In presenza di un atto c.d. plurimotivato

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 7 giugno 2019, n. 3847.

La massima estrapolata:

In presenza di un atto c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale; in sostanza, in caso di atto amministrativo, fondato su una pluralità di ragioni indipendenti ed autonome le una dalla altre, il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l’esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento.

Sentenza 7 giugno 2019, n. 3847

Data udienza 7 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5253 del 2009, proposto da:
Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. An., Ma. Li., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. An. in Roma, via (…);
contro
Ci. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ni. Di Mo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. presso Studio Ce. Ca. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Bari, Sezione I, 8 aprile 2008, n. 823, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Ci. s.n. c.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 marzo 2019 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti l’avvocato An.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.Risulta dagli atti che la società Ci. s.n. c., titolare di una cava di calcarenite nel territorio di (omissis)-località (omissis) e autorizzata ai sensi dell’art. 35 della legge regionale 22 maggio 1985, n. 37 (Norme per la disciplina dell’attività delle cave) all’esercizio di attività estrattiva con riferimento all’area identificata da quota parte (dell’estensione di circa 22000 mq) della particella n. (omissis) del foglio n. (omissis) del Comune di (omissis), proponeva il 19 maggio 2005 istanza alla Regione Puglia (di seguito “la Regione”) per l’attivazione di nuova procedura di valutazione di compatibilità ambientale (“V.I.A”) in relazione al progetto di modifica della coltivazione della cava in oggetto, motivandola anche in ragione della necessità di prorogare l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di cava scadente il 31 dicembre 2005.
Sottoposta l’istanza e la documentazione allegata all’esame del Comitato regionale V.I.A. (di seguito “il Comitato”) che provvedeva con esito sfavorevole nella seduta del 30 gennaio 2006, con Determinazione n. 398 del 6 settembre del 2006 (comunicata alla ditta istante il 28 settembre 2006) il Dirigente del Settore Ecologia della Regione esprimeva parere negativo di V.I.A., conformandosi al parere del Comitato (il quale aveva ritenuto che non fosse emersa nella specie la possibilità di prosecuzione dell’attività estrattiva).
1.2. Avverso tale determinazione dirigenziale di diniego alla V.I.A. ricorreva in giustizia la ditta Ci., con ricorso ritualmente notificato alla Regione e proposto dinanzi al Tribunale amministrativo per la Puglia (Bari), impugnando altresì tutti gli atti connessi e “ove dovesse occorrere” la deliberazione di Giunta regionale n. 1740 del 15 dicembre 2000 di approvazione del PUTT della Regione Puglia “nella parte lesiva dell’interesse della ricorrente con particolare riferimento alla cartografia regionale ivi allegata”.
A sostegno del gravame la ditta ricorrente deduceva: 1) eccesso di potere per difetto di istruttoria, falsità dei presupposti; travisamento dei fatti; violazione di legge; 2) eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione; 3) eccesso di potere per travisamento dei fatti sotto altro profilo; 4) eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti ed erronea presupposizione; difetto di istruttoria e di motivazione; 5) violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa; 6) violazione dell’articolo 3, n. 1 nonché dell’art. 10, lett. b) l. 7 agosto 1990, n. 241.
1.3. Il Tribunale amministrativo, con ordinanza n. 204/2007, ritenendo il ricorso non sfornito di fumus “quanto meno con riferimento ai vizi funzionali di carente motivazione”, accoglieva la domanda cautelare ai soli fini del riesame del provvedimento impugnato “in ordine all’assenza di specifiche ragioni a supporto della valutazione in concreto della ritenuta incompatibilità con la normativa PUTT della prosecuzione dell’attività di coltivazione della cava, anche in ragione della invocata riduzione della superficie interessata”.
1.4. A seguito della produzione in giudizio di documentazione da parte della Regione, la ricorrente proponeva motivi aggiunti avverso i medesimi atti impugnati con il ricorso introduttivo, censurando “violazione e falsa applicazione dell’allegato 3 (punti 1 e 3) del PUTT; eccesso di potere per errore sui presupposti e travisamento dei fatti”.
1.5. Veniva altresì gravata con un secondo ricorso per motivi aggiunti anche la determinazione dirigenziale n. 170 del 5 aprile 2007, confermativa nei contenuti della d.d. n. 398 del 6 settembre 2006, che la Regione aveva adottato in esecuzione dell’ordinanza cautelare: la ricorrente formulava avverso la stessa identiche censure di violazione di legge ed eccesso di potere, lamentando altresì la violazione del dictum cautelare e l’illegittimità anche in via derivata della nuova determinazione.
