di mercato in danno di altri operatori.
Difatti, facendosi questione di restrizioni verticali per effetto, così come non occorre accertare la comune volontà anticompetitiva tra le parti della medesima intesa verticale, parimenti e a maggior ragione, non risulta necessario neanche accertare una comune volontà esterna alla singola intesa verticale, riferita alla condotta tenuta dai radiotaxi sul mercato di riferimento.
Nel caso in esame non viene in rilievo un’intesa orizzontale tra i radiotaxi – eventualmente desumibile da pratiche concordate dagli stessi tenute (indicative dell’esistenza di una concertazione tra imprese concorrenti – cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 27 aprile 2020, n. 2674) – bensì si fa questione di reti parallele di intese verticali, ragion per cui la comune volontà da accertare, come osservato, è soltanto quella delle parti dell’intesa -e, quindi, del radiotaxi e del singolo tassista- dovendo, peraltro, tradursi esclusivamente in un accordo in relazione ad un dato comportamento da tenere sul mercato.
Ne deriva che l’interazione tra le intese appartenenti alla stessa rete e tra le reti parallele di intese deve essere esaminata soltanto sotto un profilo oggettivo, al fine di verificare se l’effetto cumulativo di siffatti accordi abbia di fatto, impedito, ristretto o falsato in modo sensibile il gioco della concorrenza; questione, quindi, non attinente allo scopo della pattuizione.
4.4 Infine, non può neanche ritenersi che nella specie l’accertamento svolto dall’Autorità dovesse essere esteso ai singoli tassisti, aderenti alle intese verticali in contestazione.
Difatti, nell’ambito di reti paralleli di intese verticali, la responsabilità dell’effetto anticompetitivo deve essere imputata agli operatori che vi contribuiscano in modo significativo (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, in causa C-214/99, Neste Markkinointi Oy, punto 27): pertanto, la misura del contributo alla produzione dell’effetto anticoncorrenziale è certamente diversa a seconda che si faccia riferimento alla posizione del singolo tassista ovvero dei radiotaxi.
In particolare, nella specie, a fronte di circa 4.200-4.600 tassisti aderenti ai radiotaxi nel periodo 2015-2017 (cfr. tabella 1 provvedimento impugnato in primo grado), i radiotaxi parti delle singole intese sono soltanto tre; ragion per cui, correttamente, il procedimento è stato condotto nei confronti dei soli radiotaxi, in qualità di parti cui è ascrivibile un significativo contributo nella produzione dell’effetto anticoncorrenziale in esame.
4.5 Alla stregua delle considerazioni svolte, diversamente da quanto statuito dal Tar, deve, quindi, ritenersi che l’Autorità, sotto il profilo dell’analisi strutturale dell’intesa, abbia correttamente qualificato le clausole di non concorrenza (apposte agli statuti/regolamenti/contratti di somministrazione conclusi tra radiotaxi e tassisti) come reti parallele di intese verticali, accertando la presenza di fasci di accordi tra imprese, poste ad un diverso livello della catena di fornitura del servizio, espressivi di una comune intenzione delle parti di operare secondo concordate modalità sul mercato; senza che fosse necessario indagare, altresì, nei rapporti tra ciascun radiotaxi e i tassisti aderenti ovvero tra i tre radiotaxi parti del procedimento, l’esistenza di un comune intento di escludere i concorrenti.
III Sulla definizione del mercato rilevante
1. Posto che il terzo motivo di appello principale, riguardante l’applicazione dell’esenzione ex art. 101.3 TFUE, risulta connesso con le questioni relative alla teoria del danno antitrust e all’accertamento dell’effetto anticoncorrenziale, oggetto del quinto motivo di appello – che sarà esaminato infra, nell’ambito della sezione IV della presente sentenza – si procederà a trattare congiuntamente il terzo e il quinto motivo di appello principale nell’ambito della successiva sez. IV, mentre nella presente sede si esaminerà il quarto motivo di impugnazione principale, concernente la definizione del mercato rilevante.
In particolare, con il quarto motivo di appello (punto 6 motivi in diritto, rubricato “Il mercato rilevante”) l’Autorità ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto illegittima la definizione del mercato rilevante.
Al riguardo, il Tar ha ritenuto che la definizione del mercato rilevante dal punto di vista merceologico fosse stata operata con affermazioni ed asserzioni non correlate ad alcuna analisi empirica, mancando un accertamento istruttorio puntuale e documentato in ordine alle ragioni di propensione per le chiamate mediante applicazioni digitali (per brevità, App) e per le chiamate tramite radiotaxi da parte dei passeggeri, nonché difettando accertamenti sul concreto articolarsi (cumulativo o alternativo) della domanda stessa; senza tenere conto del fatto che quello preso in esame è un mercato caratterizzato da una doppia fonte di domanda del servizio di smistamento chiamate, costituita da un lato dai passeggeri e da un lato dai tassisti e tale per cui la domanda riconducibile ai primi produce effetti e orienta la domanda riconducibile ai secondi.
Secondo la prospettazione dell’appellante, invece, l’analisi svolta dall’Autorità avrebbe dovuto ritenersi puntuale e documentata, dandosi conto della situazione di mercato e delle circostanze che avevano condotto alla sua individuazione; a tali fini, sono stati valorizzati anche uno studio di KP., le informazioni rese dall’Autorità di regolazione dei trasporti, le informazioni fornite dal Comune di Milano e quelle rese dalle parti del procedimento.
Le risultanze istruttorie avrebbero condotto a ritenere che entrambe le tipologie di piattaforma (digitale e radiotaxi) presentassero caratteristiche e aspetti qualitativi in grado di stimolare la domanda finale e quindi tali da indurre, indirettamente, il tassista a scegliere indifferentemente l’uno o l’altro canale di dispacciamento, sulla base degli effetti di rete connessi all’utilizzo da parte dei consumatori finali dei medesimi canali.
Riguardando, peraltro, il provvedimento comportamenti dei tassisti, sarebbe risultata irrilevante la propensione dei passeggeri per le chiamate via App o per le chiamate tramite radiotaxi; in ogni caso, la possibile sussistenza di alcune differenze nell’utilizzo di diverse modalità di procacciamento della domanda, dal lato degli utenti, non avrebbe consentito di configurare un diverso mercato rilevante, essendo i vari canali di ricerca tra loro sostituibili, in quanto diretti a soddisfare il medesimo bisogno.
Nella specie l’analisi non avrebbe, inoltre, presentato complessità tali da rendere necessario il ricorso a studi economici di terzi per definire il mercato rilevante; che, peraltro, contrariamente alla verifica da svolgere in ordine alo sfruttamento abusivo di posizione dominante, non risulterebbe il presupposto dell’illecito, bensì elemento successivo all’individuazione del contenuto dell’intesa e funzionale alla verifica del grado di offensività della stessa.
Alla stregua di tali argomentazioni, l’Autorità ha, quindi, ritenuto che l’analisi condotta in sede procedimentale fosse legittima, avendo compiutamente esaminato le dinamiche concorrenziali, la connotazione a due versanti del sistema di intermediazione e la sostituibilità dal lato dei tassisti e dal lato dei consumatori tra App e sistemi tradizionali di prenotazione del taxi.
2. Il quarto motivo di appello principale deve essere esaminato congiuntamente al secondo motivo di appello incidentale (rubricato “Error in iudicando. In particolare, sugli asseriti difetti di motivazione e di istruttoria in relazione alla definizione del mercato rilevante”), con cui anche My. ha censurato la sentenza del Tar, nella parte in cui ha ritenuto illegittima la definizione del mercato rilevante, sebbene l’analisi condotta dall’Autorità avesse esaminato attentamente le caratteristiche specifici dei servizi in contestazione, le condizioni e la struttura della concorrenza sul mercato, nonché i meccanismi decisionali sia dei tassisti che degli utenti del servizio taxi per determinare quale fosse il mercato del prodotto rilevante.
In particolare, secondo quanto censurato dall’appellante incidentale, diversamente da quanto ritenuto dal Tar, l’Autorità avrebbe analizzato i rapporti di sostituibilità tra i vari canali di intermediazione sia dal lato degli utenti che da quello dei tassisti, giungendo ragionevolmente a ritenere integrato un medesimo mercato del prodotto.
Peraltro, sarebbero gli stessi radiotaxi a considerare i sistemi di smistamento tramite App come sistemi concorrenti, posti nello stesso mercato del servizio tradizionale di radiotaxi, applicando le clausole di esclusiva anche ai tassisti aderenti che si rivolgano alle piattaforme di intermediazione digitali; inoltre, i radiotaxi si sarebbero dotati di applicazioni digitali simili nelle funzionalità all’applicazione My., senza per ciò solo mutare l’ambito della propria attività .
Non si registrerebbe alcun vizio neanche con riferimento alla definizione del mercato rilevante sotto il profilo geografico – questione comunque non espressamente affrontata dal Tar – avendo l’Autorità correttamente rilevato che i servizi di intermediazione oggetto di indagine operano esclusivamente nell’ambito del Comune di Milano, da ricostruire altresì avuto riguardo al servizio intermediato, avente natura di servizio pubblico locale, circoscritto al Comune che lo regola.
Ad ulteriore argomentazione del motivo di appello incidentale la società My. ha depositato i risultati di un’indagine di mercato volti a comprovare la sostituibilità del servizio di intermediazione attraverso radiotaxi con quello fornito mediante le piattaforme digitali e, pertanto, la definizione di un unico mercato rilevante.
3. In controdeduzione ai motivi di appello la ricorrente in primo grado ha contestato che l’Autorità, da un lato, non aveva valutato, nella definizione del mercato rilevante, l’influenza di uno dei versanti della domanda sul servizio di prenotazione delle chiamate, dall’altro, aveva erroneamente ritenuto sostituibili i servizi radiotaxi con i servizi di prenotazione e smistamento delle corse tramite app; errore desumibile, altresì, dalle considerazioni svolte in un recente precedente di questo Consiglio (n. 1547/2020), intervenuto in relazione al medesimo mercato del prodotto, che avrebbe negato allo stato la fungibilità tra App e radiotaxi, occorrendo a tale fine una verifica in termini di attualità e ripetitività negli atteggiamenti dei consumatori, non provata dall’Autorità .
L’Autorità, in particolare, nello svolgimento della propria analisi:
– avrebbe ignorato uno dei due versanti della domanda del servizio di intermediazione, proveniente dall’utenza finale;
– avrebbe utilizzato acriticamente e senza valutazione empirica i dati relativi al versante della domanda proveniente dai tassisti.
Di contro, secondo quanto contestato dalla cooperativa appellata, i passeggeri non considererebbero l’App e i radiotaxi come perfetti sostituti, esistendo, peraltro, categorie che non usano, né potrebbero usare, entrambe le piattaforme indifferentemente; anche per i tassisti il servizio offerto dall’App non potrebbe ritenersi equivalente a quello garantito dalla centrale radiotaxi.
4. I motivi di appello sono fondati.
4.1 Pregiudizialmente, deve dichiararsi l’inutilizzabilità dei nuovi documenti prodotti in appello dall’appellante incidentale, tenuto conto che, sebbene si tratti di documenti di formazione successiva e, quindi, in ipotesi non producibili nel giudizio di primo grado, deve, tuttavia, rilevarsi che si è in presenza di documenti (studio sulle preferenze degli utenti e dei tassisti nell’ambito delle principali città italiane) formati su incarico della parte interessata alla relativa acquisizione.
Tale elemento se, in generale, può non influire sull’attendibilità dell’elemento di prova – essendo ben possibile che l’incaricato operi fornendo garanzie di terzietà e, pertanto, in maniera indipendente da eventuali direttive impartibili dal committente – manifesta che il tempo di formazione del documento dipende dall’iniziativa della parte processuale interessata ad avvalersene.
L’appellante incidentale, dunque, ben avrebbe potuto attivarsi tempestivamente, al fine di commissionare e, quindi, ottenere la ricerca di mercato in tempo utile per la sua produzione entro il termine di maturazione delle preclusioni istruttorie.
La formazione del documento in epoca successiva al deposito della sentenza appellata, pertanto, non può imputarsi a cause non dipendenti dall’iniziativa dell’appellante incidentale e, quindi, impedisce la sua acquisizione in sede di gravame, pena la violazione del divieto dei nova imposto dall’art. 104 c.p.a.
La presente controversia dovrà, dunque, essere risolta prescindendo dai documenti tardivamente prodotti dall’appellante incidentale.
4.2 Nel merito, i motivi di impugnazione sono fondati, avendo l’Autorità correttamente definito il mercato rilevante.
Al riguardo, come precisato da questo Consiglio, diversamente dai casi di concentrazioni e di accertamenti della posizione dominante, in cui la definizione del mercato rilevante è presupposto dell’illecito, in presenza di una intesa la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all’individuazione dell’intesa, poiché l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa medesima circoscrivono il mercato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 11 luglio 2019, n. 4874).
La definizione di mercato rilevante, sotto il profilo merceologico e geografico, è necessaria per individuare l’ambito nel quale le imprese interessate sono in concorrenza tra loro e le pressioni concorrenziali alle quali le stesse sono sottoposte, in termini di sostituibilità dell’offerta, sostituibilità della domanda e concorrenza potenziale.
In particolare, il mercato del prodotto rilevante comprende tutti i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati (Corte di Giustizia, sentenza del 28 febbraio 2013, Ordem dos Té cnicos Oficiais de Contas, C 1/12, punto 77). Il mercato geografico rilevante comprende l’area nella quale le imprese in causa forniscono o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere tenuta distinta dalle zone geografiche contigue perché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono sensibilmente diverse (cfr. la Comunicazione della Commissione sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza: 97/C 372/03).
Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, la definizione di mercato rilevante operata dall’Autorità risulta immune dai vizi riscontrati dal Tar.
In particolare, soffermandosi sul mercato del prodotto (oggetto delle statuizioni del Tar e, dunque, dei motivi di impugnazione articolati in via principale e incidentale), nella specie si fa questione della fornitura di servizi di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi.
Come rilevato nel par. 174 del provvedimento e come emergente dalle deduzioni delle parti in causa, la questione in contestazione afferisce alla possibilità di definire un unico mercato rilevante del prodotto, cui afferiscano tutte le piattaforme di intermediazione – strumentali a mettere in contatto gli utenti del servizio di trasporto taxi con i fornitori del relativo servizio -, a prescindere dalla tecnologia in concreto adottata.
Nella presente sede, nello specifico, è contestata la possibilità di ricondurre al medesimo mercato i radiotaxi e le piattaforme digitali.
Le differenze tra i due canali di intermediazione sono tracciate nel provvedimento antitrust ed emergono dalla documentazione in atti.
In particolare, relativamente ai radiotaxi, risulta che:
– i radiotaxi assicurano il servizio di intermediazione, raccogliendo e smistando le chiamate telefoniche provenienti dall’utenza: una centrale operativa riceve la chiamata telefonica dell’utente, ricerca via radio e localizza, trai taxi aderenti, quello più vicino al luogo di prelevamento dell’utente al momento della chiamata, nonché comunica all’utente la sigla del taxi in arrivo e il tempo occorrente per giungere sul luogo di prelevamento (par. 67 provvedimento; cfr. anche il par. 51 del provvedimento, che richiama il sistema di localizzazione satellitare proprio dei radiotaxi);
– i radiotaxi, dunque, sono collegati ai tassisti aderenti attraverso apposita attrezzatura tecnologica che, a volte, deve essere acquistata dal tassista mediante il pagamento di un corrispettivo, altre volte viene concessa in comodato dal radiotaxi di appartenenza (par. 48 provvedimento; il sistema radio taxi è richiamato dall’art. 10 Regolamento Au. sub doc. 6 cit.; art. 1 sez. I Regolamento Ta. 2016 e 2017 sub doc. 8 e 10; art. 2 contratto di somministrazione sub doc. 9 cit.);
– l’adesione ai radiotaxi, in alcuni casi, è subordinata al pagamento di una tassa di ammissione, altre volte è gratuita (par. 46 provvedimento; cfr. art. 7 Statuto Au. sub doc. 5 cit.; domanda di adesione al servizio Ta. sub doc. 10 cit.; art. 11 contratto di somministrazione sub doc. 9 cit.);
– la permanenza presso il radiotaxi comporta l’obbligazione di pagamento di un canone mensile (par. 47 provvedimento; art. 6 Regolamento Au. sub doc. 6 cit.; art. 2 sez. I Regolamento Ta. 2016 e 2017 sub doc. 8 e 10; art. 11 e appendice contratto di somministrazione sub doc. 9 cit.);
– il radiotaxi eroga servizi ulteriori rispetto a quelli di raccolta e smistamento delle corse, rappresentati, ad esempio, dalla fornitura di vetture di riserva, dalla concessione di condizioni agevolate per l’acquisto di ricambi e riparazioni, dalla raccolta fondi tra i soci da destinare ad eventuali prestiti, dalla consulenza per servizi finanziari e assicurativi o ancora da iniziative culturali e ricreative (par. 49 provvedimento; art. 4, n. 3, Statuto Au. sub doc. 5 cit.; art. 1 sez. I Regolamento Ta. 2016 e 2017 sub doc. 8 e 10);
– la tecnologia del radiotaxi consente, altresì lo svolgimento di un’attività di monitoraggio sul rispetto della regolazione sul servizio taxi da parte dei tassisti aderenti, con particolare riferimento ai turni, alle tariffe e al divieto di prenotazione anticipate (par. 50 provvedimento).
Con riferimento alle piattaforme digitali, cui è riconducibile My., emerge che:
– il servizio richiede l’utilizzo di un’applicazione scaricata su un dispositivo abilitato alla navigazione Internet, come gli smartphone, avente una connessione dati attiva (par. 72 provvedimento);
– il sistema consente la geolocalizzazione del cliente, che permette di individuare in ogni momento il tassista più vicino all’utente (par. 72 provvedimento);
– la chiamata del cliente avviene tramite App installata sul proprio dispositivo, così come il tassista riceve la richiesta sull’App installata sul dispositivo personale (par. 72 provvedimento);
– grava, di regola, sull’utente la responsabilità e i costi correlati all’accesso a internet, ai requisiti tecnici, alla configurazione e alla funzionalità del dispositivo per l’utilizzo dell’applicazione e l’aggiornamento del software (cfr. nota 65 provvedimento).
