L’errore di fatto revocatorio

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 3 febbraio 2020, n. 854.

La massima estrapolata:

Nell’azione di revocazione l’errore di fatto revocatorio deve cadere su atti o documenti processuali, con esclusione dei casi in cui la dedotta erronea percezione degli atti di causa ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice.

Sentenza 3 febbraio 2020, n. 854

Data udienza 21 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8744 del 2019, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Il Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. IV n. -OMISSIS-, resa tra le parti;
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti l’Avvocato Gr. De. Po., su delega dichiarata dell’Avvocato Lu. Pa., e l’Avvocato dello Stato Ma. Gi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.1.Con il ricorso in esame, il signor-OMISSIS-chiede che venga pronunciata la revocazione della sentenza di questo Consiglio di Stato, sez. IV, -OMISSIS-, di rigetto dell’appello da lui proposto avverso la sentenza del TAR Liguria, sez. II, -OMISSIS-.
L’attuale ricorrente, 1° maresciallo dell’Esercito in servizio presso la scuola delle telecomunicazioni di -OMISSIS-, aveva a suo tempo impugnato il D.M. 27 aprile 2010, con il quale era stata disposta la sua rimozione dal servizio per perdita del grado, in conseguenza di un procedimento penale per favoreggiamento della prostituzione, conclusosi con sentenza di cd. patteggiamento.
Il TAR Liguria, con la sentenza innanzi indicata, rigettava il ricorso e, successivamente, l’appello avverso la medesima veniva rigettato con la sentenza del Consiglio di Stato della quale si chiede la revocazione nella presente sede.
1.2. Quest’ultima decisione ha affermato in particolare:
– l’infondatezza della censura di superamento del termine massimo di 270 giorni, di durata del procedimento disciplinare, posto che “il provvedimento di destituzione non è recettizio… per cui il dies ad quem deve individuarsi nel giorno di emanazione del provvedimento”;
– “il termine complessivo di 270 giorni stabilito dall’art. 9, co. 2, l. n. 19 del 1990 trova applicazione anche allorché il procedimento disciplinare derivi da una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti”, di modo che, per un verso non trova applicazione l’art. 120 DPR n. 3 del 1957, per altro verso l’amministrazione “è in tali casi chiamata esclusivamente a vagliare, ai fini dell’eventuale ascrizione di responsabilità disciplinare, quei fatti irrevocabilmente accertati in sede penale come aventi rilievo criminale e commessi dall’incolpato”;
– nel caso di specie, “non si verificano le condizioni per l’attribuzione al Ministro del potere disciplinare”, non essendo l’incolpato assegnato per l’impiego ad enti, comandi o reparti di altra Forza Armata (come precisato dall’art. 65, co. 1, l. n. 599/1954, applicabile ratione temporis);
– nel corso del procedimento disciplinare, non vi è stata alcuna lesione del diritto di difesa, poiché “il ricorrente risulta avere presentato alla commissione di disciplina una memoria con numerose eccezioni procedurali”;