1.6. Con la sentenza in epigrafe, resa nella resistenza della Regione (la quale costituitasi in giudizio aveva dedotto l’inammissibilità e infondatezza del ricorso), il Tribunale amministrativo ha accolto il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti, ritenendo fondate le censure della ricorrente in relazione alla motivazione insufficiente e alla carenza di istruttoria (in quanto “meramente cartacea e incompleta” e priva di una valutazione in concreto quanto alla verifica sia della compatibilità del mantenimento in esercizio della cava sia della predisposizione di specifici piani di recupero ambientale).
2. Per la riforma della sentenza ha proposto appello la Regione, deducendone l’erroneità e ingiustizia con plurimi e articolati motivi di censura con cui ha lamentato in via principale “Violazione di legge: artt. 26 e 21 l. 6 dicembre 1971, n. 1034. Violazione delle norme e dei principi del processo amministrativo” e in via subordinata, nel merito “Motivazione incongrua, perplessa, contraddittoria ed erronea. Travisamento dei fatti. Violazione ed erronea interpretazione ed applicazione di norme di legge e regolamentari. Violazione del giudicato.”
2.1. Si è costituita in resistenza la ditta Ci., chiedendo il rigetto del gravame per la sua infondatezza e la conferma della sentenza di primo grado.
2.2. Nel corso del giudizio, a seguito della domanda di esecuzione della sentenza di primo grado formulata dalla società appellata, la Regione ha presentato istanza cautelare, che veniva respinta dalla Sezione con ordinanza n. 3148/2010 per assenza di un danno grave e irreparabile, impregiudicata rimanendo la possibilità per l’Amministrazione appellante di rinnovare le proprie valutazioni anche all’esito dell’annullamento giurisdizionale dei dinieghi.
2.3. Nelle memorie depositate in vista dell’udienza pubblica la Regione appellante evidenziava che, nelle more, con sentenza del Tribunale amministrativo per la Puglia (Bari), II, 10 marzo 2011, n. 406 è stato respinto il ricorso della ditta Ci. per l’esecuzione della sentenza appellata (anche in ragione, tra l’altro, dell’identità delle aree oggetto dell’ordine di ripristino, di cui si dirà, e di quelle interessate dalla richiesta di proroga dell’attività estrattiva).
2.4. La Regione ha inoltre dedotto che la società Ci. ha proposto l’11 maggio 2017 istanza volta ad ottenere la dichiarazione di compatibilità ambientale ai sensi della sopravvenuta legge regionale n. 33 del 23 novembre 2016 (“Disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale e attività estrattiva. Modifica all’articolo 1 della legge regionale 2 novembre 2004, n. 21 -disposizione in materia di attività estrattiva”), ricevendo tuttavia un preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, sull’assunto della coincidenza dell’area oggetto della nuova istanza “con la parte dell’attività estrattiva attualmente in esercizio, ma priva del titolo autorizzativo” e della circostanza per cui la società aveva esercitato l’attività mineraria su una porzione ormai esaurita (ed in ripristino) dell’area come catastalmente identificata in forza del titolo autorizzativo conseguito ex art. 35 l.r. n. 37 del 1985, ma comunque in presenza di reiterati provvedimenti di valutazione di impatto ambientale di segno negativo adottati negli anni dalla Regione.
2.5. Infine, all’udienza del 7 marzo 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

3. Viene in decisione l’appello proposto dalla Regione avverso le statuizioni della sentenza di prime cure che, accolti il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti proposti dalla società Ci., ha annullato i provvedimenti di diniego (adottati anche in sede di riesame all’esito di ordinanza cautelare) della v.i.a. in relazione al progetto di modifica della coltivazione della cava specificata in narrativa per carenza di adeguata motivazione e istruttoria insufficiente.