Con specifico riferimento alla piattaforma My., alla stregua della documentazione contrattuale disponibile sul sito aziendale (par. 54 provvedimento) emerge, inoltre, che:
– non richiede l’accettazione di una clausola di non concorrenza (par. 55 provvedimento);
-non prevede costi di iscrizione ovvero quote periodiche da versare a carico del tassista (par. 57 provvedimento);
– prevede il pagamento di una commissione (7%) per ogni corsa intermediata (cfr. par. 57 e nota 66 provvedimento);
-eroga servizi aggiuntivi, quali convenzioni con istituti bancari, aziende di distribuzione di carburante e scontistiche dedicate per case automobilistiche; servizi di intermediazione con il cliente per il recupero dei pagamenti delle corse il cui pagamento tramite l’App non sia andato a buon fine, la corresponsione di una somma forfettaria nel caso in cui il cliente non si presenti dopo aver richiesto la corsa; corsi di formazione su tematiche etiche-comportamentali; monitoraggio del rispetto della regolazione da parte dei tassisti, controllando ex post che le corse siano avvenute nel rispetto dei turni comunicati e adottando misure disciplinari in caso di inosservanza delle norme (par. 59 e 60 provvedimento e doc. 12 produzione Autorità in primo grado).
Alla stregua di tali elementi, risultanti dalla documentazione in atti e comunque accertati in sede procedimentale sulla base dei dati e dei documenti forniti dalle parti, nonché della documentazione acquisita in sede ispettiva o attraverso internet (cfr. il sito My., come emergente dalle note nn. 65 e 66 del provvedimento antitrust) – mezzi di prova da ritenere attendibili e idonei a fondare la decisione amministrativa, come osservato nella disamina del primo motivo di impugnazione – l’Autorità ha correttamente rilevato che l’attività di intermediazione, per propria natura volta a mettere in contatto due parti ai fini della conclusione di un contratto (nella specie, tassista e cliente, parti del contratto di trasporto pubblico non di linea), integra “un sistema a due versanti” (par. 176), dovendosi, pertanto, valutare il grado di intercambiabilità non soltanto dal lato dei tassisti, ma anche da quello dei consumatori finali.
Sotto tale profilo, l’Autorità – sebbene abbia precisato che l’oggetto del procedimento fossero i comportamenti ricadenti prioritariamente sul versante dei tassisti (e non dei consumatori finali) che si avvalgono delle piattaforme di procacciamento della domanda (cfr. par. 180), tuttavia, nell’ambito del provvedimento impugnato in prime cure – ha esaminato anche l’intercambiabilità dal lato dei consumatori.
4.2.1 In particolare, per quanto riguarda il punto di vista dei tassisti, come fondatamente censurato dagli appellanti, l’Autorità ha svolto un’analisi completa, logica e ragionevole, supportata da uno specifico riscontro documentale.
Ponendo, nello specifico, a confronto i sistemi di intermediazione mediante radiotaxi e applicazioni digitali, è possibile, infatti, riscontrare un sufficiente grado di loro intercambiabilità .
In primo luogo, avuto riguardo all’uso cui i prodotti sono destinati, entrambe le piattaforme tendono al soddisfacimento del medesimo bisogno, rappresentato, per il tassista, dalla ricerca del cliente, per incrementare la propria cifra di affari e, quindi, i ricavi da attività d’impresa (nel significato rilevante in materia antitrust); viene, quindi, in rilievo il medesimo utilizzo, in quanto entrambi i canali di intermediazione sono impiegati come canali di procacciamento della clientela (elemento valorizzato al par. 177 del provvedimento).
In secondo luogo, avuto riguardo ai prezzi da sostenere per l’acquisto del servizio, entrambe i canali di intermediazione, da un lato, richiedono l’uso di attrezzatura tecnologica, necessaria per assicurare il collegamento con il radiotaxi o per scaricare e utilizzare l’applicazione digitale; dall’altro, implicano costi di accesso alle rispettive piattaforme.
In relazione alle piattaforme digitali, il tassista è chiamato ad acquistare dispositivi mobili abilitati alla navigazione con connessione dati attiva, essenziali per potere scaricare il software fornito dall’intermediario.
Con riferimento ai radiotaxi, l’attrezzatura viene concessa dalla piattaforma di intermediazione, talvolta a pagamento, talaltra gratuitamente: ne deriva che, essendosi in presenza pur sempre del medesimo servizio, a prescindere dall’acquisto a titolo oneroso o gratuito del sistema di collegamento al radiotaxi, il pagamento di un prezzo per l’uso dell’attrezzatura hardware non costituisce un elemento essenziale ai fini della configurazione del servizio di intermediazione.
Pertanto, la necessità di sostenere un costo per acquistare l’attrezzatura tecnologia necessaria per consentire lo svolgimento del servizio di intermediazione, a prescindere dalla tecnologia impiegata (digitale con geolocalizzazione o radiotaxi) non costituisce un elemento rilevante ai fini della differenziazione del mercato del prodotto: così come il pagamento di un corrispettivo per l’acquisto dell’attrezzatura tecnologica non diversifica il servizio radiotaxi, facendosi questione del medesimo prodotto a prescindere dalla necessità per il tassista di sostenere un esborso per assicurare il collegamento con il radiotaxi di appartenenza, parimenti deve ritenersi che la necessità di pagare un corrispettivo per acquistare uno smartphone o altro dispositivo abilitato alla navigazione Internet non costituisca elemento idoneo a impedire l’intercambiabilità del canale di intermediazione digitale con il tradizionale canale radiotaxi.
Il tassista, peraltro, in quanto imprenditore ai sensi della disciplina antitrust (come supra osservato, nell’analisi strutturale dell’intesa), svolge un’attività economicamente rilevante, mediante l’impiego dei mezzi occorrenti alla prestazione del servizio di traporto pubblico non di linea. La disponibilità di attrezzatura tecnologica, pertanto, non rappresenta un ostacolo, bensì costituisce un fisiologico investimento nella propria attività di impresa, funzionale al procacciamento dei clienti, per aumentare il numero di corse e, quindi, dei relativi ricavi.
In ogni caso, per entrambe le piattaforme si fa pur sempre questione di tecnologia reperibile sul mercato a costo ana: al riguardo, si osserva che i costi per l’acquisto dell’attrezzatura del radiotaxi riportati al par. 48 del provvedimento, variabili da 1.500 a 3.000 euro, sono certamente comparabili a quelli di acquisto di uno smartphone o di altro dispositivo abilitato alla navigazione (elemento costituente patrimonio conoscitivo comune, valorizzabile alla stregua, altresì, del fatto notorio).
Anche con riguardo al costo di adesione alla piattaforma di intermediazione, non si registrano ragioni per escludere un sufficiente grado di intercambiabilità, tenuto conto che nell’ambito degli stessi radiotaxi, come osservato, in alcuni casi è richiesto il pagamento di una tassa di ammissione, in altri casi l’adesione è gratuita; ancora una volta si è in presenza di un elemento che, pur determinando una diversa configurazione dei costi gravanti sul tassista, non impedisce di configurare il medesimo prodotto, connotato da prezzi analoghi.
Per l’appartenenza ai radiotaxi, inoltre, è previsto, di regola, il pagamento di un contributo mensile, di importo variabile da 200 a 250 euro (par. 47 provvedimento), con un differenziale inidoneo ad incidere sulla configurazione del medesimo prodotto; per l’applicazione digitale è possibile anche il pagamento di una provvigione commisurata al numero di corse effettuate, espressa in termini di percentuale applicabile al costo della singola corsa intermediata.
In entrambe le ipotesi si è, dunque, in presenza di un servizio a titolo oneroso, non registrandosi significative differenze di prezzo – ostative a riconoscere un sufficiente grado di sostituibilità – a seconda delle diverse modalità di calcolo, in percentuale su ogni corsa intermediata o in misura fissa mensile.
Al riguardo, a mero titolo esemplificativo, è possibile rilevare come il numero medio mensile di corse svolte da un tassista aderente ai radiotaxi è pari a 170/180 corse al mese (cfr. parr. 87, 89 e 91 provvedimento), con conseguente valorizzazione di un contributo di intermediazione pari a circa 1,1/1,4 euro a corsa (derivante dal rapporto tra il contributo mensile e il numero di corse mensili di media effettuate da ogni tassista); il che può ritenersi sufficientemente sostituibile con una percentuale del 7% applicata da My. ad ogni corsa intermediata.
Infine, l’esistenza di un sufficiente grado di sostituibilità tra le due tipologie di piattaforma di intermediazione può essere predicata anche avendo riguardo alle caratteristiche dei servizi offerti, tenuto conto che:
– da un lato, come emerge dagli atti di adesione ai radiotaxi (cfr. art. 4 statuto Au. sub doc. 6 cit.; art. 1 sez. I Regolamento Ta. 2016 e 2017 sub doc. 8 e 10; art. 2 contratto di somministrazione sub doc. 9 cit) l’oggetto principale dell’attività dei radiotaxi è quello di intermediazione, assumendo gli ulteriori servizi natura accessoria, non aventi, quindi, la capacità di caratterizzare il servizio radiotaxi, differenziandolo da quello erogato dalle piattaforme digitali;
– dall’altro, la fornitura di servizi accessori è comunque riscontrabile anche in capo alle piattaforme digitali, come dimostrato dall’esperienza di My. che, come osservato supra, eroga anche servizi aggiuntivi, simili a quelli garantiti dai radiotaxi (convenzioni con istituti bancari, aziende di distribuzione di carburante e scontistiche dedicate per case automobilistiche; servizi di intermediazione con il cliente per il recupero dei pagamenti delle corse il cui pagamento tramite l’App non sia andato a buon fine, corresponsione di una somma forfettaria nel caso in cui il cliente non si presenti dopo aver richiesto la corsa; corsi di formazione su tematiche etiche-comportamentali; monitoraggio del rispetto della regolazione da parte dei tassisti – par. 59 e 60 provvedimento e doc. 12 produzione Autorità in primo grado).
Non potrebbe, infine, giungersi a diversa soluzione neanche invocandosi la capacità del sistema radiotaxi di assicurare in maniera asseritamente più rigorosa il rispetto della disciplina di settore, tenuto conto che l’attività di controllo su eventuali illeciti commessi dai tassisti, comportando la violazione della disciplina amministrativa di regolazione del servizio pubblico non di linea, non è di competenza dei radiotaxi, bensì dei soggetti pubblici a ciò istituzionalmente deputati (profilo valorizzato al par. 240 del provvedimento).
Peraltro, deve esigersi dai tassisti, in qualità di incaricati di un servizio pubblico (sulla qualificazione del servizio taxi come servizio pubblico, cfr. Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 3586/2015 del 23/12/2015), il rispetto della normativa di settore, a prescindere dall’eventuale previsione di forme di controllo privato esercitabili dai radiotaxi.
4.2.2 L’esistenza di un sufficiente grado di intercambiabilità deve essere affermata anche con riferimento al lato del consumatore finale, come correttamente rilevato dall’Autorità .
In particolare, avuto riguardo all’uso del prodotto, entrambe le piattaforme tendono a soddisfare il medesimo bisogno, integrato dalla necessità di trasporto pubblico non di linea (elemento giustamente valorizzato al par. 178 del provvedimento).
Relativamente all’elemento del prezzo, il costo del servizio di intermediazione non grava sull’utente, risultando, quindi, indifferente l’utilizzo di una piattaforma radiotaxi o di una piattaforma digitale.
Con riguardo alla qualità del servizio offerto, sono controverse, da un lato, le differenti caratteristiche di accessibilità del servizio, dall’altro, le diverse modalità attraverso cui avviene l’intermediazione e i differenti servizi aggiuntivi erogabili dalle due tipologie di piattaforma.
Sotto il primo profilo, l’utilizzo di un’applicazione digitale richiederebbe la disponibilità di uno smartphone, una connessione dati attiva e un continuo aggiornamento del programma scaricato sul dispositivo individuale; elementi non presenti in caso di chiamata telefonica al radiotaxi.
Sotto il secondo profilo, la geolocalizzazione, la possibilità di pagamento tramite app, la possibilità di memorizzare dati informativi in relazione alle chiamate e corse effettuate o la predisposizione di un sistema di rating del tassista sarebbero elementi propri di una piattaforma digitale, tali da escludere l’intercambiabilità con il sistema radiotaxi.
Al riguardo, in primo luogo, giova evidenziare come, nella definizione del mercato rilevante, debba essere accertato un sufficiente grado di intercambiabilità, non richiedendosi una totale intercambiabilità dei prodotti.
Come precisato da questo Consiglio, “La nozione di mercato rilevante implica che vi possa essere concorrenza effettiva tra i prodotti o servizi che ne fanno parte, il che presuppone un sufficiente grado di intercambiabilità per lo stesso uso tra tutti i prodotti o servizi che fanno parte dello stesso mercato (Corte di Giustizia, sentenza del 13 febbraio 1979, Hoffmann-La Roche/Commissione, C-85/76, punto 28). L’intercambiabilità o la sostituibilità non si valuta unicamente in relazione alle caratteristiche oggettive dei prodotti e dei servizi di cui trattasi. Si devono prendere in considerazione anche le condizioni della concorrenza, nonché la struttura della domanda e dell’offerta nel mercato (Corte di Giustizia, sentenza del 9 novembre 1983, Nederlandsche Banden-Industrie-Michelin/Commissione, C-322/81, punto 37)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990).
Ne deriva che l’Autorità non è chiamata a verificare se l’acquisto dei servizi in comparazione sia indifferente per la totalità dei consumatori e, quindi, determini un’integrale sostituzione della domanda al miglioramento di taluna delle condizioni di vendita del prodotto concorrente: la stessa Commissione europea, nell’ambito della Comunicazione sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza, discorre di “sufficiente” sostituzione della domanda (punto 18), nozione compatibile con quella di sufficiente grado di intercambiabilità accolta dalla giurisprudenza di questo Consiglio.
Inoltre, come precisato dalla Corte di Giustizia (30 gennaio 2020, in causa C-307/18, Generics (UK) Ltd) l’intercambiabilità e la sostituibilità dei prodotti presentano naturalmente un carattere dinamico, in quanto una nuova offerta di prodotti può modificare la concezione dei prodotti considerati intercambiabili con un prodotto già presente sul mercato o come sostituibili a tale prodotto e, in tal modo, giustificare una nuova definizione dei parametri del mercato rilevante.
Infine, la discrezionalità tecnica esercitata dall’Autorità, come precisato nell’esame del primo motivo di impugnazione, non può ritenersi soggetta ad un sindacato giudiziale sostitutivo, dovendo il giudice limitarsi a verificare se la risposta fornita dall’Autorità nella “contestualizzazione” dei parametri giuridici indeterminati e nel loro raffronto con i fatti accertati rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate, che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 marzo 2020, n. 1943).
Sulla base di tali premesse ricostruttive, benché debba riconoscersi la sussistenza di “una quota ancora rilevante di consumatori che si avvalgono di modalità di chiamata non tramite app” (par. 181 provvedimento), deve, tuttavia, rilevarsi che la disponibilità di un dispositivo abilitato alla navigazione sia sufficientemente diffuso tra la popolazione, tenuto conto dell’evoluzione tecnologica e della tipologia di clientela del servizio taxi nel mercato milanese.
In particolare, l’evoluzione tecnologica si è chiaramente manifestata proprio nel Comune di Milano attraverso la sostituzione delle colonnine site nei posteggi pubblici – ritenute dalla stessa amministrazione locale ormai obsolete (cfr. doc. 14 prodotto in primo grado, recante il verbale di audizione dei rappresentanti del Comune di Milano) – con il “numero unico comunale”, funzionante “con un’applicazione smartphone con funzioni di geo-localizzazione” (doc. 14 cit.).
Tale canale di raccolta e smistamento delle richieste di servizio taxi -che, dal lato del tassista, richiede lo scaricamento dell’applicazione digitale su apposito dispositivo abilitato alla navigazione; dal lato dell’utente, consente l’utilizzo del telefono, del sito internet dedicato o dell’apposita applicazione digitale (par. 85 provvedimento)- dimostra come (anche) il servizio di ricerca del taxi sia soggetto ad un’inevitabile evoluzione tecnologica, suscettibile di manifestarsi attraverso l’impiego di applicazioni digitali scaricabili su dispositivi abilitati alla navigazione Internet in possesso degli utenti.
L’evoluzione tecnologica costituisce, quindi, un elemento idoneo a giustificare una nuova definizione dei parametri del mercato rilevante, mutando la concezione dei prodotti considerati intercambiabili.
Così come la colonnina ubicata nei parcheggi destinati allo stazionamento dei taxi è stata sostituita, in quanto evidentemente ritenuta intercambiabile, con un nuovo strumento tecnologico funzionante con un’applicazione scaricabile su uno smartphone abilitato alla navigazione e fondato sulla geolocalizzazione; parimenti, l’intermediazione nella raccolta e nello smistamento del servizio taxi attraverso il tradizionale canale radiotaxi (implicante una chiamata telefonica) può oggi ritenersi sufficientemente sostituibile, in ragione dell’evoluzione tecnologica in atto nel mercato, con la richiesta del servizio attraverso innovative applicazioni digitali, scaricabili dal tassista e dall’utente sul dispositivo personale abilitato alla navigazione, sempre incentrate sulla geolocalizzazione.
La circostanza è confermata, altresì, dallo studio KP. posto a fondamento del provvedimento impugnato in primo grado, in cui si dà atto dell’esistenza di fenomeni di evoluzione tecnologica e digitalizzazione informatica verificatesi nell’ultimo decennio che hanno favorito, tra l’altro, l’utilizzo di nuove tecnologie per facilitare l’incontro tra domanda ed offerta, rispondendo alle esigenze più specifiche di alcune fasce di consumatori (nota 74 del provvedimento antitrust).
Tale conclusione è avvalorata, infine, dalle caratteristiche proprie di una città come Milano, correttamente reputata dall’Autorità città “interessata da ingenti flussi di viaggiatori provenienti dall’estero, per affari o turismo” (par. 74 provvedimento), circostanza certamente non bisognosa di prova, in quanto notoriamente conosciuta e comunque non specificatamente contestata dalla parte appellata.
