Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 6 luglio 2020, n. 4309.
La massima estrapolata:
Il potere sindacale di ordinanza ex art. 54 D.Lvo 267/2000 non può avere una valenza “creativa” ma deve limitarsi a prefigurare misure che assicurino il rispetto di norme ordinarie volte a tutelare l’ordinata convivenza civile, tutte le volte in cui dalla loro violazione possano derivare gravi pericoli per l’ordine pubblico e per la sicurezza pubblica.
Sentenza 6 luglio 2020, n. 4309
Data udienza 18 giugno 2020
Tag – parola chiave: Beni pubblici – Occupazione abusiva – Ordinanza sindacale – Art. 54 TEUL – Tipologia di potere – Valenza creativa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 104 del 2020, proposto da Sa. Ce. & C. s.p.a., Im. Ca. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’avv. An. Gh., dal prof. avv. Vi. An. e dall’avv. Se. Va., con domicilio digitale come da Pec e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Se. Va. in Roma, via (…);
contro
Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Co., Gi. Le., An. Ma., Ma. Lo. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gi. Le. in Roma, via (…);
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via (…), è elettivamente domiciliato;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda n. 01527/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano e del Ministero dell’Interno, in cui si incardinano, quali organi periferici, l’Ufficio Territoriale del Governo di Milano e la Questura Milano;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 giugno 2020 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti, in modalità da remoto, gli avvocati Vi. An. e An. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Le società appellanti chiedono la riforma, previa sospensione, della sentenza del TAR per la Lombardia, Milano, sez. II, n. 1527 del 2.07.2019, che ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento del 29.01.2018 con il quale il Sindaco di Milano ha comunicato che non sussistono le condizioni per l’adozione di un’ordinanza ex artt. 50 – 54 del D. Lgs. n. 267/2000 sollecitata dalle appellanti onde fronteggiare la prolungata occupazione degli edifici siti in piazzale (omissis). Nel rigetto del ricorso è rimasta assorbita anche la domanda di risarcimento del danno azionata dalle ricorrenti.
1.1. Il giudizio qui in rilievo costituisce l’ulteriore appendice di un lungo contenzioso avente ad oggetto la richiesta di sgombero dei suindicati manufatti, abusivamente occupati, avanzata dalla proprietà ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 50 – 54 del D. Lgs. n. 267/2000.
1.2.Il suddetto iter aveva inizio con la sentenza non definitiva n. 1007/2014, per effetto della quale il TAR per la Lombardia, sede di Milano, accoglieva il ricorso per silentium e ordinava al Comune di Milano di provvedere entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza sulle istanze di sgombero presentate compulsando nell’occasione anche la Prefettura di Milano in virtù dei poteri suppletivi ad essa spettanti previsti dagli artt. 50 e 54, comma 11, TUEL per il caso di persistente inottemperanza del Comune. Con il medesimo decisum il TAR disponeva la trattazione della domanda risarcitoria con il rito ordinario, ai sensi degli artt. 117, c. 6, e 32, c. 1, cod. proc.amm. L’appello dell’Amministrazione veniva respinto dal Consiglio di Stato con sentenza 5601/2014.
1.3. Il Comune, con le successive comunicazioni del 5 agosto 2014 (prot. 502388/2014 e 502393/2014) affermava l’insussistenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri extra ordinem del Sindaco. Il successivo ricorso per ottemperanza veniva respinto dal Tar con sentenza n. 730 del 16.03.2015 sul rilievo che l’amministrazione avesse in ogni caso pronunciato sulle istanze avanzate.
1.4 Le medesime note formavano oggetto di impugnazione con atto recante motivi aggiunti anche nel giudizio pendente innanzi al Tar per la decisione sulla domanda risarcitoria.
1.5. Con sentenza n. 729/2015 il Tar Lombardia, Milano accoglieva il ricorso per motivi aggiunti e annullava le note dell’agosto 2014 in quella sede impugnate, in quanto il Comune, nel motivare il diniego sull’avvenuto consolidamento della situazione di occupazione abusiva, non aveva tenuto conto del fatto che il potere di intervento extra ordinem non subisce alcuna limitazione laddove sussista il rischio concreto di un danno grave e imminente per l’incolumità pubblica, non fronteggiabile con gli strumenti ordinari. Il Tar respingeva, però, la domanda risarcitoria
1.6 Il Comune di Milano, chiamato a pronunciarsi nuovamente sulle istanze suindicate, in data 5 ottobre 2015 assumeva le note nn. prot. 531157 e 531165/2015, oggetto di impugnazione con atto di motivi aggiunti nel giudizio già incardinato dinanzi al Tar per l’ottemperanza della sentenza n. 729/2015. Il TAR, con sentenza n. 1830/2016, dichiarava improcedibile il ricorso in ottemperanza e, quanto ai motivi aggiunti, respingeva la domanda di annullamento delle note impugnate, ritenendo che l’accertamento dello stato di degrado urbano e decadimento strutturale dell’immobile, effettuato da personale dell’ufficio tecnico e dalla polizia locale, fosse stato tanto perentorio da rendere superflua l’emissione di un provvedimento espresso da parte del Sindaco, titolare del potere d’ordinanza ai sensi degli artt. 50 e 54 TUEL.
