Elezioni regionali ed il procedimento elettorale

Consiglio di Stato, Sentenza|25 giugno 2021| n. 4860.

Elezioni regionali ed il procedimento elettorale.

Ai sensi dell’art. 129 cod. proc. amm., come novellato dal d.lgs. 160/2012, fra i provvedimenti che vanno immediatamente impugnati, in quanto lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale, non vanno inclusi anche gli atti di ammissione di candidati o liste differenti da quelle del ricorrente, non potendo detta norma applicarsi al di là dei casi da essa specificamente previsti, attesa la sua natura derogatoria rispetto ad altre regole processuali di portata generale.

Sentenza|25 giugno 2021| n. 4860. Elezioni regionali ed il procedimento elettorale

Data udienza 4 maggio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Elezioni amministrative – Elezioni regionali – Procedimento elettorale – Provvedimenti immediatamente impugnabili – Atti di ammissione dei candidati – Esclusione – Art. 129 cpa – Applicazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1038 del 2021, proposto da
An. Be., Id. Ma. De. (anche in qualità di componente del comitato #2.), An. La. (anche in qualità di presidente e legale rappresentante dell’associazione SU. ES. DO.), Or. Le. (anche in qualità di aderente all’associazione MA. PL.), Ka. Lo. (anche in qualità di presidente e legale rappresentante dell’associazione CA. DE. DO. di Le.), Ve. Ma. (anche in qualità di componente del comitato #2.), Ma. Lu. Ma. (anche in qualità di presidente e legale rappresentante dell’associazione AP. GI. DE. ME. – ME. WO. JO.), Mo. MC Br. (anche in qualità di presidente e legale rappresentante dell’associazione UN.), Gi. Pe. (anche in qualità di aderente all’associazione UO. IN GI.), Ma. Te. (anche in qualità di componente del comitato #2.), Ma. Pi. Vi. (anche in qualità di presidente e legale rappresentante dell’associazione GI.) ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Id. Ma. De. e Ve. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia
contro
Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, non costituita in giudizio
nei confronti
– St. La. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Gi. Pe. ed elettivamente domiciliati presso il suo studio, in Roma, al Corso (…);
– Sa. Ta., non costituito in giudizio;
– Pa. So. dell’E., rappresentato e difeso dagli avvocati An. Pa. Ma. e Vi. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
– Pa. Pa., rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Or. e Lu. An., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via (…), presso l’avvocato Fe. An.
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sede di Bari – Sezione Terza), n. 95 del 16 gennaio 2021, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori St. La. ed altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 maggio 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, richiamato dall’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con legge 18 dicembre 2020, n. 176) il Cons. Roberto Politi;
Nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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FATTO

1. Espongono gli appellanti che l’inadempimento, da parte del Consiglio regionale uscente, dell’obbligo di prevedere – ai fini dell’espressione del voto per il rinnovo del Consiglio regionale – la c.d. doppia preferenza di genere, ha indotto il Governo nazionale a intervenire in via sostitutiva, ai sensi dell’art. 120, comma 2, della Costituzione, introducendo nella legge regionale vigente, con il decreto legge 31 luglio 2020 n. 86 (convertito in legge 7 agosto 2020, n. 98), la previsione della seconda preferenza “riservata a un candidato di sesso diverso dall’altro”.
La legge elettorale regionale, come sopra modificata, pur enunciando in astratto la regola sulla composizione equilibrata delle liste (art. 8, comma 13), ne consentirebbe, peraltro, la violazione di fatto, in assenza di alcun meccanismo idoneo ad assicurarne l’effettività, rimanendo pertanto frustrata quella garanzia di pari opportunità nell’accesso alle cariche elettive, imposta dagli artt. 51 e 3, comma 2, della Costituzione e perseguita dalla legge n. 20 del 2016.
Nell’osservare come il citato art. 8, comma 13, della legge regionale n. 2 del 2005 stabilisca l’irrogazione di una sanzione pecuniaria da applicare “ai gruppi consiliari formatisi a seguito dell’esito delle elezioni composti dai movimenti e dai partiti politici che abbiano presentato liste non rispettose della proporzione di cui al presente comma”, lamentano gli appellanti che non sia previsto alcun intervento che consenta, in fase di ammissione delle liste, di escludere o ridimensionare (mediante cancellazione dei candidati “in eccedenza” dello stesso sesso) le liste composte in modo non equilibrato.

