Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 7 gennaio 2019, n. 158.
La massima estrapolata:
Nel processo amministrativo l’errore revocatorio è un errore non di valutazione, ma di percezione, trattandosi di una falsa percezione della realtà, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che ha condotto il giudice, per effetto di una sorta di abbaglio, ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo invece incontestabilmente escluso dagli atti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo, che dagli stessi atti risulti al contrario positivamente accertato; occorre ancora, alla stregua del dato normativo, che il fatto oggetto dell’errore non sia stato oggetto del dibattito processuale, su cui la pronuncia impugnata ha deciso.
Sentenza 7 gennaio 2019, n. 158
Data udienza 20 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4377 del 2018, proposto da
Ed. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Wl. Fr. Tr. Ma., Gi. Cr. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Cr. Sc. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
Arpat – Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fa. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Ce. in Roma, piazza (…);
Istituto Superiore per la Protezione e La Ricerca Ambientale, Regione Toscana, Provincia di Massa Carrara, Comune di Massa, La Vi. S.C.a R..L., Fe. S.p.A., Società Immobiliare Fi. S.r.l. in Liquidazione, I.V. S.r.l. non costituiti in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. VI n. 00905/2018, resa tra le parti, con riferimento agli alinea nn. 6, 7 e 8 del ritenuto in diritto.
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e del Ministero dello Sviluppo Economico, nonché dell’A.R.P.A.T. – Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2018 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti l’avvocato Gi. Cr. Sc. e l’avvocato dello Stato Ma. Vi. Lu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza n. 905/2018 del 13-2-2018 la Sezione dichiarava improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse l’appello principale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e l’appello incidentale della società Ed. s.p.a., proposti avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 667/201, la quale aveva accolto, per sostanziale difetto di istruttoria e di motivazione, il ricorso ed i successivi motivi aggiunti proposti dal privato contro provvedimenti che avevano imposto una serie di prescrizioni relative ad un’area ricadente nel Sito di Interesse Nazionale di Massa Carrara, istituito con d.m. 21 dicembre 1999, individuando la società, attraverso l’ordine di bonifica dei terreni e della falda acquifera, quale responsabile dell’inquinamento.
Avverso la prefata sentenza la società Ed. s.p.a. (già Mo. s.r.l.) ha proposto ricorso per revocazione con riferimento agli alinea n. 6, 7 e 8 del ritenuto in diritto, nella parte in cui afferma che l’eventuale potenzialità lesiva per Ed. dei futuri provvedimenti del Ministero sussiste soltanto “in astratto, a fronte della successiva rinuncia alla relativa impugnativa” (alinea n. 6), che “nessun interesse concreto ed attuale residua in relazione ad atti ormai superati da successivi provvedimenti che, fra l’altro, la medesima destinataria (ed odierna appellante incidentale) ha impugnato con successivo giudizio poi dichiarato estinto per rinuncia della stessa parte (cfr. sentenza 308/2017 del TAR Toscana richiamata nella narrativa in fatto)” (alinea n. 7), che “avendo Ed. rinunciato spontaneamente al ricorso avverso gli atti successivi, ne scaturisce anche la sopravvenuta inoppugnabilità delle statuizioni che accollano nuovamente a Ed. la responsabilità e i conseguenti oneri di bonifica, cosicchè anche rispetto al profilo di appello concernente il presunto difetto di legittimazione passiva della società nessun concreto vantaggio potrebbe discendere per Ed. dalla riforma della sentenza di primo grado qui impugnata, in quanto tale appello incidentale era teso a rimuovere un aspetto accertativo del provvedimento precedente il quale risulta ormai del tutto assorbito dal rinnovato effetto lesivo derivante dal riprovvedere dell’amministrazione, a propria volta divenuto peraltro inoppugnabile a fronte della rinuncia sopra ricordata” (alinea n. 8).