1.7 Di contro, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5044/2017, accoglieva l’appello limitatamente al capo della decisione di rigetto della domanda di annullamento delle note comunali. Il giudice d’appello riteneva anzitutto fondata la censura secondo la quale la competenza del Sindaco all’adozione delle ordinanze contingibili ed urgenti non può essere superata dalla necessità di compiere preliminari accertamenti tecnici e accoglieva le ulteriori doglianze con cui le ricorrenti lamentavano, sotto distinti profili, la violazione delle garanzie procedimentali per la mancata convocazione al sopralluogo di tutte le parti private e la mancata comunicazione del preavviso di rigetto delle istanze presentate, disponendo conclusivamente la rinnovazione del procedimento a carico del Comune di Milano e circostanziandone le modalità nei termini di seguito indicati: ordinava all’amministrazione di convocare le parti nel termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza, con preavviso di almeno sette giorni, per un nuovo sopralluogo, durante il quale le ammetteva a presentare richieste e formulare osservazioni con contestuale redazione di processo verbale, e di concludere il procedimento, nel rispetto delle garanzie procedimentali indicate, nel termine complessivo di novanta giorni. Nell’ipotesi di infruttuoso decorso dei termini assegnati nominava commissario ad acta il Prefetto di Milano, o un funzionario designato dallo stesso, con obbligo di provvedere in via sostitutiva, su richiesta delle appellanti, nel termine di sessanta giorni adottando, nel rispetto delle garanzie procedimentali, ogni atto amministrativo e contabile necessario.
1.8. In esecuzione della sentenza il Comune di Milano convocava un nuovo sopralluogo in data 24 novembre 2017, alla presenza dei tecnici delle ricorrenti e accedendo direttamente ai luoghi. A seguito di preavviso di rigetto assumeva il provvedimento PG 45020/2018 in data 29 gennaio 2018, con il quale il Sindaco comunicava l’assenza di condizioni per l’adozione delle ordinanze contingibili ed urgenti di cui agli artt. 50 e 54 TUEL sul rilievo che:
(a) nel corso degli anni, in pendenza del contenzioso con le società immobiliari, il Comune di Milano aveva svolto approfondimenti istruttori dettagliati che consentivano di escludere rischi di emergenze sanitarie, di igiene o gravi minacce per la sicurezza pubblica e la sicurezza urbana nell’immobile occupato e nell’area circostante, con conseguente inconfigurabilità dei presupposti per l’esercizio dei poteri extra ordinem;
(b) non poteva trovare applicazione l’art. 11, d.l. 14/2017 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza nelle città ) che si riferisce all’attuazione dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria che abbiano accertato l’occupazione arbitraria degli immobili ed emesso una condanna al loro rilascio, sia perché nel caso di specie non constavano provvedimenti dell’autorità giudiziaria, sia perché la norma attribuisce il potere di determinare le modalità esecutive di tali provvedimenti al Prefetto e non al Sindaco;
(c) dalla perizia tecnica dell’11 gennaio 2018 e dal rapporto tecnico del 25 gennaio 2018 dell’Ufficio Stabili Pericolanti si ricavava che le osservazioni formulate nell’istanza del 23 gennaio 2018 non facessero venir meno le divisate conclusioni in ordine all’accertata insussistenza di profili di rischio per la tenuta statica e per la sicurezza edilizia dei fabbricati in argomento.
1.9. Il provvedimento impugnato in prime cure, dichiaratamente adottato in esecuzione del dictum di questa Sezione, è stato ritenuto dal TAR, con la sentenza qui appellata, immune dai vizi, procedurali e sostanziali, denunciati con il ricorso di primo grado.
2. A sostegno della spiegata impugnazione le società appellanti deducono:
a) l’erroneità della decisione di primo grado nella parte in cui, anche in violazione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 5044 del 2017, non ha rilevato il difetto di istruttoria e/o la carenza di motivazione dei provvedimenti impugnati: e, invero, gli accertamenti svolti sarebbero solo parziali (non hanno riguardato anche lo “stabile C” ovvero taluni locali degli stabili “A” e “B”) né le generiche motivazioni della perizia comunale – condizionate dal mancato recupero delle chiavi della palazzina C, impropriamente addebitato alla proprietà, ovvero da un ingiustificato atteggiamento ingiustamente prudenziale – consentirebbero di neutralizzare il descritto vulnus conoscitivo. D’altro canto, la sentenza sarebbe, altresì, erronea nella parte in cui avrebbe ingiustamente ritenuto insussistente il difetto di istruttoria e la carenza di motivazione lamentati con il secondo motivo di ricorso in primo grado rispetto al profilo concernente la sicurezza e la vivibilità urbana. Il suddetto profilo sarebbe stato dichiaratamente trascurato dai tecnici comunali e conseguentemente nemmeno valutato dal Sindaco di Milano;
b) il giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto del fatto che la stessa perizia comunale avrebbe evidenziato rilevanti criticità quanto alle facciate esterne ed ai balconi, segnalando un pericolo per la pubblica utilità ed i correttivi per porvi rimedio, cui non potrebbe farsi fronte con la collaborazione degli occupanti. Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe omesso di fare applicazione dei precetti di cui all’art. 2 del D.M. 5 agosto 2008 nella parte in cui prevede che è sufficiente, perché si concretizzi l’obbligo del Sindaco di provvedere con l’ordinanza richiesta, che si verifichi una situazione di occupazione abusiva di immobili che possa favorire le predette situazioni di cui alle lettere a) e b), senza la necessità che le stesse si siano già verificate. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, non sarebbe vero che le appellanti hanno denunciato solo fenomeni che si “esauriscono all’interno degli stabili”, evenienza questa che comunque non impedirebbe il ricorso allo strumento invocato. Uno stabile occupato dove si svolgono attività illegali, come nel caso qui in rilievo (dove sarebbero state aperte al pubblico attività commerciali prive di licenze e autorizzazioni), sarebbe di per sé fonte di degrado e scadimento della qualità di vita urbana proprio perché “aperto al pubblico”, anche se l’illegalità si svolge all’interno.