 

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Evidenziano, poi, che, in vista delle consultazioni popolari per il rinnovo del Consiglio regionale, sono state presentate ed ammesse, in varie circoscrizioni, talune liste non rispondenti alla proporzione fra appartenenti a generi diversi (60/40); e, a seguito della proclamazione degli eletti (avvenuta il 29 ottobre 2020), sono risultati eletti ben sei candidati (i sei odierni controinteressati) appartenenti a gruppi di liste composte in violazione della suindicata proporzione minima di legge.
2. Con ricorso N.R.G. 1354 del 2020, proposto innanzi al T.A.R. della Puglia, gli odierni appellanti hanno impugnato le operazioni elettorali, nella parte relativa all’ammissione delle liste e dei gruppi di liste asseritamente composti contra legem, nonché i risultati elettorali, quanto alla proclamazione dell’elezione alla carica di consigliere regionale dei sei odierni appellati.
3. L’adito Tribunale, ritenute non manifestamente fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai ricorrenti di prime cure, ha respinto il gravame.
4. Avverso tale pronuncia, è stato interposto il presente appello, notificato il 5 febbraio 2021 e depositato il successivo 8 febbraio.
Con tale mezzo di tutela, viene evidenziato che, in sede di delibazione della questione di legittimità costituzionale della legislazione regionale anzidetta (per contrasto con gli artt. 51 e 3, comma 2, della Costituzione), il giudice di prime cure:
– nell’osservare che il legislatore statale, pur avendo previsto una sanzione (annullamento della seconda preferenza) in caso di violazione della disciplina sulla doppia preferenza “di genere”, non ha disposto altrettanto per il caso di violazione della regola “60/40” (né con l’art. 4 della legge n. 165 del 2004, né in occasione del recente intervento sostitutivo del Governo in tema di doppia preferenza di genere);
– e nel rilevare che ciò comporterebbe piena discrezionalità in capo al legislatore regionale nello stabilire la sanzione;
non ha tuttavia verificato se tale discrezionalità sia stata esercitata, o meno, in conformità a Costituzione.

 

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Viene, per l’effetto, rilevata, nell’avversata pronunzia, l’assenza di qualsiasi riferimento all’uguaglianza sostanziale ed al principio, inscindibilmente connesso, di effettività nella garanzia dei valori costituzionali, pure oggetto di censura nel ricorso di prime cure.
Secondo gli appellanti, una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 4 della legge statale (laddove prescrive che “… in ciascuna lista i candidati siano presenti in modo tale che…”) impone di argomentare la presenza di un vincolo – non di contenuto puntuale, ma di scopo – in capo al legislatore regionale, nel senso dell’obbligatoria previsione di strumenti in grado di rendere effettiva la presenza equilibrata e, quindi, la garanzia delle pari opportunità ; rimanendo riservata al livello regionale la scelta dello specifico meccanismo, in un ambito di discrezionalità legislativa teleologicamente circoscritto.
Avrebbe errato il Tribunale nel limitare la propria indagine alla verifica del rispetto formale della norma interposta (e, quindi, delle regole di riparto della competenza legislativa), per concludere che il legislatore regionale è lasciato “libero” di violare le disposizioni di cui agli artt. 51 e 3, comma 2.
Riproduce, poi, parte appellante i motivi di ricorso dedotti in primo grado, così riassumibili:
Illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale dei seguenti articoli della legge reg. Puglia n. 2/2005 nel testo vigente: art. 8, comma 13, terzo periodo e comma 3; art. 10, comma 1; art. 2, comma 9, lettera e), per contrasto con i seguenti articoli della Costituzione: art. 51, comma 1; art. 117, comma 7; art. 3, comma 2; art. 122, comma 1, in riferimento, quale norma interposta, all’art. 4, lett. c-bis, n. 1), della legge statale n. 165/2004, come modificata e integrata, da ultimo, con l’art. 1, comma 1, della legge statale n. 20/2016; art. 123, comma 1, in riferimento all’art. 6 dello Statuto della Regione Puglia, approvato con legge reg. 12.5.2004 e s.m.i.
In attuazione dell’art. 122 della Costituzione, la legge 2 luglio 2004, n. 165, all’art. 4, ha stabilito che, “qualora la legge elettorale preveda l’espressione di preferenze, in ciascuna lista i candidati siano presenti in modo tale che quelli dello stesso sesso non eccedano il 60 per cento del totale e sia consentita l’espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso, pena l’annullamento delle preferenze successive alla prima”.

 

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Nell’osservare come l’art. 8 della legge elettorale della Regione Puglia, al comma 13, stabilisca che “nelle liste di candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. In ogni lista nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento”, parte appellante sottolinea che la stessa norma, in presenza di “liste non rispettose della proporzione di cui al presente comma” dispone l’applicazione, “da parte del Consiglio regionale, in fase di erogazione per la prima annualità, [di] una sanzione fino a un massimo della metà, in misura direttamente proporzionale ai candidati in più rispetto a quello minimo consentito, dei contributi loro assegnati ai sensi dell’articolo 5 della legge regionale 11 gennaio 1994, n. 3”.
Siffatta sanzione, meramente pecuniaria ed ininfluente rispetto allo svolgimento delle elezioni, è priva di efficacia ripristinatoria e, pertanto, inidonea ad assicurare il rispetto della regola che, invece, la sanzione dovrebbe garantire.
Viene, per l’effetto, denunciata la illegittimità costituzionale dell’anzidetta disposizione, per contrasto con i parametri di cui agli artt. 51, 117, comma 7 e 3, comma 2, della Costituzione.
Rilevato come l’art. 4 della legge n. 165 del 2004, nel testo vigente introdotto con legge n. 20 del 2016, individui, espressamente qualificandoli come principi fondamentali, gli strumenti minimi per assicurare la promozione delle pari opportunità (tra questi, la regola secondo cui “in ciascuna lista i candidati siano presenti in modo tale che quelli dello stesso sesso non eccedano il 60 per cento del totale”), parte appellante assume, altresì, la illegittimità costituzionale della suindicata norma regionale, per contrasto con l’art. 122 della Costituzione, in ragione dell’insanabile contrasto con la norma interposta di cui al riportato art. 4, comma 1, lett. c-bis, della legge n. 165 del 2004.
Quanto al merito delle consultazioni svoltesi per il rinnovo del Consiglio regionale, viene sottolineato che i gruppi di liste recanti i contrassegni “Fo. It.” e “La Pu. do.” – che hanno presentato liste in tutte le sei circoscrizioni elettorali – comprendevano un numero di donne inferiore alla soglia minima del 40% in più di tre circoscrizioni su sei.

