Individuazione di un bene culturale

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 11 novembre 2019, n. 7715.

La massima estrapolata:

L’individuazione di un bene culturale, sia in generale sia in particolare, nel caso in cui si tratti di delimitare i confini di una zona da sottoporre a vincolo quale bellezza d’insieme, costituisce tipico esercizio di discrezionalità tecnica, sindacabile in sede giurisdizionale di legittimità solo in caso di manifesta illogicità, incongruità, irragionevolezza o arbitrarietà dei risultati.

Sentenza 11 novembre 2019, n. 7715

Data udienza 26 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 924 del 2019, proposto da
Le Ta. Es. S.r.l. Unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Em. Pa. Sa., Ma. Al. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per L’Area Metropilitana di Roma non costituiti in giudizio;
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per L’Area Metropolitana di Roma La Provincia Di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Comune di (omissis) ed altri, non costituiti in giudizio;
Associazione La. Ve. ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. Lo Ma., St. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio St. Ro. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 10462/2018, resa tra le parti, sulla domanda per ottenere, previa sospensione, l’annullamento in parte qua di:
a. Dichiarazione di notevole interesse pubblico ex art. 136, comma 1, lett. c) e d), del D. Lgs. n. 42/2004 e s.m.i. dell’area sita nei Comuni di (omissis) e (omissis) (Provincia di Roma) individuata come “Ambito delle tenute storiche di (omissis), (omissis) ed altre della Campagna Romana”, approvata con Decreto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo del 27 ottobre 2017, non notificato ed ogni relativo allegato, limitatamente ai lotti industriali di sua proprietà infra individuati;
b. antecedente Proposta, Controdeduzioni della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio del 19/10/2017 prot. 24160 (non conosciute) ed eventuali Provvedimenti espliciti di rigetto delle Osservazioni inoltrate dalla ricorrente relativamente ai lotti industriali di sua proprietà infra descritti e individuati come lotto D.P.1, lotto D.P.2, lotto D.P.3 e lotto (omissis);
c. Parere di Approvazione della Commissione Regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio del 26/10/2017 ed ogni altro atto o provvedimento, anche istruttorio e/o consultivo ivi compreso il parere della Regione Lazio del 26/5/2017, endoprocedimentale e non, antecedente o successivo, ed, in particolare, la cartografia di riferimento.
Domanda con la quale si chiedeva che:
l’On. le Tar adito, respinta e disattesa ogni avversa e contraria richiesta e conclusione;
I. In via preliminare ed incidentale, sospendesse l’esecutività dei provvedimenti impugnati anche ai fini della sollecita fissazione dell’udienza di discussione per la trattazione nel merito.
II. Annullasse, per gli esposti motivi, la Dichiarazione di notevole interesse pubblico impugnata in relazione ai cinque lotti industriali di proprietà della ricorrente individuati come lotto D.P.1, lotto D.P.2, lotto D.P.3, lotto A.F. e lotto (omissis).
III. Gradatamente, annullasse, per gli esposti motivi, la Dichiarazione di notevole interesse pubblico impugnata nella parte in cui sono state disattese le Osservazioni della ricorrente relativamente al lotto D.P.1, al lotto D.P.2 ed al lotto D.P.3 con consequenziale mancata declassificazione in “Paesaggio degli insediamenti in evoluzione”.
IV. Ancor più gradatamente, annullasse la Dichiarazione di notevole interesse pubblico nella parte in cui sono state disattese le Osservazioni della ricorrente relativamente al lotto (omissis), con consequenziale mancata declassificazione in “Paesaggio degli insediamenti in evoluzione”.
V. Con vittoria di spese e competenze, oltre rimborso di spese generali e del contributo unificato, iva, cpa.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Em. Pa. Sa., Ma. Al. Sa., St. Ro., l’avvocato dello Stato Ch. Ai.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 10462 del 2018 con cui il Tar Lazio respingeva l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dalla stessa società odierna appellante, proprietaria dei terreni interessati, avverso il decreto del Segretario Regionale – Presidente della Commissione Regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo del 27 ottobre 2017, con cui è stato dichiarato il notevole interesse pubblico dell’area “Tenute storiche di (omissis), (omissis), e altre della Campagna Romana nei comuni di (omissis) e (omissis), ai sensi dell’art. 136, comma 1, lettere c) e d), del d.lgs. n. 42 del 2004, unitamente a tutti gli atti preordinati e connessi, tra cui la proposta del 18 maggio 2017, gli elaborati grafici allegati e le controdeduzioni alle osservazioni del 19 ottobre 2017.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte ricorrente censurava la sentenza impugnata ritenendola erronea sotto una pluralità di profili oltre a riproporre i motivi di censura.
