Il giudice dell’ottemperanza può “riempire” gli spazi vuoti lasciati dal giudicato

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 23 settembre 2019, n. 6297.

La massima estrapolata:

Mentre in sede di esecuzione di sentenze amministrative il giudice dell’ottemperanza può “riempire” gli spazi vuoti lasciati dal giudicato e adottare statuizioni simili a quelle del giudizio di cognizione, un simile potere integrativo non sussiste nel caso di ottemperanza alle sentenze del giudice ordinario, in quanto il giudice amministrativo dell’esecuzione non è fornito di giurisdizione nella materia oggetto di giudicato. In siffatte evenienze, pertanto, resta inibito al giudice adito di arricchire, integrare o specificare il giudicato con una formazione progressiva dello stesso.

Sentenza 23 settembre 2019, n. 6297

Data udienza 12 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1918 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Pa. Ki. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma via (…), è ope legis domiciliato;
Prefettura di Roma, quale Commissario Ad Acta, -OMISSIS- in qualità di Commissario ad Acta, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Ottava n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2019 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti l’avvocato Pa. Ki. Ma. e l’avvocato dello Stato Me. Ni.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con il gravame in epigrafe il ricorrente agisce per l’annullamento e/o la riforma della sentenza del TAR per la Campania, sede di Napoli, n. -OMISSIS-, pubblicata il 18.1.2019 ed emessa su ricorso rg -OMISSIS- proposto ex art 114 cpa.
2. A sostegno del suddetto mezzo, l’appellante deduce che:
– con sentenza n. -OMISSIS- del 15/05/2018 il TAR per la Campania, sede di Napoli, disponeva l’ottemperanza alla sentenza della Corte di Appello di Napoli n. -OMISSIS-, con cui il Ministero della Salute veniva condannato, in base al dispositivo, al pagamento a favore del ricorrente della somma di “Euro 509.875,00 oltre interessi al tasso medio del 2.30 % dall’1/01/1977 ad oggi”;
– a cagione dell’inerzia serbata dall’Amministrazione intimata si insediava il Commissario ad acta che, all’esito di un’articolata interlocuzione, in data 11/10/2018, inviava la nota prot. n. -OMISSIS- dell’11/10/18 con allegato il decreto di liquidazione del 24/9/2018 a favore del sig. -OMISSIS-, contenente, a dire dell’appellante, erronei conteggi siccome formulati applicando una mai prevista devalutazione che, nella prospettazione attorea, stravolgeva integralmente il pronunciato giurisdizionale della Corte di Appello e del TAR e ignorava l’importo a base di calcolo degli interessi applicando una decurtazione di Euro 63.694,57 su cui si fondavano i conteggi successivi degli interessi. Viceversa, secondo l’esponente, l’organo suddetto avrebbe dovuto semplicemente applicare il tasso di interesse medio del 2.30 su Euro 509.875,00 dal 1977 all’11/07/2016, secondo lo schema di seguito riportato: totale dovuto Euro 975.928,54 (secondo conteggi dell’appellante) – Euro 795.405,78 conteggi erronei del Commissario: differenza dovuta, pari a Euro 180.522,76;
– avverso il provvedimento del commissario ad acta l’appellante proponeva reclamo parziale e richiesta di chiarimenti, chiedendo che venisse dichiarato nullo, in parte qua, il decreto di liquidazione, laddove alla pag. 2 del prospetto allegato 3 al decreto applicava la “devalutazione” di Euro 63.694,57 sulla cui somma si computava il calcolo erroneo degli interessi.
3. Con la sentenza n. -OMISSIS-, qui appellata, il giudice di prime cure respingeva il ricorso ritenendo la soluzione adottata dal Commissario ad acta coerente con il regime proprio degli interessi compensativi che remunerano il danno da ritardo e, comunque, con i dicta del giudice della cognizione ricostruiti alla stregua dell’intera sentenza, inclusa la parte motiva.