 

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Conclude la parte per l’accoglimento dell’appello; e, in riforma della sentenza impugnata:
– chiede dichiararsi la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle prospettate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 13, 3° periodo, dell’art. 8, comma 3, dell’art. 10, comma 1 e dell’art. 2, comma 9, lett. e), della legge regionale della Puglia n. 2 del 2005 nel testo vigente, nelle parti in cui non prevedono una sanzione applicabile ex ante e comunque idonea a garantire che alla competizione elettorale partecipino soltanto liste rispettose della percentuale minima del 40% di candidati del sesso meno rappresentato, per contrasto con gli artt. 3, comma 2, 51, 117, comma 7, 122 della Costituzione (quest’ultimo, in riferimento all’art. 4, lett. c-bis, n. 1, della legge n. 165/2004 nel testo vigente), nonché con l’art. 123 Cost. in riferimento all’art. 6 dello Statuto della Regione Puglia; e, per conseguenza, disporsi la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale e la sospensione del presente giudizio;
– all’esito, chiede l’annullamento delle determinazioni degli Uffici centrali circoscrizionali di Bari, Brindisi, Lecce, Taranto e Barletta-Andria-Trani, relative all’ammissione delle liste con contrassegno “Fo. It.”; delle determinazioni degli Uffici centrali circoscrizionali di Brindisi, Lecce, Taranto e Foggia relative all’ammissione delle liste con contrassegno “La Pu. do.”; nonché, per conseguenza, delle determinazioni dell’Ufficio centrale regionale relative all’ammissione dei gruppi di liste con contrassegno “Fo. It.” e “La Pu. do.” alla competizione elettorale; e, quale ulteriore conseguenza, del verbale dell’Ufficio centrale regionale presso la Corte d’appello di Bari di proclamazione degli eletti al Consiglio regionale della Regione Puglia a seguito delle consultazioni elettorali del 20-21 settembre 2020, nella parte relativa alla proclamazione dei signori St. La. ed altri;
con conseguente correzione dei risultati elettorali.
5. Si sono costituiti in giudizio i signori St. La. ed altri; i quali, riproposta l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado – assorbita dal T.A.R. per effetto della pronunziata infondatezza del gravame – hanno, nel merito, confutato la fondatezza delle doglianze articolate con il presente appello, conclusivamente chiedendone la reiezione.
6. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 4 maggio 2021.

 

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DIRITTO

1. Con decreto legge 31 luglio 2020, n. 86 (convertito con legge 7 agosto 2020, n. 98):
– premesso che “il mancato recepimento nella legislazione regionale in materia di sistemi di elezione del Presidente e degli altri componenti della Giunta Regionale, nonché dei consigli regionali dei principi fondamentali posti dall’articolo 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165, come modificata dalla legge 15 febbraio 2016, n. 20, integra la fattispecie di mancato rispetto di norme di cui all’articolo 120 della Costituzione e, contestualmente, costituisce presupposto per l’assunzione delle misure sostitutive ivi contemplate”;
– si disponeva che, “al fine di assicurare il pieno esercizio dei diritti politici e l’unità giuridica della Repubblica, nella Regione Puglia per le elezioni del consiglio regionale, in luogo delle vigenti disposizioni regionali in contrasto con i principi della legge n. 165 del 2004 e salvo sopravvenuto autonomo adeguamento regionale ai predetti principi, si applicano le seguenti disposizioni:
a) ciascun elettore può esprimere due voti di preferenza, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso dall’altro, e le schede utilizzate per la votazione sono conseguentemente predisposte;
b) nel caso in cui siano espresse due preferenze per candidati del medesimo sesso, si procede all’annullamento della seconda preferenza”.
Come sopra “introdotta” dall’intervento legislativo statale “sostitutivo” la doppia preferenza “di genere” (con annullamento di uno dei due voti, ove espresso per un candidato dello stesso sesso), le modalità di composizione delle liste elettorali trovano disciplina nella legge regionale della Puglia, n. 2 del 28 gennaio 2005.

