Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 28 novembre 2018, n. 6733.
La massima estrapolata:
Il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consuma il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e, in ogni caso, il termine ragionevole per la sua adozione decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro.
Sentenza 28 novembre 2018, n. 6733
Data udienza 1 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9512 del 2013, proposto da
Mi. Ma. e Gi. Ma., rappresentati e difesi dall’avv. Gi. Ca., e elettivamente domiciliati in Roma, alla via (…) presso l’avv. Pi. Co., per mandato in calce all’appello;
contro
Comune di Bari, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Au. Fa. e An. Va., e elettivamente domiciliato in Roma, alla via (…), presso lo studio dell’avv. Fa. Ca., per mandato in calce all’atto di costituzione nel giudizio d’appello;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, Sezione 3^, n. 613 del 19 aprile 2013, resa tra le parti, con cui, previa riunione, e con condanna al pagamento delle spese processuali, sono stati rigettati i ricorsi in primo grado n. r. 1075/2010 e n. r. 1684/2010, integrati con motivi aggiunti, proposti per l’annullamento:
– della determinazione dirigenziale n. 78478 di prot. del 25 marzo 2010 di annullamento in autotutela delle autorizzazioni edilizie n. 17519 dell’8 agosto 1989, n. 20901 dell’8 gennaio 1991 e n. 70-2000 del 4 luglio 2000 (impugnate con il ricorso n. r. 1075/2010);
– della determinazione dirigenziale n. 15230 di prot. del 18 giugno 2010, recante ingiunzione di demolizione o rimozione delle opere abusive (impugnata con il ricorso n. r. 1684/2010):
– del verbale di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione n. 323 del 9 novembre 2010, notificata al solo Mi. Ma. (impugnata con primi motivi aggiunti);
– del verbale di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione n. 323 del 9 novembre 2010, notificata a entrambi i ricorrenti (impugnata con i secondi motivi aggiunti)
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bari;
Viste le memorie depositate dalle parti;
Vista l’ordinanza collegiale n. 3901 del 4 agosto 2017;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 marzo 2018 il Cons. Leonardo Spagnoletti e udito l’avv. Fa. Ca., per delega dell’avv. Au. Fa., per l’appellato Comune di Bari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.) I signori Mi. Ma. e Gi. Ma. hanno conseguito tre distinte autorizzazioni edilizie, rispettivamente n. 17519 dell’8 agosto 1989 (relativa a “recinzione a giorno sul filo strada della vicinale (omissis) ed in muratura lungo i confini interni di suoli siti alla strada (omissis)”) n. 20901 dell’8 gennaio 1991 (inerente a “completamento recinzione – strada vicinale (omissis)”), rilasciate al primo, e n. 70-2000 del 4 luglio 2000 (riguardante “sistemazione suolo per impianto autoparco a cielo aperto destinato al rimessaggio di autoveicoli”), rilasciata a entrambi, tutte funzionali alla realizzazione di un autoparco all’aperto per rimessaggio di autoveicoli.
1.1) Con determinazione dirigenziale comunale n. 78478 del 25 marzo 2010 -richiamata nota dell’Autorità di bacino inerente il progetto definitivo esecutivo degli “interventi di ripristino della continuità della sponda sinistra del torrente (omissis) nel tratto che lambisce la ex cava di Naso”, nonché la comunicazione d’avvio del procedimento n. 697557 del 16 marzo 2009-, esaminate le controdeduzioni degli interessati, è stato disposto l’annullamento delle tre autorizzazioni perché “…sussistono rilevanti ragioni per procedere all’annullamento atteso che le opere ricadono nell’alveo della lama (omissis) zona tutelata ai sensi del d.lgs. n. 42/04, dal P.U.T.T./P- artt. 2.01 punto 1.3 e 3.08.4 punto 4.1- e dalle norme del P.A.I. – art. 4 comma 3 punto c”.
1.2) Con ricorso in primo grado n. r. 1075/2010 gli interessati hanno impugnato la suddetta determinazione, deducendo con unico motivo articolato:
Eccesso di potere, illogicità, irragionevolezza del provvedimento impugnato.
Incontestato che le opere assentite con le autorizzazioni annullate ricadono nell’alveo torrentizio denominato lama (omissis), si evidenza che il vincolo d’inedificabilità -impresso con il d.lgs. n. 42 del 2004, il P.U.T.T./p. artt. 2.01 e 3.08 punto 4 punto 4.1 e il P.A.I., art. 4, comma 3, punto C- è successivo rispetto all’ultimo dei tre provvedimenti autorizzativi e che il provvedimento di annullamento in autotutela è stato emanato a distanza di molti anni dalla realizzazione delle opere, in violazione del termine ragionevole di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.
