Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 14 luglio 2020, n. 4547.
La massima estrapolata:
Il provvedimento di diniego del visto risulta essere stato correttamente adottato in presenza di un parere negativo delle Autorità di sicurezza di un partner Schengen da cui emergeva che l’interessato era “considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o per le relazioni internazionali di uno o più stati membri”. Il provvedimento di diniego trova giustificazione nel disposto dell’art. 5, comma 1, lettera d), della Convenzione di applicazione dell’accordo Schengen. Il visto va negato quando uno Stato Schengen, diverso dall’Italia, si oppone alla sua concessione sulla base di considerazioni di ordine pubblico e sicurezza nazionale e salute pubblica.
Sentenza 14 luglio 2020, n. 4547
Data udienza 2 luglio 2020
Tag – parola chiave: Stranieri – Visto d’ingresso – Schengen – Provvedimento di diniego – Presupposti di legittimità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4893 del 2018, proposto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via (…);
contro
-OMISSIS-rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Grazia Picciano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente diniego visto di ingresso.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 84 del decreto legge n. 18 del 2020;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 2 luglio 2020, il Cons. Giuseppa Carluccio.
FATTO e DIRITTO
1. L’Ambasciata d’Italia a Beirut, con provvedimento n. 20170002163 del 4 aprile 2017, ha rigettato l’istanza di un cittadino libanese volta ad ottenere il visto Schenghen per partecipare ad un congresso medico a Roma.
1.1. Tale provvedimento è stato emanato sulla base di un parere negativo delle Autorità di sicurezza di un partner Schengen, ai sensi dell’art. 32 p. 1, lett. a), V) del Reg. CE 810/2009, recante il codice comunitario dei visti, ed è stato così motivato: “considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, o la salute pubblica, quale definita all’articolo 2, par. 19, del codice frontiere Schengen, o per le relazioni internazionali di uno degli Stati membri e, in particolare, sia segnalato, nella banche dati nazionali degli Stati membri ai fini della non ammissione per gli stessi motivi”.
2. L’interessato ha impugnato il provvedimento di diniego del visto d’ingresso dinanzi al T.a.r. per il Lazio.
2.1. Nel primo giudizio, con ordinanza istruttoria, è stata acquisita documentazione dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale; il ricorrente ha depositato la documentazione ottenuta dal Ministero dell’interno mediante esercizio del diritto di accesso.
2.2. Con ordinanza n. -OMISSIS-, il T.a.r. ha sospeso il provvedimento impugnato, sulla base della nota del Ministero dell’interno del 25 luglio 2017, non risultando a carico dell’istante segnalazioni di non ammissibilità sul territorio Schengen.
2.2.1. In accoglimento dell’appello dell’Amministrazione, questo Consiglio, con ordinanza n. -OMISSIS-, ha rigettato l’istanza cautelare.
2.3. Con sentenza n. -OMISSIS-, il T.a.r. ha accolto il ricorso ed ha condannato l’Amministrazione al pagamento delle spese processuali.
3. Avverso la suddetta sentenza, il Ministero degli esteri ha proposto appello.
L’appellato, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto dell’appello ed ha depositato memorie.
3.1 Con ordinanza n. -OMISSIS-, questo Consiglio ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata.
4. All’udienza pubblica del 2 luglio 2020, ai sensi dell’art. 84 del decreto legge n. 18 del 2020, la causa è stata trattenuta dal Collegio in decisione.
5. Il primo giudice ha accolto il ricorso sulla base delle essenziali argomentazioni che seguono:
a) è errato il presupposto di fatto assunto nel provvedimento di diniego, posto che – in esito all’esercizio del diritto di accesso da parte del ricorrente – il Ministero dell’interno, con nota del 25 luglio 2017, ha espressamente comunicato che “a carico del nominato in oggetto non sussistono segnalazioni di non ammissibilità nel territorio Schengen”;
b) pertanto, la motivazione del provvedimento di diniego – che si fondava sulla consultazione preliminare delle autorità per la sicurezza dei Partners Schengen, prevista dall’art. 22 del Codice Visti (Reg. UE n. 810/2009) – risulta incongrua rispetto all’esito dell’accesso ed il ricorso va accolto.