In dettaglio, l’appello era affidato ai seguenti motivi:
– violazione degli artt. 88 c.p.a., 112 c.p.c.. 134, 136, 139, 140 e 142 d.lgs. n. 42/2004. 1 e 3 della legge.n. 241/1990, 97 della Cost., nonché diversi profili di eccesso di potere, per incompatibilità degli obiettivi di vincolo con la i caratteri della zona industriale interessata;
– error in iudicando per violazione degli artt. 134 ss. cit., 1 e 3 della legge.n. 241 cit., 97 della Cost., nonché diversi profili di eccesso di potere, per la mancata considerazione in loco di due imponenti edifici industriali e quindi della effettiva situazione di fatto.
Il Ministero appellato e le parti appellate private si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 26 settembre 2019 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. La società ricorrente appellante impugna il decreto 27 ottobre 2017 della Commissione regionale per la tutela del patrimonio culturale del Lazio meglio indicato in epigrafe, che ha dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 comma 1 lettere c) e d) del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, e quindi ha sottoposto a vincolo, un’ampia zona dell’agro romano, estesa per circa 2000 ettari fra i Comuni di (omissis) ed (omissis). La società stessa è infatti proprietaria di cinque lotti industriali siti in Comune di (omissis), insistenti all’interno del comprensorio di località (omissis), come specificati nell’atto di appello: a. lotto, distinto in C.T. al folio (omissis), particella n. (omissis) e maggiore consistenza delle particelle
n. (omissis), dell’estensione di mq. 130.525 (lotto D.P.1);
b. lotto, distinto in C.T. al folio (omissis), nella maggiore consistenza della particella n. (omissis),
dell’estensione di mq. 57.318 (lotto D.P.2);
c. lotto, distinto in C.T. al folio (omissis), nella maggiore consistenza delle particelle n. (omissis),
dell’estensione di mq. 50.888 (lotto D.P.3);
d. lotto, distinto in C.T. al folio (omissis), nella maggiore consistenza delle particelle n. (omissis),
(omissis), dell’estensione di mq. 102.635 (lotto (omissis));
e. lotto, distinto in C.T. al folio (omissis), particelle n. (omissis), dell’estensione di mq.
20.375.
2. Il decreto 27 ottobre 2017, come si è detto, dichiara di notevole interesse pubblico l’area denominata “Tenute storiche di (omissis), (omissis) ed altre della Campagna Romana” nei Comuni di (omissis) e (omissis).
2.1 Si tratta di un’ampia area di circa 2000 ettari, che secondo quanto riporta lo stesso decreto “conserva ancora un insieme particolarmente armonioso di elementi agricoli e naturali, scarsamente antropizzati se non dalla realizzazione, nel corso del tempo, di interessanti esempi di insediamenti agricoli tipici della campagna romana, inscindibilmente coniugati con numerose preesistenze architettoniche (casali, torri, castelli) e archeologiche, così come riscontrabili nelle carte archeologiche storiche e recenti, che testimoniano l’antica vocazione agricola dell’area a cui si aggiunge la funzione di presidio del territorio e delle vie di comunicazione nel periodo medievale”. In altre parole, si tratta di una zona che fin dai tempi dell’antica Roma è stata destinata all’agricoltura, con la funzione essenziale di approvvigionare la vicina città, ed è stata da sempre attraversata dalle strade che a Roma conducono; in particolare, nel Medio Evo è stata caratterizzata da grandi centri agricoli, detti domuscultae, raccolti intorno a torri e castelli costruiti a scopo di controllo del territorio e di difesa. Il più importante di questi centri, compreso nell’area interessata e citato anche nell’intestazione del decreto, è poi il complesso monumentale di (omissis), che come si vedrà rileva direttamente ai fini di causa, si trova a circa 4 chilometri dall’abitato di (omissis), all’interno di un lotto di terreno di circa 4 ettari, e comprende una cinta muraria medievale con un edificio ed una torre a sezione quadrata di 7.10 metri di lato, che con i suoi 34 metri di altezza è una delle più alte della campagna romana (per tutto ciò, si veda la relazione generale allegata al decreto, doc. 3 ricorrente appellante, in particolare alle pp. 11-12).
