Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 18 maggio 2018, n. 3017.
L’art. 82, comma 1, c.p.a. dispone che, dopo il decorso di cinque anni dalla data di deposito del ricorso, la segreteria comunica alle parti costituite apposito avviso in virtù del quale è fatto onere al ricorrente di presentare nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura e dal suo difensore entro centottanta giorni dalla data di ricezione dell’avviso.
La disposizione specifica che, in difetto di tale nuova istanza, il ricorso è dichiarato perento.
L’istituto della perenzione ha una “doppia anima”, quella privatistica, legata alla constatazione di una tacita rinuncia agli atti del giudizio, e quella pubblicistica, la cui ratio è individuabile nell’esigenza di definizione delle controversie che vedano coinvolta la pubblica amministrazione nell’esercizio di poteri amministrativi.
Di talché, tale causa di estinzione del giudizio risponde ad un superiore interesse pubblico alla definizione delle situazioni giuridiche inerenti l’esercizio del potere amministrativo entro termini.
In definitiva, il regime della perenzione è funzionale alla rapida definizione del giudizio, in ossequio al principio costituzionale di ragionevole durata del processo.
Sentenza 18 maggio 2018, n. 3017
Data udienza 19 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2872 del 2012, proposto dalla Fi. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati An. Pa. e Ma. Fe., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Fe. in Roma, via (…);
contro
Regione Veneto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Ce. Li. ed Ez. Za. dell’Avvocatura Regionale del Veneto nonché dall’avvocato An. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Se., ed altri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Ma. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Veneto, Sezione II, n. 1491 del 6 ottobre 2011.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Veneto e del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 aprile 2018 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti gli avvocati Fe., L. Ma. e Ca. su delega di A. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il T.a.r. per il Veneto, Seconda Sezione, con sentenza 6 ottobre 2011, n. 1491, ha respinto il ricorso proposto da Fi. Srl per l’annullamento, nei limiti dell’interesse, della variante parziale al P.R.G. di (omissis) “in adeguamento del decreto del Presidente della Repubblica 23.11.2007 relativo alla reiterazione del vincolo del comparto Sc27”, adottata con deliberazione del Consiglio Comunale di (omissis) n. 158 dell’11.12.2008 e approvata con deliberazione della Giunte Regionale del Veneto n. 1543 dell’8 giugno 2010 nonché di tutti gli atti del procedimento e, segnatamente, della deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 42 del 19.5.2009.
1.1. La Società ha appellato tale sentenza, articolando i seguenti motivi di gravame:
Sull’erroneità della sentenza impugnata laddove afferma che con l’adozione della variante PN13 il Comune di (omissis) si sia attenuto al decisum del decreto presidenziale.
Il Comune di (omissis) non avrebbe rispettato le statuizioni contenute nel dPR 23 novembre 2007 – decisorio del ricorso straordinario proposto dalla Società avverso la variante di reiterazione dei vincoli di inedificabilità approvata con delibera del Consiglio Comunale di (omissis) n. 48 del 10 aprile 2002 – in quanto non sarebbe stato consentito estendere la regolamentazione sotto il profilo oggettivo, mentre nella variante è contenuta la disciplina, oltreché del lotto Sc27, oggetto del ricorso straordinario e del giudicato, anche del lotto Sc26 sempre di proprietà Fi.
Il Comune di (omissis) non avrebbe assicurato l’utilità che il decreto presidenziale 23 novembre 2007 le imponeva di garantire a Fi. Contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, proprio il fatto che si trattasse di annullamento di variante in parte qua, e, quindi, con esclusivo riferimento al lotto Sc27, avrebbe dovuto determinare che il Comune si limitasse a riesercitare il potere pianificatorio in parte qua.
L’appellante, in base alla variante, dovrebbe sostanzialmente rinunciare all’area Sc27 in cambio del riconoscimento di un certo indice di edificabilità dell’area Sc26, considerato che gli standard urbanistici imposti sarebbero esorbitanti, sicché, sotto mentite spoglie, sarebbe riprodotto il vincolo espropriativo annullato.
Sull’erroneità della sentenza impugnata laddove, sul presupposto del legittimo accorpamento dell’area Sc26 all’area Sc27 effettuato dalla variante, afferma l’impossibilità di procedere con intervento diretto.
