Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 23 settembre 2019, n. 6284.
La massima estrapolata:
Il concetto di impossibilità di ripristino è inteso in senso ampio e quindi non solo riferito alla oggettiva impossibilità materiale “tecnica”, ma riferito alla comparazione dell’interesse pubblico al recupero della situazione di legalità violata e accertata giudizialmente con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del privato incolpevole, che aveva confidato nell’esercizio legittimo del potere amministrativo.
Sentenza 23 settembre 2019, n. 6284
Data udienza 11 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4108 del 2011, proposto dal
signor Fa. Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Pe., Is. St., Ma. Li. Pe., con domicilio eletto presso l’avv. Is. St. in Roma, via (…);
contro
signore Ro. Mo., Ma. Mo., in proprio e quali eredi della signora Gi. (Gi.) Al., rappresentati e difesi dagli avvocati Ca. Be. e Mi. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avv. Fr. Re. in Roma, viale (…);
nei confronti
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA – GENOVA: SEZIONE I n. 235/2011, resa tra le parti, concernente l’impugnativa della determinazione comunale n. 114 del 2008 di applicazione della sanzione pecuniaria per le OPERE ESEGUITE SULLA BASE DI TITOLO EDILIZIO ANNULLATO
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ro. Mo. e di Ma. Mo.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2019 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti l’avvocato Ma. Li. Pe. e l’avvocato Fr. Re. su delega dell’avvocato Mi. Ro.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il 22 febbraio 2003 il signor Fa. Ma. presentava al Comune di (omissis) istanza per il rilascio di un permesso di costruire per ristrutturazione e parziale cambio di destinazione d’uso da magazzino ad abitazione dell’immobile sito in località (omissis) (identificato al catasto al foglio (omissis) mappale (omissis)). Il Comune rilasciava il permesso di costruire n. 1 del 19 febbraio 2004, avverso il quale le signore Gi. Al. ed altri proponevano ricorso davanti al Tribunale amministrativo regionale della Liguria, accolto con sentenza n. 1367 dell’11 luglio 2007 confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 2696 del 6 giugno 2008, in quanto il progetto presentato avrebbe comportato un organismo edilizio nuovo e realizzato in violazione delle distanze ai sensi del D.M. 1444 del 1968. In particolare le dette decisioni avevano ritenuto che non si potesse qualificare come volume preesistente quello della “legnaia”, in quanto tettoia adibita a ricovero di materiali, la cui ristrutturazione come volume abitabile comportava la necessaria qualificazione di nuova costruzione con la conseguenza del mancato rispetto delle distanze legali dalle parti finestrate delle signore Al. Mo..
A seguito del definitivo annullamento giurisdizionale del titolo edilizio, il 16 luglio 2008, il signor Ma., deducendo che l’opera era già stata completamente realizzata e la impossibilità di riduzione in pristino senza pregiudizio per la parte assentita, presentava istanza al Comune di (omissis), ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per l’applicazione di una sanzione pecuniaria.
La Commissione edilizia comunale il 22 agosto 2008 esprimeva parere favorevole all’applicazione della sanzione pecuniaria considerando “non possibile la messa in pristino della porzione di fabbricato oggetto del parziale accoglimento del permesso a costruire n. 1/ 2004 senza pregiudizio del concesso e non annullato dalla sentenza del TAR Liguria cambio di destinazione d’uso della restante parte”.
Pertanto, con determinazione del Responsabile del servizio tecnico n. 114 del 15 settembre 2008 veniva disposta la applicazione della sanzione pecuniaria sulla base dell’aumento del valore venale del bene, successivamente quantificata dall’Agenzia del territorio nell’importo di euro 10.577 euro.
Avverso la determinazione n. 114 del 15 settembre 2008 le signore Gi. Al. ed altri hanno proposto ricorso davanti al Tribunale amministrativo regionale della Liguria formulando le seguenti censure:
-violazione degli artt. 7 e 8 Legge 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere per insufficiente istruttoria e motivazione;
-violazione e falsa applicazione dell’art. 38 D.P.R. 6.6.2001, n. 380 e dell’art. 55 L.R. 6.6.2008, n. 16; eccesso di potere per omessa o insufficiente e/o erronea motivazione nonché difetto di istruttoria;
-eccesso di potere per perplessità, incertezza e genericità, nonché difetto di istruttoria.
Si sono costituiti nel giudizio di primo grado il comune di (omissis) ed il controinteressato signor Ma., eccependo in via preliminare l’improcedibilità del ricorso, per non avere le ricorrenti impugnato, mediante atto per motivi aggiunti i successivi atti comunali, quali la nota comunale prot. 8016 del 18 novembre 2008, con cui è stato comunicato l’importo della sanzione pecuniaria determinata dall’Agenzia del territorio, la determinazione n. 138 del 21 novembre 2008 con la quale il Comune ha preso atto del versamento integrale dell’importo della sanzione, con conseguente effetto sanante dell’abuso, secondo quanto previsto dall’art. 38 del D.P.R. 380 del 2001.