2.2 Il decreto di vincolo è stato pronunciato, come pure si è detto, ai sensi dell’art. 136 comma 1 lettere c) e d) del d.lgs. 42/2004, e quindi considerando l’area come facente parte dei “complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici”, come previsto dalla lettera c), nonché come comprendente “le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”, come previsto dalla lettera d).
2.3 Si tratta poi di un vincolo cd vestito, ovvero di un vincolo che ai sensi dell’art. 140 comma 2 del d.lgs. 42/2004 “detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato. Essa costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo”. In altre parole, il decreto di vincolo non si limita a imprimere all’area la qualificazione di bene paesaggistico e a lasciare la sua concreta tutela alle autorizzazioni paesaggistiche da rilasciare di volta in volta a fronte dei singoli interventi, ma agisce in via diretta, prevedendo fin da subito con una serie di disposizioni puntuali gli usi del territorio considerato che sono ammessi e quelli che non sono ammessi. Il relativo potere, come è noto, è stato previsto per la prima volta dall’art. 10 comma 1 del d.lgs. 24 marzo 2006 n. 157, che ha modificato l’art. 140 comma 2 consentendo al decreto di vincolo di dettare “una specifica disciplina di tutela”, ed è stato reso più incisivo, nel senso di cui al testo attuale riportato, dall’art. 2 comma 1 lettera l) n. 2) del d.lgs. 28 marzo 2008 n. 63.
2.4 Nel caso in esame, il decreto di vincolo ha proceduto anzitutto a confermare “la disciplina adottata con il Piano territoriale paesistico regionale del Lazio- PTPR… così come già indicato nella tav. 29_387 e relative norme tecniche”. Com’è noto, il PTPR laziale nella sua cartografia, di cui fa parte la tavola indicata classifica le varie porzioni del territorio regionale in categorie omogenee, denominate “paesaggi”, distinti a seconda delle caratteristiche intrinseche e dell’uso dell’area, e per ciascuna di tali categorie all’interno delle norme di attuazione- NTA detta una specifica disciplina di tutela, indicando gli interventi non ammessi e quelli ammessi, con i relativi limiti e condizioni. Il decreto di vincolo ha quindi cristallizzato in via generale la disciplina già dettata dalla Regione; la ha poi integrata e modificata in casi specifici. Nel dettaglio, il decreto stesso ha riclassificato talune aree espressamente indicate da un tipo all’altro di “paesaggio”, stabilendo di volta in volta una tutela minore, o più spesso più intensa, di quanto già previsto dalla Regione. Il decreto ha infine introdotto alcune disposizioni di tutela puntualmente indicate, ulteriori rispetto a quelle previste nel sistema dei “paesaggi”, ovvero il divieto di arature e movimenti terra superiori ad un certo limite e non autorizzati intorno ai siti monumentali elencati e – per quanto direttamente rileva ai fini di questo giudizio- il divieto di “realizzare ulteriori manufatti a destinazione d’uso produttivo, commerciale e terziario anche se previsti dagli strumenti urbanistici comunali; realizzare nuove strade carrabili asfaltate a scorrimento veloce; eliminare i filari che costeggiano le strade interpoderali e i tracciati viari secondari” in tutte le aree classificate come “paesaggio agrario di rilevante valore” ovvero come “paesaggio dell’insediamento storico diffuso” (per tutto ciò, v. sempre il doc. 2 ricorrente appellante, cit.).
3. Tutto ciò premesso, va illustrata la situazione specifica del fondo per cui è causa, di proprietà della ricorrente appellante.
