Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 7 maggio 2019, n. 2921.

La massima estrapolata:

L’ingiunzione di demolizione delle opere abusive, successivamente al diniego di accertamento di conformità, costituisce atto dovuto per la pubblica amministrazione, in quanto volto a reprimere opere edilizie delle quali è stata accertata l’abusività e che non sono state ritenute suscettibili di regolarizzazione.

Sentenza 7 maggio 2019, n. 2921

Data udienza 18 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1599 del 2013, proposto da
Vi. Sa. Fa., Se. Za., rappresentati e difesi dall’avvocato Ro. Ma. De., con domicilio eletto presso lo studio Fr. Bu. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ga. Pa., Da. Sf., con domicilio eletto presso lo studio Ga. Pa. in Roma, viale (…);
An. Ma. To., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA – GENOVA: SEZIONE I n. 878/2012, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 aprile 2019 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Al. To. in sostituzione di De. Ro. Ma. e l’avvocato Ga. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza n. 878/2012 del 25-6-2012 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria Sezione Prima rigettava il ricorso proposto dai signori Vi. Sa. Fa. e Se. Za., inteso ad ottenere l’annullamento del provvedimento di ingiunzione di demolizione, a firma del dirigente del Settore Territorio del Comune di (omissis), prot. n. 3326 del 28-3-2011, relativo ad opere abusive dagli stessi realizzati.
La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.
“Con ricorso notificato in data 27.5.2011 i signori Fa. Vi. Sa. e Za. Se. hanno impugnato il provvedimento 28.3.2011, prot. 3326, con il quale il Comune di (omissis) ha ingiunto loro la demolizione del fabbricato realizzato in strada (omissis), in quanto realizzato in totale difformità dal permesso di costruire 19.10.1998, n. B/966.
A sostegno del gravame hanno dedotto quattro motivi di ricorso, rubricati come segue.
1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 31, violazione degli artt. 3 e 6 legge 7.8.1990, n. 241- eccesso di potere. Difetto assoluto di istruttoria.
2. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990, n. 241. Mancata e/o carente indicazione dell’oggetto del provvedimento di ingiunzione.Eccesso di potere per difetto di motivazione.
3. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della legge 7.8.1990, n. 241.
4. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 (testo unico per l’edilizia). Difetto dei presupposti e difetto di istruttoria.
Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), controdeducendo nel merito ed instando per la reiezione del ricorso…”.
Il giudice di primo grado, dopo aver dichiarato l’inammissibilità dell’intervento ad opponendum spiegato dalla signora An. Ma. To., riteneva l’infondatezza del ricorso, evidenziando, in sintesi, che:
– ai fini della rinnovazione dell’ingiunzione di demolizione, successivamente al rigetto della domanda di accertamento di conformità presentata dai ricorrenti, il Comune non era tenuto ad una nuova istruttoria e ad effettuare un nuovo accertamento dello stato dei luoghi;
– l’ingiunzione di demolizione risultava correttamente motivata, evincendosi dalla stessa l’oggetto della determinazione demolitoria;
-la mancata indicazione, nella comunicazione di avvio del procedimento, del termine di conclusione del procedimento e dei rimedi esperibili contro l’inerzia dell’Amministrazione non produceva illegittimità del provvedimento amministrativo;
-l’opera realizzata configurava totale difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato.
Avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale i signori Vi. Sa. Fa. e Se. Za. hanno proposto appello, deducendo l’erroneità della stessa e chiedendone l’integrale riforma, con il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento dell’atto impugnato.
Lamentavano: 1) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 31. Violazione degli artt. 3 e 6 legge 7 agosto 1990, n. 241- eccesso di potere. Difetto assoluto di istruttoria; 2) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Mancata e/o errata indicazione dell’oggetto del provvedimento di ingiunzione.Eccesso di potere per difetto di motivazione; 3) Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241; 4) Error in iudicando. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 31, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001. Difetto dei presupposti e difetto di istruttoria.
Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), deducendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.
Gli appellanti hanno depositato memoria difensiva in vista dell’udienza di discussione.
A questa ha replicato il Comune di (omissis).
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 18 aprile 2018.

DIRITTO

Deve preliminarmente, in conformità della eccezione degli appellanti, darsi atto della tardività della memoria di replica depositata telematicamente dal Comune di (omissis) in data 28-3-2019, della quale non può tenersi conto ai fini della decisione.