1.3) Con successivo ricorso in primo grado n. r. 1684/2010, gli interessati hanno altresì impugnato la determinazione dirigenziale comunale n. 15230 di prot. del 18 giugno 2010, recante ingiunzione di demolizione o rimozione delle opere abusive, deducendo con unico articolato motivo:
Violazione di legge ed illogicità del provvedimento, perché le opere realizzate non possono qualificarsi abusive, in quanto assentite con regolari autorizzazioni, non potendosi qualificarle tali in relazione all’annullamento in autotutela delle medesime, comunque sub judice, ed essendo l’ingiunzione di demolizione inficiata in via derivata dall’illegittimità del provvedimento presupposto.
1.4) Con separati motivi aggiunti è stato poi impugnato, deducendone l’invalidità derivata, il verbale di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione n. 323 del 9 novembre 2010, notificato separatamente ai signori Ma..
1.5) Nel giudizio si è costituito il Comune di Bari, a sua volta deducendo l’infondatezza dei due ricorsi e dei relativi motivi aggiunti.
2.) Con sentenza n. 613 del 19 aprile 2013 il T.A.R. Puglia, previa riunione, ha rigettato entrambi i ricorsi e i relativi motivi aggiunti.
2.1) Quanto al ricorso n. r. 1075/2010, il giudice amministrativo pugliese “…aderendo all’orientamento consolidato di questo Tribunale, ritiene che il vincolo di inedificabilità assoluta a tutela delle lame trovi supporto normativo fin dal 1980 nel territorio della Regione Puglia e senza soluzione alcuna di continuità …(perché )… trova il suo fondamento normativo e la sua genesi anzitutto nella legge n. 431 del 1985, che – all’art. 1 quinquies – prevede l’assoluto divieto di ogni modificazione dell’assetto del territorio e di realizzazione di qualsiasi opera edilizia sulle aree e i beni di cui all’art. 2 del d.m. 21 settembre 1984, fino all’adozione da parte delle regioni dei piani di cui all’art. 1 bis”.
2.1.1) Sotto altro aspetto, ha osservato il T.A.R., “…anche l’art. 51 della L.R. 56/80 prevedeva il divieto di edificazione nella fascia di 200 m. dalla battigia delle coste dei laghi, dei fiumi, delle gravine fino all’entrata in vigore dei piani territoriali e che le lame sono state espressamente oggetto di tutela nella Regione Puglia fin dall’entrata in vigore del d.m. 1 agosto 1985 (dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio delle lame ad ovest e a sud est di Bari) e – successivamente – con la L.R. 11/5/90 n. 30…(tenuto conto che)… il termine “lama o gravina”, anche ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera c della L.R. 30/90, indica l’alveo torrentizio interessato dal deflusso di acque meteoriche…(essendo)… “lama” l’alveo torrentizio poco profondo e quasi sempre asciutto, mentre si definisce gravina il solco torrentizio con carattere di gola (in letteratura scientifica vedasi per tutti: Fu. e Ti. Ze.- Il carsismo in Puglia- ed. Adda- 1999); altri distinguono la lama dalla gravina in relazione al profilo della sezione, rispettivamente ad U e a V”.
2.1.2) In definitiva “…poiché dunque il termine lama e il termine gravina costituiscono species nell’ambito del genus torrenti, risulta evidente la sottoposizione delle stesse al vincolo paesaggistico già previsto dall’art. 82, comma 5, lettera c del D.P.R. 616/77 richiamata dall’art. 1 del D.L. 312/85, convertito con legge 431/85…(ed esse)… risultano tutelate con vincolo di inedificabilità dall’art. 51 lettera h della L.R. 56/80, tutela successivamente ribadita con la L.R. 30/90”.
2.1.3) Ne consegue che le autorizzazioni erano “ab origine” viziate perché avevano assentito la realizzazione di opere in zona gravata da vincolo d’inedificabilità assoluta.
