Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 9 maggio 2016, n. 1859.

Il giudizio sulla pericolosità sociale del soggetto avvisato non richiede la sussistenza di prove compiute (poste a base di una sentenza penale) sulla commissione di reati, essendo sufficienti anche risultanze fattuali tali da indurre l’Autorità di polizia a ritenere sussistenti le condizioni di pericolosità sociale, che possono dar luogo all’applicazione delle misure di prevenzione, prima ancora che si verifichi se le condotte abbiano rilevanza penale e siano tuttora punibili.

consiglio di stato bis

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 9 maggio 2016, n. 1859

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso numero di registro generale 1135 del 2016, proposto dal

signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Sa. Or., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

contro

Il Questore di Roma, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sez. I ter, n. 8484/2015, resa tra le parti, concernente un avviso orale ai sensi dell’art. 3 del dlgs n. 159 del 2011;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Questore di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2016 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato Sa. Or. e l’avvocato dello Stato Lo. D’A.;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellante è stato destinatario del provvedimento del Questore di Roma in data 14 gennaio 2014, recante avviso orale ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 159 del 2011.

2. Egli ha chiesto il riesame al Questore, con una istanza respinta con decreto in data 26 febbraio 2014; anche il successivo ricorso gerarchico nei confronti dell’avviso orale è stato respinto dal Prefetto di Roma.

3. Col ricorso n. 4719 del 2014, l’interessato ha adito il TAR del Lazio, chiedendo l’annullamento dell’avviso orale.

4. Con ordinanze n. 5185/2014 e n. 6839/2014, è stata disposta istruttoria, rimasta ineseguita; con ordinanza n. 3318/2014, è stata accolta la domanda cautelare.

Successivamente, l’Amministrazione ha depositato documentazione e copia dei provvedimenti negativi adottati in sede di riesame.

5. Infine, il TAR del Lazio, con la sentenza appellata (I-ter, n. 8484/2015), ha respinto il ricorso, affermando che:

(a) – dalla documentazione depositata in giudizio e dai provvedimenti adottati in sede di riesame, emerge in modo evidente la sussistenza in concreto di quei necessari presupposti richiesti dalla legge; il ricorrente rientra nella categoria di soggetti individuati alla lettera c) dell’art. 1 del d.lgs. 159 del 2011 e non risulta affatto viziata la valutazione dell’Amministrazione, secondo cui lo stesso, per il suo comportamento, deve ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sia dedito alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo la sicurezza o la tranquillità pubblica (anche considerato che, per poter emettere la misura dell’avviso orale, non occorre che il soggetto destinatario sia stato condannato, essendo sufficiente che l’Amministrazione desuma elementi di pericolosità dalla sua condotta);

(b) – il provvedimento adottato dal Questore in sede di riesame è datato 26 febbraio 2014, e quindi è anteriore all’asserito perfezionamento del silenzio assenso;

(c) -provvedimento di data 26 febbraio 2014 e quello del Prefetto su ricorso gerarchico sono rimasti inoppugnati.

6. Nell’appello – con riferimento a vizi di mancata erronea o apparente motivazione, omessa pronuncia su punti decisivi della controversia, violazione degli artt. 1 – 3 del d.lgs. 159/2011 – si sostiene che:

(a) – il TAR non avrebbe considerato che, essendo stata chiesta al Questore in data 11 febbraio 2014 la revoca del provvedimento impugnato, ed essendo stato comunicato il decreto di rigetto dell’istanza solo in data 17 luglio 2014 (cfr. nota Avvocatura dello Stato, prot. 306663A), quindi oltre il termine tassativo di 60 giorni previsto dall’art. 3, comma 3, del d.lgs. 159/2001, doveva ritenersi formato il silenzio assenso (con la conseguenza che il TAR avrebbe dovuto emettere una pronuncia di “superfluità” del ricorso, e non di rigetto dello stesso);

(b) – non sussistevano i presupposti per l’adozione dell’avviso orale, non avendo l’Amministrazione fornito al TAR gli elementi richiesti con due ordinanze istruttorie, e comunque non avendo il TAR considerato che dal certificato del casellario giudiziale “nulla” risultava a carico dell’appellante.

7. L’Amministrazione si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione dell’appello.

8. Il Collegio osserva che l’impugnazione in primo grado non è stata estesa al provvedimento di riesame del Questore ed a quello adottato su ricorso gerarchico dal Prefetto.