2.1. Resiste in giudizio il Comune di Milano.
2.2. Resiste in giudizio il Ministero dell’Interno anche per le proprie articolazioni periferiche, l’Ufficio Territoriale del Governo di Milano e la Questura di Milano.
2.3. Nella camera di consiglio del 13 febbraio 2020 le appellanti hanno rinunciato all’istanza cautelare e la causa è stata rinviata al merito.
2.4. Alla pubblica udienza del 18 giugno 2020 la causa è stata trattenuta in decisione previa discussione delle parti in modalità da remoto, nel corso della quale le appellanti hanno rinunciato a coltivare la pretesa risarcitoria.
3. L’appello è infondato e, pertanto, va respinto.
3.1. L’ambito cognitivo del presente giudizio involge la capacità di resistenza, nei limiti del devolutum, delle statuizioni di rigetto compendiate nella sentenza appellata che ha, come sopra anticipato, confermato la legittimità delle determinazioni sindacali sulla insussistenza dei presupposti, fattuali e giuridici, per l’adozione di ordinanze contingibili ed urgenti ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 50 e 54 del d.lgs 267/2000 in relazione al complesso immobiliare di proprietà attorea, articolato in tre palazzine ricomprese in un’area cortilizia comune ed oggetto da diversi anni (2013) di abusiva occupazione.
Il problema di fondo, quanto agli aspetti di merito della res controversa, resta quello della praticabilità dello schema legale invocato, dal momento che le ordinanze extra ordinem notoriamente hanno un campo di applicazione ancorato, quale extrema ratio, a presupposti rigorosi ed in presenza di situazioni di pericolo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un’istruttoria adeguata e da una congrua motivazione.
3.2. Preliminarmente, deve rilevarsi che i tradizionali ambiti di esplicazione di siffatto potere afferiscono, per quanto qui di più diretto interesse, all’igiene e la sanità pubblica, da un lato, ed all’incolumità ed alla sicurezza pubblica, dall’altro.
La perimetrazione dei suddetti beni pubblici risente, rispetto al passato, di recenti significative evoluzioni indotte da mirati interventi di riforma che, in ambito locale, hanno inciso, tra l’altro, sul contenuto regolatorio dei precetti compendiati agli artt. 50 e 54 del d.lgs. 267/2000.
E’, dunque, necessario brevemente soffermarsi sull’attuale assetto regolatorio della disciplina di riferimento al fine di evincere da essa le coordinate utili per lo scrutinio della res iudicanda e, in particolare, di approfondire in che misura la dilatazione del perimetro contenutistico dei beni suindicati interferisca con l’ambito operativo delle disposizioni che giustificano ordinanze extra ordinem. Tanto in ragione del costrutto giuridico dell’appellante che riposa su una lettura ampia della disciplina suindicata per come completata dalle disposizioni di cui al d.l. n. 14/2017 e del d.m. DM 5 agosto 2008.
3.3. Nella detta prospettiva, e quanto al disposto di cui all’articolo 54 del tuel, deve rilevarsi che, nella suddetta disciplina normativa di riferimento, vengono evocati quali beni tutelati, da un lato, l’incolumità pubblica, da riferire all’integrità fisica della popolazione, e, dall’altro, la sicurezza urbana, che riflette l’esigenza di prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità e si pone dunque a presidio del rispetto delle norme che regolano la vita civile.
La politica di sicurezza in ambito locale, per effetto delle recenti riforme (id est d.l. 14/2017), ha assunto un’accezione più ampia, risultando declinata, quale forma di benessere delle comunità territoriali, in funzione di una stretta sinergia tra gli obiettivi della tutela dell’incolumità pubblica e della sicurezza in senso stretto e quello del miglioramento della qualità del tessuto sociale ed urbano sub specie di “vivibilità ” e del “decoro delle città ” che diventano complementari.
L’articolo 4 del d.l. 14/2017 espressamente chiarisce, infatti, che “si intende per sicurezza urbana il bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione, anche urbanistica, sociale e culturale, e recupero delle aree o dei siti degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione della cultura del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile, cui concorrono prioritariamente, anche con interventi integrati, lo Stato, le Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni”.
Ciò nondimeno, una lettura sistemica dell’ordinamento di settore consente di rilevare che lo strumentario predisposto dal legislatore per la tutela del suddetto bene nei suoi (oggi) multiformi aspetti risulta diversamente modulato in funzione della incisività delle misure che il legislatore ha confezionato.
Segnatamente, nello specifico campo di intervento dei poteri straordinari qui in rilievo, quali desumibili dal comma 4 bis dell’articolo 54 del d.lgs. 267/2000, va enucleato un concetto di sicurezza pubblica in senso stretto, caratterizzandosi dunque il rimedio straordinario come mezzo amministrativo residuale per fronteggiare fatti illeciti che abbiano un possibile ed immediato riverbero sulla vita della comunità, non potendo di contro il suddetto bene giuridico essere dilatato al punto da evocare anche lo svolgimento di ordinarie funzioni di polizia amministrativa nelle materie di competenza delle Regioni e delle Province autonome (cfr. sentenza della Corte costituzionale, 1 luglio 2009, n. 196; sentenza della Corte costituzionale, 1 luglio 2009, n. 196) otre che dello stesso Comune.
In questo senso depone anche il fatto che il sindaco interviene in una materia riservata allo Stato, qual è l’ordine pubblico e la sicurezza, agendo quale organo indiretto dell’amministrazione statale e nel quadro di un rapporto gerarchico con il prefetto.