Pertanto, posto che ragionevolmente i viaggiatori provenienti dall’estero, specie per affari e, quindi, nell’esercizio di un’attività economica, hanno la disponibilità di dispositivi personali abilitati alla navigazione Internet, considerato che detti viaggiatori, visitando un Paese straniero sono, di regola, privi di un mezzo di trasporto e, quindi, manifestano una particolare propensione all’utilizzo del servizio pubblico non di linea del taxi, deve confermarsi l’esistenza di un sufficiente grado di intercambiabilità dei prodotti, non costituendo la disponibilità di un dispositivo abilitato alla navigazione internet con connessione dati attiva un ostacolo, per un apprezzabile quota degli utenti taxi, al godimento del servizio di intermediazione.
La configurazione di un unico mercato dell’intermediazione non è neanche contestabile, facendo leva sull’asserita diversità delle modalità di intermediazione, desumibili dal sistema di geolocalizzazione usato dalle piattaforme digitali, dalle modalità di pagamento mediante l’App scaricata sul dispositivo dell’utente, dalla possibilità di memorizzare dati informativi in relazione alle chiamate e corse effettuate o dalla possibilità di esprimere un giudizio sulla qualità del servizio taxi.
Difatti, l’utente che intenda soddisfare le proprie esigenze di trasporto mediante il servizio taxi mira ad ottenere un servizio standardizzato, accedendo ad un servizio pubblico non di linea, soggetto ad una uniforme regolamentazione amministrativa, tesa a salvaguardare l’integrità psico-fisica delle persone trasportate e la sicurezza della circolazione stradale.
Il servizio, in particolare, come correttamente rilevato dall’Autorità al par. 22 e al par. 23 del provvedimento, si caratterizza, tra l’altro, per l’obbligatorietà della prestazione, la determinazione in via amministrativa della tariffa e delle modalità del servizio, l’obbligo di stazionamento su piazza; ragion per cui lo stesso si presenta come volto a soddisfare un bisogno dell’utenza da ritenere standardizzato.
L’art. 2 L. n. 21/92 prevede espressamente che il servizio si rivolge ad un'”utenza indifferenziata”; il che conferma come il servizio di trasporto tenda a garantire una prestazione uniforme, valevole per ogni tipologia di clientela.
Benché ciascuna piattaforma sia in condizione di assicurare al consumatore finale, in ragione delle rispettive caratteristiche tecniche, servizi diversificati, afferenti (ad esempio) alla modalità di localizzazione, alle modalità di pagamento, alla contabilizzazione della corsa effettuata, al rating di qualità del tassista, detti servizi – ad avviso del Collegio, sulla base del contesto giuridico ed economico di riferimento, compiutamente ricostruito nel provvedimento antitrust (parr. 22 e ss.) – devono ritenersi accessori, in quanto rivolti ad un’utenza che, accedendo ad un servizio pubblico standardizzato in ragione del regime amministrativo cui è assoggettato, si presenta come indifferenziata e, quindi, titolare di un bisogno (trasporto individuale o di piccoli gruppi di persone) realizzabile secondo modalità parimenti uniformi.
La diversa tecnologia impiegata nell’attività di intermediazione (radiotaxi o applicazioni digitali) e i correlati servizi aggiunti dalla stessa forniti non consentono, quindi, di escludere l’integrazione di un sufficiente grado di intercambiabilità, anche dal lato del consumatore finale, tra il servizio radiotaxi e il servizio di intermediazione con applicazione digitale.
Peraltro, come correttamente rilevato dall’Autorità al par. 181 del provvedimento, l’evoluzione tecnologica ha influito, altresì, sull’attività dei radiotaxi e sui servizi dagli stessi forniti, in particolare, per effetto della diffusione presso i radiotaxi sia di applicazioni digitali utilizzabili per l’attività di intermediazione, sia di modalità di pagamento elettroniche.
Difatti:
– da un lato, l’utilizzo di applicazioni digitali da parte dei radiotaxi (in particolare, Ta., aderente all’apptaxi e aderente all’App it. – cfr. parr. 39 e 70 provvedimento, nonché nota 47) conferma che l’evoluzione tecnologica pone a disposizione degli operatori economici nuovi strumenti impiegabili per lo svolgimento della propria attività di intermediazione, la quale non muta a seconda della tecnologia concretamente impiegata; Ta. e -deve ritenersi- continuano ad operare nel medesimo mercato (di intermediazione nella ricerca e nello smistamento della domanda di servizio taxi) anche utilizzando applicazioni digitali, che, pertanto, non possono considerarsi elemento discriminante nella definizione del mercato rilevante;
– dall’altro, la diffusione presso i tassisti affiliati ai radiotaxi di modalità di pagamento elettroniche (imposte dai regolamenti di servizio o dai contratti di somministrazione conclusi con i radiotaxi – cfr. art. 12, sez. II regolamento Ta. sub doc. 10 cit. o art. 4, lett. d contratto di somministrazione sub doc. 9 cit.) conferma, parimenti, come la possibilità di pagamento mediante applicazione digitale, configurando un mezzo di pagamento elettronico, non costituisce un elemento essenziale nella definizione dei mercati, risultando previsti servizi analoghi (idonei a soddisfare il medesimo bisogno con modalità sufficientemente intercambiabili) anche dai radiotaxi; ad ulteriore comprova dell’unitarietà del mercato.
4.2.3 Il sufficiente grado di intercambiabilità tra le due tipologie di piattaforma di intermediazione, infine, risulta confermato anche dal contenuto delle clausole di non concorrenza per cui è controversia, la cui applicazione è stata intesa come operante anche nei confronti delle piattaforme tecnologiche; a dimostrazione di come le stesse parti del procedimento abbiano ritenuto di svolgere attività in concorrenza con le piattaforme digitali, operando, per l’effetto, nel medesimo mercato rilevante.
Difatti:
– come emergente dall’allegato n. 1 al verbale di ispezione presso gli uffici di Au. (doc. 4 cit.), i rappresentanti della cooperativa hanno dato atto che vi è stata la deliberazione dell’esclusione di un socio, per violazione della clausola di esclusiva, avendo utilizzato My.;
– l’art. 4 sez. I regolamento Ta. 2017 (doc. 10 cit.) rende applicabile la clausola di esclusiva ad ogni struttura di smistamento e/o ricezione delle chiamate per corse taxi telefoniche, telematiche e/o veicolate con qualsiasi altro mezzo tecnologico; anche i verbali della Commissione Disciplinare Ta. prodotti in primo grado dall’Autorità sub docc. 17-21 documentano l’irrogazione di sanzioni, per effetto dell’adesione a My., nei confronti di tassisti appartenenti alla cooperativa;
– il divieto di rivolgersi ad esercenti l’attività di intermediazione mediante App è espressamente contemplato anche all’art. 5, lett. c, contratto di somministrazione (doc. 9 cit).
Pertanto, la stessa circostanza per cui i radiotaxi parti del procedimento hanno ritenuto applicabili le clausole di esclusiva anche in caso di utilizzo dell’App My. dimostra come la tecnologia impiegata per l’attività di intermediazione non osti alla configurazione di un rapporto di concorrenza tra radiotaxi e piattaforme digitali, entrambe operanti sul medesimo mercato rilevante.
4.2.4 Non potrebbe giungersi ad una diversa conclusione neanche sulla base del precedente di questo Consiglio (n. 1547/2020), in quanto riguardante un provvedimento cautelare ex art. 14-bis della l. 287/1990, assunto con riferimento ad un abuso di posizione dominante.
Preliminarmente, si osserva che la determinazione del mercato rilevante svolge una funzione diversa a seconda che si faccia questione di abuso di posizione dominante ovvero di intesa restrittiva della concorrente.
In materia di abuso di posizione dominante, come osservato, in linea di principio, la definizione del mercato rilevante costituisce un presupposto per valutare l’eventuale esistenza di una posizione dominante, dovendosi definire il perimetro all’interno del quale esaminare la questione se l’impresa sia in grado di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e dei consumatori (cfr. Corte di Giustizia U.E., 30 gennaio 2020, in causa C-307/18, Generics (UK) Ltd).
In materia di intese, invece, la definizione del mercato rilevante tende a determinare se l’intesa sia tale da arrecare pregiudizio al commercio tra Stati membri (per quanto di interesse nel presente giudizio, in cui si fa applicazione dell’art. 101 TFUE) e abbia per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in modo sensibile il gioco della concorrenza nell’ambito del mercato comune (cfr. Corte di Giustizia U.E., 11 luglio 2013, in causa C-439/11 P, Ziegler SA, punto 71).
Ne deriva che nella valutazione della condizione relativa al pregiudizio sensibile al commercio tra Stati membri, i requisiti che deve soddisfare la definizione del mercato variano in funzione delle circostanze di ogni caso di specie (Corte di Giustizia U.E., 11 luglio 2013, in causa C-439/11 P, Ziegler SA, punto 72); non potendosi aprioristicamente estendere una definizione di mercato rilevante, operata con riguardo ad una fattispecie di abuso di posizione dominante, ad ipotesi in cui venga in rilievo la differente fattispecie di intesa restrittiva della concorrenza; peraltro avuto riguardo ad un mercato geografico differente.
Tanto è confermato dallo stesso precedente n. 1547/2020 cit. invocato dalla cooperativa appellata, in cui si precisa che “l’identificazione del mercato rilevante nel giudizio antitrust (in ogni caso ineludibile: cfr. Cass., I, 4 giugno 2015 n. 11564; id., 18 aprile 2019 n. 9579; id., 12 novembre 2019 n. 29237) va diversamente calibrata con riguardo alla natura dell’illecito contestato e della conseguente misura, che dev’esser così proporzionata rispetto allo scopo cautelare”.
In ogni caso, il precedente citato dalla parte appellata è intervenuto con riferimento ad uno stato del procedimento amministrativo anticipato, avendo pronunciato su un provvedimento amministrativo avente funzione cautelare.
Sotto tale profilo, questo Consiglio nel precedente in esame ha rilevato che, anche nell’adozione di siffatte misure cautelari, la definizione del mercato rilevante deve apparire prima facie in modo plausibile e non ipotetico, né è in sé rinviabile ad altro momento; non potendosi, pertanto, ammettere una valutazione sommaria o un rinvio ad altro procedimento, nel qual caso basterebbe da solo il procedimento principale.
Sulla base di tali premesse con la sentenza n. 1547/2020, pertanto, questo Consiglio si è pronunciato sulla sola sussistenza dei presupposti della cautela, giungendo ad un giudizio negativo, non ravvisando un’autoevidente o logicamente intuitiva piena fungibilità tra le piattaforme, che avrebbe dovuto essere accertata all’esito dell’istruttoria.
Nel caso in esame, invece, la definizione del mercato è stata approfonditamente analizzata dall’Autorità sulla base delle risultanze istruttorie del procedimento principale (cfr. le statuizioni sul primo motivo di impugnazione), da cui è emersa la ricorrenza di un sufficiente grado di intercambiabilità tra i servizi di intermediazione (non occorrendo, come già osservato, che i prodotti siano del tutto intercambiabili), a prescindere dalla tecnologia concretamente utilizzata.
4.2.5 Infine, non potrebbe giungersi ad una diversa decisione neanche sulla base del mancato coinvolgimento dei tassisti e dei consumatori nell’ambito del procedimento.
Le valutazioni svolte dall’Autorità tengono conto non soltanto del contributo fornito dalle parti del procedimento, ma anche di ulteriori e rilevanti elementi informativi acquisiti dal Comune di Milano (in specie, in relazione alla sostituzione delle colonnine con il numero unico comunale – doc. 14 cit.) e da uno studio di mercato KP. riferito al mercato taxi, aventi ad oggetto (tra l’altro), come osservato, l’impatto della tecnologia nello smistamento delle richieste del servizio taxi nel mercato milanese; elementi istruttori da ritenere certamente valutabili ai fini della definizione del mercato rilevante, anche alla stregua di quanto emergente nel punto 41 della Comunicazione della Commissione sulla definizione del mercato rilevante, in cui viene valorizzata l’importanza degli studi di mercato.
4.3 Alla stregua delle osservazioni svolte, il quarto motivo di appello principale e il secondo motivo di appello incidentale sono fondati, avendo l’Autorità, sulla base delle evidenze istruttorie raccolte in sede procedimentale e del quadro regolatorio di riferimento, correttamente definito il mercato rilevante del prodotto, con valutazioni plausibili, ragionevoli e proporzionate.
Il sufficiente grado di intercambiabilità tra le due tipologie di piattaforma di intermediazione, a prescindere dalla tecnologia utilizzata, sia dal lato dei tassisti che dal lato dei consumatori, rende infondate (anche) le contestazioni sollevate dalla cooperativa appellata in ordine alla mancata considerazione dell’interrelazione tra le preferenze dei tassisti e dei consumatori. Fermo rimanendo che tale interrelazione è stata riconosciuta dall’Autorità (cfr. par. 176 provvedimento), come osservato, per entrambe le categorie viene comunque in rilievo il medesimo prodotto e, pertanto, l’atteggiamento dei tassisti non potrebbe essere condizionato da una diversa valutazione di intercambiabilità espressa dai consumatori.
4.4 Sotto il profilo del mercato geografico, non si registra, invece, una statuizione giudiziale di prime cure, né al riguardo risultano espressamente riproposti in appello motivi di censura secondo le forme di cui all’art. 101, comma 2, c.p.a.; ragion per cui la relativa questione non rientra nel thema decidendum del presente giudizio.
In ogni caso, è sufficiente rilevare che, nel caso di specie, l’Autorità ha definito correttamente una dimensione locale del mercato interessato, corrispondente all’ambito territoriale del Comune di Milano (par. 183 provvedimento), entro cui sono registrabili condizioni di concorrenza sufficientemente omogenee.
I radiotaxi e le piattaforme digitali, infatti, intermediano la domanda di servizio taxi, tuttavia, soggetta ad una regolazione pubblicistica. I tassisti, in particolare, sono tenuti ad osservare limiti territoriali nello svolgimento della propria attività economica, essendo necessario che il prelevamento dell’utente ovvero l’inizio del servizio avvengano all’interno dell’area comunale o comprensoriale (cfr. art. 2, comma 1, L. n. 21/92).
Pertanto, posto che i canali di intermediazione della domanda di servizio taxi sono volti a mettere in contatto il cliente e il tassista e che l’inizio del servizio o il prelevamento dell’utente deve avvenire in ambito comunale, ad opera di tassisti titolari di licenze rilasciate dall’ente comunale (art. 8 L. n. 21/92), è ben probabile che le condizioni di concorrenza dell’attività di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi siano sufficientemente omogenee soltanto in ambito comunale (dipendendo, altresì, dalle affiliazioni dei tassisti alle piattaforme di intermediazione, computabili soltanto su base comunale).
Nella specie, l’Autorità ha provveduto a rilevare le condizioni di mercato, avuto riguardo all’operatività dei principali tre radiotaxi nell’ambito del Comune di Milano, registrando sull’intero territorio comunale situazioni concorrenziali omogenee, espresse dalle quote di mercato detenute dalle parti, costanti nel tempo (2015-2017); il che manifesta la correttezza anche della definizione del mercato geografico.
IV Sulla sussistenza di un effetto anticoncorrenziale, sul danno concorrenziale, sul test Delimitis e sui presupposti di esenzione degli accordi verticali
1.1 Con il terzo motivo di appello (punto 5 motivi in diritto, rubricato “L’applicazione dell’esenzione ex art. 101. 3 TFUE”) l’Autorità ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto erronea la valutazione amministrativa sui presupposti di esenzione delle intese per cui è controversia.
Al riguardo, il Tar ha rilevato che la circostanza per cui il provvedimento abbia valutato l’effetto cumulativo di blocco ha viziato, da un punto di vista metodologico e al di là del merito del convincimento raggiunto, la valutazione operata dall’Autorità in punto di applicabilità o meno del regime di esenzione, valutazione che avrebbe dovuto essere correttamente riferita a ciascun operatore singolarmente considerato e poi operata in relazione al mercato nel suo complesso; la motivazione del provvedimento non risulterebbe corretta anche laddove ancorata alla durata indeterminata delle clausole di esclusiva, in quanto non coerente con la previsione, nei vari statuti e rapporti contrattuale, del diritto di recesso.
A giudizio dell’Autorità, il Tar – rilevando che la valutazione amministrativa avrebbe dovuto essere correttamente riferita a ciascun operatore singolarmente considerato e poi operata in relazione al mercato nel suo complesso – avrebbe svolto un ragionamento contraddittorio, ritenendo, da un lato, che la fattispecie litigiosa non costituisse un fascio di intese verticali, dall’altro, che fosse necessaria una valutazione propria di un’intesa verticale.
Inoltre, i presupposti di esenzione di cui all’art. 101.3 TFUE avrebbero dovuto essere provati dalle imprese, dovendo l’Autorità limitarsi a valutare le evidenze e le argomentazioni svolte dalle parti, il che sarebbe correttamente avvenuto nella specie: la presenza di clausole di non concorrenza a tempo indeterminato sarebbe stata idonea a recare una significativa restrizione della concorrenza con evidenti ostacoli alla nascita e allo sviluppo di nuovi operatori, con conseguente mancata integrazione delle quattro condizioni cumulative richieste dall’art. 101, par. 3, TFUE; né a diversa conclusione avrebbe potuto pervenirsi sulla base della previsione del diritto di recesso in favore dei tassisti aderenti ai radiotaxi parti del procedimento, trattandosi comunque di rimedio strettamente conseguenziale all’esistenza di una clausola di non concorrenza a tempo indeterminato.
1.2 Il terzo motivo di appello deve essere esaminato congiuntamente al quinto motivo di appello principale (punto 7 motivi in diritto, rubricato “La valutazione delle clausole di esclusiva”), con cui l’Autorità ha contestato l’erroneità della sentenza di primo grado, nella parte in cui ha ritenuto illegittima la valutazione delle clausole di esclusiva, sebbene la relativa analisi fosse stata condotta in coerenza con la giurisprudenza formatasi in materia.