La sentenza di primo grado ha respinto l’eccezione di improcedibilità del ricorso escludendo il contenuto lesivo degli atti successivamente adottati dal Comune rispetto alle ricorrenti e ritenendo per esse unica statuizione concretamente lesiva quella costituita dalla decisione comunale di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione (determinazione n. 114 del 15 settembre 2008); ha accolto il ricorso per la censura relativa al difetto di motivazione e alla violazione dell’art. 55 della legge regionale n. 16 del 2008, in relazione al contenuto apodittico del parere reso dalla Commissione edilizia e alla violazione quindi dell’obbligo di motivazione sul presupposto specifico indicato da tale norma, per la applicazione della sanzione pecuniaria, come considerato dalla giurisprudenza ovvero la impossibilità ” di carattere tecnico di procedere alla demolizione” Ha condannato il Comune e il controinteressato al pagamento delle spese di giudizio.
Avverso la sentenza è stato proposto il presente appello dal signor Ma., che ha riproposto, quale primo motivo di appello, l’eccezione di improcedibilità non essendo stati impugnati gli atti successivi di quantificazione della sanzione e di accertamento dell’avvenuto pagamento. Ha dedotto, poi, nel merito la violazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 55 della legge regionale della Liguria n. 16 del 2008; la violazione degli articoli 2 e 111 della Costituzione, in quanto l’annullamento del permesso di costruire era riferito alla sola trasformazione della legnaia e pertanto la motivazione della Commissione edilizia era ampiamente sufficiente con riferimento al caso di specie, non essendo, successivamente alla realizzazione dell’intervento edilizio originariamente assentito, più distinguibile l’originario assetto della legnaia ormai inglobata nel complesso del manufatto ed essendo stato assentito e non annullato il mutamento di destinazione d’uso per l’intera nuova superficie.
Si sono costituite in giudizio le signore Gi. Al. ed altri contestando la fondatezza dell’appello, non riproponendo le censure non esaminate dal giudice di primo grado.
Con ordinanza del 5 ottobre 2011 è stata accolta la domanda cautelare di sospensione della sentenza appellata, in relazione alla sussistenza del presupposto del danno grave ed irreparabile per l’appellante.
A seguito del decesso della signora Al. si sono costituite in giudizio, anche nella qualità di eredi della stessa, le signore Ro. Mo. e Ma. Te. Mo. insistendo per la infondatezza dell’appello avversario.
Il signor Ma. ha depositato memoria difensiva e una perizia tecnica relativa alla staticità dell’immobile. Ha depositato altresì documentazione relativo al contenzioso civile tra le parti.
La parte Mordocco ha chiesto che venga disposta CTU circa l’effettivo pericolo per l’intero manufatto derivante dalla demolizione e dedotto la irrilevanza nel presente giudizio dei documenti relativi al contenzioso civile tra le parti.
Entrambe le parti hanno presentato memorie di replica.
All’udienza pubblica dell’11 giugno 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
In via preliminare deve essere esaminato il motivo di appello con cui è stata riproposta la eccezione di improcedibilità del ricorso di primo grado, non essendo stati impugnati i successivi atti comunali di comunicazione della quantificazione della sanzione e di accertamento dell’avvenuto pagamento.
Ritiene il Collegio di confermare la decisione del giudice di primo grado circa la natura non lesiva di questi atti per le ricorrenti in primo grado. A prescindere anche dalla natura meramente accertativa di tali atti, privi di autonomo contenuto provvedimentale, sicuramente si tratta di atti che non hanno comportato alcuna lesione nella sfera delle ricorrenti, la cui lesione è derivata dalla valutazione del Comune circa la possibilità di applicazione della sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 380 del 2001, mentre la successiva determinazione della sanzione riguarda esclusivamente il rapporto tra il Comune e il signor Ma. relativo alla quantificazione e al successivo pagamento della sanzione. In effetti la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, 3 dicembre 2007, n. 6849 citata dall’appellante si riferisce alla posizione del destinatario della sanzione pecuniaria, il quale ha senz’altro interesse ad impugnare le modalità di calcolo della sanzione, impugnativa del resto espressamente prevista anche dall’art. 38 del D.P.R. 380 del 2001.
Inoltre, la previsione dell’art. 38 comma 2 del D.P.R. 380 del 2001, per cui “l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36” non può che essere considerata nel senso che l’effetto della sanatoria sia sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento della sanzione; a ritenere altrimenti si dovrebbe infatti far dipendere l’esistenza del provvedimento amministrativo solo dalla volontà di adempimento alla sanzione del destinatario della stessa.