3.1 Come risulta, per tutti, dall’inquadramento su ortofoto (doc..5 in I grado MIBACT allegato all’elenco del 7 marzo 2018), l’area vincolata ha la forma approssimativa di un trapezio rettangolo rovesciato, la cui base maggiore si estende da nord ad est sud est. La parte superiore di questa ideale base maggiore, quindi a nord dell’area considerata, presenta però una frastagliatura in corrispondenza con la zona industriale di (omissis), in Comune di (omissis). Tale zona industriale -come è evidente sia dalla cartografia citata, sia dalle immagini satellitari disponibili in rete in pubblico dominio e quindi da considerare come fatti notori- si caratterizza perché accanto a lotti di terreno già urbanizzati, sede di stabilimenti vari, ne contiene altri ancora liberi o parzialmente liberi, che sono stati ricompresi nel perimetro del vincolo. In particolare, è libero anzitutto il lotto rettangolare di quattro ettari di cui si è detto, entro il quale sorge la (omissis), già da tempo vincolata come singolo monumento: questo lotto costituisce una sorta di dente di sega che si insinua all’interno dell’area industriale ed ha a nord un deposito di petroli, dai caratteristici serbatoi cilindrici ben visibili nell’ortofoto, a est il capannone di un’azienda metalmeccanica e a sud l’altro capannone del centro logistico di una nota catena di supermercati.
3.2 I terreni di proprietà della ricorrente appellante sono dei lotti non ancora, o non completamente, urbanizzati. I lotti industriali in precedenza descritti insistono all’interno del P.E.E.I., Comparto I, dell’agglomerato industriale di (omissis), approvato con D.G.R. n. 994 del 7/12/2007 (in continuità delle previsioni urbanistiche del P.R.G. di (omissis), approvato con
D.G.R. 4246 del 20/11/1974) ed hanno le destinazioni così precisate.
I lotti individuati come lotto D.P.1, lotto D.P.2 e lotto D.P.3 ricadono nelle zone omogenee “DP – Insediamenti Industriali Pesanti” ed “Area per viabilità e parcheggi”; sulle corrispondenti aree non gravano vincoli di sorta.
L’attuale disciplina urbanistica prevede e consente, su tali lotti (nonché sui lotti infra indicati), la costruzione di capannoni industriali o, in alternativa, di magazzini e depositi per lo stoccaggio merci, viabilità e parcheggi anche a complemento e servizio delle attrezzature ferroviarie del contiguo plesso industriale ed, al contempo, scalo ferroviario di (omissis).
3.3 Tali interventi peraltro ora non sono più realizzabili, dato che il decreto di vincolo ha cambiato la classificazione del terreno in “paesaggio dell’insediamento storico diffuso”, imprimendovi come si è visto il divieto di comunque realizzarvi “ulteriori manufatti a destinazione d’uso produttivo, commerciale e terziario anche se previsti dagli strumenti urbanistici comunali”. Il punto rilevante del decreto, per la precisione, è quello ove si dice che viene “classificata come paesaggio dell’insediamento storico diffuso la porzione territoriale delimitata dal perimetro del vincolo in corrispondenza della zona industriale (via (omissis)) e dalla particella catastale (omissis) del foglio (omissis), a seguire dalla fascia di rispetto della ferrovia Roma Napoli…”.
4. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso presentato dalla società contro tale decreto, ritenendo in sintesi estrema che esso costituisca legittimo esercizio dell’ampia discrezionalità di cui notoriamente l’amministrazione dispone in materia.
5. Contro questa sentenza, la ricorrente ha proposto impugnazione, con appello che contiene i motivi riassunti nella narrativa in fatto.
6. Hanno resistito il Ministero nonché le due associazioni ed i cittadini indicati in epigrafe, ed hanno chiesto che l’appello sia respinto; in particolare, gli intervenienti appellanti hanno eccepito, prima della loro infondatezza nel merito, l’inammissibilità di tutti i motivi di appello, in parte perché sconfinanti nel merito amministrativo, e in parte perché generici, in quanto non indicherebbero la parte della sentenza cui si riferiscono.
7. Alla pubblica udienza del giorno 26 settembre 2019, infine, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
8. E’ anzitutto infondata l’eccezione preliminare di inammissibilità dei motivi di appello proposta dagli intervenienti appellati con riguardo da un lato al primo di essi, dall’altro con riguardo ai restanti.