Al riguardo, il Tar ha rilevato che:
– la nozione di danno concorrenziale accolta dall’Autorità non risultava correlata alla preclusione all’ingresso o alla mancata crescita del concorrente My. (tanto che lo stesso provvedimento dà atto della presenza crescente del mercato della denunciante), ma al mancato raggiungimento del livello di performance che quello specifico concorrente si attendeva; essendosi l’Autorità soffermata a rilevare come la società controinteressata non avesse “potuto rafforzare adeguatamente la propria rete di tassisti al fine di disporre di una capacità proporzionata in termini di corse”, soffermandosi, diffusamente, sul numero di tassisti attivi di cui My., sulla base di dati da essa forniti, avrebbe avuto bisogno per evadere le domande ricevute; peraltro, nel provvedimento risultava operato un giudizio comparativo tra le diverse modalità operative (piattaforme aperte e piattaforme chiuse), estraneo alla attività repressiva tipica dell’AGCM, tale da sconfinare in un’attività latu sensu regolatoria, non esercitabile nell’ambito di provvedimenti singolari;
– il provvedimento mostrava una carenza istruttoria e motivazionale in punto di ricorrenza del nesso eziologico tra clausole di esclusiva ed effetto preclusivo; difatti, i paragrafi da 234 a 238, a ciò dedicati, non menzionavano riferimenti ad accertamenti istruttori idonei a supportare le affermazioni rassegnate, essendo il mero prodotto di una logica argomentativa incentrata su assunti non dimostrati o desunti da dati forniti dalla denunciante (come avvenuto per la rilevanza attribuita alla differenza tra tassisti “affiliati” e tassisti “attivi”); peraltro, la reiezione della prospettazione delle parti del procedimento in ordine alle spiegazioni alternative lecite alla mancata espansione di My. secondo le aspettative della medesima (rappresentate, tra le altre, dalla lunga vigenza delle stesse in assenza di effetti preclusivi all’ingresso di nuovi operatori, dall’esistenza di un turn over di tassisti tra le varie società esistenti e dalla stessa politica di convenzionamento di My.) erano state respinte sulla base di affermazioni spesso apodittiche o meramente argomentative, prive di richiami ad emergenze empiriche;
– l’Autorità era incorsa in errori procedurali nell’esecuzione del test Delimitis, caratterizzato da un sintetico esame di alcune questioni in tema di recesso, con completa assenza di richiami ad elementi istruttori obiettivamente acquisiti, volti a dimostrare lo svolgimento delle necessarie analisi economiche nelle quali il test si compendia.
Secondo la prospettazione dell’appellante, invece, l’Autorità non avrebbe verificato la possibilità del nuovo entrante di raggiungere il livello di performance atteso, bensì avrebbe svolto un’analisi tesa ad accertare se l’ampia rete di esclusive avesse impedito agli operatori concorrenti di operare nel mercato; conformemente a quanto richiesto dalla giurisprudenza formatasi in materia.
Nell’analizzare l’effetto preclusivo discendente da una rete di intese verticali, inoltre, l’Autorità avrebbe compiutamente esaminato la quota di mercato bloccata per effetto delle clausole di non concorrenza e la sua idoneità ad impedire l’ingresso o la crescita dei concorrenti, alla stregua delle caratteristiche del mercato. Dai dati riportati nel provvedimento sarebbe, infatti, emerso che la quota di tassisti vincolati sarebbe risultata superiore all’85% e stabile nel tempo; nonché che la quota di tassisti disponibili sarebbe stata estremamente modesta e tale da dimostrare la portata escludente della rete di esclusive.
Tale analisi sarebbe stata confermata dall’esame dell’effetto concreto delle clausole di non concorrenza in relazione alla posizione di My., essendo stato accertato che il numero di tassisti disponibili non era stato concretamente idoneo a consentire al nuovo operatore di soddisfare la maggior parte delle chiamate ricevute (arrivando a punte del 75/80% di chiamate inevase, a fronte delle diverse performances ottenute dai suoi concorrenti, che avevano sempre avuto la possibilità di offrire un servizio del tutto coerente con la domanda di corse).
L’indagine svolta avrebbe, quindi, dimostrato che effettivamente l’ampia rete di esclusive aveva precluso all’operatore nuovo entrante di operare nel mercato, dato che i risultati delle sue performance sarebbero stati del tutto inadeguati non rispetto ai suoi obiettivi, ma rispetto allo standard del mercato.
I dati impiegati dall’Autorità, da ritenere attendibili, in quanto forniti proprio dalle imprese parti dell’intesa, avrebbero anche consentito di svolgere correttamente il test Delimitis, in concreto non limitato ad alcune questioni in tema di recesso – la cui teorica possibilità non avrebbe potuto compensare l’effetto restrittivo dell’intesa, attesi i costi e rischi connessi a tale eventualità – bensì esteso a tutti gli aspetti rilevanti per la valutazione di una rete di intese verticali: contenuto assoluto delle esclusive, durata, ampiezza della rete ed impossibilità degli operatori nuovi entranti di operare nel mercato con i soli tassisti non vincolati.
Sarebbero state, inoltre, trattate nel provvedimento le questioni concernenti: a) il diritto di recesso e, in particolare, la sua inidoneità -in quanto economicamente non conveniente- a compensare la portata restrittiva delle clausole di non concorrenza; b) il turn over dei tassisti da un operatore all’altro, reputato basso e non soggetto ad apprezzabili mutamenti dopo l’ingresso di My.; nonché c) la politica di convenzionamento di My., con particolare riferimento ai dati concernenti il numero di tassisti affiliati.
Sotto tale ultimo profilo, peraltro, il Tar avrebbe errato nel ritenere ingiustificata la distinzione tra tassisti affiliati e tassisti attivi nell’uso dell’App My., essendosi in presenza di situazioni tra loro differenti: l’affiliazione si risolverebbe nel mero scaricamento dell’applicazione della piattaforma, senza vincolo di esclusiva o di suo utilizzo; il che, di per sé, non consentirebbe di misurare la capacità effettiva di penetrazione del nuovo operatore nel mercato.
Non sussisterebbe alcun indizio idoneo ad avvalorare la tesi per cui l’Autorità avrebbe agito per favorire un operatore rispetto agli altri, essendo connotato l’agire amministrativo dall’unico obiettivo di impedire che alcune imprese ostacolino illecitamente l’iniziativa economica di nuovi operatori.
Nella specie, inoltre, il provvedimento assunto dall’Autorità si caratterizzerebbe per l’aver conciliato contrapposte esigenze delle parti, preservando l’efficienza ed il modello di business dei radiotaxi: difatti, non sarebbe stato contestato il vincolo di esclusiva in sé, ma un’esclusiva assoluta, tale da impedire sempre ai tassisti di accettare le corse proposte da piattaforme alternative, anche quando ciò si tradurrebbe in un ostacolo al funzionamento del radiotaxi e, quindi, anche a costo di rimanere a lungo inattivi; risultando un tale vincolo restrittivo della concorrenza e non necessario per assicurare alla cooperativa un efficiente impiego dei tassisti affiliati.
L’incapacità di My. di evadere ampia parte delle domande di servizio ricevute non potrebbe essere imputata, a fronte del quadro di mercato descritto nel provvedimento, a ragioni diverse dall’effetto anticoncorrenziale delle intese in contestazione.
2. I motivi di appello principale devono essere trattati insieme ai motivi di appello incidentale, diretti contro i capi di sentenza riguardanti l’individuazione degli elementi caratterizzanti le clausole di esclusiva, il loro effetto anticoncorrenziale e la conduzione del test Delimitis (terzo, quinto e sesto motivo di appello incidentale).
2.1 In particolare, con il terzo motivo di appello incidentale, My. ha censurato l’erroneità della sentenza di primo grado, nella parte in cui ha riscontrato “asseriti vizi di motivazione e di istruttoria in relazione all’individuazione delle caratteristiche strutturali dell’intesa, all’effetto cumulativo di blocco e all’applicabilità del regime di esenzione”.
A giudizio dell’appellante incidentale, diversamente da quanto statuito dal Tar, l’Autorità avrebbe indagato in maniera adeguata le caratteristiche dei vincoli di non concorrenza, le modalità di loro funzionamento, l’insufficienza del recesso a superare i problemi concorrenziali rilevati, le ragioni ostative all’integrazione dei presupposti di esenzione di cui al Regolamento UE n. 330/2010 e all’art. 101, par. 3, TFUE, nonché l’effetto cumulativo anticoncorrenziale prodotto da siffatti vincoli.
Nella specie, inoltre, non potrebbe trovare applicazione il regime di esenzione per categoria di cui al Reg. UE n. 330/2010, facendosi questione di clausola di non concorrenza a tempo indeterminato (cfr. art. 5, comma 1, lett. a), Reg. UE n. 330/2010), nonché di operatore economico detentore di una quota di mercato superiore alla soglia del 30%, prevista per l’applicabilità dell’esenzione di cui all’articolo 5 del Regolamento n. 330/2001; né la portata anticoncorrenziale delle clausole di esclusiva potrebbe essere eliminata facendo riferimento alla possibilità di recesso contrattuale, in quanto non rilevante ai sensi del Reg. n. 330/2001 e comunque non effettiva in ragione della rinuncia ai benefici da economie di rete e della perdita dei costi affondati che tale scelta comporterebbe ai danni dei tassisti. L’Autorità avrebbe anche dimostrato l’insussistenza dei presupposti di esenzione di cui all’art. 101. par. 3, TFUE.
Infine, l’Autorità avrebbe correttamente esaminato l’effetto cumulativo discendente dalla presenza di una rete di intese verticali, conformemente agli orientamenti della Commissione Europea sulle restrizioni verticali.
2.2 Con il quinto motivo di appello incidentale My. ha censurato l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha rilevato “asseriti vizi in relazione all’individuazione del danno concorrenziale provocato dall’intesa e circa il nesso causale tra le clausole di non-concorrenza e l’effetto di chiusura del mercato”.
In particolare, diversamente da quanto ritenuto dal Tar, l’Autorità non avrebbe condotto un’analisi tesa ad esprimere un giudizio di preferenza per l’una o l’altra forma di intermediazione, bensì avrebbe dato atto sul piano oggettivo, della quota di mercato (superiore all’85%) vincolata dagli obblighi di esclusiva e della sua afferenza a soli tre operatori radiotaxi, il primo dei quali detentore di una quota superiore al 30%; elementi già da soli sufficienti a ritenere altamente probabile l’effetto restrittivo cumulativo.
L’Autorità, inoltre:
– avrebbe adeguatamente illustrato le ragioni per le quali il numero di tassisti indipendenti non sia sufficiente a controbilanciare l’esistenza di detti vincoli;
– avrebbe svolto correttamente il test Delimitis, analizzando il contesto economico e giuridico di riferimento ed evidenziando l’effettiva produzione di un effetto anticoncorrenziale; prendendo in considerazione l’evoluzione del numero di tassisti aderenti ai radiotaxi nel periodo 2015-2017, rapportato al numero totale di licenze disponibili sul mercato, nonché esaminando l’andamento del numero di richieste per servizio taxi ricevute dalle parti del procedimento, la percentuale delle corse inevase registrata dalle parti, l’offerta espressa e la domanda soddisfatta dalle parti del procedimento; confrontando, quindi, i relativi dati con quelli registrati da My.;
– avrebbe ragionevolmente distinto tra tassisti affiliati e tassisti attivi; distinzione operata dall’Autorità nell’analisi dell’andamento di My. sul mercato, idonea a riflettere il funzionamento della relativa applicazione digitale.
2.3 Con il sesto motivo di appello incidentale My. ha censurato la sentenza di primo grado, nella parte in cui ha rilevato “asseriti errori circa l’applicazione del test Delimitis”, quando, invece, l’analisi condotta dall’Autorità avrebbe valutato l’incidenza dei contratti sull’accesso al mercato, esaminando il numero dei tassisti vincolati ai radiotaxi rispetto a quelli che non lo erano, la durata degli impegni sottoscritti, nonché i quantitativi di capacità produttiva oggetto di detti impegni.
Per l’effetto, correttamente, l’Autorità sarebbe giunta a ritenere le clausole di esclusiva, da un lato, produttive di un effetto anticoncorrenziale, dall’altro, non giustificate alla luce dell’esenzione prevista al par. 3 dell’art. 101 TFUE, non essendo necessarie, né tantomeno proporzionate a preservare il corretto funzionamento dei radiotaxi; al riguardo, l’Autorità avrebbe correttamente valorizzato la quota di capacità produttiva sul fronte dei tassisti detenuta dai radiotaxi, il tasso di evasione delle corse registrato dai radiotaxi, il canone fisso pagato dai tassisti, non parametrato al numero delle corse intermediate, l’attuale possibilità per i tassisti di ricerca diretta del cliente, l’esistenza di altri radiotaxi operanti a Milano in assenza di esclusive, nonché la possibilità per i radiotaxi di monitorare il tasso di occupazione e di disponibilità dei tassisti aderenti.
Con memoria difensiva depositava in vista in data 21.4.2020 l’appellante incidentale ha argomentato sull’impossibilità di giustificare le clausole di esclusiva alla stregua dell’art. 2527 c.c., sia perché non si farebbe questione di attività svolte dai tassisti in concorrenza con la cooperativa cui aderiscono (vertendosi in tema di servizi differenti, di intermediazione e di trasporto locale), sia perché l’art. 2527 c.c. non potrebbe operare per le cooperative di servizi, sia comunque perché dovrebbe essere inteso in senso compatibile con l’ordinamento unionale.
Al riguardo, l’appellante, ha chiesto “nella non creduta ipotesi che l’art. 2527 c.c. venisse interpretato come legittimante la clausola qui in questione – ossia una clausola di acquisito esclusivo di beni e servizi forniti da una cooperativa, anche quando tale clausola è applicata da un soggetto (o da una rete di soggetti) che detiene/detengono una posizione rilevante nel mercato di riferimento – di sollevare questione pregiudiziale, perché sia valutata la compatibilità di tale lettura della norma con l’art. 101 TFUE, letto alla luce della pertinente giurisprudenza UE” (pag. 15 memoria del 21.4.2020).
3. La cooperativa appellata ha eccepito l’infondatezza, altresì, degli ulteriori motivi di impugnazione svolti dalle parti appellanti, riproponendo anche il primo e il quarto motivo di ricorso di primo grado – aventi ad oggetto la liceità delle clausole di esclusiva e l’illegittimità del provvedimento di rigetto degli impegni – per il cui esame si rinvia ai successivi parr. 4.8 e 4.9.
3.1 Nel controdedurre alle censure svolte dalle parti appellanti la ricorrente in primo grado ha dedotto che l’Autorità avrebbe errato nel negare l’esenzione per il sol fatto della durata indeterminata delle clausole di esclusiva, nonostante, da un lato, si trattasse di accordi verticali connotati, come tali, da una natura non marcatamente anticompetitiva, dall’altro, fosse previsto in capo ai tassisti il diritto di recedere dal vincolo negoziale, elemento idoneo a controbilanciare ed attenuare l’effetto derivante dalla durata indeterminata delle clausole in esame.
L’Autorità non avrebbe accertato i reali effetti restrittivi in ipotesi prodotti dalle clausole di esclusiva, bensì avrebbe fondato la propria valutazione su mere asserzioni e sul recepimento acritico delle censure svolte da My., senza svolgere il c.d. test Delimitis alla stregua dei criteri elaborati dalla giurisprudenza europea; i dati raccolti nell’ambito dell’istruttoria, di contro, avrebbero confermato come My. avesse evoluto ulteriormente il proprio modello di business, affermandosi come una realtà di primo piano nel mercato in esame.
3.2 Secondo quanto dedotto dalla cooperativa appellata, pertanto, l’Autorità non sarebbe stata in condizione di provare la portata restrittiva delle clausole di esclusiva, dirottando la relativa indagine antitrust sulla performance dell’operatore segnalante (sulla base, peraltro, di un livello di business arbitrariamente determinato nel provvedimento) ed errando, per l’effetto, nella verifica circa l’esistenza di un fascio di intese verticali e la produzione di effetti anticoncorrenziali da parte delle clausole di esclusiva.
Nella specie non risultava, peraltro, provato che l’attività di My. fosse fallimentare o comunque che il segnalante fosse uscito dal mercato; emergeva, anzi, che My. risultava un operatore affermato a livello nazionale ed europeo. Né avrebbe potuto farsi riferimento al tasso di chiamate inevase, in quanto fisiologicamente elevato per tutti gli operatori del mercato, per ragioni esogene (limitazione del numero di licenze ed eventi incidenti sul traffico stradale, quali condizioni atmosferiche avverse o scioperi) e comunque, quanto alla posizione di My., per inefficienze della stessa piattaforma (cfr. applicazione di una provvigione in percentuale sulla tariffa di ciascuna corsa).
L’Autorità, inoltre, avrebbe errato nel condurre il test Delimitis, tenuto conto che non avrebbe valutato adeguatamente:
– la piena contendibilità di tassisti indipendenti;
– l’assenza di reazione da parte dei radiotaxi all’ingresso di My. nel mercato, non avendo le clausole di non concorrenza trovato applicazione, se non in qualche caso sporadico e comunque per ragioni irrilevanti al fini del presente giudizio, in quanto connesse ad esigenze operative;
– l’assenza di effetti deterrenti riconducibili alle clausole di esclusiva, dimostrata dall’elevata adesione dei tassisti a My.;
– l’assenza di disincentivi tecnico-economici all’abbandono dei radiotaxi da parte dei tassisti aderenti, in ragione di costi affondati quasi nulli (mantenendo il tassista recedente l’autovettura e la licenza) e di eventuali ulteriori costi irrisori (restituzione di contributi o quote associative);
– la possibilità di recesso con costi estremamente limitati e con condizioni idonee a controbilanciare l’esistenza delle clausole di esclusiva (condizioni, peraltro, oggetto di un ulteriore miglioramento con gli impegni proposti dai radiotaxi, irragionevolmente rigettati dall’Autorità ).