La società ha, in particolare, domandato la revocazione “ai sensi dell’articolo 101, comma 1, c.p.a. e dell’articolo 395, n. 4, c.p.c.”, lamentando l’errore di fatto da parte del giudice di appello.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare nonché l’A.R.P.A.T.-Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale Toscana, deducendo l’inammissibilità del ricorso e, comunque, la sua infondatezza nel merito.
Le parti hanno depositato memorie e documentazione.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 20 dicembre 2018.
DIRITTO
Con unico motivo la società ricorrente chiede la revocazione della sentenza della Sezione n. 905/2018, per errore di fatto ai sensi dell’articolo 395, n. 4) del codice di procedura civile.
Essa contesta, in particolare, le affermazioni contenute negli alinea 6), 7) e 8) del ritenuto in diritto, laddove si afferma che l’eventuale potenzialità lesiva per Ed. dei futuri provvedimenti del Ministero sussiste soltanto “in astratto, a fronte della successiva rinuncia alla relativa impugnativa” (alinea n. 6), che “nessun interesse concreto ed attuale residua in relazione ad atti ormai superati da successivi provvedimenti che, fra l’altro, la medesima destinataria (ed odierna appellante incidentale) ha impugnato con successivo giudizio poi dichiarato estinto per rinuncia della stessa parte (cfr. sentenza 308/2017 del TAR Toscana richiamata nella narrativa in fatto)” (alinea n. 7), che “avendo Ed. rinunciato spontaneamente al ricorso avverso gli atti successivi, ne scaturisce anche la sopravvenuta inoppugnabilità delle statuizioni che accollano nuovamente a Ed. la responsabilità e i conseguenti oneri di bonifica, cosicchè anche rispetto al profilo di appello concernente il presunto difetto di legittimazione passiva della società nessun concreto vantaggio potrebbe discendere per Ed. dalla riforma della sentenza di primo grado qui impugnata, in quanto tale appello incidentale era teso a rimuovere un aspetto accertativo del provvedimento precedente il quale risulta ormai del tutto assorbito dal rinnovato effetto lesivo derivante dal riprovvedere dell’amministrazione, a propria volta divenuto peraltro inoppugnabile a fronte della rinuncia sopra ricordata” (alinea n. 8).
Parte ricorrente deduce che tali affermazioni sono frutto di un palese errore di fatto e si pongono in contrasto con un altro passaggio della medesima sentenza.
Evidenzia in primo luogo che la decisione di appello aveva correttamente rilevato che ” con successivo provvedimento 24 dicembre 2015 prot. n. 0000602, il Dirigente la Direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare recepiva le conclusioni della conferenza di servizi decisoria del 3 dicembre 2012 (che recepiva, a sua volta, gli esiti della conferenza istruttoria svoltasi in pari data), imponendo alla ricorrente, quale “precedente proprietaria dell’area in esame”, di realizzare altri 4 piezometri da localizzare sulla base di apposita intesa con A.R.P.A.T., statuendo altresì che “in ogni caso e in disparte dall’accertamento di eventuali responsabilità, la realizzazione di misure di prevenzione/messa in sicurezza costituisce un dovere di garanzia a carico del proprietario e gestore dell’area, ai sensi dell’art. 245 del D.Lgs. 152/2006″”.
Da tale parte della pronuncia emergerebbe chiaramente che il Ministero aveva imposto a Ed. la terebrazione di 4 piezometri, a prescindere dalla individuazione di essa quale responsabile della contaminazione.
A tali conclusioni, a dire della ricorrente, inducono anche i contenuti del verbale della conferenza di servizi istruttoria del 3 dicembre 2015, evidenziando pure che il procedimento volto alla individuazione del responsabile della contaminazione stava per essere avviato dalla Provincia, onde né il MATTM, né la Provincia né altra Amministrazione invitata alla Conferenza di Servizi era al tempo in grado di individuare il responsabile della contaminazione.