Il lotto Sc27 sarebbe l’unico lotto a non essere stato edificato perché congelato da un vincolo reiterato per oltre vent’anni e sarebbe circondato da aree negli anni divenute edificabili ed edificate, sarebbe dotato di tutte le opere di urbanizzazione e sarebbe stato valorizzato da una serie di progetti succedutisi nel tempo.
L’accorpamento tra i lotti Sc26 e Sc27 sarebbe illegittimo e ciò che rileverebbe è che tutta la zona in cui è ricompreso il lotto Sc27 è dotata di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, per cui avrebbe natura di lotto intercluso.
Sull’erroneità della sentenza impugnata laddove afferma, sul presupposto che in sede di riedizione del potere pianificatorio sia stato applicato lo strumento della perequazione, la legittimità dell’esorbitante richiesta di standard urbanistici da parte dell’Amministrazione Comunale.
Secondo il Comune, Fi. dovrebbe realizzare e cedere gratuitamente opere pubbliche estese su una superficie di circa 6.500 mq su un totale delle aree interessate di poco più di mq 11.300 (mq 3.000 di verde, mq 2.670 di viabilità, mq 700 di parcheggi).
Gli standard urbanistici imposti dalla variante PN13, costituiti da una viabilità di interesse generale del tutto inutile ai fini dell’edificazione delle sue aree e da parcheggio pubblico per circa il quadruplo del necessario, imporrebbero un vincolo pubblicistico sulla gran parte dell’area e, al contempo, di rinunciare all’equo indennizzo dovuto per l’imposizione di tale vincolo a fronte del riconoscimento di un minimo utilizzo edificatorio.
1.2. Le parti appellate, costituitesi in giudizio, hanno contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto dell’appello.
1.3. Il Comune di (omissis), con memoria conclusiva, ha rappresentato che, in pendenza del giudizio, la Fi. ha presentato il progetto del Piano Attuativo dell’area classificata “PN 13” dalla variante parziale al P.R.G. in discussione, che è stato adottato dalla Giunta Comunale con deliberazione 24 ottobre 2013, n. 235, e poi approvato con deliberazione giuntale 24 febbraio 2014, divenuta inoppugnabile.
Di talché, l’amministrazione comunale ha sostenuto che l’avvenuta presentazione da parte di Fi. del Piano Attuativo previsto dalla variante parziale al P.R.G. si ripercuoterebbe sul presente appello, che sarebbe divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
1.4. L’appellante, con istanza del 2 novembre 2017, ha posto in rilievo che:
– il socio per il 95% della Società nonché Amministratore Unico della stessa, è deceduto in data 14 marzo 2017;
– in base allo statuto della Società, in caso di morte di un socio la successione avviene in capo agli eredi che possono essere collettivamente rappresentati;
– i chiamati alla successione sono i figli, il secondo dei quali è disabile ed in relazione al quale è in corso il procedimento per la nomina di un amministratore di sostegno;
– nelle more della nomina dell’Amministratore di sostegno, l’eredità non ha potuto essere accettata da parte di tutti i chiamati, sicché non sussistono le condizioni perché gli eredi possano nominare un loro rappresentante a norma dell’art. 7 u.c. della Statuto ed esercitino i diritti quali soci; ne consegue l’impossibilità della convocazione dell’assemblea dei soci per l’elezione, a norma dell’art. 11 dello Statuto e dell’art. 2479 ss c.c., di un nuovo amministratore legale rappresentante della Società ricorrente;
– in questa situazione non esiste la condizione perché, permanendo l’interesse al ricorso, possa essere sottoscritta da un soggetto legittimato a rappresentare la parte l’istanza richiesta dall’art. 82 c.p.a.
Ciò considerato, la Fi. ha chiesto che sia disposta la sospensione del termine di cui all’art. 82 c.p.a. sino alla data di nomina del nuovo Amministratore unico della Società.
1.5. Con decreto presidenziale n. 38 del 15 novembre 2017, è stata fissata la discussione del ricorso all’udienza pubblica del 19 aprile 2018 “rilevato che nessuna norma prevede la possibilità di sospendere o interrompere il corso del termine di 180 giorni sancito dall’art. 82, comma 1, c.p.a.” e “considerato che ogni questione concernente l’avvenuta perenzione del ricorso in appello e la eventuale concedibilità del beneficio dell’errore scusabile, ex art, 37 c.p.a., potrà essere vagliata, se del caso unitamente al merito, in sede di discussione della causa, ex artt. 71, comma 3, e 85, comma 9, c.p.a.”.