 

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Il comma 13 dell’art. 8 stabilisce, in particolare, che:
– “nelle liste di candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. In ogni lista nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento; in caso di quoziente frazionario si procede all’unità più vicina”;
– ai gruppi consiliari formatisi a seguito dell’esito delle elezioni composti dai movimenti e dai partiti politici che abbiano presentato liste non rispettose della proporzione di cui al presente comma è applicata, da parte del Consiglio regionale, in fase di erogazione per la prima annualità, una sanzione fino a un massimo della metà, in misura direttamente proporzionale ai candidati in più rispetto a quello minimo consentito, dei contributi loro assegnati ai sensi dell’articolo 5 della legge regionale 11 gennaio 1994, n. 3 (Norme per il funzionamento dei gruppi consiliari), così come in ultimo sostituito dall’articolo 5 della legge regionale 30 novembre 2012, n. 34 (Riduzione dei costi della politica). Il Presidente del Consiglio regionale determina con proprio decreto l’ammontare della somma”.
2. Si duole parte appellante della mancata previsione, da parte della riportata disposizione di legge regionale, di misure efficacemente presidianti l’equilibrio della rappresentatività di genere (e, quindi, la proporzionalità nella composizione delle liste elettorali): lamentando che la sola presenza di una sanzione pecuniaria, peraltro applicabile ex post, a carico delle liste che non abbiano osservato il rapporto 60/40 fra i sessi (in luogo di interventi che, nella fase di ammissione delle liste, consentano di ricondurre la composizione delle stesse secundum legem) non configuri la presenza di un “serio deterrente, suscettibile di garantire la piena attuazione dei postulati costituzionali volti a consentire la promozione delle pari opportunità in sede di accesso alle cariche pubbliche elettive”.
Come illustrato in narrativa, il mancato rispetto dell’indicato rapporto di proporzionalità ha riguardato – quanto alla recente tornata elettorale – due delle liste presentate per il rinnovo del Consiglio regionale pugliese (“Fo. It.” e “La Pu. do.”), con riferimento alle quali viene contestata la legittimità dell’esito del voto, con conseguente richiesta di annullamento della elezione alla carica di Consigliere regionale dei sei candidati in esse utilmente collocatisi.
L’annullamento della nomina dei signori St. La. ed altri, viene dalla stessa parte appellante richiesto quale conseguenza del presupposto annullamento delle determinazioni degli Uffici centrali circoscrizionali, nonché dell’Ufficio centrale regionale, con le quali è stata disposta l’ammissione alla competizione elettorale delle liste con contrassegno “Fo. It.” e “La Pu. do.”.
3. Va, in primo luogo, esclusa la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa di primo grado, sollevata dalle difese dei signori Pa. e So. dell’E. (memorie depositate il 19 febbraio 2021), in quanto il gravame è stato proposto, in asserita violazione del termine previsto dall’art. 129 c.p.a. (con relativa decorrenza dalla data di ammissione delle liste), a far tempo dalla proclamazione degli eletti.
Invero, il primo comma dell’art. 129 impone di impugnare “nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante affissione, ovvero dalla comunicazione, se prevista, degli atti impugnati”, i “provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali…”; mentre il successivo comma 2 stabilisce che “gli atti diversi da quelli di cui al comma 1 sono impugnati alla conclusione del procedimento unitamente all’atto di proclamazione degli eletti”.
I provvedimenti di cui al comma 1 sono, inequivocabilmente, quelli recanti esclusione di liste e/o singoli candidati dalla competizione elettorale.
Milita, in tal senso, il condiviso orientamento interpretativo di questo Consiglio, in base al quale, “ai sensi dell’art. 129 cod. proc. amm., come novellato dal d.lgs. 160/2012, fra i provvedimenti che vanno immediatamente impugnati, in quanto lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale, non vanno inclusi anche gli atti di ammissione di candidati o liste differenti da quelle del ricorrente, non potendo detta norma applicarsi al di là dei casi da essa specificamente previsti, attesa la sua natura derogatoria rispetto ad altre regole processuali di portata generale” (Cons. Stato, Sez. III, 18 maggio 2016, n. 2073), con conseguente sussumibilità dei provvedimenti di ammissione nel novero di quegli atti, ai quali si riferisce il comma 2 dell’art. 129, c.p.a, che possono essere “impugnati [esclusivamente] alla conclusione del procedimento unitamente all’atto di proclamazione degli eletti”.

