Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 12 febbraio 2019, n. 1014.

La massima estrapolata:

Il provvedimento con cui si ingiunge la demolizione di un immobile abusivo perché realizzato senza titolo ha natura vincolata e come tale è sufficientemente motivato con il semplice riferimento al fatto storico dell’esistenza della costruzione e al dato giuridico del suo carattere abusivo.

Sentenza 12 febbraio 2019, n. 1014

Data udienza 29 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1197 del 2013, proposto dal signor:
An. Ca., rappresentato e difeso dagli avvocati Co. St. e Ci. Ma., elettivamente domiciliato presso la Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);
contro
l’Ente parco nazionale del Vesuvio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
per l’annullamento ovvero la riforma, previa cautela,
della sentenza del TAR Campania, sede di Napoli, sezione III, 12 giugno 2012 n. 2756, resa fra le parti, la quale ha respinto il ricorso n. 894/2007 R.G. proposto per l’annullamento:
a) dell’ordinanza 27 giugno 2006 n. 92 e prot. n. 8733, notificata il giorno 22 novembre 2006, con la quale il Direttore generale dell’Ente Parco nazionale del Vesuvio ha ingiunto ad An. Ca. in quanto autore di esse, la sospensione e la successiva demolizione in quanto abusive di opere realizzate in comune di (omissis), in via (omissis), traversa (omissis), sul fondo distinto al catasto di quel comune al foglio (omissis) particella (omissis) e consistenti nel completamento del preesistente piano terra di un edificio residenziale con un ampliamento di circa 140 mq, realizzazione di intonaci, predisposizione degli impianti tecnologici, pavimentazione e posa in opera parziale degli infissi esterni;
b) della nota 12 maggio 2006 n. 120 del Comando del Corpo forestale dello Stato, stazione di Boscoreale, assunta a protocollo dell’ente con atto 8 giugno 2006 prot. n. 5632;
e di ogni atto presupposto, susseguente o comunque collegato;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ente parco nazionale del Vesuvio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 29 gennaio 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e udito per l’ente appellato l’avvocato dello Stato An. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con l’ordinanza 27 luglio 2006 meglio indicata in epigrafe, l’amministrazione intimata appellata, sulla base di un’informativa ricevuta con la nota 12 maggio 2006 pure meglio indicata in epigrafe, ingiungeva al ricorrente appellante, quale responsabile, di procedere alla sospensione e demolizione successiva di una serie di opere situate in comune di (omissis), in via (omissis), traversa (omissis), sul fondo distinto al catasto di quel comune al foglio (omissis) particella (omissis), ovvero in territorio compreso nel perimetro del Parco nazionale del Vesuvio, realizzate senza la necessaria autorizzazione dello stesso ente gestore e consistenti nel completamento del preesistente piano terra di un edificio residenziale con un ampliamento di circa 140 mq, nella realizzazione degli intonaci, e degli impianti tecnologici nella pavimentazione e nella posa in opera parziale degli infissi esterni (doc. 2 in I grado amministrazione, ordinanza in questione, ove gli estremi anche dell’informativa del Corpo forestale).
Con la sentenza a sua volta meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto contro tale ordinanza; in motivazione, ha ritenuto che il direttore dell’ente, autore dell’ordinanza, fosse effettivamente l’organo competente ad emanarla, che quanto alle opere in questione non ci fosse la prova di una precedente domanda di condono volta a sanarli, domanda asserita ma non precisata negli esatti suoi termini, e che la presentazione di una successiva domanda di accertamento di conformità non valesse a privare l’ordinanza di validità .
Il ricorrente ha impugnato tale sentenza con appello che contiene cinque motivi, gli ultimi tre di riproposizione di quelli di primo grado, trascritti pedissequamente:
– con il primo di essi, deduce difetto di motivazione da parte della sentenza di I grado, che non avrebbe tenuto conto dell’esistenza di una pretesa domanda di sanatoria relativa alle opere in questione;
– con il secondo motivo, deduce il presunto difetto di motivazione da parte dell’ordinanza amministrativa impugnata;
– con il terzo motivo, deduce l’incompetenza del direttore dell’ente in favore del presidente di esso;
– con il quarto motivo ripropone le questioni oggetto del primo motivo di appello;
– con il quinto motivo, deduce l’esistenza di una successiva domanda di accertamento di conformità .
L’amministrazione si costituiva con atto 25 febbraio 2013 e chiedeva che l’appello fosse respinto.
Con atto 14 marzo 2013, il ricorrente chiedeva poi la cancellazione della causa dal ruolo delle sospensive, rinunciando quindi al provvedimento cautelare.
Alla pubblica udienza del giorno 29 gennaio 2019, infine, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.
2. Il primo motivo dedotto va respinto: in proposito, non si può che ripetere quanto già affermato dal Giudice di I grado, ovvero che della presunta domanda di sanatoria che il ricorrente appellante avrebbe presentato, per l’intero immobile abusivo, ovvero per una sua parte, non sono in alcun modo precisati gli estremi e i contenuti, sì che risulta impossibile stabilire se ed entro quali limiti tenerne conto. Va altresì precisato che l’onere della prova relativo gravava sul ricorrente appellante stesso, in base all’art. 64 comma 1 c.p.a. per cui “Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni”. Secondo logica infatti, colui il quale presenta una domanda di qualche specie all’amministrazione è nella migliore posizione per dare la prova del fatto storico della presentazione stessa, dato che in tali casi l’ordinaria diligenza impone di farsi rilasciare una ricevuta e di conservarla fino all’esito della pratica.
3. Il secondo motivo, centrato su un presunto difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata, è a sua volta infondato in base al principio che si desume dalla sentenza del C.d.S. A.P. 17 ottobre 2017 n. 9, secondo il quale il provvedimento con cui si ingiunge la demolizione di un immobile abusivo perché realizzato senza titolo ha natura vincolata e come tale è sufficientemente motivato con il semplice riferimento al fatto storico dell’esistenza della costruzione e al dato giuridico del suo carattere abusivo.
4. I motivi dal terzo al quinto vanno invece dichiarati inammissibili, in base al disposto dell’art. 101 comma 1 c.p.a., per cui l’atto di appello deve contenere, per quanto qui interessa, “le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata”, e quindi risulta inammissibile se, e nella parte in cui, si limiti ad una mera riproduzione dei motivi dedotti in I grado, senza alcuna critica alla sentenza impugnata che li abbia disattesi: in tal senso, per tutte, C.d.S. sez. III 11 ottobre 2017 n. 4722 e sez. IV 19 febbraio 2015 n. 835. Nel caso di specie, il ricorrente appellante (atto di impugnazione, dalla fine di p.6) ha dichiarato testualmente che “si riproducono per esteso” i motivi del ricorso di I grado, e li ha fatti seguire pedissequamente, come risulta anche dall’uso della copia nello stesso carattere tipografico originario, diverso da quello adoperato per il resto dell’atto di impugnazione. Si tratta quindi di motivi inammissibili.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato (ricorso n. 1197/2013 R.G.), lo respinge.
Condanna il ricorrente appellante a rifondere all’amministrazione intimata appellata le spese del presente giudizio, spese che liquida in Euro 3.000 (tremila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 gennaio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Davide Ponte – Consigliere

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