4. Avverso tale decisione, con il mezzo qui in rilievo, l’appellante deduce che:
a) non sarebbe consentito al Giudice Amministrativo verificare l’eventuale discordanza (certamente nella specie esistente), tra la parte motivazionale della sentenza e il dispositivo che, ai fini della liquidazione degli interessi compensativi da calcolare sulla sorta capitale, non reca alcun riferimento al criterio della devalutazione, applicato, viceversa, dal Commissario ad acta e convalidato dal giudice di prime cure, di talchè la corretta esecuzione della stessa imporrebbe l’applicazione del calcolo degli interessi sull’intera somma liquidata;
b) la suddetta preclusione trarrebbe alimento anche dai limiti della giurisdizione e del pronunciato giurisdizionale non appellato;
c) la sentenza appellata muoverebbe, oltretutto, da una lettura non condivisibile della sentenza della Corte di Appello di Napoli nel senso che, quando a pagina 4 la sentenza statuisce che “Sono dovuti, invece, gli interessi compensativi che in ossequio all’insegnamento della S.C. di Cassazione (sentenza S.U. n. 1712/95 cui hanno fatto seguito numerosissime pronunzie dello stesso tenore) possono essere calcolati al tasso medio del 2,30 per cento dal 1.1.1977 ad oggi, con divieto di anatocismo”, ha impropriamente ritenuto che il riferimento alla sentenza della Cassazione servisse per richiamare indirizzi circa la rivalutazione/devalutazione della sorta capitale, laddove lo scopo era semplicemente di motivare la propria scelta di “optare” per un tasso medio.
Sulla scorta di tali premesse, l’appellante rivendica la corresponsione della complessiva somma di euro 975.928,54, alla quale andrebbero aggiunti sia l’importo di euro 1.080,40 a titolo di penalità di mora nonché l’importo di euro 561,54 a titolo di interessi legali sulla sorta capitale dal 15.5.2018 al soddisfo.
5. Resiste in giudizio il Ministero della Salute. Il Commissario ad acta ha depositato una relazione sui fatti di causa.
6. Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
6.1. Vale premettere che, contrariamente a quanto dedotto dall’odierna appellante, alcun esplicito vincolo conformativo è dato desumere dalla pregressa decisione resa in executivis dal TAR per la Campania, giusta sentenza n. -OMISSIS- del 24/4/2018-15/5/2018, avendo la detta decisione fatto integrale rinvio, per perimetrare l’obbligo gravante sull’Amministrazione intimata, ai postulati della sentenza della Corte d’Appello posta in esecuzione, di talchè occorre direttamente far capo ad essi per dirimere l’odierna res controversa.
6.2. Ai fini suddetti, giova premettere che la Sezione non ignora il consolidato principio giurisprudenziale a mente del quale, mentre in sede di esecuzione di sentenze amministrative il giudice dell’ottemperanza può “riempire” gli spazi vuoti lasciati dal giudicato e adottare statuizioni simili a quelle del giudizio di cognizione, un ana potere integrativo non sussiste nel caso di ottemperanza alle sentenze del giudice ordinario, in quanto il giudice amministrativo dell’esecuzione non è fornito di giurisdizione nella materia oggetto di giudicato. In siffatte evenienze, pertanto, resta inibito al giudice adito di arricchire, integrare o specificare il giudicato con una formazione progressiva dello stesso (recentemente, Consiglio di Stato sez. IV, 04/05/2018, n. 2668; Consiglio di Stato, sez. IV, 9 dicembre 2015 n. 5589; ma in precedenza anche Cons. giust. amm., 13 febbraio 2012 n. 172; Consiglio di Stato sez. V, 16 novembre 2010 n. 8064; Consiglio di Stato sez. IV, 18 settembre 1997 n. 982).
In questa ipotesi l’azione del giudice dell’ottemperanza si deve contenere nell’ambito di un’attività meramente esecutiva del disposto del giudice ordinario, che si pone come un limite particolarmente stringente. Non può quindi in alcun modo, in sede di giudizio di ottemperanza, porre in essere quell’attività cognitoria di precisazione e integrazione del giudicato che spesso contraddistingue l’attività di esecuzione delle sentenze del giudice amministrativo.
Il giudizio di ottemperanza nel caso di sentenze del giudice ordinario trova, infatti, un preciso limite nel disposto della pronuncia azionata, non potendone precisare il contenuto mediante ulteriore attività cognitoria, in termini analoghi a quelli delle pronunce del giudice amministrativo, al fine di definirne l’effetto conformativo. A fronte di una sentenza del giudice ordinario, risulta impedito al giudice amministrativo dell’ottemperanza, neanche a mezzo del commissario ad acta, di provvedere alla quantificazione delle somme dovute tutte le volte che la stessa non si traduca in mere ed automatiche operazioni di calcolo, scevre da profili di contestazioni in fatto o diritto.