Per un verso è evidente che esso non contiene rilievi di merito, ovvero non pretende di sostituire un proprio punto di vista alle scelte dell’amministrazione, ma si limita, in termini pacificamente ammissibili, a mettere in discussione la razionalità della scelta espressa, nel che consiste il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità . Per un altro verso, per costante giurisprudenza – per tutte C.d.S. sez. V 11 ottobre 2017 n. 4717 e sez. VI 29 marzo 2007 n. 1472- ciò che rende inammissibile l’appello è la pedissequa riproposizione dei motivi di primo grado, senza che in alcun modo si critichino le conclusioni cui è giunta la sentenza impugnata, fermo che per far ciò non si richiedono formule particolari: nella specie, a semplice lettura dell’atto, le ragioni per cui la sentenza di I grado si ritengono errate sono del tutto comprensibili, salvo ovviamente il loro esame nel merito.
9. Ciò posto, l’appello è infondato appunto nel merito e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.
10. Vanno per chiarezza sintetizzate le norme applicabili alla fattispecie, nei termini già delineati anche dal Giudice di I grado, che qui si condividono.
10.1 Le norme in questione sono contenute all’interno del titolo I della parte terza del d.lgs. 42/2004, artt. 131-159, dedicato alla tutela e valorizzazione dei “beni paesaggistici”, ove per “paesaggio” si intende, ai sensi dell’art. 131 commi 1 e 2, il “territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni” tutelato “relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali”: in questo modo, all’evidenza, viene precisato e concretizzato il comma 2 dell’art. 9 Cost, per cui la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
10.2 Il titolo in esame, all’art. 134 comma 1, considera tre distinte categorie di beni paesaggistici, ovvero alla lettera a) “gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico”, categoria che rileva nel caso di specie, individuati con un provvedimento puntuale emesso all’esito del procedimento di cui agli artt. 138 e ss.; alla lettera b) le “aree tutelate per legge” di cui all’art. 142, ovvero determinate parti del territorio per le quali la legge ritiene applicabile in via diretta il regime di protezione da essa previsto; infine, alla lettera c) gli “ulteriori immobili ed aree” individuati come “di notevole interesse pubblico” sottoposti alla tutela dei piani paesaggistici a sua volta previsti dalla legge.
10.3 La giurisprudenza ha chiarito che i beni di cui all’art. 134 comma 1 lettera a), ovvero i beni culturali propriamente detti, e quelli di cui all’art. 134 comma 1 lettera c), ovvero i beni paesaggistici, rappresentano il risultato di “strumentazioni tra loro parallele e differenziate”, poiché “la tutela dei beni paesaggistici riguarda o il risultato storico dell’interazione tra intervento umano e dato di natura, o lo stretto dato di natura”, mentre invece “la tutela dei beni culturali immobili riguarda.. non visuali ma cose, in genere manufatti”. Sono oggetto quindi di tutela in tal senso le “realizzazioni dell’uomo” che possono essere completamente artificiali, come nel caso degli edifici, ovvero essere costituite da “dati di natura oggetto di cure e adattamenti umani” come “caratterizzazioni particolari dello spirito e dell’ingegno” rappresentate ad esempio da parchi e giardini. In tal caso, la componente naturalistica rimane quantitativamente dominante, ma ciò non esclude la possibilità di apporre il vincolo perché si tratta pur sempre di tutelare “l’intervento creativo umano che li origina, li modella, li condiziona e li guida”. In tal senso, C.d.S. sez. VI 3 luglio 2012 n. 3893, da cui le citazioni.
10.4 Della categoria più generale dei beni culturali fanno poi parte le due specie che rilevano ai fini di causa, ovvero come si è detto i “complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici”, ai sensi della lettera c) dell’art. 136, nonché “le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”, ai sensi della lettera d) dello stesso articolo.
Rispetto a questi complessi di beni, da valutarsi unitariamente, giova rilevare che vi è compresenza di finalità nella tutela, potendosi nel contempo, salvaguardare interesse culturale e paesaggistico, modulando nel modo più opportuno l’intervento vincolistico, in modo da salvaguardare il complesso valore meritevole di unitaria considerazione e tutela.