2.1.4) Quanto alla violazione del termine ragionevole, premesso che “…l’art 21-nonies nel prevedere il limite temporale del “termine ragionevole” ha dato vita tuttavia ad un parametro indeterminato ed elastico… risulta dal provvedimento impugnato che il Comune di Bari abbia provveduto ad una adeguata ponderazione comparativa dell’interesse pubblico al ripristino della legalità con quello privato al mantenimento di situazioni oramai consolidate per il tempo trascorso, risalendo le autorizzazioni annullate al 1989, 1991 e 2000, avendo espressamente posto a fondamento del provvedimento impugnato la “tutela della pubblica incolumità ” quale pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare, ad avviso del Collegio, il sacrificio del contrapposto interesse privato, in adempimento peraltro anche a quanto disposto dall’Autorità di Bacino con la nota prot. n. 13143 del 16 gennaio 2007″.
2.2) Analogamente infondato è stato ritenuto il ricorso n. r. 1684/2010 il T.A.R. ha osservato che “…emerge dallo stesso provvedimento impugnato che l’ordinanza di ingiunzione a demolire è provvedimento consequenziale a quello di autotutela impugnato con il primo ricorso; pertanto non può che ravvisarsi l’infondatezza delle medesime censure riproposte in via derivata e già dedotte con il primo ricorso proposto avverso l’atto presupposto (il provvedimento di autotutela) ritenuto infondato”.
2.3) Infine sono stati considerati infondati anche i motivi aggiunti recanti appunto mere censure d’invalidità derivata.
3.) Con appello notificato il 2 dicembre 2013 e depositato il 30 dicembre 2013, i signori Ma. hanno impugnato la sentenza, deducendo in sintesi, con unico articolato motivo:
Nullità del provvedimento, violazione di legge, illogicità e irragionevolezza
Contrariamente a quanto opinato dal giudice amministrativo pugliese esulano i presupposti per l’annullamento in autotutela delle autorizzazioni edilizie -potendo semmai disporsene la revoca verso indennizzo, e in effetti nemmeno quest’ultima “…in quanto le opere legittimamente assentite sono state da molti anni completate…”- perché il vincolo d’inedificabilità, e la normativa del P.U.T.T. e del P.A.I. richiamata nella determinazione dirigenziale di annullamento, sono successive ai titoli edilizi e alla realizzazione dei manufatti.
Peraltro avendo la determinazione dirigenziale richiamato soltanto la normativa di cui al d.lgs. n. 42/2004, al P.U.T.T./p. e al P.A.I., non potrebbe riqualificarsi l’annullamento in funzione di disposizioni normative anteriori.
Vi è inoltre violazione del termine ragionevole perché l’annullamento è intervenuto a distanza rispettivamente di ventuno, diciannove e dieci anni da ciascuno dei provvedimenti autorizzativi.
Non trattandosi di opere abusive non poteva ingiungersene la demolizione, ricollegata dal Comune a pretese difformità in effetti inesistenti e comunque superate dall’autorizzazione del 4 luglio 2000, e non essendo stato notificato il verbale di accertamento della violazione urbanistico – edilizia n. 25/07 alla signora Gi. Ma..
Il T.A.R. riprendendo pedissequamente la motivazione di altra precedente sentenza afferente peraltro a fattispecie diversa di diniego di condono edilizio, ha fornito un autonomo e diverso supporto motivazionale ai provvedimenti impugnati.
Il vincolo temporaneo assoluto d’inedificabilità di cui all’art. 1 quinquies della legge n. 431/1985 è scaduto al 31 dicembre 1985, non essendosi provveduto alla specifica individuazione, con indicazioni planimetriche e catastali, delle aree assoggettate a vincolo, e quindi anteriormente al rilascio delle autorizzazioni, mentre l’art. 51 lettera h) della l.r. n. 56/1980 si riferisce alle gravine e non anche alle lame, che sono contemplate soltanto nella successiva l.r. n. 30/1990.
Il richiamo al d.m. 1° agosto 1985, n. 30, contenuto nella sentenza, è affatto erroneo, perché eil vincolo ivi introdotto, comunque scaduto il 31 dicembre 1985, riguardava specificamente il territorio dei Comuni di Taranto e (omissis).
3.1) Costituitosi in giudizio con atto del 9 gennaio 2014, il Comune di Bari, con memoria depositata il 6 aprile 2017 ha dedotto, a sua volta, l’infondatezza dell’appello ribadendo la correttezza della sentenza gravata e precisando che la determinazione di annullamento in autotutela è stata adottata in relazione alle esigenze di ripristino della continuità della sponda sinistra della lama (omissis) come disposta da provvedimento dell’Autorità di bacino in data 16 gennaio 2007, a seguito di evento alluvionale del 2005.