 

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Tale approccio ermeneutico si fonda su una (letterale) applicazione della disposizione anzidetta, interpretata in termini (necessariamente) tassativi.
E trova giustificazione nell’esigenza di escludere l’onere d’impugnazione immediata dell’ammissione di una lista altrui, della quale pur si predichi l’illegittimità, in quanto “l’elemento di lesività sul quale la nuova formulazione del comma 1 dell’articolo 129 è incentrata deve pur sempre investire il “diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale”: siffatta condizione di pregiudizio profilandosi “unicamente in presenza di un’esclusione della lista interessata, laddove l’ammissione altrui non incide, per converso, sul “diritto a partecipare al procedimento”, situazione di natura strumentale che rimane impregiudicata e intatta, ma può solo dispiegare un’eventuale influenza sfavorevole sul futuro esito dell’elezione, riverberandosi quindi su un interesse di natura sostanziale che solo, però, alla luce del concreto risultato elettorale registrato potrebbe dirsi leso (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 6 novembre 2015, n. 5069).
Non può non convenire il Collegio sulla configurazione della disposizione contenuta nell’art. 129 c.p.a., quale peculiare forma di tutela anticipata, finalizzata alla “stabilizzazione” della composizione delle liste e dei candidati ammessi anteriormente allo svolgimento della competizione elettorale; e, conseguentemente, disciplinante le modalità di reazione in sede giurisdizionale avverso i provvedimenti di esclusione da una competizione elettorale.
Ratio che, a ben vedere, non è ravvisabile nell’ipotesi – pertinente alla sottoposta vicenda contenziosa – nella quale formi oggetto di contestazione in sede giudiziale l’ammissione (di un candidato, ovvero) di una lista: atteso che siffatta fattispecie, insuscettibile di incidere sul regolare svolgimento della competizione, trova tutela (soltanto) attraverso l’impugnazione dell’esito della consultazione, evidentemente nei limiti dell’interesse alla correzione del risultato, ove inficiato dall’ammissione ritenuta illegittima.
È ben vero che la particolarità della sottoposta controversia è insita nella contestata composizione delle liste, integrando essa – secondo la prospettazione degli appellanti – una sorta di vizio “genetico”: il quale ha, soltanto derivativamente, informato l’esito del voto (nella misura in cui, sempre secondo quanto argomentato dalla parte, il risultato elettorale sarebbe stato “condizionato” dalla mancata esclusione e/o “riduzione” delle liste inosservanti della proporzione di genere, giusta quanto in narrativa diffusamente esposto).
Nondimeno, oggetto di sollecitazione del sindacato giurisdizionale rimane, pur sempre, il risultato elettorale: dovendosi, per l’effetto, escludere la sussumibilità della presente controversia nel genus di quelle contemplate dal comma 1 dell’art. 129 (per il quale, va ribadita una applicazione insuscettibile di interpretazione estensiva, attesa la inequivoca tassatività della norma), con riveniente inassoggettabilità della tempistica di adizione del giudice amministrativo al termine (di tre giorni) da tale disposizione previsto.
4. Dato, dunque, atto dell’ammissibilità del ricorso di prime cure, la disamina dei motivi di appello proposti avverso la sentenza resa dal T.A.R. Puglia non consente di apprezzarne la concludenza ai fini della sollecitata riforma di tale pronunzia.
Come illustrato, l’assunto propugnato dalla parte appellante trova fondamento nell’affermata inidoneità (rectius: inadeguatezza) delle disposizioni di legge regionale al fine di assicurare, con carattere di effettività, il rispetto della proporzione di genere nella composizione delle liste che partecipano alla competizione elettorale.
In tal senso, viene ritenuto che soltanto una previsione sanzionatoria di tipo “reale” – sostanziata dalla esclusione della lista “inosservante” siffatta indicazione normativa; ovvero, dalla “riduzione” della lista stessa, preordinata al ripristino del rapporto proporzionale 60/40 – avrebbe potuto “efficacemente” presidiare il rispetto della “equilibrata” presenza fra candidati di sesso maschile e femminile.
Diversamente, la previsione di una sanzione avente carattere meramente pecuniario (e, ulteriormente, applicabile ex post; successivamente, cioè, all’insediamento del Consiglio regionale) non integrerebbe idoneo “deterrente” ai fini di che trattasi.
Da ciò, la pure illustrata denuncia di illegittimità costituzionale della legge regionale pugliese – che integra, invero, il proprium della presente impugnativa, così come del ricorso in prime cure proposto dinanzi al T.A.R. di Bari – per asserita violazione dei parametri di cui agli artt. 3, comma 2, 51, comma 1, 117, comma 7, 122, comma 1 (con riferimento, quale norma interposta, all’art. 4, lett. c-bis, n. 1), della legge statale n. 165/2004, come modificata e integrata, da ultimo, con l’art. 1, comma 1, della legge statale n. 20/2016) e 123, comma 1 (con riferimento all’art. 6 dello Statuto della Regione Puglia, approvato con legge regionale 12 maggio 2004 e s.m.i.).