10.5 La giurisprudenza ha chiarito che l’individuazione di un bene culturale, sia in generale sia in particolare, per quanto qui interessa, nel caso in cui si tratti di delimitare i confini di una zona da sottoporre a vincolo quale bellezza d’insieme, costituisce tipico esercizio di discrezionalità tecnica, sindacabile in sede giurisdizionale di legittimità solo in caso di manifesta illogicità, incongruità, irragionevolezza o arbitrarietà dei risultati; nel caso che interessa non ricorre poi arbitrarietà per il solo fatto che non ogni singolo elemento compreso nell’area considerata presenta i caratteri della bellezza naturale, dato che appunto si tratta di tutelare l’insieme: così per tutte C.d.S. sez. VI 7 marzo 2016 n. 914, citata anche dal Giudice di I grado e pronunciata in un caso consimile, nonché sez. VI 14 ottobre 2015 n. 4747, in termini più generali.
10.6 Sempre la giurisprudenza si è poi occupata del caso che qui rileva, ovvero dell’ipotesi in cui si intenda vincolare una porzione di territorio particolarmente estesa, ed ha affermato che il tipo di vincolo da imporre anche in questo caso non è necessitato a priori, ma dipende dalle finalità che in concreto si vogliono perseguire: quando, come avviene più di frequente, si intenda conservare la visuale, si imporrà la tutela dei beni paesaggistici; si potrà invece legittimamente imporre la tutela propria del bene culturale quando si intenda conservare non la visuale, ma la consistenza materiale dell’area, che rappresenti un’eredità storica. In tal senso, l’ampia estensione dell’area è irrilevante, perché la tutela dovrà estendersi fin dove del bene culturale esistano le caratteristiche: in tal senso, la citata C.d.S. 3893/2012, relativa al vincolo di tutto il complesso dei laghi di Mantova, nonché C.d.S. sez. VI 29 gennaio 2013 n. 533, citata già dal Giudice di I grado e relativa ad un caso del tutto ana al presente, ovvero al vincolo dell’ambito meridionale dell’agro romano compreso tra le vie (omissis) ed (omissis), esteso a tutta l’area “avente le caratteristiche del richiamo identitario”.
10.7 La tutela dei beni culturali passa anzitutto per lo strumento generale dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146: in generale, i titolari dei beni vincolati “non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione”, ed ogni singolo intervento va autorizzato con un provvedimento puntuale, che valuta nel caso concreto la compatibilità fra quanto si vuol realizzare ed il vincolo imposto, senza però che di regola vi siano interventi individuati a priori come ammissibili o non ammissibili, salva ovviamente la tutela dell’esistenza del bene in quanto tale.
10.8 Tuttavia la legislazione si è per così dire evoluta nel senso di anticipare la tutela, ovvero di prevedere già nel provvedimento che impone il vincolo di bene culturale una serie di prescrizioni da rispettare, ovvero di predeterminare già in quella sede gli usi e le trasformazioni consentite. Come si è detto sopra, il testo originario dell’art. 140 comma 2, che in origine si limitava a disporre “il provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico degli immobili indicati alle lettere a) e b) dell’articolo 136 è altresì notificato al proprietario, possessore o detentore, depositato presso il comune, nonché trascritto a cura della regione nei registri immobiliari”, è stato infatti modificato una prima volta con il d.lgs. 157/2006, nel senso che “i provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico paesaggistico contengono una specifica disciplina di tutela, nonché l’eventuale indicazione di interventi di valorizzazione degli immobili e delle aree cui si riferiscono, che vanno a costituire parte integrante del piano paesaggistico da approvare o modificare”, e successivamente con il d.lgs. 63/2008, che ha introdotto il testo attuale sopra riportato: “La dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerato. Essa costituisce parte integrante del piano paesaggistico e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo.” La dichiarazione di interesse pubblico quindi ora deve obbligatoriamente prevedere una disciplina di questo tipo: dei relativi rapporti con la pianificazione, finalizzati a tutelare il bene dinamicamente e in relazione dialettica con la pianificazione urbanistica regionale e subregionale, sulla quale la disciplina stessa prevale, si dirà subito.