– quanto al merito della valutazione disciplinare, “l’amministrazione ha, sia pur sinteticamente, confezionato una propria orditura motivazionale, dimostrando di ritenere, con riguardo ai fatti irrevocabilmente accertati in sede penale, che la condotta consistita nel favorire e sfruttare la prostituzione mediante la locazione di un appartamento adibito dal conduttore alla consumazione di atti di meretricio sia incompatibile con il mantenimento dello status di appartenente alle Forze Armate”; tale valutazione “non presenta motivi di eclatante illogicità o abnorme irragionevolezza”;
– quanto ai rapporti con il giudizio della Commissione medico-ospedaliera di -OMISSIS-, che ha giudicato il ricorrente permanentemente non idoneo al servizio militare incondizionato e quindi da collocare in congedo assoluto, in disparte la considerazione che “tale verbale è successivo all’avvio del procedimento disciplinare….nella legislazione applicabile ratione temporis l’eventuale collocamento in congedo non ostava alla prosecuzione del procedimento disciplinare in corso e alla piena efficacia dei conseguenti provvedimenti implicanti la perdita del grado”.
1.3. Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di revocazione:
a) contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale, poiché questa (sent. n. 104/1991) “ha stabilito che devono ritenersi applicabili anche ai militari le disposizioni dettate dagli artt. 97, 111 e 120 DPR 10 gennaio 1957 n. 3 per gli impiegati civili dello Stato, disposizioni che assicurano (a tutela del dipendente) una precisa scansione dei termini del procedimento disciplinare”; con la conseguenza che ciò “avrebbe dovuto indurre il giudice dell’appello ad annullare il provvedimento sanzionatorio impugnato in quanto risulta chiaramente violato l’art. 120 DPR n. 3/1957, pacificamente applicabile anche al personale militare”, stante il superamento del termine di 90 giorni tra proposta di sanzione formulata a conclusione dell’inchiesta formale (in data 27 ottobre 2009) e decisione del Comandante del Dipartimento militare marittimo dell’Alto Tirreno (o.d.g. 16 febbraio 2010, n. 518);
b) ulteriore contrasto con la sentenza della Corte costituzionale, poiché in base a questa (sent. n. 197/1999) occorre affermare che, “sebbene in astratto la legge 7 febbraio 1990 n. 19 non sia da ritenersi lesiva di principi costituzionali, nondimeno i termini perentori di cui al Testo Unico del 1957 devono rispettarsi”, di modo che il provvedimento sanzionatorio avrebbe dovuto essere annullato per violazione dell’art. 111 DPR n. 3/1957, poiché “l’amministrazione procedente non ha informato il maresciallo… con il preavviso di 20 giorni imposto dalla legge della facoltà di prendere visione di tutti gli atti del procedimento e di estrarne copia e gli ha impedito così di svolgere al meglio le proprie difese”.
1.4. Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa.
1.5. All’udienza in Camera di consiglio, il Collegio, ritenuti sussistenti i presupposti di cui all’art. 60 del C.p.a., ha trattenuto la causa in decisione per il merito.