3.2) Con ordinanza n. 3901 del 4 agosto 2017, emanata all’esito dell’udienza pubblica del 27 giugno 2017, il Collegio – rilevato che con ordinanza n. 1830 del 19 aprile 2017, la Sezione aveva rimesso all’Adunanza Plenaria la questione di diritto relativa alla misura della motivazione di provvedimenti di annullamento in autotutela ai sensi dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, come introdotto dalla legge n. 15/2015, intervenuti ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato- ha ritenuto opportuno, in attesa del deposito dell’arresto della Plenaria, di rinviare d’ufficio la trattazione all’udienza pubblica del 1° marzo 2018.
3.3) All’udienza pubblica del 1° marzo 2018, presente il solo sostituto del difensore dell’Amministrazione comunale, l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.
4.1) La determinazione dirigenziale di annullamento in autotutela delle tre autorizzazioni edilizie -che vanno riguardate nel loro complesso come funzionali alla realizzazione di un autoparco a cielo aperto per il rimessaggio di autoveicoli- individua in modo chiaro le ragioni dell’illegittimità dei titoli edilizi nell’esistenza e assoggettamento della zona, incontestatamente ricadente nell’alveo (o lama) del torrente (omissis), a vincolo assoluto d’inedificabilità .
4.2) Tale vincolo d’inedificabilità, contrariamente a quanto prospettato dalle pur suggestive argomentazioni del difensore degli appellanti, non è stato introdotto ex novo e quindi solo de futuro dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (e in specie dall’art. 142 comma 1 lettera c), oppure dalle prescrizioni del P.U.T.T./P (approvato con deliberazione della Giunta Regionale della Puglia n. 1748 del 15 dicembre 2000) o del P.A.I. (approvato con deliberazione del Comitato Istituzionale dell’Autorità di bacino della Puglia n. 39 del 30 novembre 2005).
Esso infatti risale alla disposizione dell’art. 51 comma 1 lettera h) della legge regionale della Puglia n. 56 del 30 maggio 1980, a tenore del quale:
“Salvo quant’altro disposto da leggi statali e regionali, sino all’entrata in vigore dei piani territoriali:
omissis
h) è vietata qualsiasi opera di edificazione all’interno della fascia di 200 metri dalla battigia delle coste dei laghi, dei fiumi, delle gravine
omissis”.
La circostanza che la disposizione si riferisca testualmente alle “gravine” e non anche alle “lame”, non vale a circoscrivere alle prime soltanto l’oggetto della tutela, perché le prime e le altre sono da ricondurre in termini generali, e non sempre con evidente distinzione, per la possibilità di varia conformazione geologica dei territori percorsi, ad alvei torrentizi scavati nel corso dei secoli, differenziati solo dal profilo (con letto profondo e pareti scoscese per le gravine e quindi con profilo a V, con letto più largo e pareti verticali per le lame e quindi con profilo a U).
In altri termini la disposizione regionale deve essere rettamente intesa e interpretata in funzione della elencazione in termini ampi e esemplificativi, come riferibile a qualsiasi bacino di tipo imbrifero, percorso anche soltanto in via sporadica ed eccezionale da acque meteoriche.
4.3) Allorché la legge regionale della Puglia n. 30 dell’11 maggio 1990, ricollegandosi espressamente alle previsioni della precedente legge regionale n. 56/1980 (“Fino all’approvazione, ai sensi della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56, del PUTT (Piano urbanistico territoriale tematico) del ” Paesaggio e dei beni ambientali”, quale piano paesistico territoriale, con specifica considerazione dei valori paesaggistici ed ambientali, previsto dall’art. 1 bis della legge 8 agosto 1985, n. 431, e dei relativi piani paesistici delle diverse aree sub regionali individuate dal PUTT…”), ha vietato “ogni modificazione dell’assetto del territorio nonché qualsiasi opera edilizia nelle seguenti aree:…omissis… c) territori compresi nella fascia di 200 metri dal piede degli argini dei fiumi, torrenti e corsi d’acqua classificati pubblici ai sensi del TU sulle acque ed impianti elettrici approvato con RR 11 dicembre 1933, n. 1775 e successive integrazioni, nonché dal ciglio più elevato delle gravine o lame… omissis”, non ha affatto introdotto ex novo un vincolo prima inesistente, limitandosi a chiarire la portata del vincolo di tutela idrogeologica (e paesistica) già imposto, in via generale, sin dal 1980.