Infine, l’Autorità avrebbe omesso di accertare l’effetto preclusivo subito da My., non desumibile dal mancato raggiungimento di soddisfacenti livelli di performance del segnalante (elemento, in ogni caso, irrilevante ai fini della verifica della portata anticompetitiva delle clausole di esclusiva e comunque nella specie neanche correlabile alle intese per cui è controversia). Nell’ambito del provvedimento, da un lato, le valutazioni si sarebbero fondate sul tasso di chiamate inevase, irrilevante e comunque dipendente da fattori esogeni o da inefficienze dell’operatore, dall’altro, non sarebbero stati vagliati gli elementi forniti dai radiotaxi in sede procedimentale, non essendo stata esaminata alcuna variabile alternativa idonea ad incidere sul tasso di chiamate inevase registrato da My. ovvero essendo state ritenute irrilevanti senza idonea motivazione le spiegazioni alternative addotte dai radiotaxi.
4. I motivi di appello (principale e incidentale) sono fondati.
4.1 Preliminarmente, risulta meritevole di accoglimento il motivo di censura riferito alla teoria del danno concorrenziale sottesa al provvedimento impugnato in primo grado.
Nello svolgimento di un procedimento antitrust l’Autorità deve esaminare il gioco della concorrenza nel contesto effettivo in cui esso si svolgerebbe se l’accordo in contestazione non fosse esistito, valutandone l’incidenza sui parametri di concorrenza, quali, in particolare, il prezzo, la quantità e la qualità dei prodotti o dei servizi (Corte di Giustizia U.E., 2 aprile 2020, in causa C-228/18, Gazdasá gi Versenyhivatal, punto 55).
Nel caso di specie, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente e rilevato dal Tar, lo scopo dell’indagine antitrust condotta sul piano procedimentale non è stato quello di verificare se My. avesse raggiunto il tasso di sviluppo atteso, né quello di favorire l’ingresso nel mercato dell’intermediazione sulla domanda di servizio taxi di nuove tecnologie, reputate -in ipotesi- in grado di offrire servizi innovativi e di qualità più elevata.
Come emerge dai parr. 201 e ss. del provvedimento impugnato in primo grado, l’Autorità ha, invece, valutato quale sarebbe stato il gioco concorrenziale in assenza delle clausole di esclusiva convenute tra i tre radiotaxi coinvolti nel procedimento e i rispettivi tassisti aderenti.
In particolare, l’Autorità – anche sulla base del contributo istruttorio fornito dall’Autorità di Regolazione dei Traporti (par. 209 provvedimento) – ha ritenuto che la possibilità per i tassisti di destinare una quota della propria capacità produttiva a piattaforme di intermediazione diverse da quelle di appartenenza potesse:
a) ottimizzare l’impiego della capacità produttiva di ciascun tassista, evitando periodi di inattività all’interno del turno di servizio, con conseguente incremento del numero delle corse (e, quindi, della quantità di servizio taxi erogato) e dei ricavi conseguibili dallo svolgimento dell’attività economica (par. 205);
b) ridurre i costi di adesione alle piattaforme di intermediazione e gli investimenti in hardware e attrezzature, per effetto della concorrenza tra gli intermediari (par. 205);
c) ridurre i tempi di attesa da parte dei clienti, con conseguente riduzione del prezzo della corsa, venendo attivato il tassametro, di regola, nel momento in cui il tassista accetta la corsa e inizia a dirigersi verso il luogo di prelevamento (par. 207);
d) migliorare la qualità dei servizi all’utenza, anche per effetto di politiche promozionali suscettibili di essere stimolate dalla concorrenza tra le piattaforme di intermediazione (par. 206).
Emerge, quindi, che l’Autorità non ha inteso il danno concorrenziale come incapacità di un nuovo operatore di raggiungere il tasso di sviluppo imprenditoriale atteso o come necessaria diffusione di nuove tecnologie reputate più efficienti, né ha svolto alcuna attività regolatoria, bensì – nell’esercizio del potere di accertamento e repressione di illeciti anticoncorrenziali di cui è attributaria – ha verificato se la presenza di clausole di esclusiva, suscettibili di impedire l’ingresso nel mercato o di ostacolare l’attività di nuovi operatori, comportasse una riduzione della quantità e qualità del servizio erogato all’utenza, oltre che un aumento dei prezzi di acquisto del servizio intermediato – anche alla stregua del contributo istruttorio fornito dall’Autorità di regolazione dei trasporti (par. 209)-; il che costituisce l’oggetto del danno alla concorrenza rilevante alla stregua della disciplina antitrust.
4.2 Risultano meritevoli di accoglimento anche i motivi di impugnazione riguardanti l’accertamento dell’effetto anticoncorrenziale.
Come emergente dall’esame delle precedenti censure, nella specie vengono in rilievo reti parallele di intese verticali, produttive di un effetto cumulativo anticoncorrenziale.
La giurisprudenza sovranazionale formatasi in materia (Corte di Giustizia, 28 febbraio 1991, in causa C-234/89, Delimitis) – richiamata anche dalle parti processuali -, ha chiarito la necessità che, ai fini della valutazione degli effetti anticoncorrenziali di una siffatta tipologia di accordi, debba tenersi conto del contesto economico e giuridico di riferimento. L’effetto cumulativo prodotto da numerosi accordi analoghi non è, di per sé, sufficiente per l’integrazione dell’illecito antitrust, configurando uno dei numerosi elementi che consentono di stabilire se, mediante un’eventuale sensibile alterazione del gioco della concorrenza, il commercio tra gli Stati membri possa venire pregiudicato.
In particolare, l’Autorità deve esaminare il contesto economico e giuridico dell’intesa oggetto di accertamento, al fine di valutare, da un lato, se il mercato rilevante sia difficilmente accessibile ai concorrenti che potrebbero ivi insediarsi o espandere la loro quota di mercato, dall’altro, se la rete parallela di intese produca un effetto di blocco, avuto riguardo alla posizione delle parti contraenti sul mercato e alla durata dell’intesa (Corte di Giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, in causa C-214/99, Neste Markkinointi Oy, punti 26 e 27).
L’Autorità, inoltre, nel valutare se un accordo possa integrare gli estremi di un’intesa per effetto, ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, deve tenere conto che “gli effetti restrittivi della concorrenza possono essere sia reali che potenziali ma, in ogni caso, devono essere sufficientemente sensibili (v., in tal senso, sentenze del 9 luglio 1969, Vö lk, 5/69, EU:C:1969:35, punto 7, nonché del 23 novembre 2006, Asnef-Equifax e Administració n del Estado, C- 238/05, EU:C:2006:734, punto 50)” (Corte di Giustizia U.E., 30 gennaio 2020, in causa C-307/18, Generics (UK) Ltd, punto 117).
4.3 Con specifico riferimento al mercato della raccolta e dello smistamento delle domande di servizi taxi nel Comune di Milano, alla stregua delle indicazioni ritraibili dalla giurisprudenza sovranazionale, al fine di valutare l’esistenza di un effetto anticoncorrenziale cumulativo cd. di blocco, occorre, quindi, valutare:
– la natura e l’importanza del complesso delle intese analoghe riscontrabili sul mercato rilevante, tenuto conto a) del numero dei tassisti vincolati alle piattaforme di intermediazione (per effetto delle clausole di esclusiva in esame) rispetto a quello dei tassisti indipendenti, b) della durata degli impegni sottoscritti, nonché c) del quantitativo di capacità produttiva incisa dai vincoli di esclusiva in grado di esprimere ogni tassista;
– la durata delle intese, influendo in misura meno significativa vincoli a tempo determinato e comunque aventi una durata commisurata a quella media dei contratti analoghi conclusi sul mercato rilevante;
– l’esistenza di possibilità reali e concrete per un nuovo concorrente di inserirsi nel mercato, tenuto conto sia del quadro normativo di riferimento incidente sull’attività di intermediazione, sia della possibilità di affiliare i tassisti indipendenti o i tassisti vincolati con gli altri operatori del mercato, valutando (in relazione a tale ultimo profilo) l’effettività del recesso contrattuale e, quindi, la possibilità di configurare detto rimedio, pur ove generalmente ammesso in attratto, come un’alternativa economicamente praticabile;
– le condizioni in cui si sviluppa il gioco della concorrenza sul mercato di riferimento, tenuto conto del numero e della dimensione dei produttori presenti sul mercato, del grado di saturazione del mercato e della fedeltà dei consumatori agli operatori esistenti, essendo di norma più difficile penetrare in un mercato saturo caratterizzato dalla fedeltà dei consumatori a un piccolo numero di grandi operatori che non in un mercato in piena espansione, nel quale opera un gran numero di piccoli produttori che non dispongono di clienti fidelizzati; a tale fine, occorre valutare come la domanda di servizio taxi intermediata si sia sviluppata nel tempo, verificando se sussista un costante aumento del servizio fornito da nuovi operatori;
– in quale misura i contratti stipulati dai radiotaxi coinvolti nel procedimento antitrust abbiano contribuito all’effetto cumulativo prodotto dal complesso dei contratti analoghi rilevati sul mercato, dovendo imputarsi la responsabilità di detto effetto agli operatori che vi abbiano contribuito in modo significativo, tenuto conto della posizione delle parti contraenti (dipendente dalla quota di mercato detenuta e dal numero dei tassisti vincolati rispetto al numero totale dei tassisti rilevati sul mercato di riferimento).
Tali verifiche sono state correttamente svolte dall’Autorità in sede procedimentale, come fondatamente dedotto nei motivi di impugnazione.
4.4 Nel provvedimento impugnato in primo grado si dà conto, in primo luogo, del numero dei tassisti vincolati alle piattaforme di intermediazione rispetto a quello dei tassisti indipendenti, della durata degli impegni sottoscritti, nonché del quantitativo di capacità produttiva (esprimibile da ogni tassista) oggetto dei vincoli di esclusiva.
L’Autorità, infatti, sulla base degli elementi istruttori acquisiti al procedimento, ha rilevato che:
– le licenze taxi rilasciate dal Comune di Milano sono pari a 4.855, il cui numero non è in procinto di aumentare (par. 86 provvedimento; doc. 14, recante il verbale di audizione dei rappresentanti del Comune di Milano);
– l’operatore Ta. ha contato su una rete di tassisti aderenti di 1.700-1.800, con una diminuzione di 50-100 unità negli ultimi tre anni; Au. ha affiliato 1.400-1.500 tassisti con una diminuzione di circa 1-50 unità negli ultimi tre anni; si è avvalsa di una rete di 1.200-1.300 tassisti, con un incremento di 100-150 unità nell’ultimo triennio (parr. 87, 89, 91 e 211 provvedimento – elementi forniti dalle parti e comunque non specificatamente contestati in giudizio);
– le clausole di esclusiva non ammettono limitazione, imponendo ai tassisti di destinare alla piattaforma radiotaxi di affiliazione l’intera capacità produttiva individuale (elemento valorizzato al par. 214 provvedimento), quantificabile in termini di numero di corse erogabili in un definito periodo temporale (cfr. art. 3 Regolamento Au. sub doc. 6 cit.; art. 14 sez. divieti Regolamento Ta. 2013, nonché art. 4 sez. I Regolamento Ta. 2016 e 2017 sub doc. 7, 8 e 10 cit.; art. 5, lett. c) contratto di somministrazione sub doc. 9 cit);
– la capacità produttiva media annua di un tassista varia tra 1675 e 3150 corse (studio di mercato KP., nota 85 provvedimento);
– il numero medio di corse mensili eseguite dai tassisti aderenti ai radiotaxi parti del procedimento si attesa intorno alle 170/180 corse (parr. 87, 89 e 91 – elementi forniti dalle parti e comunque non specificatamente contestati in giudizio), per un totale di 2040/2160 corse annuali; con conseguente mancato sfruttamento dell’intera capacità produttiva esprimibile da ciascun tassista (fino a 3150 corse annuali).
L’esame di tali elementi fattuali conduce a ritenere che il complesso delle intese analoghe riscontrabili sul mercato rilevante assumesse notevole importanza, essendo vincolato oltre l’85% dei tassisti disponibili sul mercato del servizio taxi con clausole di esclusiva assolute, volte ad impedire al tassista aderente di destinare anche una quota minoritaria della propria capacità produttiva in favore di piattaforme in concorrenza con quella di appartenenza.
L’istruttoria ha permesso di accertare, altresì, che i tre radiotaxi parti del procedimento affiliavano la grande maggioranza dei tassisti abilitati al servizio taxi nel Comune di Milano: in particolare, Ta. affiliava il 35/40% dei tassisti milanesi, Au. affiliava il 30/35%, mentre affiliava il 20/25% (par. 211); quote rimaste stabili nel corso del triennio di osservazione, ulteriore indice di non contendibilità del mercato (par. 212).
Conseguentemente, il numero di tassisti liberi di vincoli di esclusiva, in condizione di operare con le piattaforme di intermediazioni in concorrenza con i radiotaxi oggetto di accertamento, è risultato pari a 400/450 unità (par. 211), corrispondente a meno del 15% dei tassisti disponibili sul mercato milanese.
Peraltro, tenuto conto che la capacità produttiva di un tassista può condurre allo svolgimento di 3150 corse annue e che il numero medio di corse annue eseguite dai tassisti aderenti ai radiotaxi parti del procedimento è stato pari a circa 2040/2160, è emersa -in sede istruttoria- la disponibilità di una capacità produttiva individuale vincolata al radiotaxi di affiliazione, ma non utilizzata presso la piattaforma di appartenenza.
4.5 Con riferimento alla durata delle intese, l’esame degli atti negoziali recanti la clausola di esclusiva (cfr. art. 3 Regolamento Au. sub doc. 6 cit.; art. 14 sez. divieti Regolamento Ta. 2013, nonché art. 4 sez. I Regolamento Ta. 2016 e 2017 sub doc. 7, 8 e 10 cit.; art. 5, lett. c) contratto di somministrazione sub doc. 9 cit.) ha consentito di riscontrare intese a tempo indeterminato, particolarmente pregiudizievoli per il corretto dispiegarsi del gioco concorrenziale (parr. 195 e 196 provvedimento).
4.6 L’Autorità ha correttamente rilevato, altresì, l’assenza di possibilità reali e concrete per un nuovo concorrente di inserirsi nel mercato.
4.6.1 Al riguardo, in primo luogo, la regolazione pubblicistica del servizio taxi influisce, pure, sull’attività di intermediazione nella raccolta e nello smistamento delle domande del relativo servizio.
Difatti, posto che l’attività di mediazione si traduce nella messa in contatto di due parti (nella specie, il tassista e l’utente) ai fini della conclusione di un accordo (nella specie, il contratto di trasporto), è essenziale, perché la mediazione possa avere luogo, che sul mercato vi sia la disponibilità di entrambe le parti negoziali.
Con riferimento al servizio taxi, se non vi sono problemi sul lato dell’utenza e, quindi della parte committente, maggiori criticità si registrano in relazione al lato del vettore, tenuto conto del numero limitato di tassisti titolari di licenza, abilitati allo svolgimento del servizio pubblico di trasporto non di linea.
Ne deriva che un ulteriore elemento ostativo alla contendibilità del mercato è rappresentato dalla vigenza di una regolazione pubblicistica, limitante il numero di licenze taxi rilasciabili in ambito comunale, che impedisce a nuovi operatori di intermediazione di fare affidamento, per lo svolgimento della propria attività, su un numero di tassisti variabili secondo le condizioni del mercato, per effetto dell’aumento della domanda di servizio taxi da intermediare.
La circostanza per cui il quadro regolamentare di riferimento non prevedeva un aumento a breve del numero delle licenze taxi (par. 86 provvedimento – doc. 14 cit.) ha certamente contribuito a ritenere non contendibile il mercato rilevante.
4.6.2 In secondo luogo, l’assenza di possibilità reali e concrete di inserimento di un nuovo concorrente sul mercato rilevante discende dall’indisponibilità di una rilevante quota di tassisti milanesi, superiore all’85% dei licenziatari del servizio taxi nell’ambito territoriale comunale.
Al riguardo, anche ipotizzando la disponibilità di tutti i tassisti non vincolati da obblighi di esclusiva ad usufruire di servizi di intermediazione forniti da piattaforme in concorrenza con i radiotaxi parti del procedimento, deriverebbe la non contendibilità del mercato rilevante, per manifesta insufficienza di una percentuale di tassisti disponibili inferiore al 15%, su cui potere fare affidamento per lo smistamento della domanda di servizio taxi.
Tanto emerge, altresì, dal punto 135 degli orientamenti della Commissione europea sulle restrizioni verticali (2010/C 130/01), in cui si ritiene improbabile un effetto anticoncorrenziale individuale o cumulativo ove la quota di mercato dell’operatore maggiore non superi il 30% e la quota di mercato dei cinque maggiori fornitori non superi il 50%; nella specie, invece, si è in presenza di una quota di mercato complessivamente vincolata superiore all’85%, detenuta da soli tre operatori, il primo dei quali detiene una quota superiore al 30%; il che rende evidente la restrizione concorrenziale prodotta dalle clausole di esclusiva.
In ogni caso, non tutti i tassisti “indipendenti”, liberi da clausole di esclusiva, potrebbero ritenersi disponibili ad affiliarsi a nuove piattaforme di intermediazione interessate a fare ingresso sul mercato rilevante; in genere, come accertato in sede istruttoria (par. 216 – doc. 14), si tratta di operatori che preferiscono svolgere la propria attività economica lavorando presso “grandi attrattori di traffico” come aeroporti e stazioni, dove la domanda di servizio taxi viene soddisfatta senza intermediazione, di regola, mediante richiesta del cliente ai tassisti che stazionano nelle relative aree pubbliche.
4.6.3 In terzo luogo, la portata anticoncorrenziale delle reti parallele di clausole di esclusiva discende dall’efficacia vincolante delle clausole di esclusiva.
Diversamente da quanto dedotto dalla parte appellata, l’esistenza di un’obbligazione negoziale, giuridicamente impegnativa, osta allo svolgimento di attività con essa incompatibili, altrimenti configurandosi un illecito civile, sub specie di inadempimento contrattuale (come valorizzato dall’Autorità ai parr. 219 e 222 del provvedimento).
