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In proposito, peraltro, questa Corte (Sez. 6, sentenza n. 10266 del 25/06/1991, Rv. 1882615; Sez. 3, sentenza n. 26340 del 25/03/2014, Rv. 260057) ha gia’ chiarito che, con riguardo al reato continuato, il giudizio di comparazione fra circostanze trova applicazione con riguardo al fatto considerato come violazione piu’ grave, e con riferimento alle sole aggravanti ed attenuanti che allo stesso specificamente si riferiscono, sicche’ delle circostanze riguardanti ciascuno dei reati satellite si deve tener conto esclusivamente ai fini dell’aumento di pena ex articolo 81 c.p..
1.8) (OMISSIS) classe (OMISSIS).
Il GUP del Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato (OMISSIS) classe (OMISSIS) colpevole dei reati ascrittigli ai capi 25) e 26), unificati dal vincolo della continuazione, ed operata la riduzione per il rito lo aveva condannato alla pena di anni 6 di reclusione ed Euro 10.000 di multa, oltre alle statuizioni accessorie.
All’imputato si contestava il concorso esterno alla cosca (OMISSIS) (capo 25) nella qualita’ di appuntato dei CC in servizio presso la caserma di (OMISSIS) (fatti commessi dal 2006, condotta perdurante) e la rivelazione di segreti d’ufficio aggravata ex L. n. 203 del 1991, articolo 7 (fatto accertato nel 2010).
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha assolto l’imputato dal reatc di cui al capo 25) perche’ il fatto non sussiste, ed ha rideterminato la pena per il reato di cu all’articolo 26), esclusa l’aggravante di cui all’articolo 7, in anni uno e mesi due di reclusione.
Contro la predetta decisione, ricorrono l’imputato, con l’ausilio di due difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione, con due distinti ricorsi, ed il PG distrettuale.
18.1. Il PG distrettuale lamenta violazione della legge penale e vizi di motivazione limitatamente all’esclusione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7 (la condotta accertata si sarebbe rivolta in favore di un soggetto in posizione verticistica nell’ambito del sodalizio e quindi del clan stesso, non a beneficio del singolo, come ritenuto dalla Corte di appello).
18.2. L’imputato lamenta:
(ricorso avv. (OMISSIS))
1) violazione degli articoli 192, comma 3, e 187 c.p.p. nonche’ 326 c.p. e vizi di motivazione: l’imputato non avrebbe posto in essere la condotta ascrittagli (aver pronunziato in presenza di (OMISSIS) la frase “Russi… e se russi ti sentono” in ipotesi per avvertirlo dell’installazione in atto di un dispositivo di intercettazione); egli sarebbe istigatore non si capisce di chi, e comunque non vi sarebbe alcun atto coperto da segreto oggetto di rivelazione; sarebbero state trascurate le dichiarazioni dell’altro CC ( (OMISSIS)) intervenuto in loco in ottemperanza a quanto disposto dal superiore e la mancanza di riscontro individualizzante a quanto riferito dal collaboratore (OMISSIS), non potendo essere utilizzato quanto appreso de relato dal figlio (OMISSIS) per essergli stato riferito proprio dal padre (OMISSIS) ovvero la relazione di servizio dei CC (OMISSIS) e (OMISSIS), generica e redatta ad un anno dal fatto;
1) violazione di legge e vizio di motivazione: non sarebbe configurabile il reato di cui all’articolo 326 c.p. poiche’ il segreto in ipotesi rivelato era gia’ noto al destinatario della rivelazione (lo stesso (OMISSIS) ha dichiarato dí aver capito che gli operai erano in realta’ CC “che volevano mettere queste”, e che il predetto non volesse farli entrare perche’ li aveva riconosciuti come CC lo confermano i due CC travestiti, (OMISSIS) e (OMISSIS)); la frase non fu pronunziata dall’imputato ma dall’altro CC (OMISSIS) presente, che lo ha ammesso; sarebbero state travisate le dichiarazioni del teste (OMISSIS); sarebbe stato il m.llo (OMISSIS) a chiedere al (OMISSIS) di intervenire in loco per convincere il (OMISSIS) a fare entrare i due finti operai; ed era evidente che fossero finti, poiche’ avevano detto di voler riparare un telefono, ma in casa il telefono non c’era; non e’ chiaro se si fossero qualificati come operai ENEL o TELECOM: i due si sarebbero presentati vestiti da operai ENEL per riparare un guasto ad un telefono in una casa senza telefono.
18.3. I ricorsi dell’imputato sono integralmente inammissibili.
18.3.1. Le doglianze, riguardanti la conclusiva affermazione di responsabilita’, reiterano, piu’ o meno pedissequamente, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilita’ (cfr. § 1.6.2. di queste Considerazioni ín diritto), censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte, risultando, pertanto, prive della specificita’ necessaria ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), (Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), e, comunque, meramente assertive nonche’ manifestamente infondate, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato la contestata affermazione di responsabilita’ (in particolare, ff. 187 ss. della sentenza impugnata), valorizzando incensurabilmente una articolata serie di elementi, gia’ positivamente passati al vaglio di questa Corte nell’ambito del subprocedimento cautelare, come la stessa Corte d’appello ricorda (f. 187 della sentenza impugnata: deve in proposito evidenziarsi che erra la difesa quando invoca l’intervenuto annullamento, in realta’ riguardante il solo concorso esterno), oltre che puntualmente esaminando, e dettagliatamente confutando (in particolare a f. 190 della sentenza impugnata, quanto all’inesistenza di un segreto da svelare), tutte le censure specifiche dell’appellante.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia’ sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, e’ giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilita’ dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze gia’ incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture difensive improduttive di effetti.

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