Invero, la stessa risulta depositata telematicamente l’ultimo giorno del termine libero per la presentazione delle memorie di replica, ma oltre le ore 12.
La giurisprudenza, in proposito, ritiene che il deposito con il processo amministrativo telematico (Pat)è possibile fino alle ore 24,00 ma se effettuato l’ultimo giorno utile rispetto ai termini previsti dal comma 1 dell’art. 73 c.p.a, ove avvenga oltre le ore 12, si considera -limitatamente ai fini della garanzia dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche – effettuato il giorno successivo ed è, dunque, tardivo (cfr. Cons. Stato, V, 2-8-2018, n. 4785; sez. III, 24-5-2018, n. 3136).
Viene, in proposito, in rilievo il comma 4 dell’art. 4 dell’allegato 2 al D.Lgs. 2-7-2010 n. 104 (c.p.a.), come modificato dall’art. 7 d.l. 31-8-2016, n. 168, secondo il quale ” E’ assicurata la possibilità di depositare con modalità telematica gli atti in scadenza fino alle ore 24:00 dell’ultimo giorno consentito. Il deposito è tempestivo se entro le ore 24:00 del giorno di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, ove il deposito risulti, anche successivamente, andato a buon fine. Agli effetti dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12:00 dell’ultimo giorno consentito si considera effettuato il giorno successivo”.
Tanto premesso, con il primo motivo di appello i signori Fa. e Za. lamentano: Error in iudicando – violazione e falsa applicazione dell’articolo 31, degli articoli 3 e 6 della legge 7 agosto 1990, n. 241 – eccesso di potere- difetto assoluto di istruttoria.
Deducono che l’ordine di demolizione emesso a seguito del rigetto dell’istanza di accertamento di conformità sia viziato da totale carenza di istruttoria, in quanto l’amministrazione, dopo la reiezione della domanda di sanatoria, non ha effettuato un ulteriore sopralluogo né ha redatto un nuovo verbale.
Deduce che il Tribunale ha ritenuto erroneamente la superfluità di un ulteriore sopralluogo, non tenendo conto che il tempo trascorso dall’originaria indagine della polizia municipale rendeva probabile il mutamento dello stato di fatto del cantiere, evidenziando che effettivamente una delle due baracche, la cui esistenza era stata acclarata nel sopralluogo del 28 marzo 2007, era stata nelle more spontaneamente rimossa dagli appellanti.
L’emanazione di una nuova ingiunzione di demolizione avrebbe dovuto essere preceduta da adeguata istruttoria, che è preliminare all’adozione di ogni provvedimento amministrativo, anche ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 241 del 1990.
Il motivo di appello non è meritevole di favorevole considerazione.
Osserva il Collegio che l’ingiunzione di demolizione delle opere abusive, successivamente al diniego di accertamento di conformità, costituisce atto dovuto per la pubblica amministrazione, in quanto volto a reprimere opere edilizie delle quali è stata accertata l’abusività e che non sono state ritenute suscettibili di regolarizzazione.
In tale contesto, il provvedimento ripristinatorio ben può operare riferimento all’accertamento di abusività e all’istruttoria compiuta precedentemente alla presentazione dell’istanza di sanatoria, senza rinnovare l’accertamento sulla esistenza delle opere abusive, atteso che proprio la presentazione dell’istanza di sanatoria lascia presumere che, in relazione alla volontà del privato di regolarizzarle, le stesse siano rimaste sul territorio e non siano state rimosse.
A cagione di ciò, ritiene la Sezione che spetti al privato segnalare l’eventuale mutamento dello stato dei luoghi successivamente al rigetto dell’accertamento di conformità, trattandosi di condotta spontanea volta ad eliminare un abuso edilizio la cui esistenza è già stata accertata in precedenza dall’amministrazione nonché confermata dal privato medesimo mediante la presentazione della richiesta di sanatoria.
Ciò è ancora più vero nella fattispecie in esame, dove la nuova ingiunzione di demolizione è stata fatta precedere da avviso di avvio del procedimento (v. documento n. 2 della produzione di primo grado di parte ricorrente).
In esso è stato palesato il riavvio del procedimento sanzionatorio in materia edilizia e sono state analiticamente indicate le opere abusive oggetto dello stesso.