 

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5. Non ritiene il Collegio che la prospettazione di parte si presti a condivisione.
5.1 Va, in primo luogo, evidenziato come la lett. c-bis) dell’art. 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione), stabilisca che “le regioni disciplinano con legge il sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali nei limiti dei seguenti princì pi fondamentali:

promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive, disponendo che:
1) qualora la legge elettorale preveda l’espressione di preferenze, in ciascuna lista i candidati siano presenti in modo tale che quelli dello stesso sesso non eccedano il 60 per cento del totale e sia consentita l’espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso, pena l’annullamento delle preferenze successive alla prima;
2) qualora siano previste liste senza espressione di preferenze, la legge elettorale disponga l’alternanza tra candidati di sesso diverso, in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale;
3) qualora siano previsti collegi uninominali, la legge elettorale disponga l’equilibrio tra candidature presentate col medesimo simbolo in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale”.
Nel testo di legge statale, come sopra riportato, una previsione sanzionatoria di carattere “reale” trova espressa disciplina con riferimento alla sola violazione del principio di preferenza “di genere” (con annullamento, secondo quanto stabilito al n. 1), delle preferenze successive alla prima).
E tale sanzione è stata, come si è visto, introdotta nella legge elettorale pugliese per effetto del riportato decreto legge n. 86 del 2020.
Quanto, diversamente, al rapporto (60/40) nella composizione delle liste, in assenza di una puntuale difformità della previsione sanzionatoria “pecuniaria” (come si è visto, disciplinata dalla legislazione pugliese) rispetto alle indicazioni promananti dalla legge statale di principio, non è dato convenire con la prospettazione di parte appellante, secondo la quale l’unica forma di efficace presidio della “parità di genere” nell’accesso alle cariche pubbliche elettive risiederebbe nella previsione di disposizioni che:
– attraverso la “riduzione” del numero dei componenti delle liste,
– ovvero, mediante l’esclusione delle liste inosservanti del principio di proporzionale composizione di che trattasi,
si risolvano in un’effettiva garanzia dei postulati costituzionali anzidetti.
5.2 La finalità perseguita dal legislatore, infatti, risiede nel garantire, sulla base dei principi costituzionali dalla stessa parte appellante evocati, l’attuazione del diritto di elettorato passivo, coniugata con una “equilibrata” composizione di genere, al fine di dare concreta effettività, con essa, al principio di eguaglianza, di cui al comma 2 dell’art. 3 della Costituzione (riferita, per quanto qui di interesse, alla preclusa discriminazione in base al sesso).
La realizzazione di tale intento, come si è visto, è transitata attraverso una legge statale “di principio”, alle cui prescrizioni le Regioni sono tenute ad informare la disciplina riguardante le elezioni del Consiglio regionale (oltre che degli organi rappresentativi degli altri enti locali), nell’ambito delle prerogative legislative a queste ultime rimesse ex art. 122 della Costituzione: il cui comma 1 prevede che “il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princì pi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”.

 

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Tale disposizione va coniugata, quanto ai profili di interesse evidenziati dalla presente controversia:
– con l’art. 51 (non 52, come erroneamente indicato nell’appellata sentenza), in base al quale “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”;
– e con il comma 7 dell’art. 117, il quale dispone che “le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.
Come pure si è avuto modo di rilevare, l’attuazione dei suindicati principi è stata, dal legislatore statale, propiziata con la legge 2 luglio 2004, n. 165: il cui art. 4 è, specificamente, rivolto all’introduzione di misure preordinate alla promozione della parità di accesso alle cariche elettive.
Tale norma, come si è osservato, ha dettato i “principi fondamentali”, ai quali le Regioni devono uniformarsi nella disciplina del sistema di elezione del Presidente della Giunta e dei consiglieri: fra i quali, la “promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive” (punto c-bis).
Tale finalità trova, nell’indicato disposto di legge, realizzazione attraverso due distinte – ed evidentemente non sovrapponibili; né, altrimenti, omogeneizzabili quoad effectum – previsioni, rappresentate:
– dalla presenza, in ciascuna lista, di candidati in misura tale, che “quelli dello stesso sesso non eccedano il 60 per cento del totale”;
– dalla possibilità, per il cittadino elettore, di esprimere almeno due preferenze, “di cui una riservata a un candidato di sesso diverso”.
La divisata non assimilabilità delle suindicate previsioni normative, appieno rileva, ove si consideri che:
– se la prima di esse è rivolta, con ogni evidenza, ai presentatori delle liste, ai quali è rimessa l’indicazione dei candidati in esse compresi;
– la seconda trova esclusivo riferimento alla volontà espressa dal cittadino elettore, al quale è preclusa, come successivamente esposto, l’espressione di preferenze in violazione dell’equilibrio di genere.

 

Elezioni regionali ed il procedimento elettorale

 

