Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 7 maggio 2019, n. 2916.

La massima estrapolata:

Essendo il c.d. DASPO una misura di prevenzione che presuppone la pericolosità sociale e non già la commissione di un reato, per la sua emissione è sufficiente l’accertamento di un fumus di attribuibilità alla persona sottoposta alla misura delle condotte rilevanti, al fine della verifica della pericolosità del soggetto.

Sentenza 7 maggio 2019, n. 2916

Data udienza 11 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6612 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ad., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Lo. Co. in Roma, viale (…);
contro
Questura di Bergamo, Ministero dell’Interno, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente il divieto di accesso per cinque anni ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive calcistiche;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Questura di Bergamo e del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 aprile 2019 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti l’Avvocato Gi. Ad. e l’Avvocato dello Stato Wa. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con la sentenza di primo grado il TAR per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, ha respinto il ricorso proposto dal Sig. -OMISSIS- nei confronti del decreto del Questore della Provincia di Bergamo, del 19 agosto 2015, con il quale veniva disposto nei suoi confronti – ai sensi dell’art. 6-bis della L. 13 dicembre 1989 n. 401 – il c.d. DASPO per la durata di 5 anni.
Nel provvedimento impugnato, il Questore ha descritto la condotta da lui tenuta in occasione dell’incontro di calcio Atalanta/Sassuolo, svoltosi il 12 aprile 2015 a Bergamo presso lo stadio “At. Az. d’I.”, rilevando che:
– “ha fatto ingresso all’interno dell’impianto sportivo oltrepassando la recinzione fissa che delimita dalla pubblica via l’area riservata dello stadio, superando il varco di ingresso (ed) eludendo in maniera fraudolenta la sorveglianza del personale steward preposto al controllo e, guadagnata l’area recintata e riservata di prefiltraggio, si spingeva sino al tornello di ingresso nr. 1 settore curva nord”;
– “dopo aver realizzato tale accesso indebito, come cristallizzato dalle immagine registrate dall’impianto di videosorveglianza, si posizionava in corrispondenza del tornello di ingresso contraddistinto dal nr. 1 per poi raggiungere l’altra bussola di ingresso contraddistinta dal nr. 2”;
– “in tale occasione agiva con modalità aggressive, segnatamente esibendo ed agitando platealmente una testa di porchetta mozzata che brandiva in una mano e ripetendo con toni enfatici ed urlati “…datela alla Questura”.
Il Questore ha quindi rilevato che:
– il destinatario dell’atto era stato già colpito da precedenti DASPO (espressamente indicati nel provvedimento) e da sfavorevoli pregiudizi penali, tutti riferibili ad illeciti di specie (anch’essi espressamente indicati nel decreto);
– era stato condannato negli ultimi 5 anni (24-2-2011 con sentenza del Tribunale di Pordenone) per reati realizzati in occasione o a causa di manifestazioni sportive e che, pertanto, non poteva accedere agli impianti sportivi in base a quanto previsto dall’art. 9 della L. n. 41/2007;
– la sua condotta integrava l’illecito di cui all’art. 6-bis, comma 2, della L. n. 401/89 e successive modifiche;
– le condanne penali e i DASPO non avevano modificato la condotta del destinatario del provvedimento che continuava ad insistere nella realizzazione di azioni in spregio delle leggi ed offensive nei confronti dell’Autorità, essendo incapace di revisione critica dei propri pregressi crimini persistendo nell’attuazione di comportamenti illeciti e pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica;
– pertanto, l’accesso del Sig. -OMISSIS- ai luoghi ove si svolgono le manifestazioni sportive poteva essere gravemente pregiudizievole per l’ordine e la sicurezza pubblica “in quanto è manifesta la pericolosità in ragione del concreto pericolo di reiterazione di gravi fatti;
– trattandosi di soggetto già destinatario di DASPO veniva disposta anche la prescrizione dell’obbligo di presentazione alla P.G.;
– quanto alla durata della misura, veniva stabilita in cinque anni (misura minima prevista per i soggetti già destinatari di precedenti DASPO).
2. – Con la sentenza appellata il TAR ha respinto le due doglianze proposte avverso il decreto del Questore dirette a sostenere, in estrema sintesi, l’insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 6-bis comma 2, L. n. 401/89 e la asserita genericità dell’indicazione delle manifestazioni sportive e dei luoghi oggetto del divieto di accesso.
