Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 28 novembre 2019, n. 8125.
La massima estrapolata:
La decadenza del vincolo espropriativo, non comporta, di per sé, il riespandersi delle precedenti destinazioni di zona. Alla decadenza dello stesso per inutile decorso del tempo non si verifica, infatti, alcuna reviviscenza della pregressa destinazione, atteso che la natura espropriativa del vincolo, essendo esso preordinato all’esproprio, ne implica la sua temporaneità. L’inutile decorso di un quinquennio, in difetto di una legittima reiterazione, ne comporta quindi la decadenza, ma l’area già vincolata non riacquista automaticamente l’antecedente sua destinazione urbanistica, ma si configura come area non urbanisticamente disciplinata, ossia come c.d. zona bianca. Rispetto a tali zone, allorché cessino gli effetti dei preesistenti vincoli, l’Amministrazione comunale deve esercitare la sua discrezionale potestà urbanistica, attribuendo agli stessi una congrua destinazione, eventualmente anche a seguito di una istanza degli interessati volta ad ottenere l’emanazione degli atti necessari a conferire una nuova destinazione urbanistica all’area divenuta priva di disciplina
Sentenza 28 novembre 2019, n. 8125
Data udienza 26 settembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 9879 del 2018, proposto dalla società
Pe. Al. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Le. La., Em. Tr., An. Cl. e Pa. Cl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Um. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sezione seconda, n. 11294 del 21 novembre 2018, resa tra le parti, concernente i provvedimenti di Roma Capitale relativi ad un intervento edilizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 il consigliere Nicola D’Angelo e uditi, per la società appellante, gli avvocati Le. La. e An. Cl. e, per Roma Capitale, l’avvocato Um. Ga.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società Pe. Al. s.r.l. ha impugnato al Tar per il Lazio, sede di Roma, il provvedimento di Roma Capitale del 26 gennaio 2017, n. 7059 e il provvedimento del 31 gennaio 2017, n. 8918, con i quali è stato inibito un intervento di ristrutturazione edilizia di un immobile di sua proprietà . 1.1. In particolare, con il primo provvedimento del 26 gennaio 2017, il Comune ha diffidato la ricorrente dal dare inizio ai lavori indicati nella denuncia di inizio attività del 28 luglio 2016, comunicando l’incompletezza della denuncia presentata per mancanza dei titoli relativi alle opere in cemento armato e ai profili antisismici, oltre che per la carenza negli elaborati grafici relativi all’ampliamento proposto ai sensi del piano casa di cui alla regionale del Lazio n. 21/2009.
1.2. Con il provvedimento adottato il 31 gennaio 2017, l’Amministrazione municipale ha poi chiesto chiarimenti sulla destinazione urbanistica dell’immobile, non essendo dichiarata nella relazione tecnica asseverata la compatibilità dell’intervento con quanto previsto dall’articolo 54 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale in ordine alle disposizioni contenute nell’accordo di programma del 2005 denominato “programma di recupero urbano”, approvato ai sensi dell’art. 11 del DL n. 328/1993, per l’ambito (omissis) nel comune di Roma.
2. Con un primo ricorso per motivi aggiunti ha poi impugnato il provvedimento di Roma Capitale n. 36961 del 1 marzo 2017, recante una serie di ulteriori considerazioni in merito alla predetta denuncia di inizio attività . Nella stessa nota il Comune ha evidenziato che l’edificio interessato dalla DIA ricadeva in un programma di recupero urbano, all’interno dell’ambito (omissis) dell’accordo di programma del 2005, e che l’Amministrazione intendeva dare attuazione a tutti gli interventi approvati con lo stesso programma in ragione dell’equiparazione, ai sensi dell’art. 62, comma 1, delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, dei programmi di recupero urbano agli ambiti a pianificazione particolareggiata (le opere indicate dalla denuncia di inizio attività erano pertanto incompatibili con la previsione del piano relativa alla demolizione dell’immobile al fine di realizzare il progetto di un percorso pedonale protetto).
3. Con un secondo ed un terzo ricorso per motivi aggiunti, la società ha anche impugnato rispettivamente le note interne n. 183029 del 31 ottobre 2017, sul possibile non rilascio di una concessione in sanatoria, e n. 9297 del 19 gennaio 2018, sulla mancanza delle condizioni per l’applicazione del piano casa.
4. Infine, con un quarto ricorso per motivi aggiunti, la società Pe. Al. ha impugnato la nota di Roma Capitale n. 88442 del 3 luglio 2018, con la quale sono stati inibiti gli interventi sullo stesso immobile indicati nella segnalazione certificata di inizio attività del 7 giugno 2018.