Occorre, a tal riguardo, soggiungere che, a seguito dell’assetto normativo che è venuto stabilizzandosi all’indomani della declaratoria di incostituzionalità dell’articolo 54 comma 4 del d.lgs 267/2000 (cfr. Corte cost., 7 aprile 2011, n. 115), il Sindaco può dirsi titolare del solo potere “straordinario” di adottare ordinanze contingibili ed urgenti. Con la suddetta pronuncia la Corte ha, invero, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui comprendeva la locuzione ” anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”.
Peraltro, deve soggiungersi, sotto distinto profilo e sempre nell’ottica di perimetrare l’ambito di incidenza di tali poteri, che l’interferenza con la sfera di libertà dei cittadini ha indotto il legislatore a definire anche i possibili spazi di intervento, finalità questa originariamente rimessa ad un decreto ministeriale (il d.m. 5.8.2008), ed oggi disciplinata in via diretta dal legislatore all’articolo 54 del d.lgs 267/2000 comma 4 bis nella versione risultante dalla legge di conversione a mente del quale “i provvedimenti adottati ai sensi del comma 4 concernenti l’incolumità pubblica sono diretti a tutelare l’integrità fisica della popolazione, quelli concernenti la sicurezza urbana sono diretti a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, ovvero riguardano fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti”.
Tale regolamentazione non può che sovrapporsi ed orientare l’applicazione del d.m. 5.8.2008, sul quale si tornerà in prosieguo nello scrutinio del motivo di gravame su di esso incentrato.
3.4. Deve, poi, soggiungersi che i poteri del Sindaco sono stati vieppiù implementati anche per effetto della modifica dell’articolo 50 del decreto legislativo n. 267 del 2000 ad opera dell’art. 8 del decreto-legge n. 14 del 2017 in attuazione di quel principio ampio di sicurezza urbana quale desumibile dall’art. 4 del medesimo decreto-legge già sopra riportato. Ordinanze contingibili e urgenti possono essere adottate dal Sindaco, quale rappresentante della comunità locale, oltre che in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, anche in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti.
3.5. Orbene, all’interno della descritta cornice di riferimento deve conclusivamente rilevarsi che le innovazioni introdotte con il decreto-legge n. 14/2017 (“Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città “) intanto valgono a conformare, nell’attualità, i poteri extra ordinem del Sindaco in quanto siano confluite nelle espresse modifiche apportate agli artt 50 e 54 del tuel. Di contro, al di fuori del perimetro operativo di tali disposizioni, per come sopra parzialmente anticipato, va condivisa la soluzione esegetica privilegiata dal giudice di prime cure nella parte in cui evidenzia che “..esula quindi dalla presente controversia la normativa di cui al sopraggiunto decreto-legge n. 14/2017 (“Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città “), che vede sì cooperare gli enti locali con lo Stato nell’adozione di misure a tutela della sicurezza urbana e del decoro urbano, ma pur sempre in presenza delle condizioni minime di degrado e di rischio per l’incolumità pubblica di cui si è detto. Detta normativa, semmai, potrà acquisire rilievo in separata sede, ove – ad esempio – dovesse sopravvenire una pronuncia dell’autorità giudiziaria che dispone il rilascio dell’immobile occupato arbitrariamente, dalla cui esecuzione possa eventualmente derivare pericolo di turbative per l’ordine e la sicurezza pubblica (art. 11)”.
3.6. Orbene, prendendo abbrivio dalle suddette premesse ed in applicazione dei postulati in esse illustrati, è possibile ora passare in rassegna nell’ordine tracciato dal mezzo qui in rilievo i singoli motivi di gravame.
4. Con un primo gruppo di censure le appellanti lamentano l’erroneità delle statuizioni del TAR nella parte in cui ha respinto i motivi di ricorso di primo grado senza rilevare l’incompletezza dell’istruttoria compiuta, fatta palese dalla rilevata impossibilità, riconosciuta dall’amministrazione stessa, di accedere ad uno (manufatto C) dei tre stabili di cui si compone il complesso immobiliare occupato. Nella prospettazione delle appellanti, tale condotta dell’Amministrazione sarebbe violativa anche del giudicato derivante dalla precedente sentenza n. 5044/2017, con la quale il Consiglio di Stato aveva ordinato al Comune di Milano la riedizione del procedimento e, dunque, di procedere ad un nuovo sopralluogo onde ricostruire la situazione di fatto su cui innestare la valutazione di competenza sindacale circa la sussistenza dei presupposti richiesti dagli artt. 50 e 54 TUEL.
4.1. Il motivo si palesa infondato. E’ di tutta evidenza come ogni determinazione amministrativa da assumere in subiecta materia implichi a monte il rigoroso svolgimento di una compiuta e mirata istruttoria volta a riscontrare, attraverso un’indagine che faccia emergere e dia adeguatamente conto della situazione di fatto da regolare, l’effettiva sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza cui si correla una situazione di effettivo e concreto pericolo per la integrità dei beni tutelati, la quale non sia fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva.
4.2. Nel caso di specie, la completezza (funzionale) dell’accertamento istruttorio rinnovato dall’amministrazione comunale in ossequio alle coordinate metodologiche tracciate nel giudicato formatosi in relazione alla sentenza di questa Sezione, n. 5044/2017, non appare scalfita dalle deduzioni delle appellanti.
Anzitutto, deve evidenziarsi che i vincoli conformativi rinvenienti dal richiamato decisum si esauriscono nella imposizione di precise e cogenti prescrizioni di ordine procedimentale volte a dare chiara attuazione, già in questa fase, alle esigenze di piena partecipazione procedimentale delle appellanti. Di contro, si pongono al di fuori del nucleo imperativo della sentenza in argomento i distinti profili concernenti l’ambito operativo, il contenuto e la metodica dell’indagine da svolgere dovendo questa evidentemente essere calibrata sulla scorta di esigenze di natura tecnica il cui apprezzamento, almeno in prima battuta, non può che essere rimesso all’Autorità procedente.