4.4) Come chiarito da orientamento giurisprudenziale consolidato, il vincolo di cui all’art. 51 comma 1 lettera h), ancorché temporaneo -perché collegato all’approvazione dei piani territoriali- introduce un divieto assoluto di edificazione, insuscettibile di sanatoria edilizia (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 maggio 2015, n. 2509, id., 12 febbraio 2014, n. 683, id. 13 giugno 2012 n. 3497), riconosciuto affatto legittimo costituzionalmente in relazione alla sua natura conformativa e non espropriativa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 novembre 2000, n. 5932, secondo cui “I beni aventi valore paesaggistico, infatti, sono riconducibili ad una categoria omogenea di interesse pubblico, la cui disciplina è del tutto estranea alla materia dell’espropriazione e dei relativi indennizzi, di cui all’art. 42 comma 3 cost. A tali beni è applicabile, invece, la disciplina di cui al comma 2 dello stesso art. che demanda alla legge la determinazione dei modi di godimento del bene, al fine di assicurarne la funzione sociale”.).
4.5) In altri termini la disposizione dell’art. 1 della legge regionale n. 30/1990 ha soltanto specificato, con maggior livello di dettaglio, l’oggetto di tutela che nella precedente legge regionale n. 56/1980 comprendeva indistintamente nella nozione di “gravine” tutte le formazioni geologiche riconducibili ad alvei torrentizi, ancorché temporaneamente o quasi permanentemente asciutti, salvo eventi metereologici particolari (come accaduto appunto nel caso di lama (omissis), secondo quanto evidenziato dalla memoria difensiva del Comune di Bari in ordine a evento alluvionale del 2005, con conseguente elaborazione di progetto di sistemazione per “…interventi di ripristino della continuità della sponda sinistra del torrente (omissis) nel tratto che lambisce la ex cava di Naso”, richiamato nella determinazione dirigenziale di annullamento in autotutela delle tre autorizzazioni edilizie).
4.6) Il vincolo è stato poi prorogato, con successive leggi regionali, sino appunto all’approvazione del P.U.T.T./p, avvenuta con deliberazione di Giunta Regionale n. 1748 del 15 dicembre 2000, le cui prescrizioni di tutela non sono state oggetto di contestazione, e che si applicano pacificamente e indistintamente a lame e gravine.
L’art. 3.8.1 delle N.T.A. del PU.T.T/p, infatti, si riferisce, nella sua definizione classificatoria a:
“Corsi d’acqua, a livello di generalità, sono definibili le acque correnti lungo solchi di impluvio che presentano un tracciato e una conformazione trasversale relativamente stabili.
In rapporto alle loro caratteristiche, al ruolo svolto nel bacino imbrifero ed ai caratteri geografici e geomorfologici delle aree attraversate, il Piano distingue i corsi d’acqua in: fiumi, torrenti, sorgenti, foci, laghi, gravine e lame”.
E qualifica quali aree di pertinenza “…nel caso delle gravine e delle lame, dell’alveo (ancorché asciutto), e delle scarpate/versanti fino al ciglio più elevato…”.
4.7) Il richiamo, contenuto nella determinazione dirigenziale (oltre che al d.lgs. n. 42/2004 -che peraltro all’art. 142 comma 1 lettera c) ribadisce vincolo già riveniente dall’art. 82 comma 5 lettera c) del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, come introdotto dall’art. 1 del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431)- alle prescrizioni delle N.T.A. del P.U.T.T./p (contenenti divieto di trasformazioni di alveo e scarpate/versanti di lame e gravine) costituisce, appunto, un riferimento al vincolo d’inedificabilità, come confermato da tali prescrizioni, e quindi non può sostenersi che esso sia viziato in quanto non abbia indicato le disposizioni legislative regionali in forza delle quali quelle prescrizioni sono state emanate, non potendo essere invocata alcuna esimente ignorantia legis in ambito extrapenale.
4.8) Del pari anche il richiamo alle prescrizioni del P.A.I. è meramente confermativo dell’esistenza di disciplina preclusiva della realizzazione e del mantenimento di opere che possano costituire “… elemento pregiudizievole all’attenuazione o all’eliminazione delle specifiche cause di rischio esistenti” (cfr. art. 4 comma 3 lettera c) delle N.T.A. del P.A.I.).