3.1. In particolare, l’appellante ha in primo luogo contestato la sentenza di prime cure nella parte che ha accolto il ricorso nonostante la palese inammissibilità tanto dello stesso ricorso introduttivo quanto dei motivi aggiunti per: a) carenza di interesse (stante la coincidenza delle aree interessate dal progetto di modifica sottoposto a procedura di compatibilità ambientale con quelle oggetto dell’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi di cui alla sentenza di condanna della Corte d’Appello di Lecce, passata in giudicato, emessa l’8 aprile 2005 nei confronti del legale rappresentante della ditta Ci. per esercizio di attività estrattiva in assenza di nulla osta paesaggistico in area sottoposta a vincolo idrogeologico e paesaggistico); b) intervenuta acquiescenza (per non avere in particolare la ditta a suo tempo impugnato il diniego di compatibilità ambientale già espresso dalla Regione con provvedimento del Dirigente del Settore Ecologia n. 251 del 2004, espressamente richiamato anche nelle premesse della d.d. n. 398 del 2006); c) per tardività dell’impugnativa sia in relazione alla d.G.R. n. 1740 del 15 dicembre 2000 di approvazione del PUTT Puglia nella parte concernente la cartografia regionale allegata (già nota alla società all’epoca del diniego opposto dalla Regione nel 2004, come comprovato anche dalla relazione tecnica di parte del 15 settembre 2004) sia in relazione alla d.d. n. 398 del 2006 (comunicata il 28 settembre 2006 alla società e da questa impugnata solo in data 28 gennaio 2007, a termine decadenziale decorso); e) per assenza dei presupposti per l’ammissibilità dei motivi aggiunti, poiché proposti per dedurre vizi ulteriori o integrativi rispetto a quelli addotti con il ricorso introduttivo a seguito della produzione documentale della Regione nel giudizio il 27 febbraio 2007, afferente in realtà a documenti già noti alla ditta in epoca risalente.
3.2. Con un secondo ordine di censure, l’appellante ha dedotto, invece, l’erroneità della motivazioni rese dal primo giudice sotto i profili dell’incongruità, perplessità e contraddittorietà, nonché del travisamento dei fatti e della violazione ed errata applicazione di norme di legge e regolamento.
4. Ricostruiti così in sintesi i motivi di appello, giova anzitutto evidenziare come non influisca sull’odierna controversia il preavviso di improcedibilità sull’istanza avanza dalla ditta l’11 maggio 2017 per la dichiarazione di compatibilità ambientale ai sensi della l.r. n. 33 del 2016, emanata dalla Regione all’esito dell’avvio di una procedura di infrazione comunitaria: detta legge all’art. 1 dispone che, ai fini della corretta applicazione della direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985, sono assoggettate alle procedure di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (VIA) e, ove previsto, di Valutazione di incidenza ambientale (VINCA) le seguenti attività : a) le attività estrattive in esercizio ai sensi dell’articolo 35 della legge regionale 22 maggio 1985, n. 37 (Norme per la disciplina dell’attività delle cave), in attesa di conseguire il formale provvedimento; b) le attività estrattive autorizzate ai sensi della l.r. n. 37 del 1985 con provvedimento formale conseguito a partire dal 3 luglio 1988, senza aver ottenuto motivato ed espresso provvedimento e di VIA e, ove previsto, di VINCA; c) le domande di rinnovo di autorizzazione all’esercizio di attività estrattive autorizzate ai sensi della l.r. n. 37 del 1985.
4.1. Nemmeno costituiscono oggetto di valutazione nel presente giudizio le precedenti determinazioni assunte dall’Amministrazione regionale di cui alla d.d. n. 251 del 2004 (con la quale la Regione già esprimeva parere sfavorevole alla compatibilità ambientale per la realizzazione del progetto di aggiornamento della cava presentato dalla ditta), se non nella misura in cui i provvedimenti impugnati in prime cure, vale a dire la d.d. n. 398/2006 e la d.d. 170/2007 (rispettivamente gravate con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti), espressamente ne richiamino le motivazioni, ponendole a fondamento del diniego all’istanza.
5. Così delineato il thema decidendum del presente giudizio, può procedersi all’esame dell’appello.
5.1. L’appello è fondato.
5.2. Meritano in particolare condivisione le censure articolate con il terzo, il quarto e il quinto motivo di appello (che, per la loro connessione, possono essere oggetto di trattazione unitaria), con assorbimento delle altre censure formulate dalla Regione appellante.
5.3. In primo luogo, non è dato dubitare che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, il rilascio di proroga dell’autorizzazione all’esercizio di cava (oggetto specifico dell’istanza presentata dalla ditta appellata) andasse sottoposta alla verifica di compatibilità paesaggistica.