4.3. Di poi, non può essere sottaciuto che il Comune di Milano, a mezzo dei propri tecnici, ha proceduto, nel rispetto dei suindicati vincoli, ad una ricognizione dei luoghi, dando poi corso ad un confronto dialettico con la proprietà ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 10 bis della legge n. 241/1990. Occorre, poi, soggiungere che i manufatti e le aree in questione sono stati ispezionati in contraddittorio ed in funzione delle specifiche esigenze di accertamento qui in rilievo, in funzione cioè di un’indagine mirata siccome volta a riscontrare (non già qualsivoglia anomalia nella manutenzione degli edifici in questione ma) la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri extra ordinem nei termini evocati dalle odierne appellanti.
4.4. Nella suddetta corretta prospettiva d’indagine la circostanza del mancato accesso ad una delle tre palazzine ovvero ad alcuni dei locali degli altri manufatti occupati non può ritenersi, con la pretesa automaticità, di per sé dirimente dal momento che le informazioni comunque acquisite in loco non hanno impedito all’Autorità procedente di svolgere il proprio giudizio tecnico, la cui affidabilità rappresentativa non può dirsi qui adeguatamente smentita.
E, invero, quanto alla palazzina C, è pur vero che tale fabbricato non è stato fatto oggetto di un sopralluogo al suo interno essendo risultato inaccessibile per effetto di una serratura la cui chiave non era nella disponibilità né degli occupanti né delle Società ; ciò nondimeno nemmeno può essere sottaciuto che l’Amministrazione ha proceduto ad un’ispezione esterna della struttura, di cui peraltro nemmeno risulta adeguatamente provata l’attuale occupazione, avvalendosi, peraltro, nel proprio giudizio finale, della rilevata omogeneità delle relative caratteristiche costruttive e delle conseguenti problematiche rispetto alle altre due coeve palazzine viceversa fatte oggetto di un sopralluogo tendenzialmente completo.
Ben può, dunque, essere ritenuta non indispensabile, in mancanza di conferenti elementi di segno contrario, una ricognizione analitica e diffusa di ciascun ambiente ove il quadro fattuale ricostruito consenta già comunque di inferire, sulla scorta di una mirata analisi tecnica, l’assenza di gravi carenze strutturali nella muratura portante ovvero di tenuta degli impianti tali da suggerire, da subito, la misura extra ordinem dello sgombero quale unico ed irrinunciabile strumento per ovviare alle problematiche registrate, dovendosi qui ribadire come l’esigenza conoscitiva di fondo debba essere orientata nella percezione di elementi sintomatici di situazioni di grave ed attuale pericolosità che impongano hic et nunc l’immediata evacuazione dei fabbricati.
Di poi, nessun rilievo assume nell’economia delle valutazioni qui svolte la possibilità di muovere o meno addebiti anche alle società proprietarie per il fatto che non avessero la disponibilità delle chiavi assumendo centralità nel giudizio in argomento la complessiva affidabilità degli accertamenti condotti in loco e la congruenza logica delle relative risultanze.
4.5. Nella medesima prospettiva, quanto al distinto profilo che involge il mancato accesso ad alcuni ambienti delle altre due palazzine, rispetto alle quali si è comunque svolto il sopralluogo, va evidenziato che il Comune ha ritenuto che il campione ispezionato fosse, comunque, di per sé, adeguatamente rappresentativo del complessivo stato degli immobili e che, pertanto, il mancato accesso a tutti gli ambienti che compongono le dette palazzine non condizionasse il giudizio finale sulla certificata assenza, ad oggi, di un pericolo grave ed attuale di affaticamento o di dissesto delle strutture.
Nei termini suddetti si è, invero, espresso il Comune di Milano nel vaglio delle deduzioni rassegnate dalle appellanti in sede procedimentale ed alla stregua delle ispezioni condotte in loco sulla cui affermata sufficienza il sindacato giurisdizionale non può che esplicarsi nei noti limiti circoscritti all’apprezzamento di eventuali errori di fatto ovvero di situazione di manifesta illogicità ed irragionevolezza, qui non in rilievo.
4.6. Tali conclusioni non risultano, invero, adeguatamente smentite dalle appellanti a mezzo di concludenti elementi di prova di segno contrario, non potendo i suddetti arresti essere evidentemente ribaltati sulla scorta del solo dato quantitativo della parzialità degli ambienti fatti oggetto di diretta esplorazione e dovendo, viceversa, ritenersi comunque necessaria, ai fini in questione, una plausibile ricostruzione alternativa che, muovendo da elementi obiettivi e sulla scorta di evidenze tecnico/scientifiche supportate da coerenti deduzioni logiche, conclami l’inettitudine del campione ispezionato e, dunque, deponga univocamente per la manifesta insufficienza, quantitativa e qualitativa, degli accertamenti svolti e, dunque, per la loro incapacità a suffragare le conclusioni raggiunte.
5. E ciò anche in ragione del fatto che i provvedimenti qui in rilievo, sotto ogni profilo, e dunque, inclusi quelli riferibili all’an ed al quomodo, sono adottati dall’autorità sindacale nell’esercizio di un potere connotato da ampia discrezionalità, di guisa che sia in relazione al momento ricognitivo, che involge l’apprezzamento dei relativi presupposti giustificativi, sia rispetto alla scelta delle misure più coerenti e proporzionalmente adeguate, è necessario dimostrare, attraverso il prisma dell’errore di fatto ovvero della manifesta irragionevolezza ed illogicità delle scelte compiute, il non corretto esercizio delle suddette prerogative.