Soltanto l’osservanza della seconda delle indicate prescrizioni è assistita da misura di carattere “reale” (atteso che, per il caso di mancato equilibrio di genere nell’espressione delle preferenze, interviene “l’annullamento delle preferenze successive alla prima”); mentre non altrettanto è predicabile con riferimento al rispetto dell’equilibrio proporzionale fra i sessi (60/40), quanto alla composizione delle liste.
5.3 Escluso, dunque, che ricorra, quanto alle disposizioni presidianti l’accesso alle cariche elettive con riferimento alla parità di genere, una ipotizzabile eadem ratio, suscettibile di omogeneamente sanzionarne l’inosservanza con misure aventi analoga connotazione “reale”, ritiene il Collegio che la sanzione prevista dalla legislazione pugliese, con riferimento al mancato rispetto del rapporto fra sessi, non si ponga in violazione dei parametri costituzionali evocati dalla parte appellante.
In primo luogo, va rimarcato come la previsione di cui alla legge regionale n. 2 del 2005 (art. 8) riveli configurazione pedissequamente riproduttiva rispetto al principio di proporzionalità (60/40) stabilito dalla suindicata legge statale n. 165 del 2004; di talché, ponendosi quest’ultima come “norma di principio”, alla quale il legislatore regionale è tenuto ad adeguare la disciplina di spettanza, la mancata previsione di una sanzione “reale” a fronte dell’inosservanza dell’equilibrio suindicato, necessariamente imporrebbe (nella misura in cui neppure la legislazione statale ha previsto misure di tal genere), la necessaria formulazione di dubbi di compatibilità costituzionale (anche) con riferimento alla norma interposta (rispetto alla quale, come si è visto, il legislatore pugliese ha posto in essere un intervento meramente attuativo, non depauperandone la portata applicativa da previsioni anche indirettamente “coercitive”).
Piuttosto, la legislazione elettorale della Regione Puglia si è dimostrata inadeguata con esclusivo riferimento alla previsione di una misura (questa sì, come si è visto, di carattere “reale”) sanzionante l’indicazione di preferenze non “rispettose” della parità di genere: mancanza che, come pure si è avuto modo di rilevare, è stata, anteriormente allo svolgimento dell’ultima consultazione elettorale, scongiurata per effetto dell’intervento sostitutivo-additivo, promosso con il decreto legge 31 luglio 2020 n. 86 (convertito in legge 7 agosto 2020, n. 98), recante introduzione di una seconda preferenza “riservata a un candidato di sesso diverso dall’altro” e previsione, “nel caso in cui siano espresse due preferenze per candidati del medesimo sesso, dell’annullamento della seconda preferenza”.
L’intervento sostitutivo di che trattasi ha realizzato un pieno allineamento della legislazione elettorale pugliese con i principi dettati dalla legislazione statale; anche con riferimento, si ribadisce, all’unica previsione sanzionatoria di carattere reale da quest’ultima disciplinata a fronte della mancata attuazione del principio di parità di genere ai fini dell’accesso alle cariche pubbliche elettive.

 

Elezioni regionali ed il procedimento elettorale

 

5.4 L’affermata violazione dei parametri costituzionali – che, nella prospettazione di parte appellante appunto accede alla sanzione (meramente) pecuniaria prevista dalla legge regionale n. 2 del 2005 in caso di “non equilibrata” composizione delle liste; peraltro, derivativamente rispetto ad omogenea omissione rilevabile nella norma interposta, di cui all’art. 4 della legge statale n. 165 del 2004 – non trova condivisione, da parte del Collegio, in quanto:
– ferma l’esigenza di una corretta composizione proporzionale delle liste elettorali, in attuazione dei principi sopra esposti;
– la mancata attuazione, ad opera di una lista, della relativa disposizione, lungi dal porsi essa stessa quale elemento di (unica, quanto diretta) vulnerazione della parità di accesso alle cariche pubbliche elettive, piuttosto integra una inosservanza, la cui eventuale sanzione non può che essere rimessa alla volontà che il corpo elettorale è chiamato, liberamente, ad esprimere.
La concreta “scelta” del candidato alla carica di Consigliere regionale (e, quindi, del genere al quale esso appartenga) esclusivamente pertiene – impregiudicata la proporzionale composizione delle liste – alla sovranità del corpo elettorale: il quale, attraverso l’espressione del voto, ben potrà “sanzionare”, in maniera efficacemente “reale”, quelle liste, la cui composizione non si sia dimostrata rispettosa dell’equilibrio di genere.
In ogni caso, anche in presenza di liste non osservanti il rapporto proporzionale di che trattasi, il conclusivo risultato ben potrebbe rivelarsi “in linea” con l’anzidetto rapporto (sì da garantire una “corretta” composizione dell’organismo assembleare); mentre, anche a fronte del rispetto del rapporto in discorso, potrebbero tuttavia risultare eletti candidati tutti appartenenti al medesimo sesso, con riveniente compromissione della finalità ispirativa delle previsioni in argomento.
Intende, con ciò, il Collegio affermare che il principio di equilibrata composizione delle liste, piuttosto che garantire, ex se riguardato, il conseguimento della finalità alla quale è protesa la legislazione a tutela della “parità ” di accesso alle cariche pubbliche elettive, ha carattere meramente strumentale, rispetto all’esito della competizione elettorale (e, quindi, al conseguimento dell’utilità “finale”, al quale è preordinata la disciplina legislativa, statale e regionale, di che trattasi, individuabile nell’assicurare che la composizione degli organi elettivi comprenda candidati appartenenti ad entrambi i generi, nella proporzione di legge).
Se tale risultato non è, come si è visto, assicurabile per effetto della previsione di una sanzione “reale” a presidio del rapporto 60/40 (atteso che, in ogni caso, esso non può che transitare attraverso l’espressione della volontà del corpo elettorale), trova allora comprensibile giustificazione la previsione di una misura “sanzionatoria” di carattere “reale” (annullamento delle preferenze successive alla prima), posta a presidio della (sola) espressione del voto.