5.3.1. A tale conclusione si perviene sulla base di due argomentazioni.
Anzitutto, nel caso in esame è incontestata l’assenza di autorizzazione paesaggistica rilasciata a monte all’avvio dell’attività di coltivazione che possa renderne in ipotesi superflua la detta verifica di compatibilità per il caso di mero rinnovo o prosecuzione dell’attività : il che renderebbe già di per sé evidentemente ininfluente e speciosa la questione se la coltivazione di un nuovo fronte di cava in una nuova e diversa zona mai oggetto di attività estrattiva possa essere considerato prosecuzione dell’attività (profilo che, secondo il primo giudice, i provvedimenti gravati erroneamente avrebbero trascurato di affrontare).
Nondimeno, come rilevato dallo stesso Tribunale amministrativo, l’allegato 3 del P.U.T.T. prevede (punti 1 e 3) la necessità di assenso paesaggistico “con riguardo alla fattispecie di autorizzazione per nuova attività o ampliamento di attività esistente” e non è dubitabile che oggetto dell’istanza della ditta, come risulta dagli atti, sia non già la mera prosecuzione dell’attività estrattiva autorizzata, ma proprio l’ampliamento della cava di tufo come da progetto di modifica della coltivazione della cava.
5.4. Tanto premesso in generale, il Collegio qui rileva come i provvedimenti impugnati in prime cure costituiscano esercizio di discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione regionale, sindacabile da parte del giudice amministrativo solo nell’ipotesi in cui sussistano errori macroscopici o profili di manifesta irragionevolezza o illogicità .
5.5. Sotto altro concorrente profilo, deve pure richiamarsi, in quanto dirimente ai fini della decisione, il costante orientamento della giurisprudenza secondo cui “in presenza di un atto c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale; in sostanza, in caso di atto amministrativo, fondato su una pluralità di ragioni indipendenti ed autonome le una dalla altre, il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l’esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2017, n. 2910; sez. V, 12 settembre 2017, n. 4297; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045)” (Cons. Stato, IV, 30 marzo 2018, n. 2019).
5.6. Sulla base di questi principi, non può che pervenirsi ad un giudizio di congruità e ragionevolezza dei provvedimenti di diniego alla V.I.A. gravati dall’originaria ricorrente che costituiscono ad un tempo legittimo esercizio di discrezionalità tecnica, non inficiata da profili di manifesta erroneità e illogicità, e atti plurimotivati, in quanto fondati su una pluralità di ragioni, indipendenti e autonome le une dalle altre.
5.6. Ciò posto osserva il Collegio che, tra i plurimi rilievi posti a base dell’impugnato diniego di compatibilità ambientale del progetto di ampliamento e modifica della coltivazione della cava (ognuno dei quali, come detto, indipendente dagli altri e autonomamente idoneo a sorreggere il provvedimento gravato), risultano insuperabili i motivi ostativi (di ordine sostanziale) incentrati, per un verso, sull’indubbia valenza ambientale dell’area interessata dal progetto, alla stregua delle fonti applicabili, costituite dalle cartografie allegate alle N.T.A. del PUTT approvato dalla Regione e dalla disciplina contenuta nelle stesse N.T.A., per altro verso sulla circostanza per cui “il Progetto di recupero delle aree non è stato redatto con attenzione alle specifiche peculiarità dell’area” (richiamando per relationem le motivazioni del parere sfavorevole al progetto di aggiornamento di cui alla determina n. 251 del 2004, integralmente riportate nel testo della determina dirigenziale impugnata e poste a suo fondamento).
5.7. In relazione al primo profilo, la determina n. 398 del 2006 formula articolate considerazioni (che tengono conto anche delle osservazioni formulate nel corso del procedimento dalla società istante) relative al sito di intervento, considerazioni ritenute ostative alla pretesa trasformabilità dell’area mediante esercizio dell’attività di cava.
In particolare, l’atto, dopo aver premesso che “il sito di intervento ricade sulla sommità di uno dei quattro paleocordoni dunari presenti immediatamente a Nord di (omissis), che rappresentano alcune delle più interessanti, note e studiate evidenze geomorfologiche del territorio pugliese” e che “l’area di cava ricade in parte sull’area annessa dei due cigli di scarpata”, rileva ulteriormente che l’area ricade in parte sull’area annessa ed in parte nell’area di pertinenza dell’ambito distinto “Boschi e Macchie” ed inoltre che essa è ricompresa in parte in ambito (omissis) ed in parte in ambito (omissis) del PUTT Puglia, traendo da tali premesse sulla localizzazione del sito di intervento le dovute conseguenze in punto di indirizzi di tutela applicabili.