6. Né hanno pregio le residue doglianze.
6.1. In particolare la difesa appellante deduce che dalla stessa perizia predisposta dal Comune emergerebbe la necessità di interventi, da ripetersi periodicamente, consistenti nella rimozione delle parti cementizie in fase di distacco e nell’applicazione sui ferri di armatura di un prodotto chimico che inibisce il processo corrosivo. Come opportuni vengono poi menzionati, nella medesima perizia, interventi volti a salvaguardare la pubblica incolumità, quali l’installazione di un ponteggio con elemento parasassi, l’impacchettamento dei balconi con una rete protettiva che impedisca la caduta di materiale, l’inibizione al pubblico passaggio di una fascia di larghezza adeguata del marciapiede antistante le facciate. Ebbene, tali interventi, evidenziano le appellanti, presuppongono, almeno in parte, l’accesso e la disponibilità dell’immobile, reso quantomeno difficile dall’occupazione abusiva dello stabile. Pertanto, la risoluzione della situazione di pericolo attraverso il ricorso a strumenti ordinari, come prospettato dalla sentenza impugnata, sarebbe in concreto irrealizzabile: da una parte, tali interventi non vengono garantiti dagli occupanti, dall’altra non possono essere realizzati dalle appellanti per le difficoltà di accesso all’immobile.
6.2. Sotto diverso profilo, soggiungono le appellanti che il primo giudice avrebbe errato nell’applicazione dell’art. 2 del DM 5 agosto 2008 lett. c) nella parte in cui prevede che è sufficiente, perché si concretizzi l’obbligo del Sindaco di provvedere con l’ordinanza richiesta, che si verifichi una situazione di occupazione abusiva di immobili che possa favorire le predette situazioni di cui alle lettere a) e b), vale a dire, sub a), “le situazioni urbane di degrado o di isolamento che favoriscono l’insorgere di fenomeni criminosi, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili e i fenomeni di violenza legati anche all’abuso di alcool; e sub b), le situazioni in cui si verificano comportamenti quali il danneggiamento al patrimonio pubblico e privato o che ne impediscono la fruibilità e determinano lo scadimento della qualità urbana. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, non sarebbe vero che le appellanti abbiano denunciato fenomeni che si “esauriscono all’interno degli stabili”, evenienza questa che comunque non impedirebbe il ricorso allo strumento invocato. Uno stabile occupato dove si svolgono attività illegali, come quello qui in rilievo (dove sarebbero state aperte al pubblico attività commerciali prive di licenze e autorizzazioni), sarebbe di per sé fonte di degrado e scadimento della qualità di vita urbana proprio perché “aperto al pubblico”, anche se l’illegalità si svolge all’interno.
6.3 Le argomentazioni censoree svolte dalle appellanti non sono condivisibili.
6.4. Quanto al primo aspetto, va qui ribadito che il Comune, a margine di un’attività istruttoria che – sulla scorta delle valutazioni di cui al punto precedente – non può ritenersi incompleta né inadeguata, ha ritenuto che non ricorresse una situazione di pericolo ed urgenza tale da legittimare l’uso di strumenti extra ordinem, dal momento che, nonostante il protrarsi da lungo tempo delle situazioni dedotte dalle appellanti, emergerebbe, comunque, all’esito degli accertamenti svolti, una condizione di generale stabilità del complesso immobiliare tale da escludere, in un arco temporale almeno di breve/medio periodo, il rischio di cedimenti strutturali. Emergerebbero, di contro, problemi di carenza manutentiva con situazioni localizzate di maggiore gravità (facciate interne ed esterne e balconi) suscettive, però, di interventi correttivi ordinari già individuati (“rimozione delle parti cementizie in fase di distacco e l’applicazione sui ferri di armatura di un prodotto chimico che inibisce il processo corrosivo” ovvero “l’installazione di un ponteggio con elemento parasassi, l’impacchettamento dei balconi con una rete protettiva che impedisca la caduta di materiale, l’inibizione al pubblico passaggio di una fascia di larghezza adeguata del marciapiede antistante le facciate”) rispetto ai quali, in mancanza di elementi di segno contrario, qui non offerti, lo sgombero dell’immobile non si pone come passaggio necessario.
7 E, invero, deve, anzitutto, rilevarsi come si tratti di interventi mirati e circoscritti la cui esecuzione per la necessaria messa in sicurezza dello stabile non implica, di per sé, lo sgombero dei fabbricati ben potendo essere attuati in via ordinaria senza interferire con l’attuale uso dei manufatti in questione secondo la loro ordinaria destinazione.
7.1. Né parimenti possono ritenersi dirimenti le considerazioni difensive incentrate su possibili forme di abuso, nemmeno specificamente dimensionate, che riguarderebbero l’improprio utilizzo di alcuni ambienti per scopi sociali (“palestra popolare”, “università popolare”, “mercatino di scambio”) senza le necessarie autorizzazioni. E’, invero, di tutta evidenza come, da un lato, manchi qualsivoglia elemento di prova che corrobori un effettivo e durevole impiego dei locali nei termini denunciati così come resta del tutto indimostrata la possibile incidenza di tali presunte attività sulla statica della struttura, laddove la possibile natura abusiva delle attività in argomento, per quanto suscettiva di sanzione, non giustifica di per sé, quale soluzione obbligata, il rivendicato provvedimento di sgombero.
7.2. Sotto diverso profilo, non può poi essere condivisa, sul piano soggettivo, l’ulteriore considerazione secondo cui i soggetti occupanti debbano necessariamente assumere un atteggiamento ostruzionistico rifiutando in radice di farsi carico dei lavori in argomento o, finanche, frapponendosi alla possibilità che sia la proprietà a mettere in sicurezza gli stabili, non essendo tali assunti suffragati da nessun conferente elemento, non potendo nemmeno sostenersi che tale sviluppo sul piano logico debba ritenersi necessario o altamente probabile.