4.1. Tale segnalazione, presentata dalla ricorrente in alternativa al titolo edilizio relativo gli interventi precedentemente progettati, ha riguardato la realizzazione di una media struttura di vendita mediante la ristrutturazione del preesistente edificio avente destinazione commerciale, con una redistribuzione degli spazi e la demolizione di costruzioni comportanti l’arretramento del fronte del manufatto dal filo stradale, con modifica della sagoma e sistemazione delle superfici esterne di pertinenza a parcheggi e relativa viabilità .
4.2. In relazione alla segnalazione certificata di inizio di attività il Comune ha evidenziato, nella sostanza, le stesse le criticità già emerse con riferimento alla denuncia di inizio attività .
5. Il Tar per il Lazio, sede di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo del giudizio ed i primi motivi aggiunti per sopravvenuta carenza di interesse alla luce della successiva presentazione della segnalazione certificata di inizio attività alternativa alla denuncia di inizio di attività, inammissibili i secondi ed i terzi motivi aggiunti, proposti in relazione all’impugnazione di note interne all’Amministrazione, ed ha respinto il quarto motivo aggiunto con il quale è stata impugnata l’inibizione dei lavori di cui alla segnalazione certificata di attività .
6. Contro la predetta sentenza, la società Pe. Al. ha proposto appello, prospettando i seguenti motivi di gravame.
6.1. Error in procedendo per violazione degli artt.7, comma 6, e 134 c.p.a. e vizio di ultrapetizione. Error in iudicando per travisamento dei fatti e violazione dell’art. 62 delle norme tecniche del PRG di Roma. In subordine per violazione dell’art. 9 del d.P.R. n. 380/2001 (T.U. edilizia). Violazione dell’art. 42 Cost. e dell’art. 1, protocollo 1, della CEDU. Ingiustizia manifesta.
6.1.1. La società appellante premette di aver presentato all’Amministrazione comunale una successiva segnalazione certificata di inizio di attività, con la quale ha previsto l’eliminazione dell’ampliamento chiesto in base piano casa della regione Lazio (legge regionale n. 21/2009), rinunciando quindi alla cubatura aggiuntiva consentita dalla normativa regionale.
6.1.2. Il Comune ha ritenuto anche tale intervento inattuabile perché in contrasto con il piano di recupero della (omissis) di cui all’accordo di programma del 2005 (il cui contenuto sarebbe stato trasfuso nel nuovo piano regolatore di Roma, ai sensi dell’art. 62 delle relative norme tecniche) ed in particolare con la prevista demolizione dello stesso manufatto ai fini della realizzazione di un percorso pedonale.
6.1.2. La ricorrente, tuttavia, evidenzia come questa previsione del piano di recupero fosse in realtà scaduta nel 2008, alla data di approvazione del nuovo piano regolatore di Roma, in ragione di quanto previsto dall’art. 9 dell’accordo di programma nel caso di mancata sottoscrizione delle convenzioni relative alla cessione delle aree entro sei mesi dalla sua pubblicazione sul BURL (maggio 2006).
6.1.3. In ogni caso, secondo parte appellante, trattandosi di una previsione a contenuto sostanzialmente ablatorio e non conformativo, come invece sostenuto dall’Amministrazione, sarebbe stata comunque inefficace per decorso del quinquennio di validità .
6.2. Error in procedendo e travisamento dei fatti di causa. Violazione e falsa applicazione degli artt. 23 (testo vigente all’epoca), 64 e 95 del d.P.R. n. 380/2001. Tardività dell’intervento inibitorio
6.2.1. La società appellante ritiene erronea la dichiarazione di improcedibilità del Tar delle impugnative aventi ad oggetto i provvedimenti che hanno impedito la eseguibilità del primo progetto mediante la dichiarazione di inizio di attività . Il successivo intervento proposto con la segnalazione certificata di inizio di attività non avrebbe fatto venire meno l’interesse in capo alla ricorrente.
6.2.2. Con riferimento alle sole opere di manutenzione, non comportanti alcun coinvolgimento strutturale che presupponeva il nulla-osta del genio civile, il cantiere aveva infatti avuto inizio proprio in virtù della dichiarazione di inizio di attività . Di conseguenza, la società appellante evidenzia il perdurare dell’interesse all’esame anche delle impugnative dichiarate improcedibili perché relative a una procedura che in parte ha avuto attuazione con l’esecuzione di lavori “minori”.