Si tratta di ogni caso di atti meramente esecutivi e conseguenziali rispetto al provvedimento di applicazione della sanzione pecuniaria, né può essere ritenuta conferente al caso di specie la giurisprudenza relativa all’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva delle gare pubbliche citata dall’appellante, trattandosi di fattispecie del tutto differente.
Nel merito l’appello è infondato.
Ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e della corrispondente disposizione dell’art. 55 delle legge regionale della Liguria 6 giugno 2008, n. 16 “in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa.
2. L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36”.
Già dal dato testuale della disciplina sia statale che regionale emerge con assoluta evidenza lo specifico obbligo di motivazione in capo all’Amministrazione circa l’esercizio del potere di irrogazione della sanzione pecuniaria.
L’obbligo di motivazione, peraltro, oltre che dalla legge discende anche dalla stessa natura del potere esercitato attribuito dall’ordinamento in funzione del contemperamento dei vari interessi in gioco tra cui la tutela dell’affidamento del privato nel titolo edilizio originariamente rilasciato, ma anche le esigenze di certezza e di rispetto delle decisioni giurisdizionali, che altrimenti sarebbero private con atto amministrativo di qualsiasi forza di giudicato.
Per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio l’art. 38 si ispira ad un principio di tutela degli interessi del privato mirando ad introdurre un regime sanzionatorio più mite per le opere edilizie conformi ad un titolo abilitativo successivamente rimosso, rispetto ad altri interventi abusivi eseguiti sin dall’origine in assenza di titolo, per tutelare l’affidamento del privato nella legittimità del titolo edilizio rilasciato dall’Amministrazione. L’art. 38 viene considerata una “speciale norma di favore” che differenzia la posizione di colui che abbia realizzato l’opera abusiva sulla base di titolo annullato rispetto a coloro che hanno realizzato opere parimenti abusive senza alcun titolo, tutelando l’affidamento del privato che ha avviato e anche concluso, come nel caso di specie, i lavori in base a titolo ottenuto (Cons. Stato Sez. VI, 10 maggio 2017, n. 2160).
Il fondamento del regime speciale dell’art. 38 del D.P.R. 380 del 2001 viene quindi rinvenuto, oltre che nell’impossibilità della demolizione con nocumento alle parti legittime della costruzione stessa, nella specifica salvaguardia dell’affidamento eventualmente riposto dall’autore dell’intervento circa la presunzione di legittimità e, comunque, sull’efficacia del titolo assentito.
Sulla base di tali principi la giurisprudenza ha affermato che anche da un giudicato di annullamento non derivi automaticamente per il Comune l’obbligo sempre e comunque di disporre la demolizione di quanto realizzato in base al titolo annullato, ma che il Comune debba valutare il possibile rinnovo del procedimento (in caso di vizi non solo procedimentali ma anche sostanziali) del titolo, o nel caso di impossibilità di riduzione in pristino, l’oggettiva e materiale impossibilità di demolizione, per il pericolo alla staticità dell’intero manufatto o per il nocumento alla parte legittima.
Per tenere conto di tale particolare fattispecie che giustifica un trattamento normativo più favorevole rispetto all’abusività “originaria” il legislatore ha previsto tre possibili rimedi: I) la sanatoria della procedura nei casi in cui sia possibile la rimozione dei vizi della procedura amministrativa, con conseguente non applicazione di alcuna sanzione edilizia, ricondotta pacificamente dalla giurisprudenza al caso di vizi formali o procedurali e non all’ipotesi di vizi sostanziali; II) nel caso in cui non sia possibile la sanatoria, l’amministrazione è obbligata ad applicare la sanzione in forma specifica della demolizione, III) soltanto nel caso in cui non sia possibile applicare la sanzione in forma specifica, in ragione della natura delle opere realizzate, l’amministrazione è obbligata ad applicare la sanzione pecuniaria nel rispetto delle modalità sopra indicate. Si tratta di una gradazione di sanzioni modulata alla luce della gravità della violazione della normativa urbanistica (Cons. Stato Sez. IV, 16 novembre, 2017, n. 5296; Cons. Stato Sez. VI, 24 aprile 2017, n. 1909). Il Comune infatti può disporre la rimozione dei vizi anzitutto ove si tratti di vizi formali o procedurali; può procedervi anche nel caso di vizi sostanziali, ma solo ove si tratti di vizi emendabili, mentre in tutti gli altri casi, ovvero nel caso di vizi sostanziali insanabili, deve esercitare i propri poteri repressivi e disporre, in primo luogo, la rimessione in pristino, che è la ordinaria conseguenza nel caso di commissione di abusi edilizi (Cons. Stato Sez. VI, 28 luglio 2017, n. 3795). Ne consegue che le opere ritenute “successivamente” abusive dovranno essere demolite, rimanendo peraltro nella discrezionalità tecnica del Comune operare un’eventuale valutazione motivata, anche sulla scorta delle specifiche deduzioni dei destinatari della misura sanzionatoria, in ordine alla impossibilità materiale del ripristino (Cons. Stato Sez. VI, 24 aprile 2017, n. 1909 cit.)