3. – Avverso tale sentenza il ricorrente ha proposto appello chiedendone la riforma.
3.1 – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione appellata che ha chiesto il rigetto dell’impugnativa.
3.2 – Con ordinanza n. -OMISSIS- l’istanza cautelare è stata respinta.
4. – All’udienza pubblica del giorno 11 aprile 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.
5. – L’appello è infondato e va, dunque, respinto.
Con l’unico motivo di appello ha dedotto l’appellante la censura di “Difetto di motivazione e falsa applicazione nell’ordinanza impugnata dell’art. 6 bis comma 2 L. 401/89, nonché assenza totale di motivazione in relazione alla pericolosità per l’ordine pubblico dei comportamenti censurati” lamentando che la condotta da lui tenuta non integrerebbe la fattispecie recata dall’art. 6-bis comma 2 della L. n. 401/89: tale disposizione, infatti, dovrebbe essere interpretata alla luce del titolo del citato art. 6-bis che fa riferimento allo “scavalcamento e all’invasione di campo”; egli non avrebbe scavalcato alcuna recinzione essendosi limitato a varcare il cancello esterno dello stadio con in mano la testa di una porchetta fermandosi, volontariamente e senza necessità di un intervento della forza pubblica, prima dei tornelli dai quali si accede effettivamente alle aree destinate agli spettatori.
Censura, inoltre, la sentenza di primo grado:
– per aver interpretato la nozione di “impianto sportivo” in senso ampio, ricomprendendovi anche gli spazi antistanti e le recinzioni;
– per aver omesso di valutare compiutamente i precedenti giurisprudenziali che hanno interpretato restrittivamente la norma dell’art. 6-bis, comma 2 cit., ritenendola applicabile nei soli casi di scavalcamento o superamento di un ostacolo, laddove, nel caso di specie, ciò non sarebbe avvenuto, in quanto egli avrebbe superato il varco di pre-filtraggio senza opporre alcuna resistenza fisica e neppure scavalcando inferriate o divisori e, soprattutto, senza provocare disordini o turbative.
Sostiene, quindi, che la sua condotta avrebbe dovuto essere inquadrata come violazione dell’art. 1 quinquies o dell’art. 1 septies della L. n. 88/03, che sanziona la condotta di chi “accede indebitamente all’interno di un impianto sportivo” o “entra negli impianti in violazione del rispettivo regolamento d’uso”.
Deduce, infine, che il TAR non avrebbe neppure preso posizione in ordine alla questione, sollevata nel ricorso, relativa alla sua asserita pericolosità ; a questo specifico proposito rileva che l’azione si sarebbe svolta senza l’intervento delle forze dell’ordine oppure di steward; non sarebbero stati coinvolti altri supporters di casa o ospiti; non vi sarebbe stata alcuna situazione di pericolo, neppure potenziale: sarebbero, quindi, mancati i presupposti necessari per disporre il DASPO che, per essere adottato, presuppone che sia stato posto in pericolo, anche potenzialmente, l’ordine pubblico, situazione che nel caso di specie non si sarebbe verificata.
Nella memoria del datata 8 marzo 2019 l’appellante ha poi sottolineato il mancato esercizio dell’azione penale da parte del P.M. per la violazione dell’art. 6-bis della L. n. 401/89 e l’intervenuta archiviazione del procedimento per il reato di cui all’art. 341 bis c.p.
6. – La doglianza non può essere condivisa.
6.1 – E’ opportuno richiamare il testo dell’art. 6-bis della L. n. 401/89 che così recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, supera indebitamente una recinzione o separazione dell’impianto ovvero, nel corso delle manifestazioni medesime, invade il terreno di gioco, è punito con l’arresto fino ad un anno e con l’ammenda da 1.000 euro a 5.000 euro”.
6.2 – Correttamente il TAR ha ritenuto, richiamando la giurisprudenza penale, sotto il profilo spaziale, che:
“- per “luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive” devono intendersi gli impianti sportivi nel loro complesso e non già il solo spazio che, all’interno dei medesimi, è deputato allo svolgimento della gara. In sostanza, il concetto di “luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive” va fatto coincidere con le aree, interessate all’evento sportivo, il cui accesso è sottoposto a controllo mediante verifica del biglietto o altro titolo di ingresso;
– e che tale norma sia applicabile purché siano state previste recinzioni o separazioni di spazi da assumersi come indebitamente oltrepassate”.