La società richiama ancora i contenuti della sentenza del T.A.R. Toscana n. 308/2017, resa nel giudizio n. 290/2016 R.G., da cui si evince che l’oggetto dell’impugnazione proposta riguardava esclusivamente le puntuali prescrizioni con cui il Ministero aveva imposto di terebrare i 4 piezometri e, dunque, la rinuncia di Ed. al suddetto giudizio discendeva direttamente dalla realizzazione dei 4 piezometri richiesti, oggetto della prescrizione del Ministero impugnata nel predetto giudizio, con la conseguenza che essa non aveva più alcun interesse alla sua conclusione nel merito.
A causa della non corretta percezione delle suddette circostanze, emergenti con immediatezza da atti depositati in giudizio, il giudice di secondo grado sarebbe incorso in un errore evidente ed obiettivo, affermando che, a seguito della propria rinuncia, risultano inoppugnabili per Ed. le statuizioni che riconducono a quest’ultima la responsabilità (e i conseguenti oneri di bonifica) in relazione a fattori di contaminazione rilevati nell’intera area ex (omissis).
Il ricorso è inammissibile e consegue, pertanto, la relativa declaratoria.
L’articolo 395 del codice di procedura civile dispone, tra l’altro, che “Le sentenze pronunciate in grado di appello…possono esser impugnate per revocazione:…4) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno e nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
La giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., ex multis, sez. III, 30-8-2017) ha avuto modo di chiarire che nel processo amministrativo l’errore revocatorio è un errore non di valutazione, ma di percezione, trattandosi di una falsa percezione della realtà, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che ha condotto il giudice, per effetto di una sorta di abbaglio, ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo invece incontestabilmente escluso dagli atti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo, che dagli stessi atti risulti al contrario positivamente accertato.
Occorre ancora, alla stregua del dato normativo, che il fatto oggetto dell’errore non sia stato oggetto del dibattito processuale, su cui la pronuncia impugnata ha deciso.
Di conseguenza, l’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395, n. 4 c.p.c., è soltanto quello che deriva da un’erronea percezione degli atti di causa, e cioè dal cd. “abbaglio dei sensi”, consistente nella supposizione di un fatto la cui verità sia incontrastabilmente esclusa o nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità sia, invece, positivamente stabilita, che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto.
L’errore di fatto revocatorio è, dunque, configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento.
Viene, pertanto, affermato (cfr. Cons. Stato, VI, 22-8-2017, n. 4055) che esso non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di precisi canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi, queste, che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, la quale si trasformerebbe altrimenti in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento.
Il dato normativo (art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c.) evidenzia, poi, che l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione non sussiste, in ogni caso, se il fatto ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare (cfr. Cons. Stato, V, 9-5-2017, n. 2136).
E’ stato ancora affermato che l’errore di fatto deve essere elemento determinante della decisione, la quale viene a costituire “effetto” di esso. L’errore di fatto, dunque, può ammissibilmente essere invocato solo ove sussista un rapporto di causalità necessaria fra l’omessa percezione fattuale e documentale e la pronuncia in concreto adottata dal giudice; pertanto, esso non è rilevante quando la sentenza si fondi su fatti, seppur erronei, che non sono decisivi in se stessi ai fini del decidere, ma debbano essere valutati in un più ampio quadro probatorio (cfr. Cass. civ., III, 20-7-2011, n. 15882).
Tanto premesso in ordine ai principi normativi e giurisprudenziali regolatori dell’istituto della revocazione per errore di fatto, ritiene la Sezione che nella specie non sussistano i presupposti richiesti dal citato articolo 395, comma 1, n. 4) del codice di procedura civile.
Va, infatti, evidenziato che il “fatto” in ordine al quale vi sarebbe stata erronea percezione da parte del giudice (e, dunque, “abbaglio dei sensi”) risulta essere stato oggetto di dibattito processuale e sullo stesso la sentenza si è pronunciato.