6.2.3. Negli stessi gravami la società ricorrente ricorda poi di aver evidenziato la tardività dell’intervento inibitorio (cinque mesi dopo la scadenza del termine di trenta giorni previsto dall’art. 23, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001), la non applicabilità del piano di recupero e la non rilevanza della mancata compatibilità sismica, essendo sufficiente per quest’ultimo aspetto la sola presentazione della denuncia prima dell’inizio dei lavori. L’Amministrazione avrebbe tuttalpiù potuto agire in autotutela per rimuovere il titolo edilizio formatosi a seguito della presentazione della DIA e del decorso dei trenta giorni.
7. Roma Capitale si è costituita in giudizio il 14 dicembre 2018, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha presentato ulteriori documenti e una memoria il 21 dicembre 2018.
8. Il 17 gennaio 2019 si sono costituiti in giudizio per la società Pe. Al., in aggiunta ai difensori originariamente nominati, gli avvocati An. e Pa. Cl.. La stessa società ha infine depositato una memoria il 25 luglio 2019.
9. Nella camera di consiglio del 10 gennaio 2019, l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, presentata contestualmente all’appello, è stata rinviata al merito.
10. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 26 settembre 2019.
11. L’appello non è fondato.
12. La società Pe. Al. presentava il 28 luglio 2016 all’XI Municipio di Roma una denuncia di inizio di attività (di seguito DIA), ai sensi degli artt. 22 e 23 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 3 della legge regionale n. 21/2009, per realizzare una serie di interventi edilizi su un edificio commerciale, consistenti in una ristrutturazione edilizia ed in un ampliamento in applicazione del c.d. Piano Casa della regione Lazio.
12.1. La società richiedente si impegnava a depositare, prima dell’inizio dei lavori, quanto previsto dal d.lgs. n. 81/2008, relativamente all’esecuzione delle opere strutturali, e la documentazione necessaria ai fini degli adempimenti prescritti per la compatibilità sismica (l’immobile ricade in zona sismica 2A – 3A- 3B), ai sensi dell’art. 94 del d.P.R. n. 380/2001.
12.2. A seguito di un sopralluogo in data 6 dicembre 2016 da parte del personale dell’XI Municipio e della Polizia Locale emergeva, tuttavia, la realizzazione di diverse opere edilizie (due aree a parcheggio, un massetto di sottofondo in calcestruzzo e rete elettrosaldata a maglia quadra all’interno del manufatto commerciale, smontaggio delle lastre in lamiera ondulata di tamponamento delle pareti e della copertura, demolizione nei locali in muratura ospitanti gli spogliatoi ed i servizi igienici per gli operatori della struttura commerciale).
12.3. Nella stessa data (6 dicembre 2016) la società appellante presentava quindi una serie di documenti tra cui la comunicazione formale di inizio lavori a far data dal 17 ottobre 2016.
12.4. L’Amministrazione il 26 gennaio 2017 comunicava alla società il permanere dell’incompletezza della DIA con riferimento alla mancanza degli estremi autorizzatori relativi al cemento armato e alla localizzazione e individuazione del volume in ampliamento ai sensi del Piano Casa, diffidandola dal dare inizio alle opere. In data 31 gennaio 2017, il Comune inviava poi una nuova comunicazione richiedendo integrazioni in ordine alla destinazione urbanistica dell’area in cui ricade l’immobile, alla consistenza dell’ampliamento e delle modifiche alla sagoma dell’edificio da realizzare con l’intervento di ristrutturazione edilizia.
12.5. La società Pe. Al. impugnava le predette note del Comune al Tar per il Lazio, sede di Roma, e con successivi motivi aggiunti ha impugnato il provvedimento di Roma Capitale n. 36961 del 1 marzo 2017, recante una serie di ulteriori considerazioni in merito alla predetta DIA (in particolare, sulla ricomprensione dell’immobile nell’ambito del programma di recupero Ambito (omissis)), nonché le note interne dell’Amministrazione del 3 ottobre 2017 e del 19 gennaio 2018.
12.6. La ricorrente depositava poi una segnalazione certificata di inizio di attività (di seguito SCIA) in data 4 giugno 2018 per la ristrutturazione edilizia dello stesso immobile in relazione alla quale l’Amministrazione comunale adottava il 9 luglio 2018 atto di diffida a non dare corso alle opere, rilevando la persistenza delle “criticità già evidenziate in occasione del deposito presso questa Direzione Tecnica del titolo abilitativo Piano Casa”.
12.7. Con ulteriori motivi aggiunti, la società Pe. Al. impugnava quest’ultimo provvedimento.
13. Il Tar di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, dichiarava la improcedibilità e la inammissibilità, per difetto di interesse sopravvenuto ovvero originario, del ricorso introduttivo e dei primi tre ricorsi per motivi aggiunti e rigettava il quarto ricorso per motivi aggiunti “non essendo consentito alla ricorrente l’intervento edilizio proposto, in mancanza di una nuova destinazione urbanistica dell’area”.