7. Orbene, prendendo abbrivio da tali premesse, rileva il Collegio che la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. -OMISSIS-, reca il seguente dispositivo La Corte definitivamente pronunciando nel giudizio di appello proposto da -OMISSIS- -OMISSIS- nei confronti del Ministero della Salute, avverso la sentenza n. -OMISSIS- del Tribunale di Napoli accoglie, per quanto di ragione, la domanda proposta dall’odierno appellante e, per l’effetto:
1) condanna il Ministero della salute in persona del Ministro in carica al pagamento in suo favore di Euro 509.875,00 oltre interessi al tasso medio del 2,30 % dall’1.1.1977 ad oggi;
2) compensa interamente le spese processuali di tutti i gradi di merito
3) pone a carico del Ministero le spese della CTU anticipate dal -OMISSIS-.
8. Ciò premesso, si rivela immune dalle doglianze attoree l’opzione privilegiata dal Giudice di prime cure di convalidare la liquidazione di detti interessi sulla scorta dei criteri elaborati dalla Suprema Corte di Cassazione con le modalità chiarite dalla sentenza n. 1712/95 delle Sezioni Unite Civili, richiamate dalla sentenza della Corte di Appello di Napoli, della cui esecuzione si tratta.
8.1. Ed, invero, il giudice di prime cure ha, anzitutto, dato correttamente conto della natura e del regime degli interessi compensativi, quale forma di ristoro del lucro cessante negli illeciti extracontrattuali, soffermandosi, poi, quale sviluppo logico di tale premessa, sulle relative tecniche di liquidazione per le quali il calcolo degli interessi deve avvenire con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la somma, equivalente al bene perduto, si incrementa nominalmente in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria ovvero ad un indice medio.
8.2. Ha, poi, condivisibilmente evidenziato che anche la sentenza della Corte d’Appello posta in esecuzione non sfugge alla suddetta regola di cui, viceversa, fa correttamente applicazione all’uopo prevedendo quanto segue “”l’importo va quindi contenuto in euro 509.875,00…L’importo è omnicomprensivo di tutti i pregiudizi alla salute in concreto subiti…Trattandosi di risarcimento del danno da fatto illecito, che come è noto costituisce un tipico debito di valore, sulla somma che lo esprime sono dovuti, in astratto, sia la rivalutazione monetaria, finalizzata a ripristinare la situazione patrimoniale di cui il danneggiato godeva anteriormente, sia gli interessi, diretti al fine di riparare il nocumento finanziario subito a causa del ritardato conseguimento del relativo importo, che se corrisposto tempestivamente avrebbe potuto essere investito per lucrarne un vantaggio economico (cfr Cass. N. 557/09; n. 584/08 e n. 852/07). Avendo però in concreto la Corte già liquidata la somma dovuta già in valore di moneta attuale, nulla va aggiunto a titolo di rivalutazione monetaria. Sono dovuti, invece, gli interessi compensativi che, in ossequio all’insegnamento della S.C. di Cassazione (sentenza S.U. n. 1712/95 cui hanno fatto seguito numerosissime pronunzie dello stesso tenore) possono essere calcolati al tasso medio del 2,30% dal 1.1.1977 ad oggi, con divieto di anatocismo”.
8.3. Il giudice di prime cure ha, dunque, ritenuto che il richiamo, contenuto nella sentenza della Corte d’Appello di Napoli, alla pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, n. 1712/95, non possa essere considerato un richiamo meramente formale costituendo, piuttosto, un preciso rinvio all’ordinario modus operandi del calcolo degli interessi, atteso che proprio con la citata pronuncia il giudice di legittimità affronta e definisce la questione del calcolo degli interessi, valorizzando quelle pronunce secondo cui gli interessi legali vanno calcolati non sulla somma risultante dalla rivalutazione monetaria, ma sul capitale originario (valore del bene al momento dell’illecito che lo ha sottratto al patrimonio del creditore) peraltro rivalutato anno per anno, secondo gli indici ISTAT.
8.4. Segnatamente, nella richiamata pronuncia la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto “In tema di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, se la liquidazione viene effettuata per equivalente, e cioè con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all’epoca del fatto illecito, espresso poi in termini monetari che tengano conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla data della decisione definitiva (anche in sede di rinvio), è dovuto inoltre il danno da ritardo e cioè il lucro cessante provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma, che deve essere provato dal creditore.
La prova può essere data e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi e quindi anche mediante l’attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive inerenti alla prova del pregiudizio subito per il mancato godimento – nel tempo – del bene o del suo equivalente in denaro. Se il giudice adotta, come criterio di risarcimento del danno da ritardato adempimento, quello degli interessi, fissandone il tasso, mentre è escluso che gli interessi possano essere calcolati dalla data dell’illecito sulla somma liquidata per il capitale, rivalutata definitivamente, è consentito invece calcolare gli interessi con riferimento ai singoli momenti (da determinarsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma, equivalente al bene perduto, si incrementa nominalmente, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria, ovvero ad un indice medio”.