5.7.1. Infatti, la determina dà atto che “per le aree di pertinenza non sono autorizzabili piani e/o progetti e interventi comportanti escavazione ed estrazione di materiali”, mentre per le aree annesse non sono autorizzabili le attività estrattive, ad eccezione dell’ampliamento, per quantità comunque contenute, di cave attive, e solo a condizione che ciò sia funzionale al ripristino e all’adeguata sistemazione ambientale finale dei luoghi, rilevando per converso come dall’esame della documentazione del proponente il Comitato V.i.a. non abbia ritenuto ricorrente nella fattispecie detta condizione.
5.7.2. Quanto poi agli ambiti territoriali di valore rilevante, tra i quali ricade l’area di cava, il provvedimento impugnato evidenzia che per essi va mantenuto l’assetto geomorforlogico d’insieme (come pure quello idrogeologico delle relative aree): il che impone di non consentire nuove localizzazioni per attività estrattive e di verificare per quelle in attività la compatibilità del loro mantenimento in esercizio anche mediante la predisposizione di specifici piani di recupero ambientale.
5.7.3. Nemmeno la particolare valenza dell’area e la disciplina di tutela cui essa è sottoposta può esser messa in discussione, come non condivisibilmente assunto dal primo giudice, alla stregua della perimetrazione comunale e della cartografia ad essa allegata in uno all’assenza di rilievi da parte dell’Assessore regionale all’Urbanistica, alla stregua dell’esegesi, prospettata dall’appellata e recepita nella sentenza impugnata, dell’art. 5.05, comma 6, delle N.T.A. “Primi adempimenti per l’attuazione del Piano” secondo cui “L’Assessorato regionale all’Urbanistica, nel termine di 60 giorni dal ricevimento, attesta la coerenza al Piano delle perimetrazioni di cui ai punti 1.1.1e 1.2. del presente articolo; decorso tale termine, dette perimetrazioni si intendono coerenti al Piano”.
5.7.3. Nella sentenza appellata si afferma in particolare che la valenza ambientale dell’area sarebbe smentita, oltre che da un preteso “stato dei luoghi…non verificata de visu dagli uffici regionali”, soprattutto dalla circostanza per cui detta valenza non sarebbe stata ufficialmente e documentalmente attestata dal Comune di (omissis) che, con delibera consiliare 12 aprile 2006, n. 19 (“Primi adempimenti per l’attuazione del piano urbanistico-territoriale tematico paesaggio previsti dall’art. 5.05 del titolo V delle NTA”), non avrebbe confermato le emergenze risultanti dagli atti regionali, quando ha operato le perimetrazioni degli ambiti territoriali estesi e di quelli distinti, come risulterebbe dalla cartografia allegata dalla delibera comunale dal cui esame emerge che “la cava non risulta compresa negli ambiti territoriali estesi, ma la zona da coltivare è solo lambita dalla delimitazione delle aree annesse”, mentre per quanto riguarda gli ambiti territoriali distinti non sarebbe interessata dalla presenza di boschi o di macchia: dal che il primo giudice inferisce che “il PUTT, nella sua effettiva implementazione comunale… non comprenda l’area che la società intenda coltivare” tanto in riferimento all’Ambito Distinto “Boschi e Macchie” quanto al “ciglio di scarpata”.
5.7.4. L’assunto è errato.
5.7.5. Invero, non è dato inferire dalla mancata conferma delle emergenze risultanti dalle previsioni del PUTT da parte del Comune (allorquando ha operato le perimetrazioni degli ambiti territoriali estesi e di quelli distinti), in uno all’assenza di rilievi da parte della Regione (ai sensi del citato art. 5.05, comma 6, delle N.T.A.), di per sé la coerenza di dette perimetrazioni al Piano, dovendo al contrario comunque prevalere, in caso di difformità, le previsioni di quest’ultimo: ciò in quanto, dato il valore primario dei valori del paesaggio e dell’ambiente, nonché della salvaguardia e valorizzazione delle risorse territoriali, alla cui protezione sono preordinate le previsioni del Piano urbanistico territoriale tematico, non è dato ravvisare poteri comunali di dequalificazione della valenza ambientale, come riconosciuta e qualificata secondo i parametri dello stesso Piano.