14. Ciò premesso, con il primo motivo di appello, la società ricorrente contesta che l’intervento proposta con la SCIA fosse inattuabile perché in contrasto con il piano di recupero della (omissis), di cui all’accordo di programma del 2005. Sostiene, in particolare, che il cui contenuto dello stesso non sarebbe stato trasfuso nel nuovo PRG di Roma, ai sensi dell’art. 62 delle relative norme tecniche e che di conseguenza la prevista demolizione dell’immobile di cui è causa ai fini della realizzazione di un percorso pedonale fosse decaduta. A conforto della propria tesi, richiama l’art. 9 dell’accordo di programma laddove è stato previsto che in mancanza delle sottoscrizione delle convenzioni relative alla cessione dei terreni entro sei mesi dalla pubblicazione sul BURL (maggio 2006) le previsioni dello stesso sarebbero scadute. In sostanza il PRG di Roma approvato nel 2008 non poteva più far riferimento a quelle prescrizioni.
14.1.In ogni caso, secondo parte appellante, trattandosi di una previsione a contenuto sostanzialmente ablatorio e non conformativo, come invece sostenuto dall’Amministrazione, la stessa sarebbe stata comunque inefficace per decorso del quinquennio di validità .
14.2. Il motivo non è fondato. L’immobile di cui è causa ricade, come detto, nell’ambito di un programma di recupero urbano (di seguito PRU) di cui all’art. 11 del DL n. 398/1993, convertito nella legge n. 493/1993, all’interno dell’intervento privato n. 1C ricompreso nell’ambito “(omissis)” dell’accordo di programma del 2005 sottoscritto tra il Comune di Roma e la regione Lazio (approvato con decreto del Presidente della regione Lazio n. 579 del 16 novembre 2005).
14.3. I PRU previsti dal citato art. 11 contengono indicazioni in ordine ad un insieme di opere finalizzate alla realizzazione, manutenzione e ammodernamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie, mediante il completamento e l’integrazione dei complessi urbanistici esistenti, l’inserimento di elementi di arredo urbano, la manutenzione, il restauro, il risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia degli edifici. E pur costituendo, in genere, uno strumento urbanistico attuativo, le proposte formulate tramite la predisposizione di tali piani possono richiedere la modificazione degli strumenti urbanistici vigenti, con la conseguenza che i Comuni possono promuovere la conclusione di un accordo di programma al quale deve partecipare anche la Regione, ai sensi dell’articolo 34 del d.lgs. n. 267/2000 (cfr. Cons. Stato, 27 gennaio 2014, n. 405).
14.4. Il PRU in esame, approvato con accordo di programma, va dunque considerato come “ambito a pianificazione particolareggiata e definita” e assoggettato all’art. 62, comma 2, delle norme tecniche di attuazione del PRG di Roma che rinvia alla disciplina dei piani attuativi.
14.5. In sostanza, le aree dei piani di riqualificazione urbana sono state recepite, quali ambiti a pianificazione particolareggiata definita, dal nuovo PRG ai sensi dell’art. 62 commi 1 e 2 delle norme tecniche anche se approvati prima dell’adozione dello stesso piano nel 2006. Di conseguenza, gli interventi sull’immobile oggetto di giudizio devono rispettare il complesso della regolamentazione urbanistica derivante dal rispetto della complessiva regolamentazione urbanistica contenuta nel PRG e nel PRU.
14.6. Né la natura negoziale dell’accordo di programma può essere d’ostacolo a tale conclusione. Deve infatti ritenersi che una volta perfezionato l’accordo non può configurarsi un potere di recesso unilaterale di una delle parti interessate, peraltro in modo indiretto, attraverso la mancata stipula delle convenzioni di cessione delle aree.
14.7. La clausola dell’accordo di programma di cui al citato art. 9 non opera infatti con effetto automatico per il mero decorso del tempo assegnato per la stipula delle predette convenzioni, tenuto conto della sottostante intenzione a realizzare l’interesse pubblico al recupero urbanistico. In altre parole, il termine di sei mesi indicato per la stipula non può che ritenersi di natura sollecitatoria, restando dunque impregiudicata la valutazione dell’Amministrazione di porre o meno un termine all’attuazione del PRU.