Pertanto, l’efficacia impeditiva delle clausole di esclusiva in esame emerge, in primo luogo, dalla loro cogenza giuridica: posto che le clausole di esclusiva convenute tra i radiotaxi e i tassisti aderenti precludono l’acquisto di servizi di intermediazione forniti da altri operatori del mercato rilevante e che tali clausole sono efficaci tra le parti, come correttamente ritenuto dall’Autorità (par 218), non può ritenersi giuridicamente lecita (e, quindi, praticabile sul piano dei rapporti negoziali) l’adesione di tali tassisti a nuove piattaforme intenzionate a fare ingresso nel mercato; il che produce un inevitabile effetto anticoncorrenziale.
In ogni caso, l’efficacia deterrente delle clausole di esclusiva emerge anche dalla loro attuazione pratica, registrandosi sia sanzioni per l’utilizzo di piattaforme di intermediazione in concorrenza con il radiotaxi di appartenenza (cfr. doc. 15 per Au. e doc. 17-21 per Ta.), sia un numero di tassisti che hanno effettivamente utilizzato l’applicazione My. nel corso degli anni compatibile con la quota di tassisti indipendenti; il che conferma come le clausole di esclusiva siano state sostanzialmente rispettate sul mercato.
A tale ultimo riguardo, l’Autorità ha ragionevolmente distinto i tassisti affiliati a My. dai tassisti attivi, a seconda che si prendano in considerazione i tassisti che abbiano scaricato sul proprio dispositivo l’applicazione digitale, utilizzandola saltuariamente, ovvero i tassisti che abbiano utilizzato costantemente l’applicazione, acquistando il servizio di intermediazione fornito da My..
Tale distinzione risulta essenziale per evidenziare l’effettività, anche sul piano fattuale (oltre che giuridico), delle clausole di esclusiva, tenuto conto che la violazione del vincolo di esclusiva si concretizza nel caso in cui il tassista aderente effettivamente destini una quota della propria capacità produttiva ad altra piattaforma di intermediazione, acquistando servizi in concorrenza con quelli forniti dal radiotaxi di appartenenza.
I dati acquisiti dall’Autorità in sede procedimentale, forniti da My. -trattandosi di elementi nella sua disponibilità, comunque utilizzabili ai fini della decisione amministrativa, non riscontrandosi motivi oggettivi deponenti per la non credibilità dell’operatore professionale (come osservato nell’esaminare il primo motivo di appello)- dimostrano che il numero di tassisti affiliati a My. è aumentato nel periodo aprile 2015-ottobre 2017 da 50/100 unità a 450/500 unità ; mentre il numero dei tassisti attivi (intendendosi per tali coloro che hanno utilizzato My. almeno una volta al giorno) è transitato da 50/100 a 250/300 (par. 100 provvedimento); il che evidenzia come i tassisti che hanno effettivamente utilizzato un servizio erogato da operatori diversi dai principali tre radiotaxi del mercato rilevante, siano, di regola, in numero inferiore rispetto al numero di tassisti indipendenti (circa 450).
Tale analisi conferma, dunque, che i nuovi operatori, intenzionati a fare ingresso nel mercato dell’intermediazione del servizio taxi, possono fare affidamento effettivo su un numero di tassisti esiguo, non superiore a quello dei tassisti indipendenti; i tassisti legati da vincoli di esclusiva, invece, non soltanto non potevano giuridicamente utilizzare i servizi delle piattaforme in concorrenza con i radiotaxi di appartenenza, ma neanche di fatto hanno utilizzato siffatti servizi, in fedele osservanza delle obbligazioni sugli stessi gravanti: viene, quindi, dimostrata sia la cogenza giuridica che l’effettività sostanziale delle clausole di esclusiva; senza che per raggiungere tale risultato probatorio fosse necessario estendere l’istruttoria ai tassisti, essendo la valutazione dell’Autorità comunque fondata su specifici elementi istruttori acquisiti al procedimento.
4.7 La portata anticoncorrenziale delle clausole di esclusiva, inoltre, non può ritenersi controbilanciata dalla previsione del diritto di recesso, dovendosi valutare – sotto tale profilo – non soltanto la giuridica possibilità dello scioglimento dal vincolo negoziale, ma anche l’effettiva praticabilità del rimedio sotto un profilo economico.
Al riguardo, devono essere valutate le condizioni nelle quali si sviluppa il gioco della concorrenza sul mercato di riferimento, tenuto del numero e della dimensione dei produttori presenti sul mercato, del grado di saturazione del mercato e della fedeltà dei consumatori agli operatori esistenti.
A fronte di un mercato saturo caratterizzato dalla fedeltà dei consumatori a un piccolo numero di grandi operatori emergono rilevanti economie di rete, che dissuadono gli appartenenti alla rete dallo sciogliersi dal relativo vincolo giuridico, per il timore di perdere i benefici economici derivanti dalla possibilità di operare con una clientela fidelizzata.
Anche sotto tale profilo l’analisi condotta dall’Autorità si manifesta immune da vizi di legittimità, risultando ragionevole e aderente agli elementi istruttori acquisiti al giudizio.
Il recesso dal radiotaxi, in particolare, oltre a determinare, in taluni casi, una perdita di costi cd. “affondati” – integrati da investimenti non recuperabili, corrispondenti alle tasse di ammissione e al costo di acquisto dell’attrezzatura radiotaxi; elementi, tuttavia, di per sé non decisivi, in quanto non previsti da ogni radiotaxi – determina, nell’attuale situazione di mercato, la perdita di importanti benefici da economie di rete.
Come osservato supra, nel periodo 2015-2017 le condizioni di concorrenza nel mercato rilevante non sono mutate, avendo i tre principali operatori conservato l’affiliazione di oltre l’85% dei tassisti abilitati ad operare nell’ambito territoriale milanese, con quote di mercato che variano dal 20/25% di al 30/35% di Au., per giungere al 35/40% di Ta..
Appare, quindi, evidente che le dimensioni (grandi imprese) e il numero (tre) degli operatori attestano un alto grado di saturazione del mercato e la fedeltà di un’ampia parte sia dei tassisti aderenti, che non sono significativamente mutati nel tempo, sia dei consumatori finali che, continuando ad usufruire dei relativi servizi di intermediazione, hanno permesso ai radiotaxi di mantenere sostanzialmente immutata la propria posizione di mercato (valutazione che, in quanto fondata sui sopra richiamati elementi istruttori, per essere formulata, non richiedeva la necessaria estensione dell’istruttoria ai tassisti).
A fronte di tali condizioni di mercato, il recesso dal radiotaxi determinerebbe a carico del tassista la perdita dei benefici derivanti dall’appartenenza ad una rilevante rete economica, in grado di assicurare lo smistamento di un considerevole numero di domande di servizio taxi provenienti da una clientela fidelizzata.
Per tali ragioni, il recesso dal radiotaxi è stato correttamente ritenuto dall’Autorità un rimedio economicamente inidoneo a controbilanciare le clausole di esclusiva (parr. 223 e 244), tenuto conto che difficilmente – a prescindere dalle politiche economiche eventualmente attuabili da nuovi operatori di intermediazione intenzionati a fare ingresso nel mercato – le condizioni di mercato (preesistenti all’ingresso di My.) permetterebbero al tassista di recedere dal radiotaxi, senza perdere rilevanti benefici da economie di rete suscettibili di influire sui ricavi della propria attività d’impresa (nel significato rilevante in materia antitrust).
4.8 Le clausole di esclusiva non possono neanche giustificarsi alla stregua della disciplina codicistica.
Al riguardo, occorre prendere in esame il primo motivo di ricorso in primo grado, assorbito dal Tar e ritualmente riproposto in appello, con cui la cooperativa appellata ha dedotto l’illegittimità del provvedimento antitrust per “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2527, comma 2, C.C.; Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 TFUE; Eccesso di potere per carenza e/o travisamento dei presupposti in fatto e in diritto, difetto di istruttoria, irragionevolezza manifesta, nonché per violazione del principio di proporzionalità ; Sviamento”.
4.8.1 In particolare, la ricorrente in primo grado ha rilevato che le clausole di esclusiva per cui è controversia costituiscano attuazione di una disposizione codicistica inderogabile (art. 2527, comma 2, c.c.) che, al fine di garantire lo scopo mutualistico delle società cooperative – forma giuridica cui è riconducibile la ricorrente -, precluderebbe lo svolgimento da parte dei soci di attività lavorativa / di impresa in concorrenza con quella della cooperativa di appartenenza: si tratterebbe di previsione operante a prescindere dalla tipologia della cooperativa (trovando applicazione, in ragione della sua formulazione generale, anche alle cooperative di servizi), idonea a conformare i rapporti tra la cooperativa e i soci anche in caso di mancato espresso recepimento nell’ambito dei singoli statuti, da ritenere violata anche qualora il socio acquisti servizi da un soggetto concorrente della cooperativa cui aderisce.
Ne deriverebbe che la disciplina codicistica, precludendo lo svolgimento di ogni attività dei soci in concorrenza con la cooperativa di appartenenza, detterebbe una disposizione essenziale per consentire il perseguimento dello scopo mutualistico proprio delle cooperative e la loro sopravvivenza, ostando a clausole di esclusiva anche relativa, tenuto conto che “Una esclusiva ‘relativà, semplicemente, non è un’esclusiva” (pag. 4 memoria di replica).
Peraltro, l’art. 2527, comma 2, c.c., secondo la prospettazione dell’appellata, dovrebbe essere ritenuto compatibile con l’ordinamento unionale, avendo la Corte di Giustizia già ritenuto lecita una norma statutaria di una cooperativa, che “vietava ai suoi soci di partecipare ad altre cooperative in concorrenza diretta con la stessa cooperativa, in considerazione della sua necessità per il buon funzionamento della cooperativa” (pagg. 6-7 memoria di costituzione in appello).
Ne deriverebbe l’illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado, avendo l’Autorità sanzionato una condotta tradottasi nella previsione di una clausola di esclusiva, da un lato, imposta dall’ordinamento interno, dall’altro, compatibile con il diritto unionale: l’azione amministrativa in contestazione, inoltre, esporrebbe la società appellata al rischio di possibili azioni risarcitorie per danni fondati sul relativo erroneo accertamento antitrust.
L’appellata, infine, in caso di dubbio sulla compatibilità dell’art. 2527, comma 2, c.c. con il diritto UE (e, in particolare, con l’art. 101 TFUE), ha domandato di rimettere la risoluzione della questione in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267 TFUE.
4.8.2 Il motivo di ricorso riproposto dalla cooperativa appellata è infondato.
L’art. 2527, comma 2, c.c, nel disciplinare i requisiti di ammissione alla cooperativa, richiama espressamente il rapporto di concorrenza come causa ostativa all’assunzione dello status di socio, non potendo “divenire soci quanti esercitano in proprio imprese in concorrenza con quella della cooperativa”.
Affinché possa integrarsi la violazione del divieto di cui all’art. 2527, comma 2, c.c., occorre, dunque, che due o più imprenditori svolgano contemporaneamente, in un ambito territoriale potenzialmente comune, attività di produzione di beni e servizi intercambiabili, in quanto funzionali al soddisfacimento con modalità analoghe del medesimo bisogno di mercato; operando, per l’effetto, in concorrenza tra di loro.
La violazione del divieto de quo, dunque – come, in particolare, dedotto dall’appellante incidentale -, non è rinvenibile allorquando il socio acquisti servizi forniti da operatori economici esercenti attività in concorrenza con quella della cooperativa di adesione, tenuto conto che in siffatte ipotesi il rapporto di concorrenza (vietato dall’art. 2527, comma 2, c.c.) si instaura tra la cooperativa e il terzo fornitore, ma non tra la cooperativa e il socio, che agisce nello svolgimento di un’attività differente.
Ne deriva che le clausole di esclusiva, oggetto del provvedimento antitrust per cui è controversia, precludendo ai tassisti di acquistare servizi di intermediazione forniti da piattaforme in concorrenza con quelle di adesione, non sono riproduttive del divieto sancito dall’art. 2527, comma 2, c.c., bensì sono state convenute nell’esercizio dell’autonomia negoziale delle parti, ponendo precetti convenzionali preclusivi di attività economiche altrimenti consentite dall’ordinamento.
Tanto è stato correttamente rilevato dall’Autorità nell’ambito del provvedimento impugnato in prime cure, in cui si dà atto, innanzitutto, che “l’articolo 2527, comma 2 – il quale vieta ai soci di svolgere attività in diretta concorrenza con quella della cooperativa – non appare violato dal tassista socio di una cooperativa che, affiliandosi a My., non ne diventa socio, ma si limita a svolgere il solo servizio di trasporto” (par. 190 provvedimento).
Le clausole di esclusiva in esame, difatti, non si limitano a vietare lo svolgimento, in proprio, di un’attività di intermediazione in concorrenza con quella della cooperativa di appartenenza – effettivamente preclusa ai sensi e per gli effetti dell’art. 2527, comma 2, c.c. – bensì impediscono ai tassisti, altresì, di acquistare servizi di intermediazione forniti da altri operatori, vietando il compimento di atti negoziali posti in essere dai tassisti nello svolgimento della propria attività di trasporto pubblico non di linea, che non può ritenersi in concorrenza con quella di intermediazione espletata dalla cooperativa.
Acquistando un servizio fornito da una piattaforma di intermediazione, il tassista, pertanto, non opera come un intermediario, bensì agisce in qualità di utente dell’impresa di intermediazione; per l’effetto, non esercita un’attività, in proprio, in concorrenza con quella del radiotaxi di appartenenza, non violando il disposto di cui all’art. 2527, comma 2, c.c.
La conseguenza è che le clausole di esclusiva convenute tra le parti, non impedendo imprese svolte dai tassisti, in proprio, in concorrenza con quelle dalla cooperativa di adesione, non possono ritenersi riproduttive del divieto di cui all’art. 2527, comma 2, c.c., bensì costituiscono esplicazione dell’autonomia negoziale delle parti (liberamente accettate anche dai tassisti) e, come tali, devono rispettare le disposizioni imperative prescritte dall’ordinamento interno e sovranazionale; il che risulta compatibile, altresì, con l’art. 41 Cost., tenuto conto che la negoziazione giuridica, strumentale all’esercizio di un’attività d’impresa, non può esplicarsi in contrasto con l’utilità sociale.
Nella materia antitrust siffatta utilità viene perseguita assicurando il libero gioco concorrenziale, essenziale per assicurare il raggiungimento di posizioni di equilibrio – non condizionate da condotte illecite degli operatori economici – ritenute ottimali per la definizione delle quantità, del prezzo e di altre caratteristiche qualitative dei beni e servizi negoziati sul mercato.
Come ritenuto da questo Consiglio, infatti, “la tipicità legale del negozio o dello strumento contrattuale cui, nel caso concreto, abbiano fatto ricorso le parti (…), o il fatto che esso abbia un oggetto principale che nulla abbia a che vedere con la regolazione della concorrenza, non esclude la possibilità di una valutazione degli effetti antitrust e un possibile giudizio di illiceità, totale o parziale, per violazione della normativa antitrust (Corte Giust. CE, 17 novembre 1987, C-142/84); – diversamente opinando, si perverrebbe al risultato, inaccettabile, che l’illecito concorrenziale sarebbe pressoché inconfigurabile per il semplice fatto che, il più delle volte, consiste in comportamenti analiticamente leciti, se visti solo alla luce di settori dell’ordinamento diversi da quello della concorrenza” (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 febbraio 2017, n. 740).
Alla stregua delle considerazioni svolte, il motivo di ricorso riproposto dalla cooperativa appellata è infondato, tenuto conto che l’art. 2527, comma 2, c.c., vietando di esercitare in proprio imprese in concorrenza con quella della cooperativa, impedisce ai tassisti aderenti di svolgere attività di intermediazione in concorrenza con quella della cooperativa, ma non di acquistare servizi erogati da altri operatori di intermediazione, cui solo deve ascriversi un rapporto di concorrenza con l’impresa dei radiotaxi di appartenenza.
Ne discende anche l’irrilevanza della questione di compatibilità unionale posta dalla cooperativa appellata (oltre che, in subordine, dall’appellante incidentale), in quanto afferente ad una disposizione (art. 2527, comma 2, c.c.) inapplicabile nel presente giudizio, riguardando una fattispecie diversa da quella vietata dalle clausole di esclusiva per cui è controversia.
In ogni caso, anche l’esistenza di una disposizione normativa interna, eventualmente prescrittiva di un divieto per i soci di acquistare servizi forniti da operatori in concorrenza con la cooperativa di appartenenza, dovrebbe essere interpretata in senso compatibile con l’ordinamento unionale, evitando di riconoscere un significato precettivo lesivo dei principi e delle disposizioni poste dal diritto europeo.
La Corte di Giustizia, pur riconoscendo che la forma giuridica della cooperativa non costituisce di per sé un comportamento anticoncorrenziale -venendo, anzi, valutata favorevolmente dai legislatori nazionali e dalle autorità europee, in quanto fattore di ammodernamento, di razionalizzazione e di efficienza delle imprese-, ha precisato che le limitazioni alle attività dei soci devono limitarsi a quanto necessario per assicurare il buon funzionamento della cooperativa, garantendo una base commerciale sufficientemente estesa, rafforzando il potere contrattuale della cooperativa, nonché assicurando una certa stabilità della partecipazione societaria (Cfr. Corte di Giustizia, sentenza 12 dicembre 1995, in causa C-399/93, H.G. Oude Luttikhuis, punto 14; Id., 15 dicembre 1994, in causa C-250/92, Gø ttrup-Klim, punto 35).
Ne deriva che le disposizioni nazionali, regolatrici delle società cooperative, impositive di divieti di concorrenza a carico dei soci, devono essere intese alla stregua del principio di proporzionalità, potendo ritenersi compatibili con l’ordinamento unionale, ove necessarie per assicurare il buon funzionamento della cooperativa, garantendo il vincolo fiduciario con la cooperativa di appartenenza e il perseguimento dello scopo mutualistico.
Per l’effetto, l’operatore giuridico è chiamato a esaminare il contesto economico e giuridico in cui il precetto normativo deve operare, provvedendo alla sua applicazione nella misura in cui risulti necessario al conseguimento dei legittimi obiettivi di tutela sottesi alla sua previsione.