5.7.6. In conclusione non è condivisibile l’argomento del primo giudice inerente la necessità di dare rilievo all'”effettiva implementazione del PUTT a livello comunale” (e, in definitiva, alla mancata ricomprensione dell’area negli ambiti territoriali estesi alla stregua della perimetrazione effettuata dal Comune nelle cartografie, asseritamente “certificata” mediante silenzio assenso della Regione che nel termine di sessanta giorni non avrebbe formulato rilievi a riguardo): ciò per l’ovvia ragione per cui le perimetrazioni comunali e la cartografia allegata assumono rilievo di segmento infraprocedimentale della fase attuativa del PUTT e, nel caso di assenza di rilievi da parte della Regione, risultano assistite da una mera presunzione relativa (e non assoluta) di coerenza con le previsioni del Piano, che prevalgono comunque in caso di difformità (come emerge dal piano tenore testuale della norma regolamentare che, opportunamente, impiega l’espressione “si intendono coerenti”).
5.7.7. Neppure la valenza ambientale è esclusa dalla circostanza che risulta ridotta la porzione interessata dall’attività (per avere la società rinunciato a coltivare nove decimi della cava): ciò in quanto, a prescindere dal dato dimensionale, la Regione ha stimato, con motivazioni non irragionevoli né incongrue, che l’attività estrattiva di cui si è chiesta la prosecuzione e l’ampliamento, globalmente considerata, sia comunque idonea a modificare, alterandolo irreversibilmente, l’assetto dei luoghi (ricadenti in un’area di particolare valenza ambientale) ed ha perciò espresso parere sfavorevole di compatibilità ambientale.
5.8. Quanto al secondo profilo afferente al progetto di recupero, è sufficiente osservare che l’impianto motivazionale dei provvedimenti di diniego nella determina impugnata con il ricorso introduttivo è fondato non tanto sulla sua ipotetica mancanza, ma sulla inadeguatezza del medesimo progetto (rectius: della documentazione progettuale in atti) poiché redatto senza alcuna considerazione delle specifiche peculiarità ambientali dell’area.
5.8.1.Tale profilo, posto per vero a fondamento del diniego del 2004 (e relativo ad una precedente istanza della ditta per la valutazione di compatibilità ambientale inerente la medesima cava), costituiva del resto soltanto una delle carenze progettuali riscontrate in quella sede (in cui si dava conto che la proposta presentata dalla ditta non chiariva l’impatto dell’attività estrattiva sul comparto idrico sotterraneo, in area sottoposta a vincolo idrogeologico, né il rapporto tra l’attività mineraria e l’oasi di protezione, né la relazione tra gli Ambiti Estesi e Distinti del PUTT e le aree da coltivare, come pure gli impatti sulle varie emergenze), carenze puntualmente richiamate anche nella d.d. 398 del 2006.
5.8.9. Tali risultanze sono poi ulteriormente confermate e specificate nella determina adottata dalla Regione in sede di riesame, in ottemperanza al decisum cautelare, ove per un verso, quanto alla valenza ambientale, si fa riferimento alla presenza di “emergenze sia di carattere geologico e geomorfologico che di carattere botanico faunistico, per la presenza del bosco limitrofo e l’inserimento dell’area nell’oasi di protezione (omissis)”, esternando compiutamente le ragioni di incompatibilità dell’attività estrattiva nel sito in esame in relazione alla tipologia di Ambito Territoriale in cui ricade l’intervento e ai due differenti sistemi (quello relativo all'”assetto geologico, geomorfologico ed idrogeologico” e quello “di carattere botanico, vegetazionale colturale e della potenzialità faunistica”); per altro verso si rafforza il giudizio di inadeguatezza e inidoneità del piano di recupero, attraverso la constatazione del mancato riscontro, tra gli elaborati tecnici disponibili, di un progetto, seppur di massima, di un piano di recupero “con la relativa relazione descrittiva, valutazione economica e tempistica di attuazione” e tale da dettagliare “modalità e finalità del piano stesso”.
5.9. In conclusione, deve ritenersi che la Regione abbia compiutamente esternato, sulla base di un’esauriente istruttoria, le ragioni di incompatibilità ambientale del progetto di modifica e ampliamento della cava in oggetto per le quali non era emersa nella fattispecie, sulla base di elementi concreti correlati alla specifica valenza ambientale dell’area in rapporto alle sue peculiari caratteristiche e all’inidoneità della documentazione a corredo dell’istanza (con particolare riguardo ai profili inerenti il piano di recupero), l’effettiva possibilità di ulteriore prosecuzione dell’attività estrattiva.
6. Per le ragioni esposte l’appello va accolto e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, vanno respinti il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti proposti in primo grado.
7. Sussistono giusti motivi, in considerazione della complessità delle questioni trattate e dell’andamento del giudizio, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello della Regione Puglia, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, respinge il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti.
Dispone compensarsi integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere, Estensore

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