14.8. D’altra parte, i principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti sono applicabili, nel caso di un accordo di programma, in quanto compatibili e con riferimento alla natura dell’atto, cosicché l’interpretazione delle clausole dubbie va compiuta osservando le regole ermeneutiche contenute nell’art. 1362 e ss. c.c. (cfr. Cons. Stato sez. VI, 24 settembre 2019, n. 6378)
14.9. Ciò detto, se le previsioni del PRU sono state recepite nel PRG, va comunque evidenziato che la prescritta demolizione del complesso edilizio finalizzata alla realizzazione di un percorso pedonale protetto tra Villa Bo. ed il Parco Pubblico Pi. Du. To. nell’ambito del PRU della (omissis) deve ritenersi decaduta.
14.10. Come ha correttamente rilevato il Tar, risulta fondato quanto prospettato dalla società in ordine alla decadenza del vincolo. Nel caso di specie, infatti, contrariamente a quanto affermato dall’Amministrazione, le previsioni sull’area contenute nel PRU e recepite nel PRG hanno natura ablatoria e non conformativa e sono dunque decadute per scadenza del termine quinquennale di cui all’art. 9, comma, 2 del d.P.R. n. 327/2001, decorrente dall’approvazione nel 2008 del PRG di Roma.
14.11. Non vi è dubbio infatti che il vincolo in esame avesse natura espropriativa posto che lo stesso si riferiva a beni determinati in funzione della localizzazione di un’opera pubblica (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 19 settembre 2019, n. 6241).
14.12. La decadenza del vincolo espropriativo, tuttavia, non comporta, di per sé, il riespandersi delle precedenti destinazioni di zona. Alla decadenza dello stesso per inutile decorso del tempo non si verifica, infatti, alcuna reviviscenza della pregressa destinazione, atteso che la natura espropriativa del vincolo, essendo esso preordinato all’esproprio, ne implica la sua temporaneità . L’inutile decorso di un quinquennio, in difetto di una legittima reiterazione, ne comporta quindi la decadenza, ma l’area già vincolata non riacquista automaticamente l’antecedente sua destinazione urbanistica, ma si configura come area non urbanisticamente disciplinata, ossia come c.d. zona bianca. Rispetto a tali zone, allorché cessino gli effetti dei preesistenti vincoli, l’Amministrazione comunale deve esercitare la sua discrezionale potestà urbanistica, attribuendo agli stessi una congrua destinazione, eventualmente anche a seguito di una istanza degli interessati volta ad ottenere l’emanazione degli atti necessari a conferire una nuova destinazione urbanistica all’area divenuta priva di disciplina (cfr. ex multis, Cons.Stato, sez. IV, 24 agosto 2016, n. 3684).
14.13. Sotto questo profilo, deve pertanto ritenersi legittimo l’intervento dell’Amministrazione comunale che ha diffidato la società ricorrente a dare corso alla realizzazione delle opere indicate nella SCIA relative ad un immobile ricadente in una zona priva di disciplina urbanistica.
15. Con il secondo motivo di appello, la ricorrente contesta le conclusioni del Tar in ordine alla improcedibilità e all’inammissibilità delle altre impugnative. La stessa avrebbe mantenuto interesse alla pronuncia in ragione del fatto che comunque erano state realizzate delle opere qualificate “minori” non incidenti sugli aspetti strutturali per i quali era necessario il preventivo nulla-osta del Genio Civile.
15.1 Il motivo non è fondato. La società ricorrente ha impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio il provvedimento inibitorio della DIA presentata il 28 luglio 2016 per la ristrutturazione edilizia di un immobile e per l’ampliamento dello stesso ai sensi della legge regionale sul piano casa. La stessa DIA è stata però superata dalla successiva SCIA, presentata in alternativa alla stessa, con riduzione del progetto originario alla sola ristrutturazione dell’immobile.
15.2. In sostanza, con la SCIA si è implicitamente rinunciato all’intervento originario, ormai incompatibile con quello programmato, che prevedeva l’ampliamento dell’edificio.
15.3. Non sembra dunque esservi dubbio che sussistessero le condizioni per dichiarare l’improcedibilità della domanda per sopravvenuta carenza di interesse, essendo intervenuta una situazione di fatto del tutto nuova rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza (cfr. Cons. Stato sez. III, 13/09/2019, n. 6164).
15.4. Infine, anche per le ulteriori impugnazioni non sembra criticabile la conclusione del giudice di primo grado. Il primo ricorso per motivi aggiunti è improcedibile in quanto riferito comunque al provvedimento inibitorio della DIA, il secondo ed il terzo ricorso per motivi aggiunti sono inammissibili in ragione del fatto che sono riferiti a note interne, di natura endoprocedimentale, sulla medesima DIA.
16. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
17. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati pertanto dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
18. In ragione delle complessità della controversia le spese della presente fase di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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