Invero, la comunicazione prot. n. 11178 del 24 febbraio 2011 specifica, quale oggetto del procedimento che ” I Sigg.ri Fa. Vi. Sa. e Za. Se….hanno proceduto…, in difformità dal permesso di costruire n. B/966 del 19-10-98, alla realizzazione dei seguenti interventi:
ACCESSO CARRAIO:
Traslazione verso monte di circa mt. 30,00 rispetto a quanto assentito.
FABBRICATO:
Rotazione della sagoma del fabbricato di circa 90° ;
Arretramento del posizionamento dello stesso di circa mt. 4,00;
Realizzazione ad una quota superiore di circa mt. 2,00 con conseguente mancato interramento su tre lati;
Aumento di mt. 43,00 della superficie autorizzata per mq. 77,00 con ampiezza finale pari a circa mt. 120,00;
Realizzazione di bucature finestrate sul lato sud del corpo di fabbrica previsto totalmente interrato.
AREA DI PERTINENZA:
Sul lato mare posa in opera di n. 2 baracche metalliche delle dimensioni di mq. 6,00 e di mq.2,00, entrambe con altezza media di circa mt. 2,50;
eseguite in violazione delle norme urbanistico-edilizie”.
Dunque, in presenza di una analitica descrizione delle opere edilizie abusivamente realizzate, sarebbe stato onere del privato intervenire nel procedimento ed evidenziare un intervenuto mutamento dello stato dei luoghi, al fine di modulare diversamente i contenuti dell’emanando ordine di demolizione.
Tanto alla luce del principio di leale collaborazione con l’Amministrazione, operante in considerazione del fatto che la sussistenza di interventi abusivi era stato già in precedenza accertato dal Comune.
Invero, come condivisibilmente osservato dal giudice di primo grado, l’effettuazione di un nuovo accertamento istruttorio sullo stato dei luoghi, avrebbe determinato un inutile aggravamento del procedimento sanzionatorio, in violazione del principio di speditezza ed economicità dell’azione amministrativa di cui all’articolo 1 della legge n. 241 del 1990.
Né può assumersi una violazione del principio inquisitorio, operante nel procedimento amministrativo in base all’articolo 6 della legge n. 241 del 1990, atteso che l’accertamento della avvenuta realizzazione di illeciti edilizi era già avvenuto in precedenza, con il verbale in data 28-3-2007 del Comando di Polizia Municipale, e che la rinnovata ingiunzione di demolizione si pone in stretta continuità con la prima ingiunzione di demolizione prot. n. 47/2638 del 4 aprile 2007, risultando adottata per le medesime opere successivamente alla presentazione di istanza di sanatoria ed al suo rigetto da parte del Comune.
Né, infine, può assumersi per altra via l’illegittimità dell’impugnato ordine di demolizione per aver applicato la sanzione demolitoria ad un’opera nelle more spontaneamente rimossa, configurandosi in tale caso la mera inefficacia in parte qua dell’ingiunzione medesima.
Sulla base delle considerazioni sopra esposte, pertanto, il primo motivo di appello risulta infondato.
Con il secondo motivo i signori Fa. e Za. lamentano: Error in iudicando – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990 – mancata e/o carente indicazione dell’oggetto del provvedimento di ingiunzione – eccesso di potere per difetto di motivazione.
Essi censurano la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto che il provvedimento abbia ad oggetto tutte le opere eseguite in difformità dal permesso di costruire, senza la necessità di una precisa indicazione delle porzioni di fabbricato interessate dal provvedimento né una specifica valutazione circa la mancanza di pregiudizio per le parti conformi.
Rilevano che il provvedimento impugnato, dopo aver indicato in premessa l’elencazione degli interventi realizzati in difformità dal permesso di costruire, si limita, nella parte dispositiva, a disporre la demolizione dell'”opera abusiva sopra descritta”, senza indicare precise porzioni di fabbricato e senza valutare la mancanza di pregiudizio, derivante dalla demolizione, alle parti conformi; risultando così carente della univoca indicazione dell’oggetto dell’ingiunzione di demolizione.
Il motivo di appello è infondato.
La complessiva lettura dell’ingiunzione di demolizione evidenzia che la demolizione riguarda “l’opera abusiva sopra descritta” e, dunque, tutte le opere analiticamente indicate nella premessa del provvedimento.
Non vale, dunque, il richiamo alla mancata indicazione di “precise porzioni di fabbricato”, evidenziandosi che il provvedimento è assunto facendo espressa applicazione dell’articolo 45 della legge regionale Liguria 6-6-2008, n. 16, che disciplina la fattispecie delle opere eseguite in totale difformità dal permesso di costruire.