Tali atti non hanno natura meramente confermativa, e sono divenuti inoppugnabili.

9. In ogni caso, l’appello è manifestamente infondato e deve pertanto essere respinto.

9.1. Il provvedimento di riesame è tempestivo, in quanto è stato adottato entro il termine previsto dall’art. 3, comma 3, del d.lgs. 159/2011 (per il quale “La persona alla quale è stato fatto l’avviso può in qualsiasi momento chiederne la revoca al questore che provvede nei sessanta giorni successivi. Decorso detto termine senza che il questore abbia provveduto, la richiesta si intende accettata. Entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di rigetto è ammesso ricorso gerarchico al prefetto”).

Tale comma 3 non può essere interpretato nel senso che entro il termine debba esservi, pena la formazione di un provvedimento tacito di accoglimento del riesame, anche la comunicazione del provvedimento all’interessato.

Infatti, in assenza di una contraria regola legislativa, rileva il principio generale per il quale il silenzio assenso non si forma quando, entro il termine previsto dalla legge, vi sia stato l’esercizio del potere e non sia dunque ravvisabile l’inerzia dell’Amministrazione.

9.2. Anche le censure rivolte nei confronti dell’avviso orale non sono fondate.

La circostanza che le condotte ed i fatti integranti i presupposti (denunce per ricettazione ed utilizzo fraudolento di carte di credito, nonché querele per minacce, ingiuria, diffamazione, lesioni personali, danneggiamento aggravato) fossero stati indicati nel provvedimento originario per relationem, e siano stati acquisiti al giudizio di primo grado solo dopo due istruttorie infruttuose – se può assumere rilevanza ai fini della qualificazione del comportamento processuale dell’Amministrazione – non li rende meno rilevanti ai fini della motivazione del provvedimento.

Le relative circostanze sono state infatti in esso richiamate, sia pure sinteticamente.

9.3. Peraltro, l’appello non contiene argomentazioni rivolte a contestare la sussistenza di detti presupposti, a parte la sottolineatura del certificato del casellario giudiziale, che, tuttavia, non assume rilevanza decisiva, alla luce della circostanza – puntualmente sottolineata dal TAR, con argomentazione che non è stata specificamente censurata in appello – che gli elementi da cui si può desumere la pericolosità – con la conseguente riconducibilità del destinatario alla categoria di persone di cui all’art. 1, lettera c), del d.lgs. 159/2011 – prescindono dall’esistenza di condanne penali.

9.4. Infatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il giudizio sulla pericolosità sociale del soggetto avvisato non richiede la sussistenza di prove compiute (poste a base di una sentenza penale) sulla commissione di reati, essendo sufficienti anche risultanze fattuali tali da indurre l’Autorità di polizia a ritenere sussistenti le condizioni di pericolosità sociale, che possono dar luogo all’applicazione delle misure di prevenzione, prima ancora che si verifichi se le condotte abbiano rilevanza penale e siano tuttora punibili.

Ne consegue che è legittimo procedere all’avviso orale anche in assenza di contestazioni sottoposte all’esame della autorità giudiziaria, purché emerga una situazione nel suo complesso rivelatrice di personalità incline a comportamenti antisociali, che ne fanno ragionevolmente ascrivere l’appartenenza ad una delle categorie di cui all’art. 1 del d.lgs. 159/2011.

In particolare, la misura di prevenzione dell’avviso può essere disposta anche qualora non sia possibile documentare che l’interessato vive dei proventi di attività delittuosa o è dedito a traffici illeciti o si associa con pregiudicati, qualora il modello comportamentale complessivo del soggetto presenti caratteristiche atte a fare non illogicamente presumere l’esistenza di una pericolosità sociale (ex multis, con riferimento alla previgente omologa previsione dell’art. 1 della legge 1423/1956, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 837/2012, n. 1530/2011 e n. 2468/2011; Sez. I, n. 1206/2011).

Per l’applicazione delle misure di prevenzione, rileva la pericolosità sociale (desumibile dalla constatata assenza di fonti legittime di reddito e dal tenore di vita palesato) e non è necessario l’accertamento di un reato, tanto meno desumibile da una sentenza su cui si sia formato il giudicato.

10. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

11. La condanna al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l’appello n. 1135 del 2016, come in epigrafe proposto.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore dell’Amministrazione appellata, della somma di euro 500,00 (cinquecento/00), oltre agli accessori di legge, per spese di giudizio.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 09 maggio 2016.

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