8.5. Orbene, la lettura offerta dal TAR Campania della sentenza posta in esecuzione appare, anzitutto, coerente con lo stesso valore semantico delle proposizioni argomentative utilizzate dal giudice della cognizione. Nel suddetto decisum il rinvio ai principi compendiati nella citata sentenza della Corte di Cassazione si inquadra giustappunto nella definizione del complessivo regime degli interessi compensativi di cui costituisce momento qualificante il criterio di liquidazione che risulta, pertanto, fatto proprio dalla Corte d’Appello in ragione della divisata tecnica di recepimento per relationem in un’ottica di semplificazione e, dunque, senza replicare le modalità di calcolo degli interessi definite in dettaglio nella sentenza richiamata (che recisamente esclude la possibilità del computo degli interessi, al tasso deciso dal giudice, sulla somma rivalutata a far data dalla consumazione dell’illecito).
8.6. Né possono essere condivise le residue argomentazioni censoree che, muovendo da un presunto contrasto ravvisabile tra l’impianto motivazionale ed il dispositivo della sentenza posta in esecuzione, ritengono precluso al giudice amministrativo ogni apprezzamento di tale contrasto, dovendo questi limitarsi a porre in esecuzione esclusivamente il comando desumibile dal dispositivo.
Ed, invero, ai fini qui in rilievo, deve rilevarsi come il giudice di prime cure si sia semplicemente limitato ad applicare il dictum del giudice della cognizione, correttamente desumendolo dal dispositivo della pronuncia letto in coerenza con la trama motivazionale della stessa.
Va qui ribadito come rientri nei poteri del giudice dell’ottemperanza l’interpretazione del giudicato, anche di giudice diverso da quello amministrativo, strettamente strumentale all’ordine di esecuzione, ove effettuata sulla base degli elementi interni alla sentenza, e a nulla rileva che l’interpretazione fatta in sede di ottemperanza incida su diritti soggettivi, se è conseguenza del fatto che oggetto del giudizio di ottemperanza è un giudicato civile: infatti, siffatto giudicato concerne diritti soggettivi, onde ogni attività di interpretazione dello stesso non può non incidere anche su tali diritti (Cass., sez. un., 2.12.2009 n. 25344; Cons. St., VI, 18.10.2010 n. 7563).
8.7. Deve oltretutto soggiungersi che il contenuto decisorio di una sentenza è rappresentato, ai fini della estensione del relativo giudicato, non solo dal dispositivo, ma anche dalle affermazioni e dagli accertamenti contenuti nella motivazione, nei limiti in cui essi costituiscano una parte della decisione, in quanto risolvano questioni facenti parte del thema decidendi e specificamente dibattute tra le parti, ovvero integrino una necessaria premessa od un presupposto logico indefettibile della pronuncia; in tal caso è lecito invocare il principio della integrabilità del dispositivo con la motivazione della sentenza, e la portata precettiva di una pronuncia giurisdizionale va individuata non solo tenendo conto delle statuizioni formalmente contenute nel dispositivo, ma coordinando questo con la motivazione, le cui enunciazioni, se dirette univocamente all’esame di una questione dedotta in causa, incidono sul momento precettivo e vanno considerate come integrative del contenuto formale del dispositivo, con la conseguenza che il giudicato risulta simmetricamente esteso (Consiglio di Stato sez. III, 16/11/2018, n. 6471).
Negli stessi termini si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione secondo cui l’interpretazione del giudicato, sia esso interno od esterno, va effettuata alla stregua non soltanto del dispositivo della sentenza, ma anche della sua motivazione (cfr. Cassazione civile sez. VI, 19/07/2018, n. -OMISSIS-).
Ai fini qui in rilievo va, dunque, esclusa in radice la contestata attività di etero-integrazione del giudicato, atteso che il TAR si è limitato a chiarire l’esatta portata del giudicato, ricostruendone i relativi postulati alla stregua dello stesso contenuto della sentenza posta in esecuzione, non potendo evidentemente questa esaurirsi nella sola parte dispositiva, affidata oltretutto a sintetiche enunciazioni.
Ed è proprio la lettura coordinata delle componenti essenziali del decisum che ha consentito di apprezzare negli esatti termini voluti dal giudice della cognizione la portata della voce relativa agli interessi, la cui dimensione si coglie alla stregua delle coordinate tracciate, per relationem, nella parte motiva della sentenza, per come sopra ricostruita.
Le spese in ragione della peculiarità della vicenda scrutinata possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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