Ne è conferma, altresì, la previsione, nel corpo del provvedimento, della acquisizione gratuita di diritto dell’opera, dell’area di sedime e delle pertinenze urbanistiche per il caso di mancata ottemperanza all’ingiunzione di demolizione.
In tale ipotesi, pertanto, non ha alcun senso distinguere porzioni conformi da porzioni non conformi, essendo chiaramente riferibile l’ingiunzione ripristinatoria all’intera opera.
Allo stesso modo, non era dovuta alcuna valutazione in ordine al mancato pregiudizio per le opere realizzate in conformità al titolo edilizio.
Tale valutazione, invero, risulta prevista solo per le diverse ipotesi di interventi di ristrutturazione eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità e di interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo abilitativo, fattispecie non riscontrabili nel caso di specie.
Quanto alla dedotta mancata chiarezza del provvedimento in ordine alla circostanza se, nell’oggetto del provvedimento, sia ricompresa anche la demolizione dei muri di controripa realizzati dai ricorrenti sul fondo, deve essere evidenziato che il provvedimento non indica affatto gli stessi come opere da demolire e, dunque, tali manufatti non sono chiaramente oggetto dell’ordine demolitorio.
Non è, inoltre, meritevole di favorevole considerazione il terzo motivo di appello, con il quale la gravata sentenza viene censurata per non aver ritenuto di natura invalidante la omessa indicazione, nella comunicazione di avvio del procedimento, dei termini di conclusione del procedimento e dei rimedi esperibili nel caso di inerzia dell’Amministrazione.
Concordemente a quanto affermato dal giudice di primo grado, il Collegio ritiene che le suddette omissioni non siano invalidanti, ma concretino mere irregolarità, che non incidono sulla legittimità del provvedimento finale, trattandosi di omissioni che non frustrano la finalità partecipativa propria dell’avviso di avvio del procedimento.
Con il quarto motivo di appello i signori Fa. e Za. lamentano: Error in iudicando – violazione e falsa applicazione dell’articolo 31 della legge n. 241/1990 – difetto dei presupposti e difetto di istruttoria.
Essi deducono l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il fabbricato fosse integralmente diverso rispetto a quello oggetto del permesso di costruire per la presenza di variazioni delle caratteristiche planovolumetriche dell’edificio.
Contestano che il Tribunale avrebbe all’uopo utilizzato una motivazione apodittica, riprendendo pedissequamente ed acriticamente le valutazioni del provvedimento impugnato, senza procedere ad alcun accertamento istruttorio e prescindendo da ogni valutazione rispetto agli elementi di riscontro forniti dai ricorrenti (relazione tecnica dell’ing. Er., documento sub 4 della produzione di primo grado), intesi a dimostrare che il manufatto era incompiuto, sicchè non poteva addebitarsi la difformità progettuale di non avere realizzato le opere di interramento.
Deducono che la superficie del fabbricato era stata indicata indebitamente in mq. 120 (in luogo dei 77 autorizzati), poiché era stato misurato il solaio di copertura comprensivo degli aggetti e della copertura del porticato.
Escludono che il fabbricato sia stato realizzato ad una quota superiore di circa 2 metri, rilevando, altresì, che esso non risultava interrato su tre lati in quanto ancora “al rustico” e che, alla fine dei lavori, esso era destinato ad essere interrato in conformità al progetto approvato.
Il motivo non è meritevole di favorevole considerazione.
L’articolo 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, dispone, al comma 1, che “Sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.
Rileva il Collegio che nella specie il manufatto eseguito dagli appellanti risulta integralmente diverso da quello autorizzato per caratteristiche plano-volumetriche.
Tanto, a prescindere dal rilievo se lo stesso risulti o meno realizzato ad una quota superiore a mt. 2 rispetto al progetto approvato, emerge in tutta evidenza dall’eseguito accertamento di cui al verbale della polizia municipale del 28-3-2007.
Infatti, il fabbricato è ruotato nella sagoma di circa 90° ed è posizionato, rispetto al progetto approvato, in arretramento di circa mt. 4,00.
Esso, inoltre, a prescindere dalla consistenza volumetrica, copre comunque una superficie maggiore, pure tenendo conto degli aggetti e della copertura del porticato, rispetto al progetto approvato.
