Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 16 agosto 2018, n. 4956.
La massima estrapolata:
Il Ministero dell’Interno, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, può ben effettuare valutazioni di merito in ordine ai criteri di carattere generale per il rilascio delle licenze di porto d’armi, tenendo conto del particolare momento storico, delle peculiarità delle situazioni locali, delle specifiche considerazioni che , in rapporto all’ordine ed alla sicurezza pubblica, si possono formulare a proposito di determinate attività e di specifiche situazioni.
Sentenza 16 agosto 2018, n. 4956
Data udienza 24 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 128 del 2012, proposto dal signor Fr. Co., rappresentato e difeso dall’avvocato Do. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Gi. Lo Iu. in Roma, via (…);
contro
L’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Vibo Valentia ed il Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Calabria, Sede di Catanzaro, Sez. I, n. 939/2011, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’U.T.G. – Prefettura di Vibo Valentia e del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 24 luglio 2018 il pres. Luigi Maruotti e udito l’avvocato dello Stato Al. Pe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’appellante – titolare di una ditta di vendita all’ingrosso di alimenti e bevande licenza rilasciata e attivo anche come rappresentante – ha chiesto alla Prefettura di Vibo Valentia il rilascio di una licenza di porto di pistola per difesa personale.
Col provvedimento n. 1719 del 16 marzo 2009, il Prefetto ha respinto l’istanza, ritenendo insussistenti elementi tali da giustificare “l’effettivo bisogno di andare armato”.
2. Col ricorso di primo grado n. 925 del 2009 (proposto al TAR per la Calabria, Sede di Catanzaro), l’interessato ha impugnato l’atto del 16 marzo 2009, lamentandone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.
3. Il TAR, con la sentenza n. 939 del 2011, ha respinto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese del giudizio.
4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che – in riforma della sentenza del TAR – il ricorso di primo grado sia accolto.
Le Amministrazioni appellate non si sono costituite in giudizio.
5. All’udienza del 24 luglio 2018, la causa è stata trattenuta per la decisione.
6. Ritiene la Sezione che l’appello sia infondato e vada respinto.
Nella specie, il Prefetto di Vibo Valentia è giunto alla conclusione che non sussistano elementi tali da giustificare per l’appellante “l’effettivo bisogno di andare armato”.
Ad avviso della Sezione, va confermata la statuizione del TAR, per la quale tale determinazione del Prefetto risulta del tutto ragionevole e coerente con le risultanze acquisite nel corso del procedimento.
Sulla base di una specifica istruttoria, il Prefetto ha rilevato che l’incolumità dell’appellante non si può considerare a specifico repentaglio.
7. Quanto alle questioni riguardanti lo svolgimento delle attività lavorative da parte dell’appellante, ritiene la Sezione che il Prefetto ha esercitato non irragionevolmente il suo potere discrezionale.
7.1. Il testo unico, nel disciplinare il rilascio della “licenza di porto d’armi”, mira a salvaguardare la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Come ha rilevato la Corte Costituzionale (con la sentenza 16 dicembre 1993, n. 440, § 7, che ha ribadito quanto già affermato con la precedente sentenza n. 24 del 1981), il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi “costituisce una deroga al divieto sancito dall’art. 699 del codice penale e dall’art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975”: “il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi”.
Ciò comporta che – oltre alle disposizioni specifiche previste dagli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931 – rilevano i principi generali del diritto pubblico in ordine al rilascio dei provvedimenti discrezionali.
Inoltre, oltre alle disposizioni del testo unico che riguardano i requisiti di ordine soggettivo dei richiedenti (in particolare, gli articoli 11, 39 e 43), rilevano quelle (in particolare, gli articoli 40 e 42) che attribuiscono in materia i più vasti poteri discrezionali per la gestione dell’ordine pubblico:
– per l’art. 40, “il Prefetto può, per ragioni di ordine pubblico, disporre, in qualunque tempo, che le armi, le munizioni e le materie esplodenti, di cui negli articoli precedenti, siano consegnate, per essere custodite in determinati depositi a cura dell’autorità di pubblica sicurezza o dell’autorità militare” (il che significa che il Prefetto può senz’altro disporre anche il ritiro delle armi, purché, ovviamente, sussistano le idonee ragioni da palesare nel relativo provvedimento);
– per l’art. 42, “il Questore ha facoltà di dare licenza per porto d’armi lunghe da fuoco e il Prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65” (il che significa che il Prefetto può anche fissare preventivi criteri generali per verificare se nei casi concreti vi sia il “dimostrato bisogno” di un porto d’armi per difesa personale, in rapporto ai profili coinvolti dell’ordine pubblico).