10.9 Il procedimento per individuare un bene culturale è di competenza della Regione ai sensi dell’art. 140, per cui appunto “La regione… esaminati le osservazioni e i documenti e tenuto conto dell’esito dell’eventuale inchiesta pubblica,… emana il provvedimento relativo alla dichiarazione di notevole interesse pubblico”; lo stesso potere però spetta, ai sensi del successivo art. 141 anche all’autorità centrale, ovvero al Ministero, ed è questo il potere esercitato nel caso in esame, sul quale quindi bisogna soffermarsi, tenendo conto del fatto che in tale ipotesi è appunto il Ministero che viene a dettare la “specifica disciplina di tutela” contenuta nella dichiarazione stessa.
10.10 Secondo la giurisprudenza, per tutte le citate C.d.S. 533/2013 e 914/2016, il potere ministeriale di individuare un bene culturale e di sottoporlo alla relativa tutela è quindi un potere originario, che non si riduce ad un intervento sostitutivo di quello regionale; si osserva in proposito che attribuire un tale potere di intervento all’autorità centrale è perfettamente compatibile con la Costituzione, e non lede le autonomie locali, dato che, per costante giurisprudenza della Corte, per tutte 20 luglio 2016 n. 189 e 30 dicembre 1987 n. 641, la tutela del paesaggio e dell’ambiente deve essere unitaria e omogenea su tutto il territorio nazionale. Dalla qualificazione di tale potere come originario, discende poi, sotto il profilo procedurale, che il suo esercizio non viola il dovere di leale collaborazione con le autonomie locali nel momento in cui, come nella specie non è contestato sia avvenuto, il Ministero acquisisca il parere obbligatorio, ma non vincolante, della Regione interessata.
10.11 L’esercizio del potere di vincolo comporta poi, come si è detto, che il Ministero venga a dettare le specifiche disposizioni di tutela del bene che si impongono sulla pianificazione degli enti locali., e ciò, come ritenuto dalla giurisprudenza non perché il Ministero pianifichi in sostituzione della Regione, ma perché si tratta di proteggere – anche, se non soprattutto, rispetto agli interessi rilevanti nell’uso ordinario del territorio – un valore cui la Costituzione assegna rango prevalente: in sintesi l’individuazione dei beni paesaggistici meritevoli di tutela s’impone e prevale sul potere pianificatorio regionale: così per tutte la citata C.d.S. 533/2013. Il risultato ultimo, osserva sempre la giurisprudenza, può in fatto frustrare le aspettative dei privati proprietari, interessati invece ad edificare e a urbanizzare le aree tutelate; peraltro, non sussiste in proposito un affidamento in senso giuridico che sia tutelabile, dato che esso, a tutto voler concedere, riguarderebbe propriamente profili urbanistici, non profili di tutela del patrimonio culturale, che si distinguono dai primi e su di essi prevalgono appunto ai sensi dell’art. 9 Cost: così la citata C.d.S. 3893/2012.
11. Applicando i principi sopra delineati al caso di specie, son infondati anzitutto i vizi concernenti il presunto carattere illogico del vincolo apposto su un’area particolarmente estesa. Come si è detto, e come è stato condivisibilmente affermato dal Giudice di I grado, l’ampiezza dell’area non è di per sé ostacolo ad imporvi un vincolo di bene culturale, ove l’area stessa, complessivamente intesa, ne rivesta i caratteri. Ciò è senz’altro vero nel caso di specie, dato che, secondo la relazione storico artistica che si è richiamata, l’area stessa costituisce memoria di una particolare destinazione agricola dell’entroterra di Roma e delle strutture che a tale destinazione si sono accompagnate: si tratta di una conclusione conforme al dato storico di comune esperienza, che non si può certo qualificare come illogica o arbitraria. Che poi in concreto i terreni di proprietà della ricorrente appellante non presentino ciascuno in ogni sua parte tali caratteristiche non impedisce, come si è pure visto, che il carattere unitario dell’area complessivamente intesa sussista e sia tutelabile.
12. I restanti motivi sono fra loro connessi, dato che riguardano diversi aspetti del rapporto fra il vincolo e le sue prescrizioni, da un lato, e la pianificazione urbanistica pregressa dall’altro; vanno quindi trattati congiuntamente e risultano tutti infondati.