7.3. Non emerge, infatti, che gli attuali occupanti siano stati giammai sollecitati in tal senso né che la stessa proprietà abbia posto in essere un tentativo di provvedere alla messa in sicurezza dello stabile e che gli sforzi in merito svolti siano stati frustrati e resi impossibili dall’opposizione degli occupanti. Anzi dalla sentenza del Tribunale Ordinario di Milano, III Sezione Penale, n. 2248 del 7.5.2020 sembra evincersi che una delle società ebbe modo di occuparsi nelle more dell’occupazione della potatura degli alberi di alto fusto.
7.4. D’altro canto, è solo nel caso di eventuale esito negativo della ancora possibile esplorazione di una soluzione ordinaria che potrebbero prospettarsi, in un’ottica di progressiva gradualità, interventi extra ordinem senza, peraltro, che tale opzione residuale si traduca necessariamente, e fin da subito, come invece ritenuto dalle appellanti, in interventi che necessariamente implichino anche il radicale sgombero degli edifici dovendo ovviamente, anche in presenza dei presupposti di cui agli artt 50 e 54 del d.lgs 267/2000, l’Autorità comunale muoversi in rigido ossequio al principio di proporzionalità calibrando in funzione del risultato e con il metodo del minimo sacrificio la scelta della misura più idonea.
8. Né a diverse conclusioni può condurre il disposto di cui all’art. 2 lett. c) del DM 5 agosto 2008 nella parte in cui prevede che “il sindaco interviene per prevenire e contrastare… c) l’incuria, il degrado e l’occupazione abusiva di immobili tali da favorire le situazioni indicate ai punti a) e b)”.
8.1. A tal riguardo, vanno qui richiamate le considerazioni già sopra svolte secondo cui è nel contesto di cui all’articolo 54 del d.lgs 267/2000 che va comunque colto il fondamento giustificativo per l’esercizio dei poteri straordinari ivi previsti.
8.2. Sul punto, mette poi conto evidenziare che, con specifico riferimento al decreto del Ministro dell’interno 5 agosto 2008 (Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione) già la Corte costituzionale aveva evidenziato che il “..decreto ministeriale sopra citato può assolvere alla funzione di indirizzare l’azione del sindaco, che, in quanto ufficiale del Governo, è sottoposto ad un vincolo gerarchico nei confronti del Ministro dell’interno, come è confermato peraltro dallo stesso art. 54, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. n. 267 del 2000, che impone al sindaco l’obbligo di comunicazione preventiva al prefetto dei provvedimenti adottati “anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione”. Ai sensi dei commi 9 e 11 dello stesso articolo, il prefetto dispone anche di poteri di vigilanza e sostitutivi nei confronti del sindaco, per verificare il regolare svolgimento dei compiti a quest’ultimo affidati e per rimediare alla sua eventuale inerzia.
Il giudice delle leggi ha, altresì, qualificato la natura giuridica dell’atto qui in rilievo precisando che “La natura amministrativa del potere del Ministro, esercitato con il decreto sopra citato, se assolve alla funzione di regolare i rapporti tra autorità centrale e periferiche nella materia, non può soddisfare la riserva di legge, in quanto si tratta di atto non idoneo a circoscrivere la discrezionalità amministrativa nei rapporti con i cittadini. Il decreto, infatti, si pone esso stesso come esercizio dell’indicata discrezionalità, che viene pertanto limitata solo nei rapporti interni tra Ministro e sindaco, quale ufficiale del Governo, senza trovare fondamento in un atto avente forza di legge. Solo se le limitazioni e gli indirizzi contenuti nel citato decreto ministeriale fossero stati inclusi in un atto di valore legislativo, questa Corte avrebbe potuto valutare la loro idoneità a circoscrivere la discrezionalità amministrativa dei sindaci. Nel caso di specie, al contrario, le determinazioni definitorie, gli indirizzi e i campi di intervento non potrebbero essere ritenuti limiti validi alla suddetta discrezionalità, senza incorrere in un vizio logico di autoreferenzialità ” (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 115 del 2011).
8.3. Coerentemente, il giudice amministrativo aveva rilevato che il potere extra ordinem di cui all’articolo 54 del tuel può essere legittimamente esercitato, quale immanente prerogativa sindacale di provvedere in via d’urgenza e contingibile alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica, nonché quando la violazione delle norme che tutelano i beni previsti dal DM del 5 agosto 2008 (situazioni di degrado o isolamento, tutela del patrimonio pubblico e della sua fruibilità, incuria ed occupazione abusiva di immobili, intralcio alla viabilità o alterazione del decoro urbano) non assuma rilevanza solo in sé stessa (poiché in tal caso soccorrono gli strumenti ordinari) ma qualora possa costituire la premessa per l’insorgere di fenomeni di criminalità suscettibili di minare la sicurezza pubblica, dato che, in tal caso, vengono in rilievo interessi che vanno oltre le normali competenze di polizia amministrativa locale.
Soltanto nelle illustrate ipotesi il Sindaco dunque, in qualità di ufficiale di governo, assume il ruolo di garante della sicurezza pubblica e può provvedere, sotto il controllo prefettizio ed in conformità delle direttive del Ministero dell’interno, alle misure necessarie a prevenire o eliminare i gravi pericoli che la possano minacciare.