1.6. Con successiva memoria del 16 marzo 2018, la Fi. ha confermato la permanenza delle condizioni già rappresentate, per cui, non ricorrendo l’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 82 c.p.a., il difensore non è abilitato a rendere alcuna dichiarazione in ordine alla permanenza dell’interesse alla decisione ed ha chiesto di valutare se l’art. 82, comma 1, c.p.a., laddove richiede la sottoscrizione della parte in ordine ad un atto di impulso processuale essenziale per evitare l’estinzione del giudizio pur in presenza del mandato rilasciato ai fini della rappresentanza giudiziale, ovvero se la mancata previsione di alcuna deroga all’effetto connesso alla decorrenza del termine, siano conformi alla previsione dell’art. 24 Cost.
1.7. All’udienza pubblica del 19 aprile 2018, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. Il giudizio di appello deve essere dichiarato estinto per perenzione.
2.1. L’art. 82, comma 1, c.p.a. dispone che, dopo il decorso di cinque anni dalla data di deposito del ricorso, la segreteria comunica alle parti costituite apposito avviso in virtù del quale è fatto onere al ricorrente di presentare nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura e dal suo difensore entro centottanta giorni dalla data di ricezione dell’avviso.
La disposizione specifica che, in difetto di tale nuova istanza, il ricorso è dichiarato perento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5365 del 2017; n. 487 del 2017).
L’istituto della perenzione ha una “doppia anima”, quella privatistica, legata alla constatazione di una tacita rinuncia agli atti del giudizio, e quella pubblicistica, la cui ratio è individuabile nell’esigenza di definizione delle controversie che vedano coinvolta la pubblica amministrazione nell’esercizio di poteri amministrativi.
Di talché, tale causa di estinzione del giudizio risponde ad un superiore interesse pubblico alla definizione delle situazioni giuridiche inerenti l’esercizio del potere amministrativo entro termini ragionevoli (cfr., sul tema, Cons. Stato, V, n. 3564 del 2014).
In definitiva, il regime della perenzione è funzionale alla rapida definizione del giudizio, in ossequio al principio costituzionale di ragionevole durata del processo.
2.2. Nessuna norma prevede la possibilità di sospendere o interrompere il corso del termine di centottanta giorni sancito dal richiamato art. 82, comma 1, c.p.a.
2.3. Nel caso di specie, inoltre, il Collegio ritiene che non sussistano i presupposti per la concessione del beneficio dell’errore scusabile ai sensi dell’art. 37 c.p.a., secondo cui il giudice può disporre, anche d’ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto.
L’ordinanza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 33 del 2014 ha affermato che il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile riveste carattere eccezionale, nella misura in cui si risolve in una deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini processuali (ivi incluso quello entro il quale è necessario, per evitare la perenzione, presentare domanda di fissazione di udienza per i ricorsi ultraquinquennali), con la conseguenza che la disposizione che lo ha codificato (art. 37 c.p.a.) deve ritenersi di stretta interpretazione.
Il beneficio dell’errore scusabile, al fine di non compromettere il principio della parità delle parti relativamente all’osservanza dei termini perentori processuali, va quindi riconosciuto solo in esito ad un rigoroso accertamento dei presupposti che lo legittimano ai sensi della norma processuale e cioè a fronte di obiettive incertezze normative o in presenza di gravi impedimenti di fatto, non imputabili alla parte.
Nella fattispecie, esclusa la presenza di obiettive incertezze normative, non sussiste nemmeno l’ipotesi alternativa della presenza di gravi impedimenti di fatto non imputabili alla parte.
Infatti, pur prendendo atto della situazione descritta dalla Fi. e della pendenza di un procedimento per la nomina di un amministratore di sostegno pendente innanzi al Tribunale Ordinario di Venezia, deve rilevarsi che, anche a voler prescindere dalla possibilità di formulare istanza al Tribunale in sede di volontaria giurisdizione per la nomina di un amministratore provvisorio della Società che compia gli atti più urgenti, l’art. 405 c.c., inerente alla nomina dell’amministratore di sostegno, prevede al quarto comma che, “qualora ne sussista la necessità, il giudice tutelare adotta anche d’ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l’amministrazione del suo patrimonio” e “può procedere alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio indicando gli atti che è autorizzato a compiere”.