6. Con unico e articolato motivo di appello, il Ministero ha dedotto “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21, comma 3, lettera c) e lettera d) art. 22 del reg CE 810/2009 Codice Visti in combinato disposto con l’art. 2 paragrafo 19 del regolamento CE n. 562/2006 (codice frontiere Schengen) e con l’art 6, comma 1, lett. e) (“Condizioni d’ingresso per i cittadini dei Paesi terzi”) del Reg. (CE) 399/2016 del Parlamento Europeo e del Consiglio (il cosiddetto “codice delle Frontiere Schengen”)”.
L’appellante sostiene che la sentenza impugnata è erronea nel non distinguere le diverse ipotesi di motivi ostativi all’ingresso, contemplate nell’art. 21 comma 3 reg. CE n. 810/2009: “segnalato SIS” e “non autorizzarsi Schengen VIS”.
7. L’appello è fondato e va accolto.
7.1. Questo Consiglio si è di recente pronunciato (Cons. Stato n. 5639 del 8 agosto 2019) – in una fattispecie analoga riguardante un cittadino libico – rispetto alla differenza tra “segnalazione SIS”, cui si riconnette la nota del Ministero dell’Interno che il primo giudice ha posto alla base dell’accoglimento, e “non autorizzazione VIS”, che si collega ad un parere negativo da parte delle Autorità di sicurezza di un partner Schengen.
7.2. Tanto, in continuità con il principio, già affermato in sede di appello cautelare con l’ordinanza n. 1232 del 2012, secondo cui, in presenza di un diniego del visto di ingresso fondato su una delle ragioni indicate dall’art. 5, co. 1, lett. e), del Regolamento CE 562/2006, è irrilevante l’attestata assenza del nominativo del richiedente nella banca dati SIS costituita presso il Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, la quale attiene alla diversa previsione della lett. d) dello stesso art. 5, co. 1, del citato Regolamento CE.
7.3. Al cittadino libanese è stato notificato il provvedimento di diniego del visto di ingresso in Italia in quanto, all’epoca dei fatti, le Autorità di sicurezza di un partner Schengen (che resta ignoto all’Autorità consolare e all’Amministrazione) avevano espresso un parere negativo, ai sensi dell’art. 32 p. 1 lett. a) V) del Reg. CE 810/2009 (istitutivo del codice comunitario dei visti).
Il provvedimento di diniego del visto risulta essere stato correttamente adottato in presenza di un parere negativo delle Autorità di sicurezza di un partner Schengen da cui emergeva che l’interessato era “considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o per le relazioni internazionali di uno o più stati membri”. Il provvedimento di diniego trova giustificazione nel disposto dell’art. 5, comma 1, lettera d), della Convenzione di applicazione dell’accordo Schengen. Il visto va negato quando uno Stato Schengen, diverso dall’Italia, si oppone alla sua concessione sulla base di considerazioni di ordine pubblico e sicurezza nazionale e salute pubblica (cfr. artt. 21, 22 del Codice europeo dei visti – Regolamento CE n. 810/2009).
7.3.1. Il giudice di primo grado, pertanto, ha errato nell’attribuire rilievo all’assenza di segnalazioni ostative nella banca dati SIS costituita presso il Ministero dell’interno.
8. Le argomentazioni che precedono sono determinanti per l’accoglimento dell’appello e assorbono ogni argomentazione dell’appellato volta a mettere in rilievo il proprio interesse, non a conoscere il Paese che ha espresso il parere negativo, ma solo il reale contenuto del diniego, trattandosi di informazioni nella disponibilità delle sole autorità di sicurezza.
9. L’accoglimento dell’appello comporta il rigetto del ricorso proposto in primo grado.
10. In ragione della specificità della materia oggetto della controversia, sono integralmente compensate le spese processuali del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, rigetta il ricorso proposto dinanzi al T.a.r.
Compensa integralmente le spese del doppio grado del processo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellato.
Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2020, ai sensi dell’art. 84 del decreto legge n. 18 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Castiglia – Presidente FF
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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