Anche sotto tale profilo l’Autorità ha provveduto correttamente, ritenendo che il divieto di concorrenza, per armonizzarsi con la normativa antitrust, possa valere ed operare solo in quanto indispensabile a garantire la funzionalità della cooperativa, e comunque proporzionato rispetto al raggiungimento di tale finalità (par. 191 provvedimento).
Al riguardo, l’Autorità ha ritenuto che le clausole di non concorrenza non fossero necessarie e comunque proporzionate alla realizzazione dello scopo mutualistico.
Tale valutazione è immune da vizi di legittimità .
Nel presente giudizio si fa questione di clausole a tempo indeterminato, vincolanti tutti i tassisti aderenti a ciascun radiotaxi, di carattere assoluto, riservando in favore del radiotaxi di appartenenza l’intera capacità produttiva esprimibile dal tassista (cfr. par. 195 e 196; art. 4 sez. I Regolamento Ta. 2016 e 2017 sub doc. 8 e 10; si vedano, comunque, anche l’art. 3 Regolamento Au. sub doc. 6 cit. e art. 5, lett. c) contratto di somministrazione sub doc. 9 cit.); come tali non rispettose del principio di proporzionalità .
Al riguardo, in primo luogo, deve rilevarsi che la permanenza presso il radiotaxi comporta l’obbligazione di pagamento di un canone mensile (par. 47 provvedimento; art. 6 Regolamento Au. sub doc. 6 cit.; art. 2 sez. I Regolamento Ta. 2016 e 2017 sub doc. 8 e 10; art. 11 e appendice contratto di somministrazione sub doc. 9 cit.); sicché il contributo versato al radiotaxi di appartenenza non è commisurato al quantitativo di corse eseguite dal tassista, bensì al mero dato temporale di adesione alla piattaforma.
Una clausola di esclusiva di portata assoluta, dunque, in primo luogo, non risulterebbe necessaria ad assicurare la conservazione del livello dei contributi gravanti sugli aderenti, tenuto conto che, anche ammettendosi la possibilità per i tassisti di destinare una quota della propria capacità produttiva per l’esecuzione di corse intermediate da altri operatori, i radiotaxi di appartenenza conserverebbero comunque il diritto di ricevere il contributo nella misura pattuita.
Anche gli ulteriori elementi valorizzati dall’Autorità al par. 239 risultano determinanti al fine di escludere il rispetto del principio di proporzionalità, in ragione dell’utilizzo di clausole di esclusiva a portata assoluta: la riduzione dei costi in attrezzature ed hardware derivante dall’evoluzione tecnologica, la fornitura di nuovi servizi ai soci analoghi a quelli erogati dalle piattaforme digitali e l’esistenza di una clientela fidelizzata (secondo quanto osservato al par. 4.7) costituiscono ulteriori elementi idonei a sostenere l’attività dei radiotaxi, anche a fronte di clausole di esclusiva a portata limitata.
L’assolutezza delle clausole di esclusiva non potrebbe comunque ammettersi, neanche richiamando i servizi offerti in favore dei tassisti dal radiotaxi, l’attività di controllo sul rispetto della normativa vigente in materia – che, peraltro, rientra nelle attribuzioni degli enti pubblici istituzionalmente competenti e, quindi, non può essere invocata per discriminare i servizi erogabili dalle differenti tipologie di piattaforme di intermediazione (come correttamente rilevato dall’Autorità ai parr. 26 e 240) – ovvero la necessità per i radiotaxi di potere contare su un predefinito “parco macchine” per soddisfare le richieste di servizio taxi, provenienti sia dall’utente occasionale, sia dai clienti convenzionati; con cui le parti del procedimento hanno, peraltro, dichiarato di avere stipulato accordi commerciali, recanti penali in caso di violazione dell’obbligo di messa a disposizione del taxi entro un tempo predefinito (cfr. par. 69 provvedimento).
Difatti, il vincolo di esclusiva a portata assoluta ha la funzione di riservare al radiotaxi l’intera capacità produttiva esprimibile dal tassista aderente: una tale clausola potrebbe, dunque, in ipotesi, ritenersi necessaria, soltanto se i tassisti affiliati fossero effettivamente impiegati nell’ambito dei rispettivi radiotaxi al massimo della propria capacità produttiva, svolgendo un numero di corse prossimo a quello massimo esigibile da ciascuno di essi.
In tali casi, la riduzione parziale della capacità produttiva a disposizione del radiotaxi influirebbe sulla relativa attività di intermediazione, comportando una riduzione dei servizi erogati avvalendosi dei tassisti aderenti.
Tuttavia, come supra rilevato, dall’istruttoria svolta è emerso che ogni tassista è in grado di esprimere una capacità produttiva suscettibile di tradursi in un massimo di 3150 corse (studio di mercato KP., nota 85 provvedimento).
Con riferimento ai tassisti vincolati ai radiotaxi parti del procedimento, è emerso, invece, che il numero medio di corse mensili eseguite dai tassisti aderenti si è attestato intorno alle 170/180 corse (parr. 87, 89 e 91 – elementi forniti dalle parti e comunque non specificatamente contestati in giudizio), per un totale di 2040/2160 corse annuali.
Tali dati evidenziano come presso i radiotaxi non sia impiegata l’intera capacità produttiva esprimibile da ciascun tassista (fino a 3150 corse annuali), registrandosi una quota di detta capacità rimasta inutilizzata e, quindi, vincolata sebbene non necessaria al radiotaxi di appartenenza. Né la parte appellata ha dimostrato diversamente, non avendo provato – a fronte degli elementi istruttori correttamente valorizzati dall’Autorità, idonei a fondare il provvedimento impugnato in primo grado – la necessità di impiegare l’intera capacità produttiva dei propri tassisti per assicurare il buon funzionamento della cooperativa.
Anche sotto tale profilo, pertanto, risulta violato il principio di proporzionalità, atteso che le clausole di esclusiva, in ragione della loro portata assoluta, vincolano al radiotaxi una capacità produttiva eccedente quella necessaria per lo svolgimento dell’attività economica della piattaforma di intermediazione, registrandosi un numero di corse effettivamente intermediate dai radiotaxi inferiore al complessivo numero di corse effettuabili dai tassisti aderenti (cfr. par. 205 provvedimento, in cui l’Autorità evidenzia correttamente che la coesistenza di modelli diversi di procacciamento della domanda -aperti e chiusi – tende ad ottimizzare l’impiego della capacità produttiva all’interno del turno di servizio).
La trasformazione delle clausole di esclusiva assoluta in esclusiva relativa, come imposto con il provvedimento impugnato in primo grado, dunque, consentirebbe ai tassisti vincolati di acquistare i servizi di intermediazione da piattaforme di intermediazione in concorrenza con quella di appartenenza, limitatamente alla quota di capacità produttiva individuale non necessaria al radiotaxi di adesione.
Per l’effetto:
– da un lato, si assicurerebbe, per le ragioni supra svolte, il ripristino del gioco concorrenziale sul mercato rilevante, consentendosi anche ad altre piattaforme di intermediazione di avvalersi di una quota della capacità produttiva espressa dai tassisti vincolati; con benefici sia per i tassisti stessi (posti in condizione di ottimizzare la propria capacità produttiva, aumentando il numero di corse e, quindi, i ricavi conseguibili dalla propria attività economica, oltre che di usufruire della concorrenza tra piattaforme di intermediazione, per ottenere condizioni negoziali di maggiore favore – par. 253 provvedimento), sia per gli utenti finali del servizio taxi (che, per effetto dell’ottimizzazione della capacità produttiva di tassisti, registrerebbero una riduzione dei tempi di attesa e, quindi, del costo della corsa, venendo il tassametro, di regola, attivato con il ricevimento della richiesta del servizio taxi, oltre che miglioramenti del servizio in ragione della concorrenza tra le piattaforme di intermediazione – 254 provvedimento);
– dall’altro, non si impedirebbe al radiotaxi di continuare a svolgere l’attività di intermediazione secondo il proprio modello di business che, come osservato, non ha richiesto nel periodo preso in esame dall’Autorità un utilizzo dell’intera capacità produttiva esprimibile da ciascun tassista aderente.
Alla stregua di tali considerazioni, è possibile evidenziare come l’intervento dell’Autorità sia caratterizzato dal pieno rispetto della disciplina e dei principi antitrust, essendo stata accertata l’illiceità non della clausola di concorrenza in sé, bensì della sua natura assoluta, che ha impedito ai tassisti di destinare in favore di altri operatori -in concorrenza con le parti del procedimento- la quota di capacità produttiva non necessaria ai radiotaxi di appartenenza per lo svolgimento dell’attività di intermediazione (parr. 218, 247 e 255 provvedimento).
Né può contestarsi la mancata individuazione da parte dell’Autorità della specifica quota di capacità produttiva che ogni tassista potrebbe destinare ad altre piattaforme di intermediazione.
Difatti, ove l’Autorità avesse provveduto in via autoritativa a una tale individuazione, il provvedimento così adottato sarebbe stato lesivo della libertà d’impresa delle parti del procedimento che, fermi rimanendo i limiti negativi imposti dalla disciplina antitrust (prescrittiva di divieti a garanzia del gioco concorrenziale, la cui violazione rientra nell’oggetto dell’accertamento svolto dall’Autorità ), devono ritenersi liberi di definire i propri modelli di business.
Pertanto, una volta accertata l’illiceità di clausole di non concorrenza a portata assoluta, spetterà ai radiotaxi definire, alla stregua di quanto prescritto nel provvedimento da eseguire, quale sia la quota di capacità produttiva effettivamente necessaria per consentire la realizzazione dei legittimi obiettivi di tutela sottesi alla clausola di non concorrenza -e, di contro, quale sia la quota suscettibile di essere impiegata dai tassisti in favore di altre piattaforme di intermediazione-, definendo, al riguardo, altresì le modalità attraverso cui siffatta quota deve essere espressa.
4.9 Le considerazioni supra svolte permettono di rigettare il quarto motivo di ricorso, assorbito in primo grado dal Tar e ritualmente riproposto nel presente grado di giudizio, con cui la cooperativa appellata ha dedotto l’illegittimità del provvedimento di rigetto degli impegni assunto dall’Autorità e, in via derivata, del provvedimento finale, denunciando a tale fine il “difetto di motivazione e valutazione manifestamente errata degli impegni presentati in sede istruttoria (Violazione e/o falsa applicazione degli art. 2 e 14-ter della legge 287/1990 e dell’art. 101 TFUE; eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, difetto dei presupposti in fatto e in diritto; irragionevolezza manifesta)”.
4.9.1 In particolare, la ricorrente in primo grado ha denunciato l’assenza e comunque l’erroneità dell’argomentazione sottesa al rigetto degli impegni presentati in sede procedimentale, sebbene gli stessi fossero idonei ad eliminare i profili anticoncorrenziali evidenziati nell’atto di avvio del procedimento, intervenendo -a fronte di una presunta infrazione, peraltro, ritenuta non grave dalla stessa Autorità – direttamente sulla dinamicità e libertà di determinazione dei tassisti e permettendo al contempo alla cooperativa di mantenere e salvaguardare la propria funzione mutualistica.
Il rigetto sarebbe, quindi, da un lato, carente di motivazione, dall’altro, comunque incentrato su una valutazione manifestamente errata, tenuto conto che:
– le criticità rilevate con riferimento alle presunte resistenze opposte all’introduzione del numero unico comunale risultavano rimosse attraverso l’impegno consistente nell’apertura all’utilizzo del numero unico da parte dei tassisti ad essa affiliati;
– le criticità rilevate con riguardo alle clausole di esclusiva, parimenti, risultavano eliminate attraverso l’impegno della cooperativa ad introdurre cause di legittimo recesso del socio in caso di passaggio ad altra piattaforma di raccolta e dispacciamento delle richieste taxi, nonché a ridurre il termine per l’efficacia della comunicazione del recesso (ridotto a tre mesi e non più ancorato alla chiusura dell’esercizio della cooperativa), al fine di agevolare ulteriormente l’eventuale uscita dalla cooperativa e il conseguente utilizzo della piattaforma My., o di altra piattaforma, da parte dei tassisti; unici impegni, peraltro, ritenuti rispettosi del principio di proporzionalità e compatibili con l’art. 2527, comma 2, c.c.
4.9.2 Il motivo di ricorso è infondato.
Questo Consiglio ha precisato che “la valutazione negativa da parte dell’AGCM degli impegni rientra nel margine di discrezionale apprezzamento rimesso all’Autorità garante, non apprezzabile nel merito in sede giurisdizionale se non in determinati limiti. E’ vero che tra il provvedimento finale e il rigetto degli impegni non sussiste un rapporto di consequenzialità necessaria, ma solo di connessione e che in assoluto il rigetto degli impegni è anch’esso sottoposto al sindacato limitato del giudice amministrativo, ma non in modo talmente intenso e profondo da poter riguardare profili di opportunità per così dire di “discrezionalità economica” (così la Sezione, sentenza 22 settembre 2014, n. 4773)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 maggio 2015, n. 2479).
Ne deriva che il provvedimento di diniego della proposta di impegni, in quanto avente natura di atto endoprocedimentale non immediatamente lesivo, risulta impugnabile unitamente al provvedimento finale assunto a conclusione del procedimento antitrust, al fine di denunciare il difetto o l’inadeguatezza della motivazione sottesa alla decisione amministrativa; il sindacato giurisdizionale, tuttavia, non può assumere natura sostitutiva delle valutazioni svolte dall’Autorità, dovendo limitarsi ad accertare il carattere ingiustificato dell’atto di rifiuto assunto in sede procedimentale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 16 marzo 2020, n. 1839).
Nel caso di specie, il provvedimento di rigetto non può ritenersi ingiustificato, essendo state illustrate le ragioni per le quali gli impegni proposti dall’operatore economico non risultavano idonei a rimuovere i profili di criticità oggetto del procedimento antitrust.
In particolare, l’Autorità :
– dopo aver rilevato che gli impegni presentati dalla ricorrente in primo grado prevedevano sia di modificare la disciplina del diritto di recesso -in modo che il recesso, a differenza di quanto attualmente previsto, avesse effetto decorsi tre mesi dalla ricezione della comunicazione di recesso, nonché potesse esercitarsi anche in caso di passaggio ad altro servizio radiotaxi- sia la possibilità di utilizzo del servizio del numero unico comunale;
– ha ritenuto di rigettare le proposte di impegno, tenuto conto, da un lato, dell’interesse dell’Autorità a procedere all’accertamento delle eventuali violazioni poste in essere dalle società oggetto di istruttoria – in quanto le condotte oggetto di accertamento avrebbero potuto essere idonee a pregiudicare lo sviluppo di nuovi operatori concorrenti e di nuovi assetti di mercato – dall’altro, dell’inidoneità degli impegni, complessivamente considerati, a rimuovere i profili di anticoncorrenzialità evidenziati nel provvedimento di avvio, non facendo gli stessi venire meno tutte le restrizioni concorrenziali ipotizzate in avvio con riferimento allo sviluppo di strumenti di raccolta e smistamento del servizio taxi, ulteriori rispetto al radiotaxi.
Emerge, quindi:
– in primo luogo, che sussiste una motivazione sottesa alla determinazione di diniego, avendo l’Autorità illustrato le ragioni fondanti la decisione assunta, riguardanti tanto l’interesse all’accertamento dell’illecito, in ragione dell’idoneità delle condotte in accertamento a pregiudicare lo sviluppo di nuovi operatori concorrenti e di nuovi assetti di mercato, quanto l’inidoneità degli impegni a rimuovere i profili di anticoncorrenzialità evidenziati nell’atto di avvio del procedimento; trattasi di ragioni autonome, come tali singolarmente idonee a sorreggere la decisione all’uopo assunta (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2019, n. 6190, secondo cui “in presenza di un atto c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale; in sostanza, in caso di atto amministrativo, fondato su una pluralità di ragioni indipendenti ed autonome le una dalla altre, il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l’esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2017, n. 2910; sez. V, 12 settembre 2017, n. 4297; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045)” (Cons. Stato, IV, 30 marzo 2018, n. 2019)”).
– in secondo luogo, che siffatta motivazione è adeguata e ragionevole, compatibile con quanto contestato con l’atto di avvio del procedimento.
Il procedimento antitrust aveva, infatti, ad oggetto reti parallele di clausole di esclusiva a portata assoluta, vincolanti i tassisti aderenti ai radiotaxi parti del procedimento, impedendo loro un utilizzo simultaneo di vari intermediari per la fornitura di servizi di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi, in tale modo impedendo od ostacolando l’ingresso nel mercato rilevante di nuovi operatori di intermediazione (cfr. par. 25 provvedimento di avvio sub all. B produzione ricorrente in primo grado).
Gli impegni presentati dalla ricorrente in primo grado (all. E produzione ricorrente in primo grado) non consentivano in alcun modo di rimuovere tali criticità, non concernendo le clausole di esclusiva in accertamento, bensì riferendosi ad elementi distinti, riguardanti l’utilizzo del numero unico comunale e la facilitazione del recesso dal radiotaxi (attraverso la fissazione di un termine di efficacia e la previsione di una nuova causale di scioglimento del vincolo negoziale, afferente al passaggio ad altra piattaforma di intermediazione).
Tuttavia:
– l’utilizzo del numero unico comunale riguardava un servizio sviluppato dall’Amministrazione comunale in sostituzione delle colonnine site nei parcheggi, non permettendo comunque ai tassisti di operare per piattaforme di intermediazione diverse da quella di appartenenza;
– l’agevolazione delle procedure di recesso (relativamente alle causali e ai tempi di scioglimento del vincolo negoziale), parimenti, non risultava idonea a rimuovere le limitazioni concorrenziali derivanti dall’assolutezza delle clausole di esclusiva, tenuto conto che il recesso, a prescindere dal suo agevole esercizio sotto un profilo giuridico, non risultava un’alternativa economicamente praticabile, comportando, come supra osservato, la perdita di benefici da economie di rete discendenti dall’appartenenza dei tassisti ai radiotaxi; peraltro, fermo rimanendo il carattere dirimente della precedente considerazione, come pure correttamente rilevato dall’Autorità, l’ampliamento delle ipotesi di recesso aveva riguardo all’adesione o all’utilizzo di altro servizio radiotaxi, escludendo le piattaforme operanti con una tecnologia diversa dal radiotaxi.