 

Elezioni regionali ed il procedimento elettorale

 

Soltanto, infatti, ove fosse consentita l’indicazione di preferenze non alternativamente espresse nel genere, verrebbe a consumarsi l’effettiva compromissione della finalità perseguita dal legislatore; e, con essa, dei sottesi principi costituzionali (in primo luogo, ex artt. 3 e 51) a presidio dell’effettività dell’uguaglianza dei cittadini per l’accesso alle cariche pubbliche elettive.
E, per l’effetto – condivisibilmente, quanto in maniera costituzionalmente compatibile – soltanto tale evenienza viene ad essere legislativamente sanzionata, con un intervento diretto all’espressione del voto di preferenza, che viene (in parte qua; e nella misura in cui essa si ponga in violazione della rappresentanza di genere) “chirurgicamente” incisa, nella misura in cui le preferenze “ulteriori” soffrono della sanzione “reale” dell’annullamento.
Sovrapponibile ratio non è predicabile, ad avviso del Collegio, relativamente alla composizione delle liste: la quale, seppur legislativamente assistita dalla previsione di un rapporto di proporzionalità, proprio in quanto insuscettibile di coinvolgere l’espressione del voto, non è intercettata da fattispecie repressive di carattere “reale” (esclusione della lista, piuttosto che riduzione della relativa composizione, fino alla ricostituzione del rapporto 60/40), invece costituzionalmente coerenti con la sola fase dell’espressione della preferenza (la quale, come si è rilevato, è l’unica a determinare concrete conseguenze sulla composizione dell’organo elettivo).
Siffatta coerenza incontra elementi di palese ragionevolezza in ragione della divisata non assimilabilità delle due distinte previsioni, riguardata sub specie della non sovrapponibile incidenza delle stesse al fine di assicurare il rispetto del principio di garanzia della parità di genere nell’accesso alle cariche pubbliche elettive.
Di tal guisa, che il previsto e diversificato apparato sanzionatorio che assiste le rispettive violazioni (atteggiantesi, secondo una terminologia di derivazione romanistica, alla stregua delle conseguenze rivenienti dalla inosservanza delle leges perfectae, piuttosto che dalle leges minus quam perfectae: laddove il tema delle c.d. leges imperfectae, ossia quelle senza alcuna sanzione, non attiene comunque al caso di specie, essendosi prevista una sanzione, sebbene pecuniaria, per la violazione del precetto) non si pone, ad avviso del Collegio, in violazione degli evocati parametri costituzionali, in presenza di misure afflittive di carattere patrimoniale (quali quelle previste dalla legge elettorale pugliese a fronte della violazione della proporzionale composizione della lista) che, pur correttamente esprimendo il disvalore per il mancato rispetto dell’anzidetto rapporto, nondimeno non incidono con carattere reale sulla composizione della lista stessa.
6. Merita infine osservarsi – a ulteriore conferma della delibazione di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale reiterata da parte appellante in questa sede – la considerazione che, in questi ambiti, la Costituzione non impone al legislatore statale (e, in via derivata, a quello regionale: ambo i quali restano dunque liberi di operare le scelte che ritengano) un’entità minima per le c.d. misure propulsive da adottare per promuovere la parità di genere nella competizione elettorale (tanto che, a Costituzione invariata, siffatte misure prima non erano neppure previste, mentre ora legittimamente lo sono).
Ne consegue la manifesta legittimità costituzionale di ogni opzione legislativa che, nel rispetto della fonte superiore, il legislatore statale e, quindi, quello regionale prediligano.
Trattasi, per vero, di un delicatissimo equilibrio tra tali misure propulsive (nella specie “di genere”; ma il ragionamento non potrebbe non essere sostanzialmente ana per l’imposizione di ogni altro limite che sia posto ex ante alla candidabilità, quand’anche correlato ai precedenti penali del cittadino) e il contrapposto interesse, pure costituzionalmente protetto, alla piena estrinsecazione della sovranità popolare, ex se almeno tendenzialmente incoercibile e che maltollera limitazioni di sorta: equilibrio, dunque, che sembra doversi correttamente individuare esclusivamente a livello politico-legislativo, senza che l’interprete lo alteri con proprie opzioni esegetiche (per quanto buone e nobili esse siano).
7. Consegue alle considerazioni, come sopra condotte, l’esclusa fondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale: e, con essa, la reiezione del proposto appello, con accessiva conferma, quantunque con diversa motivazione, della sentenza di prime cure.
La novità della controversia – su cui, come si è detto, ha inciso anche un intervento decretale alla vigilia della tornata elettorale – integra idoneo fondamento giustificativo ai fini della compensazione, fra le parti costituite, delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con Sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 4 maggio 2021, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Ermanno de Francisco – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere
Roberto Politi – Consigliere, Estensore

 

 

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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