Da tanto consegue, nella lettura giurisprudenziale tradizionalmente offerta, che il potere sindacale di ordinanza ex art. 54 D.Lvo 267/2000 non può avere una valenza “creativa” ma deve limitarsi a prefigurare misure che assicurino il rispetto di norme ordinarie volte a tutelare l’ordinata convivenza civile, tutte le volte in cui dalla loro violazione possano derivare gravi pericoli per l’ordine pubblico e per la sicurezza pubblica (Consiglio di Stato sez. VI, 31/10/2013, n. 5276).
8.4. Tanto oggi vieppiù è a dirsi in ragione del diretto intervento del legislatore che, al comma 4 bis, ha tracciato in positivo l’ambito in cui può esplicarsi il potere in argomento assorbendo, dunque, in tali statuizioni le analoghe previsioni di cui al D.M. suindicato.
8.5. Soccorre in tal senso una pronuncia di questo Consiglio di Stato (sez. V, del 5.06.2017 n. 2676, nello stesso senso cfr. anche TAR Campania, Napoli, Sez V, n. 7011 del 7.12.2018) nella quale, a fronte dell’appello proposto da Fe. de. St. spa con il quale si impugnava la sentenza del Tar Puglia sul silenzio serbato dal Sindaco di Foggia in ragione della richiesta di sgombero coatto di un complesso immobiliare di cui era proprietaria, si chiarisce che “non è contestabile che Fe. de. St. S.p.A. sia un soggetto di diritto privato e, come tale, per rientrare nella disponibilità di beni immobili di cui sia stato spogliato abusivamente deve necessariamente (ed esclusivamente) utilizzare gli strumenti giuridici che spettano ai soggetti privati a tutela del proprietà o del possesso e non può invece surrettiziamente invocare l’adozione di provvedimenti pubblicistici, quale l’ordinanza sindacale di necessità ed urgenza ovvero provvedimento di sgombero dell’immobile che potrebbe essere ammesso solo nei confronti di un bene demaniale, circostanza che non ricorre nel caso di specie”.
Ne discende, pertanto, che, come rilevato dal primo giudice, il sussistere di una condizione di occupazione abusiva di immobili privati non può di per sé legittimare l’adozione di un provvedimento contingibile ed urgente, che deve, invece, fondarsi sul sussistere di gravi fenomeni che mettano a rischio l’incolumità pubblica.
8.6. Vanno, poi, respinte anche le residue censure che involgono il mancato apprezzamento delle denunciate condizioni di compromissione delle condizioni di vivibilità anche rispetto a quanto previsto dall’articolo 50 del d.lgs 267/2000.
Contrariamente a quanto dedotto, anche i suddetti profili risultano apprezzati dal Sindaco di Milano nel provvedimento gravato in primo cure che, con una motivazione ancorché sintetica, ha affrontato a tutto tondo le problematiche denunciate. Tanto anche in ragione della completezza degli atti istruttori che ne costituiscono il fondamento ed ai quali si fa rinvio.
E’ pur vero, che nella relazione tecnica si è dato atto che il profilo che riguarda la sicurezza e la vivibilità urbana “non è stato oggetto di valutazione nel corso del sopralluogo effettuato né da parte dello scrivente né da parte dei tecnici della proprietà non essendo possibile effettuare una valutazione di questo tipo in un periodo di tempo limitato (quello del sopralluogo) ed in condizioni ambientali modificate rispetto alla quotidianità, a causa della presenza di soggetti esterni (rappresentanti della proprietà e del Comune)” ciò nondimeno non è possibile da qui inferire che non sia stato considerato.
E ciò anche perché, come rilevato dal giudice di primo grado, “il funzionario che ha redatto il Rapporto finale […] ha precisato che “Dai documenti in possesso dello scrivente non emerge una problematica socio/ambientale o legata ad aspetti di sicurezza, percepiti dalla cittadinanza, conseguenti all’occupazione abusiva dei due corpi di fabbrica ed all’impatto di questa presenza sulla cittadinanza circostante”.
E d’altro canto, tale assunto trova conferma indiretta conferma dal fatto che nemmeno vi è evidenza di segnalazioni alla detta Autorità di particolari disagi, che viceversa la locale comunità avrebbe avuto modo certamente di rappresentare singolarmente e collettivamente in presenza di situazioni tali da compromettere un’ordinata e pacifica convivenza.
9. Tanto è sufficiente ai fini del rigetto dell’appello. Resta evidentemente fermo che il suddetto approdo decisorio è strettamente ancorato al rapporto controverso per come dedotto in giudizio e conformato dagli atti gravati che, nel respingere le richieste attoree, tracciano, al contempo, le coordinate, ad oggi ritenute plausibili, della possibile evoluzione correttiva della insufficiente manutenzione delle palazzine rilevata dalla stessa Amministrazione comunale. Ne discende che la regula iuris qui affermata è strettamente condizionata alla piena attuazione dell’intero ordito provvedimentale di cui costituisce componente qualificante la praticabilità, in via ordinaria, degli interventi già individuati e di quelli ulteriori che si renderanno eventualmente necessari sui quali il Comune è chiamato a svolgere un attento ed attivo monitoraggio.
10. Va, infine, disattesa la richiesta avanzata dal Comune di Milano e volta ad ottenere la cancellazione di frasi, per come indicate a verbale, contenute nella memoria difensiva depositata dalle appellanti e ritenute offensive.
E, invero, anche in considerazione delle spiegazioni fornite in sede di discussione dal patrono delle appellanti deve ritenersi come le suddette espressioni non possono essere qualificate come irritualmente evocative di impropri giudizi allusivi a condotte compiacenti tenute dal Comune ma si dispiegano, con linguaggio forte ma contenuto nella vis oratoria in questa sede consentita, in funzione delle tesi difensive sviluppate a sostegno del mezzo impugnatorio spiegato.
11. La peculiarità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2020 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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