Pertanto, entrambe le proposte non facevano venire meno le restrizioni concorrenziali ipotizzate nell’atto di avvio come conseguenza delle clausole di esclusiva.
Né a diversa conclusione potrebbe giungersi, ritenendo, come pure dedotto dalla cooperativa appellata, che gli impegni proposti fossero gli unici compatibili con il disposto di cui all’art. 2527, comma 2, c.c.: come osservato nel precedente paragrafo, tale disposizione pone il divieto per il socio di svolgere in proprio attività in concorrenza con la cooperativa (da individuare, nella specie, nell’attività di raccolta e smistamento delle domande di servizio taxi), ma non di acquistare servizi forniti da un operatore esercente un’impresa in concorrenza con la cooperativa di appartenenza; in ogni caso, i divieti di concorrenza devono essere intesi alla stregua della disciplina unionale, dovendo essere limitati a quanto necessario per il raggiungimento del legittimo obiettivo di tutela sotteso alla loro previsione, condizione (come osservato anche sotto tale profilo) non integrata nella specie.
Per l’effetto, l’art. 2527, comma 2, c.c. non poteva ritenersi ostativo alla presentazione di impegni volti ad eliminare il carattere assoluto del divieto di concorrenza previsto nelle clausole di esclusiva in accertamento.
Deve, quindi, ritenersi che il rigetto degli impegni opposto dall’Autorità fosse giustificato, non risultando le proposte avanzate dalla cooperativa idonee a rimuovere i profili di anticoncorrenzialità evidenziati nell’atto di avvio del procedimento; con conseguente infondatezza delle censure al riguardo svolte dalla ricorrente in primo grado.
4.10 L’accertamento svolto in sede procedimentale è immune da vizi di legittimità anche in relazione alla valutazione del contributo fornito da ciascun operatore alla produzione dell’effetto cumulativo anticoncorrenziale, essendo stato correttamente accertato che i tre radiotaxi parti del procedimento, in ragione del numero di clausole di non concorrenza concluse con i rispettivi tassisti, avevano contribuito significativamente, sul piano oggettivo, alla produzione dell’effetto cumulativo anticoncorrenziale (parr. 258, 259 e 260 provvedimento).
Difatti, nel periodo 2015-2017 i tre principali operatori hanno affiliato oltre l’85% dei tassisti abilitati ad operare nell’ambito territoriale milanese, con quote di mercato varianti dal 20/25% di al 30/35% di Au., nonché al 35/40% di Ta..
Pertanto, posto che l’effetto anticoncorrenziale è derivato da reti parallele di intese verticali e che i fornitori dei servizi di intermediazione responsabili di tale effetto cumulativo cd. di blocco (all’ingresso di nuovi concorrenti e comunque al libero dispiegarsi del gioco concorrenziale) sono risultati tre, ciascuno detentore di rilevanti quote di mercato, l’Autorità ha correttamente ascritto la responsabilità dell’infrazione in capo a ognuno dei radiotaxi parti del procedimento.
4.11 Alla luce delle considerazioni svolte, devono, dunque, ritenersi corretta la definizione di danno anticoncorrenziale e provato l’effetto anticoncorrenziale nel mercato rilevante, risultando svolto il test Delimitis in aderenza si criteri elaborati dalla giurisprudenza sovranazionale.
Tanto è stato ulteriormente confermato dall’Autorità, mediante l’esame dell’esperienza di My.; la quale, pertanto, non rappresenta l’unica ratio decidendi sottesa alla decisione amministrativa, bensì costituisce un’applicazione pratica dell’autonoma analisi economica e giuridica svolta dall’Autorità (idonea, di per sé, a giustificare il provvedimento impugnato in primo grado) per l’accertamento della produzione dell’effetto anticoncorrenziale.
In particolare, l’Autorità ha visto confermata la propria analisi, studiando gli effetti anticoncorrenziali prodotti dalle clausole di esclusiva in relazione alla posizione di My..
Detto operatore economico, benché abbia registrato un incremento delle richieste di servizio taxi nel corso degli anni, è stato ostacolato nello svolgimento della propria attività di intermediazione, in ragione dell’insufficienza di tassisti disponibili sul mercato; circostanza determinata da clausole di esclusiva aventi portata assoluta.
Risulta, difatti, che:
– dal lato dell’utenza, le richieste ricevute da My. sono passate da 2.000-2.500 del primo mese di attività (aprile 2015), a 10.000-20.000 del dicembre dello stesso anno, a 60.000/70.000 del dicembre 2016, per attestarsi a 110.000/120.000 dell’ottobre 2017; registrando una percentuale di incremento di richieste superiore a quella riscontrata presso i tre radiotaxi parti del procedimento (cfr. par. 99 provvedimento e grafico 1, elaborato sulla base dei dati forniti dalle parti, trattandosi di elementi informativi rientranti nella loro disponibilità, correttamente utilizzati ai fini della decisione amministrativa, in assenza di ragioni oggettive per dubitare della credibilità dei dichiaranti e comunque di specifiche contestazioni svolte al riguardo in sede giurisdizionale);
– dal lato dei tassisti, coloro che si sono affiliati a My., scaricando l’applicazione senza provvedere ad un suo utilizzo costante, sono passati nello stesso periodo da 50/100 di aprile 2015 a 450/500 di ottobre 2017, di cui 250/300 definibili come tassisti attivi, per avere utilizzato My. almeno una volta al giorno (par. 100 del provvedimento – anche in tale caso i dati sono forniti dalla parte interessata, trattandosi di elementi informativi rientranti nella sua disponibilità, da ritenere utilizzabili per le medesime ragioni di cui al precedente alinea).
Alla stregua di tali elementi è risultato che My. non è riuscita a soddisfare un numero rilevante di richieste di servizio, registrando un tasso medio di corse inevase del 55-60%, con punte del 75/80% e valore più basso del 40/45% (par. 101 provvedimento); percentuali aumentate progressivamente nel corso dei mesi (cfr. grafico 2), in quanto, a fronte di un incremento del numero di utenti, non è stato possibile garantire un proporzionale incremento del numero dei tassisti disponibili ad eseguire le corse intermediate.
Il tasso di mancata evasione delle chiamate degli utenti è stato notevolmente più basso per i radiotaxi parti del procedimento, essendosi attestato nel 5/10% per Ta., nel 10/15% per Au. e nel 10/15% per (par. 104 e grafico 3, elaborato ancora una volta sulla base dei dati forniti dalle parti, da ritenere attendibili, per le medesime ragioni supra svolte in ordine ai grafici 1 e 2).
Ne deriva che, pur dovendosi ammettere una percentuale strutturale di domanda insoddisfatta, per ragioni non dipendenti dalla capacità operativa delle piattaforme di intermediazione (si pensi ad anomalie della domanda di servizio, dipendenti, ad esempio, da situazioni atmosferiche particolati, elementi ragionevolmente richiamati dall’Autorità, anche sulla base di apposito studio di mercato KP., al par. 103 e alla nota 105), l’esame dei dati acquisiti al procedimento denota che i tre principali radiotaxi, parti del procedimento, hanno registrato una percentuale di mancata evasione estremamente contenuta e simile, ragionevolmente prossima al tasso strutturale di mancata evasione della domanda di servizio taxi (al riguardo, si osserva che la media del tasso di mancata evasione riscontrabile nei mercati di Roma e Milano, è pari al 6,5% – nota 105 – prossimo a quello registrato dai radiotaxi parti destinatari del provvedimento antitrust); My., invece, ha registrato una percentuale di mancata evasione assolutamente maggiore.
Tenuto conto che l’impossibilità di soddisfare con regolarità la crescente domanda di servizio deriva dall’indisponibilità di tassisti in condizione di utilizzare l’applicazione digitale, l’Autorità ha ragionevolmente ritenuto che siffatta indisponibilità sia stata causata dalle clausole di esclusiva in contestazione nel presente giudizio.
Difatti, come si è osservato al par. 4.6.3, in presenza di clausole di esclusiva giuridicamente cogenti, è evidente che i tassisti vincolati non potrebbero usufruire del servizio di intermediazione fornito da My. o comunque da altri operatori in concorrenza con i radiotaxi di appartenenza, se non incorrendo in un illecito civile e, quindi, in un inadempimento giuridico suscettibile di conseguenze sfavorevoli a proprio carico.
L’efficacia cogente di tali clausole è stata, peraltro, riscontrata sia dai provvedimenti sanzionatori assunti da alcuni radiotaxi (cfr. doc. 15-21 produzione Autorità in primo grado, riguardanti le determinazioni assunte da Ta. e Au. ), sia dal numero dei tassisti che hanno utilizzato l’applicazione digitale My. almeno una volta al giorno: al riguardo, si è già osservato che l’Autorità ha correttamente distinto tra tassisti attivi (che hanno impiegato l’applicazione digitale almeno una volta al giorno) e tassisti affiliati (che si siano limitati a scaricare l’applicazione, senza avere provveduto ad un suo costante utilizzo), prendendo in esame il numero dei tassisti attivi al fine di individuare l’effettivo utilizzo di capacità produttiva in favore della piattaforma di intermediazione digitale (par. 233 provvedimento).
Dai dati acquisiti al procedimento è emerso che il numero dei tassisti attivi è stato inferiore rispetto al numero dei tassisti indipendenti operanti presso il mercato milanese; il che conferma, da un lato, che i tassisti attivi con My. sono ragionevolmente individuabili tra i tassisti indipendenti, a dimostrazione dell’effettivo rispetto delle clausole di esclusiva vincolanti i tassisti aderenti ai radiotaxi; dall’altro, che tra i tassisti indipendenti, come pure rilevato dal Comune di Milano (doc. 14 cit.), vi è una parte di operatori che non ricorre all’opera delle piattaforme di intermediazione, svolgendo la propria attività in prossimità di grandi attrattori di clientela (aeroporti e stazioni), dove la ricerca del taxi avviene mediante chiamata diretta del veicolo presente nell’apposito luogo di stazionamento.
Né il recesso contrattuale può ritenersi un efficace rimedio idoneo a controbilanciare le clausole di esclusiva, tenuto conto che, come pure osservato al par 4.7, trattasi di rimedio economicamente non sostenibile dal singolo tassista nelle attuali condizioni di mercato, privandolo di significativi benefici da economie di rete.
Pertanto, le ragioni per cui My. ha registrato un alto tasso di mancata evasione delle domande di servizio non possono ascriversi ad asserite erronee strategie economiche svolte da My. (sub specie di costi del servizio considerevolmente più alti di quelli praticati dai radiotaxi, per una commissione per ogni corsa portata a termine pari al 7 % -par. 57 provvedimento-; di una minore efficienza della rete, di errate politiche commerciali o assenza di vincoli di disponibilità ) ovvero, di contro, alle migliori strategie poste in atto dai radiotaxi parti del procedimento.
Tali spiegazioni alternative si scontrano in maniera evidente con le condizioni concorrenziali rilevate dall’Autorità sul mercato rilevante nel periodo 2015-2017; le quali, a prescindere dalle possibili politiche promozionali suscettibili di essere intraprese dai nuovi concorrenti – sotto tale profilo, l’Autorità ha dato atto che My. ha anche attuato politiche promozionali particolarmente convenienti (par. 98 e 237) che, tuttavia, come ragionevolmente ritenuto dall’Autorità, possono essere sostenute soltanto nel breve periodo per la loro natura straordinaria e che, comunque, come osservato, non hanno influito sui dati medi del tasso di mancata evasione della domanda di servizio, rimasto nel periodo in esame molto elevato – hanno sensibilmente impedito il corretto svolgimento del gioco concorrenziale.
L’esperienza registrata da My. conferma, dunque, la correttezza dell’analisi economica e giuridica svolta dall’Autorità (fondante il provvedimento impugnato in primo grado) e, quindi, che il mercato rilevante non è contendibile e aperto all’ingresso di nuovi operatori; nonché che le clausole in contestazione (alla stregua delle condizioni di concorrenza caratterizzanti il mercato rilevante) sono produttive di un effetto anticoncorrenziale, né sono giustificabili economicamente, in quanto non limitate a quanto necessario per assicurare la funzione economica propria degli atti negoziali in cui sono apposte.
Il mancato ingresso nel mercato rilevante di nuovi operatori di intermediazione, quindi, è il risultato delle clausole di esclusiva assoluta che, in un mercato non contendibile, connotato dalla presenza di tre operatori di rilevanti dimensioni, che già affiliavano nel 2015 oltre l’85% dei tassisti disponibili nell’ambito territoriale di riferimento, hanno impedito ai tassisti vincolati di destinare una quota della propria capacità produttiva (non necessaria ai radiotaxi di appartenenza) per l’esecuzione di corse intermediate da nuove imprese operanti sul mercato rilevante; il che, di conseguenza, ha limitato in maniera sensibile, il gioco della concorrenza, producendo un effetto di chiusura del mercato, con pregiudizio tanto per i tassisti, quanto per i consumatori finali.
Non risultando sufficiente una quota di tassisti indipendenti pari a meno del 15% dei tassisti milanesi, né risultando effettivo il rimedio del recesso contrattuale (in ragione delle perdite derivanti dal mancato godimento dei benefici da economie di rete), a fronte di clausole di esclusiva a portata assoluta, non può ritenersi che le nuove imprese di intermediazione interessate a entrare nel mercato rilevante avessero la possibilità di fare affidamento su un numero sufficiente di tassisti per potere operare (profilo correttamente rilevato dall’Autorità al par. 225 provvedimento).
L’esperienza di My., in conclusione, conferma tale assunto, tenuto conto che tale operatore, benché abbia riscontrato un crescente gradimento nel pubblico (documentato dalla costante crescita delle richieste dei consumatori finali), non è stato in condizione di intermediare la domanda di servizio taxi raccolta, registrando – in ragione dei vincoli di esclusiva convenuti tra radiotaxi e tassisti aderenti e, per l’effetto, della ridotta disponibilità di tassisti in condizione di operare anche per nuove piattaforme di intermediazione (cfr. tabella 4 provvedimento, in cui si dà conto di come la crescente domanda proveniente dall’utente non sia stata soddisfatta per indisponibilità di un numero di tassisti sufficiente a soddisfare le richieste intermediate da My.) – tassi di evasione delle richieste di gran lunga superiori alla media del mercato e a quelli comunque riscontrati in capo ai tre radiotaxi parti del procedimento.
4.12 L’ostacolo alla concorrenza prodotto in danno di un operatore riconducibile ad un gruppo tedesco (parr. 3 e 286 provvedimento), dimostra, altresì, la sussistenza di un attuale pregiudizio al commercio intracomunitario, minando la realizzazione del mercato comune, come correttamente rilevato al par. 268 del provvedimento antitrust.
4.13 Non può, infine, censurarsi neanche la valutazione amministrativa sui presupposti di esenzione applicabili alle intese de quibus.
Anche sotto tale profilo, le censure svolte dagli appellanti risultano fondate.
Difatti, quanto all’esenzione per categoria di cui al Regolamento UE n. 330/2010, nel caso di specie vengono in rilievo clausole di non concorrenza a tempo indeterminato, a nulla rilevando la previsione del diritto di recesso; detto rimedio può, infatti, essere valutato – ove giuridicamente ammesso ed economicamente attuabile (circostanza, quest’ultima, non riscontrata nel mercato rilevante)- per verificare la sussistenza di un effetto anticoncorrenziale significativo ai sensi della disciplina antitrust, ma non influisce sulla qualificazione della clausola di non concorrenza, che rimane a tempo indeterminato ove difetti di un termine finale di operatività . Pertanto, facendosi questione nella specie di clausole di non concorrenza a tempo indeterminato, in quanto non soggette a termine finale, l’esenzione non potrebbe operare ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. a), Reg. n. 330/1010 (secondo cui sono sottratte all’esenzione gli obblighi di non concorrenza, diretti o indiretti, la cui durata sia indeterminata o superiore a cinque anni – come correttamente rilevato dall’Autorità al par. 197 del provvedimento; cfr. anche par. 261).
Peraltro, nella specie si fa questione di effetto cumulativo di blocco prodotto da tre operatori economici, detentori, complessivamente, di una quota di mercato superiore all’85%, individualmente, di una quota variabile dal 20/25% di al 30/35% di Au., per giungere al 35/40% di Ta.; il che rileva per escludere l’applicabilità del Reg. n. 330/2010 cit. anche ai sensi dell’art. 3 del Reg. n. 330/2010, secondo cui “L’esenzione di cui all’articolo 2 si applica a condizione che la quota di mercato detenuta dal fornitore non superi il 30% del mercato rilevante sul quale vende i beni o servizi oggetto del contratto e la quota di mercato detenuta dall’acquirente non superi il 30% del mercato rilevante sul quale acquista i beni o servizi oggetto del contratto” (cfr. par. 261 provvedimento).
Non potrebbe neanche sostenersi la liceità degli accordi de quibus sulla base dell’art. 101, par. 3, TFUE, tenuto conto che, alla stregua delle considerazioni supra svolte, le intese producono un significativo effetto anticoncorrenziale, impedendo od ostacolando l’ingresso di nuove piattaforme di intermediazione, con conseguente pregiudizio sia per i tassisti che per i consumatori finali (come correttamente valutato dall’Autorità ai parr. 261-266 provvedimento).
Pertanto, posto che le intese, per le ragioni esaminate:
– non apportano benefici alla produzione o alla distribuzione dei servizi, né promuovono il progresso tecnico o economico;
– sono pregiudizievoli per gli interessi dei consumatori;
– risultano violative del principio di proporzionalità, non essendo neanche necessarie per consentire, nell’ambito dei negozi giuridici in cui sono inserite, di conseguire i legittimi obiettivi di tutela sottesi alla loro previsione;
– eliminano la concorrenza per una parte sostanziale del mercato rilevante;
non risultano integrate neanche le condizioni di applicazione dell’art. 101, par. 3. TFUE.
V. La complessità delle questioni esaminate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello principale e sull’appello incidentale, come in epigrafe proposti, accoglie l’appello principale e l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta interamente il ricorso in primo grado.
Compensa interamente tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 84 comma 6, del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, attraverso l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”, con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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