La relazione dell’ingegnere Er. indica, al netto degli aggetti e della copertura del porticato una superficie di 96 mq., la quale risulta comunque superiore rispetto a quella oggetto di autorizzazione, la quale è pari a mq. 77.
La diversità del fabbricato realizzato rispetto a quello autorizzato risulta, poi, confermata dal documento 6 della produzione di primo grado dei ricorrenti, il quale contiene una rappresentazione grafica in sovrapposizione, denotante la diversa collocazione sull’area di sedime e la diversa consistenza del fabbricato realizzato e di quello autorizzato.
Rileva, di poi, il Collegio che la natura di organismo edilizio integralmente diverso rispetto a quello autorizzato emerge, con valenza assorbente, dalla circostanza che il fabbricato realizzato non risulta interrato su tre lati.
La concessione rilasciata (prot. n. 4335 del 27-1-1998) autorizzava i lavori di costruzione di un “magazzino agricolo interrato”.
Dalla documentazione fotografica prodotta, oltre che dal citato verbale di p.m. del 28-3-2007, risulta il mancato interramento su tre lati ed, in particolare, è visibile la realizzazione fuori terra del lato sud del fabbricato con la realizzazione di finestre.
Esso, quindi, è un manufatto fuori terra, il quale, come tale, costituisce volumetria.
Se è vero che il manufatto è stato rilevato allo stato rustico e che la conformità al progetto approvato va valutata al momento della ultimazione dei lavori, nondimeno la difformità progettuale è configurabile anche allo stato rustico tutte le volte in cui le modalità di realizzazione del fabbricato ne escludano una configurazione provvisoria e denotino inequivocamente quello che sarà lo stato finale dei lavori.
Orbene, le caratteristiche del fabbricato, come emergenti dalla documentazione fotografica in atti, dimostrano chiaramente che lo stesso è stato realizzato per essere mantenuto fuori terra.
Dirimente è in proposito la consistenza della suddetta parete del lato sud del fabbricato.
Il futuro interramento della stessa avrebbe potuto essere ritenuto ove la stessa fosse risultata priva di tompagnatura, potendosi ritenere che la stessa sarebbe stata, nella prosecuzione dei lavori, chiusa integralmente e successivamente interrata.
Ad analoghe conclusioni avrebbe potuto giungersi in ipotesi di rilevata integrale chiusura della stessa.
Vi è, invece, che la parete di cui trattasi è stata realizzata in parte con tompagnatura ed in parte con aperture finestrate.
La presenza di tali aperture, destinate a consentire l’ingresso di luce ed aria all’interno del fabbricato, dimostra che la parete è stata realizzata per essere mantenuta al di sopra del piano di campagna, risultando le stesse incompatibili con una previsione di interramento.
La volontà di interramento viene, altresì, oggettivamente esclusa dalla realizzazione, al colmo della suddetta parete, di un aggetto-cornicione, il quale ha l’evidente funzione di protezione dagli agenti atmosferici di un lato del fabbricato fuori terra, atteso che, ove tale lato del fabbricato fosse stato destinato all’interramento, il suddetto aggetto sporgente non avrebbe avuto motivo di essere realizzato.
Deve, di conseguenza ritenersi, che il fabbricato così come rilevato all’atto del sopralluogo del 28-3-2007 palesasse la propria conformazione definitiva, cioè quella di manufatto non interrato e, specificamente, di un’opera integralmente difforme rispetto a quella autorizzata, la quale si caratterizzava per essere un magazzino agricolo interrato su tre lati.
Le considerazioni sopra svolte, basate sulle caratteristiche oggettive del fabbricato e sulla documentazione, anche fotografica, depositata in giudizio dai ricorrenti, rilevano la non condivisibilità delle deduzioni tecniche formulate, onde correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto l’opera edilizia integralmente difforme rispetto a quella realizzata senza disporre all’uopo ulteriori accertamenti tecnici.
Anche il quarto motivo di appello risulta, pertanto, infondato.
Conclusivamente, dunque, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore del Comune di (omissis).
Nulla è dovuto per le spese in favore della signora An. Ma. To., attesa la sua mancata costituzione in giudizio.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (ex plurimis, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna gli appellanti al pagamento, in favore del Comune di (omissis), delle spese processuali del grado, che si liquidano in euro 3000 (tremila), oltre accessori di legge.
Nulla spese in favore della signora An. Ma. To..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere, Estensore
Dario Simeoli – Consigliere

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