L’errore nel quale sarebbe incorso il giudice riguarderebbe, in particolare, il riconoscimento di responsabilità, in capo a Ed., per l’inquinamento del sito da parte del verbale della conferenza di servizi istruttoria del 3 dicembre 2015, riconoscimento di responsabilità divenuto oramai inoppugnabile per effetto della rinuncia, da parte della società, al ricorso dalla stessa proposto avverso le risultanze di detto verbale dinanzi al TAR Toscana.
Orbene, rileva il Collegio che tali questioni risultano essere state introdotte nel giudizio di appello alla citata sentenza del Tribunale Amministrativo n. 667/2013 e sulle stesse si è sviluppato dibattito processuale.
Invero, nella memoria del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, depositata nel giudizio di appello in data 1-12-2017, si legge (pag. 16): “E’ dunque documentalmente dimostrato che: – ancora oggi l’Azienda non è in grado di dimostrare l’efficienza della barriera idraulica; – ancora oggi nelle acque di falda si rinvengono fitofarmaci; – non è vero che gli inquinanti rinvenuti in falda non siano riconducibili alle lavorazioni eseguite in passato nell’area Mo.-(omissis).
In ordine alla permanenza dell’interesse al ricorso incidentale si rappresenta che Ed. s.p.a. ha impugnato innanzi al TAR Toscana (RG 290/2016) le determinazioni delle conferenze di servizi istruttoria e decisoria del 3 dicembre 2015 (doc. 1 e doc. 2), rese definitive con decreto direttoriale del 24 dicembre 2015 (doc. 3), contestando anche l’elusione della sentenza TAR Toscana, Sezione II, n. 667 del 22-4-2013 (in relazione all’area ex (omissis) di proprietà della società Vi.), oggetto del presente giudizio.
Il ricorso è stato dichiarato improcedibile dal TAR con sentenza in rito n. 308 del 28 febbraio 2017, per effetto di rinuncia da parte del ricorrente.
Ciò comporta che la società Ed. ha riconosciuto la propria responsabilità per i lavori di bonifica e messa in sicurezza nell’area Farmoplan e l’esigenza di operare gli interventi prescritti dal Ministero. Sembrano perciò superati tutti i motivi di censura formulati in via incidentale…”.
E’ stata in tal modo introdotta in giudizio la questione della responsabilità di Ed. per i lavori di bonifica e messa in sicurezza, responsabilità che si assume riconosciuta dalla stessa società per effetto della rinuncia al ricorso n. r.g. 290/2016.
Su tali questioni la società Ed. ha replicato nella memoria depositata il 28 dicembre 2017.
Essa ha analiticamente confutato le argomentazioni del Ministero volte a confermare la responsabilità di Ed. in relazione alla contaminazione rilevata (pagg. 7 e 8).
Ha, poi, controdedotto in ordine alla eccezione del Ministero di sopravvenuta carenza di interesse dell’appello incidentale e, dunque, sull’affermazione di un riconoscimento di responsabilità derivante dalla prefata rinuncia al ricorso n. 290/2016.
Si legge, infatti, alle pagine 9 e 10 della citata memoria: “Con il giudizio instaurato dinanzi al T.A.R. Toscana r.g. n. 290/2016, Ed. aveva impugnato i Verbali della Conferenza di Servizi istruttoria e decisoria del 3 dicembre 2015, nonché il Decreto del Direttore Generale della Direzione per la Salvaguardia del Territorio e delle Acque del MATTM del 24 dicembre 2015, nella parte in cui imponevano a Ed. la terebrazione di alcuni piezometri nell’area ex (omissis).
In seguito alla proposizione del giudizio r.g. n. 290/2016, al fine di dimostrare definitivamente che la contaminazione rilevata non è riconducibile all’attività industriale svolta in passato sull’area ex (omissis), Ed. ha volontariamente terebrato 4 piezometri, di cui 2 posti al confine a monte idrogeologico dell’area ex (omissis) e altri 2 posti a valle idrogeologica della suddetta area.