DIRITTO

2. Il ricorso per revocazione è inammissibile.
3. Le ragioni esposte per la revocazione della sentenza di questo Consiglio di Stato n. -OMISSIS- risiedono, secondo il ricorrente, in un “contrasto” tra i principi statuiti dal giudice amministrativo (la cui applicazione ha determinato il rigetto del ricorso in appello) e due decisioni della Corte costituzionale, specificamente indicate.
Il ricorrente non enuncia quale delle ipotesi rubricate dall’art. 395 cpc sussisterebbe nel caso di specie (il che già comporterebbe ex se un qualche difetto di specificità dei motivi di ricorso).
Astrattamente, potrebbero ritenersi (implicitamente) evocate sia l’ipotesi di cui all’art. 395 n. 4 cpc (errore revocatorio sul fatto), sia l’ipotesi di cui all’art. 395 n. 5 (contrasto con precedente giudicato).
3.1. Quanto alla prima ipotesi (art. 395 n. 4 cpc), occorre rilevare come il ricorrente lamenti, con riferimento ad ambedue i profili sottoposti al giudice della revocazione, una non consentita individuazione ed interpretazione delle norme applicabili al caso di specie.
Ciò porta, a tutta evidenza, a rilevare come si esuli dai casi di errore sul fatto di cui al citato art. 395 n. 4.
Ed infatti, secondo l’orientamento costante di questo Consiglio di Stato (sez. IV, 25 novembre 2016, n. 4983; 24 gennaio 2011, n. 503), l’errore sul fatto revocatorio consiste nella “svista”, consistente o nella mancata esatta percezione di atti di causa, ovvero nella mancata statuizione su una censura o su una eccezione ritualmente introdotta nel dibattito processuale; ed a condizione che l’errore risulti determinante ai fini della decisione della controversia (Cass. Civ., sez. III, 20 luglio 2011, n. 15882).
Secondo, infatti, il principio enunciato dall’Adunanza Plenaria (dec. 22 gennaio 1997, n. 3; in senso conf., Ad. plen. nn. 3 del 2001, 2 del 2010, 1 del 2013, 5 del 2014; Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2009, n. 3499; sez. IV, 23 settembre 2008, n. 4607; sez. IV, 19 ottobre 2006, n. 6218; Sez. IV, 16 maggio 2006, n. 2781; sez. VI, 23 febbraio 2011 n. 1145), non v’è dubbio che l’errore di fatto revocatorio debba cadere su atti o documenti processuali, con esclusione dei casi in cui la dedotta erronea percezione degli atti di causa ha costituito un punto controverso e, comunque, ha formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, ossia è il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del giudice (cfr, Cons. St., sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3343; Cass. Civ., Sez. II, 12 marzo 1999 n. 2214).
Ed infatti, in questi casi (cioè nei casi di presunto errore di fatto su un punto che ha costituito un punto controverso), ogni ipotizzabile errore non può che essere ricondotto ad un errore di valutazione del dato fattuale e non già di percezione del medesimo (che sarebbe, dunque, un eventuale errore di diritto ma mai un errore sul fatto).
L’errore di fatto revocatorio si configura, quindi, come un abbaglio dei sensi, per effetto del quale si determina un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa; esso può essere apprezzato solo quando risulti da atti o documenti ritualmente acquisiti agli atti del giudizio, con esclusione, quindi, delle produzioni inammissibili.
Per contro, sono vizi logici e dunque errori di diritto quelli consistenti nell’erronea interpretazione e valutazione dei fatti o nel mancato approfondimento di una circostanza risolutiva ai fini della decisione (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2010, n. 7599).
3.2. Nel caso di specie, tuttavia, non sussiste neanche la (presunta) ipotesi di revocazione per contrasto con precedente giudicato, di cui all’art. 395 n. 5 cpc.
Tale disposizione afferma che costituisce caso di revocazione “la sentenza (che) è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione”.
Perché sussista tale ipotesi, occorre, quindi, che vi siano due sentenze, le quali abbiano avuto il medesimo oggetto e siano state pronunciate tra le medesime parti, ed una di esse sia dotata di autorità di cosa giudicata in senso sostanziale, ai sensi dell’art. 2909 c.c.
Come affermato dalla giurisprudenza (Cass., sez. I, 29 agosto 2018, n. 21374), “il giudicato fa stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, nei limiti oggettivi costituiti dai suoi elementi costitutivi, ovvero il titolo della stessa azione (causa petendi) e il bene della vita che ne forma oggetto (petitum mediato)”.
Anche nel caso in cui sussistano i presupposti innanzi riportati, occorre altresì che la sentenza impugnata per revocazione non abbia espressamente pronunciato sulla eccezione di sussistenza del precedente e contrastante giudicato
Come è del tutto evidente, non può porsi un problema di “contrasto con precedente giudicato” nei confronti di una sentenza della Corte Costituzionale che si ritenga rilevante ed applicabile per definire una controversia, posto che oggetto del giudizio della Corte non è una res controversa deducta in judicio, bensì, ai sensi dell’art. 136 Cost. “l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge”: l’eventuale contrasto di una sentenza con il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale va qualificato come errore di diritto, di certo non deducibile con un ricorso per revocazione.
Ciò che si intende affermare con l’espressione “giudicato costituzionale” (pur senza entrare in un più ampio e complesso dibattito) non è la suscettività della sentenza della Corte di “fare stato” tra le parti ai sensi dell’art. 2909 c.c. (in particolare, in giudizi pendenti o instaurati successivamente), quanto la sua efficacia nei confronti del giudice e del legislatore, tenuto conto della sua tipologia (con particolare riferimento alle sentenze di accoglimento o cd. interpretative di accoglimento).
4. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione proposto dal signor -OMISSIS- (n. 8744/2019 r.g.), lo dichiara inammissibile.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero della Difesa, delle spese ed onorari del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 5000,00 (cinquemila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare…
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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