Tale interpretazione è stata condivisa anche dalla Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, nella sentenza del 7/4/-8/6/2016 resa in relazione all’ordinanza di convalida degli obblighi di presentazione disposti con il DASPO.
La Suprema Corte ha infatti ritenuto che “tale disposizione – nella sua ampiezza – consente di comprendere anche il caso in cui il superamento della recinzione avvenga all’esterno dell’impianto, non all’interno dello stesso, atteso che trattasi comunque di una condotta prodromica ad un accesso indebito allo stadio, volta ad eludere i controlli e tale da causare un turbamento dell’ordine pubblico; quel che ha pacificamente compiuto -OMISSIS-, il quale – scavalcata in modo fraudolento la recinzione tra la pubblica via e lo stadio (ai cui varchi – si noti – si trovavano steward incaricati di una prima verifica del titolo di accesso, escludendo chi non ne fosse in possesso, come il ricorrente) – si era portato ai tornelli e lì aveva esibito la testa di una porchetta, urlando “Datela alla Questura”.
6.3 – Nella stessa decisione la Corte di Cassazione ha confutato, condivisibilmente, la tesi dell’appellante diretta a sostenere che la sua condotta sarebbe stata riconducibile alla mera violazione dei regolamenti in materia di accesso agli impianti o di permanenza negli stessi: egli, infatti, non ha violato i regolamenti per l’accesso allo stadio al fine di assistere alla partita, ma ha superato indebitamente una recinzione o separazione dell’impianto sportivo al fine di compiere il gesto preventivato, mettendo a rischio l’ordine pubblico nel corso della manifestazione sportiva.
6.4 – Neppure può accogliersi la tesi dell’appellante diretta a sostenere la non riconducibilità della propria condotta “all’indebito superamento di una recinzione o separazione dell’impianto sportivo” nel corso dello svolgimento di una gara: la descrizione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato, la cui correttezza è stata verificata dal TAR mediante le acquisizioni documentali indicate nella sentenza, si inquadra perfettamente nella fattispecie astratta (come del resto ritenuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza sopra citata).
6.5 – Neppure può accogliersi la tesi dell’appellante secondo cui il TAR non avrebbe valutato la mancanza di pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica: il Questore ha puntualmente motivato su tale presupposto, sottolineando il profilo soggettivo del destinatario del provvedimento, gravato da precedenti specifici e più volte destinatario di DASPO.
Il TAR, richiamando nella sentenza tali aspetti, ha fatto proprie le valutazioni del Questore.
Va precisato, infatti, che “essendo il c.d. DASPO una misura di prevenzione che presuppone la pericolosità sociale e non già la commissione di un reato, per la sua emissione è sufficiente l’accertamento di un fumus di attribuibilità alla persona sottoposta alla misura delle condotte rilevanti, al fine della verifica della pericolosità del soggetto (Cassazione penale sez. III 09 ottobre 2013 n. 3646). Il divieto di accesso agli impianti sportivi può essere imposto non solo nel caso di accertata lesione, ma anche in caso di pericolo di lesione dell’ordine pubblico, come nel caso di semplici condotte che comportano o agevolano situazioni di allarme e di pericolo; detto potere si connota infatti di un’elevata discrezionalità, in considerazione delle finalità di pubblica sicurezza cui è diretto” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 9/1/2015, n. 19; Cons. Stato Sez. III 28 novembre 2012 n. 6005).
Pertanto, essendo il DASPO una misura di prevenzione, non occorre la prova sulla lesione dell’ordine pubblico, essendo sufficiente una prognosi in ordine alla pericolosità della condotta, tenuto conto anche del profilo dell’agente, in quanto “comportamenti in sé innocui, risultano potenzialmente idonei, secondo i canoni della ragionevolezza, ad alimentare situazioni di allarme ovvero di pericolo, ad esempio incitando altri soggetti più farraginosi e violenti con esiti imprevedibili” (Cons. Stato, Sez. VI, 16/12/2010 n. 9074): nel caso di specie il comportamento provocatorio ed offensivo tenuto dall’appellante, capo ultras dell’Atalanta gravato da precedenti specifici e DASPO, è stato ragionevolmente ritenuto potenzialmente idoneo a generare problemi di ordine pubblico.
7. – In conclusione, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza appellata che ha respinto il ricorso di primo grado.
8. – Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso di primo grado.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado di appello che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore
Giulia Ferrari – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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