A fronte della terebrazione dei suddetti piezometri, Ed. non aveva più interesse a coltivare il giudizio r.g. n. 290/2016 pendente dinanzi al T.A.R. Toscana, giacchè aveva proposto il ricorso avverso l’imposizione relativa alla terebrazione dei piezometri. Di conseguenza, Ed. ha rinunciato al ricorso.
E’ però del tutto evidente che l’atto di rinuncia si riferiva esclusivamente al giudizio r.g. n. 290/2016 pendente dinanzi al T.A.R. Toscana.
Il presente giudizio ha un oggetto del tutto diverso, giacchè con l’appello incidentale Ed. ha gravato la sentenza n. 667/2013 citata nelle parti in cui non era satisfattiva dei propri interessi in relazione a ulteriori vizi lamentati con riguardo ai provvedimenti impugnati in primo grado.
Si ricorda che Ed. aveva impugnato i citati provvedimenti in primo grado (giudizio r.g. n. 1007/2009), giacchè il Ministero aveva individuato Ed. come responsabile dell’inquinamento e aveva imposto a quest’ultima società onerose attività di bonifica. Rispetto a tali provvedimenti Ed. non ha mai prestato acquiescenza. Ne discende che l’oggetto del presente giudizio non ha nulla a che vedere con il giudizio r.g. n. 290/2016 proposto dinanzi al T.A.R. Toscana. Di conseguenza, l’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale appare del tutto infondata”.
Sul dibattito processuale, così come sopra rappresentato, è, quindi, intervenuta un’espressa pronuncia da parte del giudice di appello, il quale ha statuito che “avendo Ed. rinunciato spontaneamente al ricorso avverso gli atti successivi, ne scaturisce anche la sopravvenuta inoppugnabilità delle statuizioni che accollano nuovamente a Ed. la responsabilità ed i conseguenti oneri di bonifica”.
Le considerazioni sopra svolte evidenziano, dunque, l’inammissibilità del presente ricorso per revocazione, vertendosi in tema di “fatto costituente punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
Va, inoltre, evidenziato che nella specie l’errore denunciato non costituisce propriamente “abbaglio dei sensi”, inteso come errore nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale.
Esso attiene piuttosto alla valutazione ed all’apprezzamento degli stessi, con particolare riferimento agli effetti della rinuncia presentata nel ricorso r.g. n. 290/2016 dinanzi al T.A.R. Toscana. Di conseguenza, si tratterebbe, al limite, di un errore di giudizio, non censurabile in sede di revocazione.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Preme, da ultimo, al Collegio sottolineare che la sentenza della Sezione n. 905/2018 del 13-2-2018, oggetto del presente giudizio di revocazione, ha dichiarato gli appelli proposti dal MATTMe dalla società Ed. s.p.a. improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.
Essa, dunque, nella sua statuizione, è pronuncia di rito, la quale ha la forza di giudicato propria di tali sentenze.
E’ stato, infatti, affermato (cfr. Cass. civ., 16-9-2015, n. 18160; Cass. civ., II, 16-9-2015, n. 18160) che la sentenza che statuisce sul difetto di interesse ad agire, applicando regole processuali, resta una decisione in rito, come tutte quelle che riguardano le condizioni di decidibilità della causa nel merito, la quale non è destinata a passare in cosa giudicata materiale; il giudicato su questione processuale è tale solo all’interno dello stesso processo e non estende la sua autorità anche ad un nuovo ed autonomo processo.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna la società Ed. s.p.a. al pagamento delle spese del presente giudizio – che si liquidano in complessivi euro 3000 (tremila), oltre accessori come per legge – in favore del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e dell’A.R.P.A.T.-Agenzia di Protezione Ambientale della Toscana, ciascuno per la metà .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente FF
Bernhard Lageder – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
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