In sostanza, il sistema prevede che anche nell’ipotesi indicata sia possibile l’adozione di provvedimenti urgenti.
2.4. Per tale ragione, si presenta irrilevante ai fini del presente giudizio la proposta questione di legittimità costituzionale dell’art. 82 c.p.a., la quale, peraltro, è anche manifestamente infondata in quanto i termini processuali, ed il regime delle preclusioni e decadenze ad essi connesso, opera oggettivamente per tutte le parti del giudizio ed è funzionale alla rapida definizione del giudizio medesimo, in ossequio al principio costituzionale di ragionevole durata del processo, ex art. 111, comma secondo, Cost., nonché in coerenza con l’art. 6, comma primo, della Convenzione EDU (cfr. Cons. Stato, IV, n. 4603 del 2016).
2.5. Di talché, in assenza dei presupposti per la concessione dell’errore scusabile e decorsi centottanta giorni dalla data di ricezione dell’avviso senza che sia stata presentata nuova istanza di fissazione d’udienza, il giudizio di appello deve essere dichiarato perento e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza di primo grado.
3. A margine, il Collegio rileva che, in ogni caso, il presente appello è divenuto improcedibile per carenza di interesse in quanto, come rappresentato dal Comune di (omissis) nella propria memoria conclusiva, in pendenza del giudizio, la Fi. ha presentato il progetto del Piano Attuativo dell’area classificata “PN 13” dalla variante parziale al P.R.G. in discussione, che è stato adottato dalla Giunta Comunale con deliberazione 24 ottobre 2013, n. 235, e poi approvato con deliberazione giuntale 24 febbraio 2014, divenuta inoppugnabile.
L’eventuale annullamento della variante parziale al P.R.G. di (omissis) “in adeguamento del decreto del Presidente della Repubblica 23.11.2007 relativo alla reiterazione del vincolo del comparto Sc27”, adottata con deliberazione del Consiglio Comunale di (omissis) n. 158 dell’11.12.2008 e approvata con deliberazione della Giunte Regionale del Veneto n. 1543 dell’8 giugno 2010, infatti, non avrebbe comunque efficacia caducante delle deliberazioni della Giunta Comunale del 24 ottobre 2013 di adozione del PUA dell’area classificata a “PN13” e della Giunta Comunale del 24 febbraio 2014 di approvazione del detto PUA.
In proposito, la giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, n. 1247 del 2018; sez., IV, n. 4404 del 2015; Cass. civ., sez. un., n. 7702 del 2016) ha già chiarito che, nell’ambito del procedimento amministrativo, occorre distinguere tra invalidità ad effetto caducante e invalidità ad effetto viziante; per la prima forma di vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi precisi:
a) il primo dato dall’appartenenza, sia dell’atto annullato direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla medesima serie procedimentale;
b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi.
Pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo.
Nella fattispecie non si rinviene tra la variante parziale al PRG in contestazione ed il provvedimento di approvazione del Piano Urbanistico Attuativo dell’area classificata dal PRG a zona residenziale scheda “PN13” un rapporto di consequenzialità necessaria, in quanto quest’ultimo non è meramente applicativo del primo, ma costituisce autonomo esercizio del potere discrezionale attribuito all’amministrazione in materia urbanistica ed avrebbe dovuto essere oggetto di autonoma azione impugnatoria.
Di talché, non risultando impugnate le delibere giuntali di adozione ed approvazione del PUA, l’appellante non potrebbe più conseguire il bene della vita al quale aspira.
4. In conclusione non resta al Collegio che dichiarare estinto il giudizio di appello per intervenuta perenzione, ex artt. 35, comma 2, lett. b) e 85, comma 9, c.p.a., e confermare l’impugnata sentenza.
5. Le spese del giudizio di appello restano a carico di ciascuna parte, ai sensi dell’art. 83 c.p.a.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello indicato in epigrafe lo dichiara estinto e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Dichiara non luogo a provvedere in ordine alle spese del giudizio di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore
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