4.9) Alla stregua dei rilievi che precedono risultano, quindi, affatto irrilevanti le deduzioni concernenti la pretesa scadenza del termine previsto dall’art. 1 bis del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431 (che comunque ha natura ordinatoria e non perentoria implicando soltanto se spirato l’esercizio dei poteri sostitutivi ministeriali ivi previsti, come precisato da ormai risalente giurisprudenza: cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 1997, n. 627 e ribadito da Sez. VI, 1 aprile 2014, n. 1559 e 14 gennaio 2014 n. 82), non meno che quelle concernenti la portata (effettivamente limitata) del d.m. 1° agosto 1985 e/o la mancata adozione degli atti regionali previsti dall’art. 1 ter dello stesso d.l. n. 312/1985; posto che, in ogni caso, nella Regione Puglia era vigente sin dall’entrata in vigore della legge regionale n. 56/1980 uno specifico vincolo (temporaneo) d’inedificabilità che senza soluzione di continuità (in funzione delle successive previsioni della legge regionale n. 30/1990 e relative proroghe) si è esteso sino all’adozione della disciplina del P.U.T.T./p.
4.10) In definitiva non può revocarsi in dubbio che le autorizzazioni edilizie fossero ab origine illegittime per il radicale e insanabile contrasto con il suddetto vincolo d’inedificabilità e che tale condizione sia rimasta immutata sino all’adozione del provvedimento di annullamento in autotutela.
4.11) Quanto all’invocata violazione del termine regionevole, in funzione dell’arco temporale tra la prima autorizzazione, e ciascuna delle successive, e l’emanazione della determinazione dirigenziale, devono qui richiamarsi le statuizioni dell’Adunanza Plenaria n. 8 del 17 ottobre 2017, secondo le quali:
“nella vigenza dell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 – per come introdotto dalla l. 15 del 2005 – l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole.
In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi:
i) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevolè per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro;
ii) che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi)”.
In specie, l’Adunanza Plenaria ha considerato che nel caso di “…titolo edilizio illegittimamente rilasciato in area interessata da un vincolo di inedificabilità assoluta o caratterizzata da un grave rischio sismico… la motivazione dell’atto di ritiro potrà essere legittimamente fondata sul richiamo all’inderogabile disciplina vincolistica oggetto di violazione, ben potendo tale richiamo assumere un rilievo preminente in ordine al complesso di interessi e di valori sottesi alla fattispecie. Nelle ipotesi di maggiore rilievo, quindi (e laddove venga in rilievo la tutela di preminenti valori pubblici di carattere – per così dire – ‘autoevidentè ), l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate le quali normalmente possano integrare le ragioni di interesse pubblico che depongono nel senso dell’esercizio del ius poenitendi.”.
4.12) Orbene, nel caso di specie, è incontestabile, per quanto sinora esposto, che le opere (e i relativi titoli autorizzativi) contrastano con un vincolo d’inedificabilità assoluta, e quindi che sussista un interesse pubblico “forte” e qualificato, ex se prevalente e preminente, che sorregge l’annullamento in autotutela e dequota la motivazione del relativo provvedimento nei sensi chiariti dall’Adunanza Plenaria.
Né potrebbe assegnarsi rilievo, in una prospettiva di tutela dell’affidamento, al tempo trascorso tra le autorizzazioni e loro ritiro in autotutela, posto appunto che esse erano in radice illegittime e precluse dall’inedificabilità assoluta dell’alveo della lama e dei suoi fianchi, secondo disciplina vincolistica che le parti private appellanti non avrebbero potuto e dovuto ignorare.
4.13) Il provvedimento di demolizione è atto consequenziale e dovuto in ragione dell’annullamento in autotutela dei titoli autorizzativi, e rispecchia le pregnanti ragioni d’interesse pubblico alla rimozione di manufatti che interferiscono con il deflusso delle acque meteoriche e con i previsti interventi di sistemazione idraulica.
In tal senso, quando anche risultasse erroneo e travisato il riferimento a una difformità delle opere realizzate rispetto a quelle assentite, la riedizione dei poteri repressivi non potrebbe avere esito diverso, ciò che ne preclude l’annullamento, ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990.
5.) In conclusione l’appello in epigrafe deve essere rigettato, con conferma della sentenza gravata.
6.) In relazione all’intervenuta chiarificazione soltanto in corso di giudizio della portata motivazionale dei provvedimenti di annullamento in autotutela ex art. 21 nonies della legge n. 241/1990, sussistono giusti motivi per dichiarare compensate per intero tra le parti le spese del giudizio d’appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. r. 9512 del 2013, come in epigrafe proposto, così provvede:
1) rigetta l’appello, e per l’effetto conferma la sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, Sezione 3^, n. 613 del 19 aprile 2013;
2) dichiara compensate per intero tra le parti le spese del giudizio d’appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere, Estensore
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
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