7.2. Il Ministero dell’Interno, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, dunque può ben effettuare valutazioni di merito in ordine ai criteri di carattere generale per il rilascio delle licenze di porto d’armi, tenendo conto del particolare momento storico, delle peculiarità delle situazioni locali, delle specifiche considerazioni che – in rapporto all’ordine ed alla sicurezza pubblica – si possono formulare a proposito di determinate attività e di specifiche situazioni (Cons. Stato, Sez. III, 16 dicembre 2016, n. 5354; Sez. III, 3 agosto 2016, n. 3512).
7.3. A parte l’esigenza di affrontare le emergenze della criminalità organizzata, gli organi del Ministero dell’Interno possono tener conto anche di considerazioni di carattere generale, coinvolgenti l’ordine e la sicurezza pubblica.
Ad esempio, essi possono previamente fissare i criteri secondo cui, a meno che non vi siano specifiche e accertate ragioni oggettive, l’appartenenza ad una ‘categorià non è di per sé tale da giustificare il rilascio delle licenze di porto d’armi.
Spetta infatti al legislatore introdurre una specifica regola se l’appartenenza ad una “categoria” giustifica il rilascio di tali licenze e la possibilità di girare armati (tale rilascio è previsto, ovviamente, per gli appartenenti alle Forze dell’Ordine, nei limiti stabiliti dagli ordinamenti di settore).
Se invece si tratta di imprenditori, di commercianti, di avvocati, di notai, di operatori del settore assicurativo o bancario, di investigatori privati, ecc., in assenza di una disposizione di legge sul rilascio della licenza di polizia ratione personae, si deve ritenere che l’appartenenza alla “categoria” in sé non abbia uno specifico rilievo, tale da giustificare il rilascio (o il mantenimento degli effetti) della licenza di porto d’armi.
7.4. Le relative valutazioni degli organi del Ministero dell’Interno – anche quando si tratti di istanze di licenze volte alla difesa personale – possono e devono tener conto delle peculiarità del territorio, delle specifiche implicazioni di ordine pubblico e delle situazioni specifiche in cui si trovano i richiedenti, ma si possono basare anche su criteri di carattere generale, per i quali l’appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo.
7.5. Qualora l’organo periferico del Ministero dell’Interno si orienti nel senso che l’appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo, le relative scelte di respingere le istanze di rilascio (o di rinnovo) delle licenze costituiscono espressione di valutazioni di merito, di per sé insindacabili da parte del giudice amministrativo.
La motivazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze può basarsi dunque sulla assenza di specifiche circostanze tali da indurre a disporne l’accoglimento e l’interessato può lamentare la sussistenza di profili di eccesso di potere, qualora vi sia stata una inadeguata valutazione in concreto delle circostanze.
Inoltre, sono configurabili profili di eccesso di potere, qualora l’Amministrazione – nel respingere l’istanza in quanto formulata da un appartenente ad una categoria per la quale non si sono ravvisati particolari esigenze da tutelare col rilascio della licenza di porto d’armi – invece abbia accolto l’istanza di chi versi in una situazione sostanzialmente equivalente: secondo i principi generali, chi impugna un diniego di licenza ben può dedurre che, in un caso equivalente (anche per circostanze di tempo e di luogo), l’istanza di altri sia stata invece accolta.
7.6. Nella specie, non risulta viziata la valutazione del Prefetto sulla insussistenza di elementi tali da far ritenere che far considerare e specifico repentaglio l’incolumità dell’interessato.
Il Prefetto ha condiviso e fatto proprie le considerazioni poste a base degli atti istruttori, con una determinazione che non risulta manifestamente irragionevole: come sopra si è rilevato, tranne i casi previsti dalla legge, non è ravvisabile l’esigenza che sia rilasciata la licenza di porto di pistola per difesa personale, quando si faccia parte di una categoria che svolga una attività lavorativa (e, del resto, neppure la mera proposizione di denunce e di querele ha uno specifico significato ai fini del rilascio della medesima licenza, quando non emergano specifiche e gravi circostanze di fatto, rimesse comunque alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione).
Contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, l’atto impugnato in primo grado ha esplicitato le ragioni poste a base della valutazione sulla insussistenza del suo “dimostrato bisogno”: la determinazione impugnata risulta adeguatamente motivata e si è basata su una valutazione di merito (anche sulla insussistenza di specifici pericoli, su cui ha molto insistito l’interessato), in quanto tale insindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità .
8. Per le ragioni che precedono, la Sezione ritiene che non sussistano i profili di violazione di legge e di eccesso di potere, dedotti con l’atto d’appello, sicché questo va respinto.
E’ pertanto irrilevante verificare se l’appello sia stato ritualmente proposto.
Nulla per le spese del secondo grado, non essendosi costituite in giudizio le Amministrazioni appellate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza respinge l’appello n. 128 del 2012.
Nulla per le spese del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Sp., nella camera di consiglio del giorno 24 luglio 2018, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Giovanni Pescatore – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Luigi Birritteri – Consigliere
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