Più di recente poi il concetto di impossibilità di ripristino è stato inteso in senso più ampio non solo riferito alla oggettiva impossibilità materiale “tecnica”, ma riferito alla comparazione dell’interesse pubblico al recupero della situazione di legalità violata e accertata giudizialmente con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del privato incolpevole, che aveva confidato nell’esercizio legittimo del potere amministrativo (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 28 novembre 2018, n. 6753; cfr. in tal senso, altresì, Consiglio di Stato sez. VI 9 aprile 2018 n. 2155, che fa riferimento anche alla posizione di eventuali terzi acquirenti di buona fede).
Considerando quindi l’ambito degli interessi coinvolti, ritiene il Collegio che l’obbligo per il Comune debba ritenersi particolarmente penetrante sia nel caso in cui imponga la demolizione (sacrificando l’affidamento del privato titolare del titolo edilizio) sia nel caso in cui applichi la sanzione pecuniaria di fatto superando, anche se a seguito di una valutazione dello specifico abuso realizzato, il giudicato di annullamento.
Applicando tali principi al caso di specie deve ritenersi che il Comune non abbia rispettato l’obbligo di motivazione.
Come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, il parere della Commissione edilizia appare meramente apodittico facendo solo riferimento all’assentito cambio di destinazione d’uso da magazzino ad abitazione che ha compreso la parte abusivamente realizzata (cd. ex legnaia).
Non è stata quindi considerata la specifica consistenza del manufatto concretamente realizzato, se materialmente autonomo o meno dal resto dell’edificio né la natura del vizio riscontrato nel titolo edilizio nel giudicato di annullamento, relativo alla violazione delle distanze, il quale vizio, pur se ritenuto dalla giurisprudenza di questo Consiglio superabile anch’esso tramite il potere esercitato dall’art. 38 (cfr. in tal senso Consiglio di Stato sez. VI 9 aprile 2018 n. 2155), deve però essere oggetto di una specifica valutazione del Comune, considerata anche la stabile lesione della posizione delle odierne appellate, in relazione alla possibilità materiale di una demolizione anche solo parziale dell’immobile abusivo.
Inoltre, il richiamo nel parere della Commissione edilizia al mutamento di destinazione d’uso da magazzino ad abitazione della legnaia che non sarebbe stato oggetto di annullamento, non riguarda una valutazione successiva relativa al momento della demolizione, ma gli stessi effetti del giudicato di annullamento che ha comunque ad oggetto il medesimo permesso di costruire che ha autorizzato il mutamento di destinazione d’uso. L’unico profilo motivazionale indicato dal Comune rende del tutto inutile il giudicato di annullamento del permesso di costruire, basato sulla qualificazione come nuova costruzione dell’intervento realizzato con la volumetria della “legnaia”.
L’esercizio di un potere di ponderazione tra i vari interessi coinvolti da parte del Comune comporta che la carente valutazione comunale, nel caso di specie, non possa essere sostituita né dalla perizia tecnica depositata in giudizio dall’appellante (che potrà essere peraltro specificamente valutata dal Comune in sede di riesercizio del potere a seguito del presente annullamento) né dalla CTU eventualmente disposta in giudizio, non essendosi il Comune a monte neppure espresso sulla impossibilità di procedere alla demolizione (quanto a tale ultimo profilo, si richiama l’art. 34 comma 2 del c.p.a. che fa divieto al Giudice amministrativo di “pronunciarsi su poteri non esercitati” dall’amministrazione).
Rispetto a tale vicenda devono ritenersi estranei i documenti prodotti dall’appellante relativi al contenzioso civile tra le parti; in particolare, se anche dalle sentenze depositate in giudizio, risulta che il giudizio civile pendente tra le parti si è concluso con la vittoria dell’odierno appellante, si tratta di vicenda relativa ad altre opere edilizie eseguite dai danti causa delle odierne appellate, che non rilevano, dunque, nella presente vicenda, mentre, per quanto riguarda la violazione delle distanze si riferiscono alla situazione dei luoghi precedente alla realizzazione delle opere oggetto del presente giudizio.
L’appello, quindi, è infondato e deve essere respinto con la conferma dell’annullamento del provvedimento impugnato in primo grado, salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione comunale.
La complessità delle vicende in fatto giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del presente grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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