12.1 In primo luogo, non risponde al vero che il Ministero, per agire legittimamente, si sarebbe dovuto confrontare, in termini concretamente non precisati con gli enti locali, e in particolare avrebbe dovuto acquisire e valutare tutti gli atti e le istanze di permesso di costruire relative ai terreni interessati, fra i quali quindi anche quelli della ricorrente appellante. Si è infatti già visto che il Ministero, nell’esercizio del potere che gli spetta in via originaria ai sensi dell’art. 141, si intende avere rispettato l’obbligo di leale collaborazione con gli enti locali nel momento in cui si sia conformato alla disciplina prevista sul punto dalla stessa legge, in particolare quando abbia richiesto il parere della Regione ai sensi dell’art. 138 comma 3; si osserva poi in aggiunta che al procedimento in esame è comunque consentita la partecipazione degli altri possibili interessati, pubblici e privati, in particolare dei comuni, delle città metropolitane, delle province e delle associazioni dato che ai sensi dell’art. 141 comma 2 il Ministero è tenuto a valutare eventuali osservazioni da essi proposte. Si è parimenti visto che il potere di vincolo qui rilevante persegue un interesse diverso e di rango superiore rispetto all’interesse ad edificare un terreno libero.
12.2 Né sono fondate le censure secondo cui l’imposizione del vincolo non avrebbe tenuto conto dell’interesse del privato a urbanizzare l’area: si è visto, ancora una volta, che l’ipotetico affidamento in tal senso cede di fronte alla tutela del bene culturale, tutela che quindi può impedire lo sfruttamento dell’area mediante nuove edificazioni, se pure le stesse fossero in origine compatibili con la pianificazione di area.
Né la mera mancata considerazione dell’esistenza di capannoni già edificati, invocata da parte appellante anche in sede di discussioni conclusive, è tale da inficiare il decreto in contestazione, attesa la natura del potere esercitato, nei termini sin qui ricostruiti, nonché a fronte della ampiezza e profondità dell’istruttoria svolta, come sopra evidenziato.
Va ricordato in proposito che per Consiglio di Stato, sez. VI, 24 ottobre 2013, n. 5146 in tema di tutela paesaggistica (nella specie, beni di interesse archeologico), la maggiore o minore compromissione di un’area non preclude all’amministrazione l’esercizio della tutela al fine di impedirne l’ulteriore alterazione.
L’esigenza di evitare l’ulteriore compromissione del bene è infatti un leitmotiv nella giurisprudenza in materia vincolistica.
In proposito, la sezione (cfr. sentenza 5 agosto 2013, n. 4063) ha precisato al fine di motivare un parere favorevole in materia di sanatoria edilizia su area vincolata, che non possono essere addotti interventi precedentemente assentiti, verificatisi nella medesima zona ove sorgono le opere de quibus, in quanto una tale circostanza non elide la portata del vincolo, né può condizionare la valutazione sugli effetti che deriverebbero da un’ulteriore compromissione del territorio circostante; al contrario, in materia di tutela delle bellezze panoramiche, l’esistenza di una anteriore lesione arrecata alla zona non rappresentata, da sola, una ragione sufficiente a dispensare dalla verifica riguardante la realizzabilità o la sanabilità di un’opera; anzi, l’eventuale danno pregresso produce la necessità di una indagine ancora più accurata, per scongiurare un maggiore, più grave e definitivo turbamento dei valori tipici dei luoghi.
Analogamente, si è ritenuto che (sez. VI, 15 giugno 2011, n. 3644) lo stato di degrado dell’area non impedisce all’amministrazione di adottare provvedimenti di tutela del residuo pregio del bene vincolato, impedendo la sua ulteriore compromissione.
La sezione ha fatto altresì riferimento all’esigenza di evitarne l’ulteriore degrado, (cfr. ad es. sentenza 20 ottobre 2000, n. 5651), ritenendo che la maggiore o minore compromissione di un’area meritevole di tutela paesaggistica non preclude, ed anzi maggiormente richiede (all’autorità delegata o, in via sostitutiva, al ministero per i beni culturali), di salvaguardare il territorio e di impedirne l’ulteriore degrado.
In proposito, assume rilievo dirimente l’orientamento, condiviso dal Collegio, a mente del quale l’avvenuta edificazione di un’area o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, poiché l’imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l’imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell’integrità dello stesso (cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 27 novembre 2012, n. 5989 e 8 aprile 2019, n. 2290).
13. La complessità e particolarità della controversia è giusto motivo per compensare le spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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