Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 7 settembre 2017, n. 40855. La minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita e indiretta

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16.2.3. In particolare:
– con riguardo alla tentata estorsione di cui al capo 4), in danno di (OMISSIS), sono state valorizzate in primis le dichiarazioni rese dalla p.o., motivatamente ritenute attendibili, anche perche’ confermative di quanto gia’ emerso da intercettazioni ambientali di conversazioni della medesima p.o., e corroborate anche dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS);
– con riguardo alla estorsione di cui al capo 6), in danno del (OMISSIS), sono state ancora una volta valorizzate in primis le dichiarazioni rese dalla p.o. nel corso di una conversazione intercettata in data 25.2.2011: la loro spontaneita’ (per essere state inconsapevolmente captate) le rende all’evidenza attendibili ed idonee a fornire di per se’ prova del reato;
– con riguardo ai reati di cui ai capi 4) e 6), le doglianze riguardanti la contestata aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, conv. in L. n. 203 del 1991, non considerano che la Corte di appello ha incensurabilmente ritenuto il solo metodo mafioso, sicuramente configurabile tenuto conto delle inequivocabili modflaita’ delle condotte accertate, non anche la finalita’ mafiosa;
con riguardo al reato di cui al capo 1), la Corte di appello ha scrupolosamente valutato le dichiarazioni dei sei collaboratori di giustizia (per i quali il ricorrente era organicamente inserito nell’enucleato sodalizio, curando la gestione delle estorsioni – dato confermato dall’accertata responsabilita’ per i predetti reati-fine – ed attivita’ di traffico di droghe) valorizzate ai fine della conclusiva affermazione di responsabilita’, puntualmente esaminando e confutando le censure dell’appellante, in conclusione incensurabilmente ritenendone l’attendibilita’ intrinseca ed estrinseca (f. 73 ss. della sentenza impugnata, in particolare f. 74 s, quanto alla puntuale ed incensurabile confutazione delle eccezioni difensive).
16.2.4. Confermata la configurabilita’ della predetta aggravante, restano assorbite le doglianze riguardanti l’asserita prescrizione dei fatti risalenti al 2000: il relativo termine, tenuito conto delle ritenute aggravanti, sarebbe, infatti, pari ad anni 22 e mesi 6 secondo la disciplina previgente, ed ad anni 11 e mesi 11 decorrenti (in virtu’ dell’aggravante di cui all’articolo 7 cit., che fa ricomprendere i reati in oggetto nell’ambito di quelli di cui all’articolo 51 c.p.p., comma 3-bis, secondo quanto previsto dall’articolo 161 c.p., comma 2) dall’ultimo atto interruttivo, da identificare nella sentenza di condanna, secondo la disciplina attualmente vigente.
Invero, per espressa previsione dell’articolo 160 c.p., comma 3, la disciplina dettata dal medesimo comma quanto alla previsione di termini massimi di prescrizione, non si applica “per i reati di cui all’articolo 51 c.p.p., commi 3-bis e 3-quater” (ad es., il reato di cui all’articolo 416-bis c.p. ed i reati aggravati ex L. n. 203 del 1991, articolo 7, perche’ commessi con metodo o per finalita’ mafiose), per i quali, pertanto, non e’ previsto un termine massimo: detti reati si prescrivono soltanto se, da ciascun atto interruttivo, sia decorso il termine (minimo) di prescrizione fissato dall’articolo 157 c.p. che quindi, in presenza di plurimi atti interrottivi, potenzialmente e’ suscettibile di ricominciare a decorrere all’infinito (in tal senso, in giurisprudenza, v. anche Sez. 3, sentenza n. 2210 del 2016).
16.2.5. Non puo’ porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione eventualmente maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della totale inammissibilita’ del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, piu’ volte chiarito che l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione “non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p.” (Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 32 del 22 novembre 2000, CED Cass. n. 217266: nella specie, l’inammissibilita’ del ricorso era dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del reato era maturata successivamente alla data della sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., sentenza n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n. 231164, e Sez. un., sentenza n. 19601 del 28 febbraio 2008, CED Cass. n. 239400).
17) (OMISSIS) classe (OMISSIS).
GUP del Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato (OMISSIS) classe (OMISSIS) colpevole dei reati ascrittogli ai capi 1) e 32)) (esclusa per quest’ultimo la circostanza aggravante di cui all’articolo 629 c.p., comma 2, in riferimento all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1), unificati dal vincolo della continuazione, con la contestata recidiva, ed operata la riduzione per il rito lo aveva condannato alla pena di anni 10, mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed Euro 10.000 di multa, oltre alle statuizioni accessorie.
All’imputato, detto “(OMISSIS)” si contestava (capo 1) la partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta, costituita, promossa, organizzata e diretta da (OMISSIS) detto “(OMISSIS)”, capo riconosciuto della locale di (OMISSIS), con ruolo di gestione di traffici di sostanze stupefacenti (soprattutto eroina) nel territorio lametino, con contatti a cio’ strumentali con ambienti di camorra napoletana, nonche’ compartecipe in talune azioni omicidi arie e mandante di atti intimidatori, gestore di estorsioni e detentore di armi in ambito associativo; si contestava inoltre la commissione di un’estorsione perpetrata con metodo mafioso.
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato, quanto alle affermazioni di responsabilita’, la sentenza di primo grado, riducendo la pena – per effetto del riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti residue di cui al capo 32 – ad anni 7 e mesi 6 di reclusione ed Euro 7000 di multa, e condannando l’imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali soltanto in favore delle pp.cc. Comune di Lamezia Terme, (OMISSIS) di Lamezia Terme e F.A.I. oltre che della p.c. (OMISSIS).
17.1. Contro la predetta decisione, ricorre l’imputato, con l’ausilio di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, deducendo:
1) manifesta illogicita’ della motivazione quanto all’affermazione di responsabilita’ in ordine al reato di cui al capo 32): lamenta di aver documentato di aver pagato in parte il materiale acquistato, lasciando solo uno scoperto residuo di Euro 2790,81, non onorato per il sopravvenire di misure custodiali, e di non avere quindi inteso perpetrare alcuna, estorsione “silente”;
2) manifesta illogicita’ della motivazione quanto al diniego delle attenuanti generiche in ordine al reato di cui al capo 1).
17.2. Il ricorso e’ integralmente inammissibile.
17.2.1. Le doglianze, riguardanti la conclusiva affermazione di responsabilita’, reiterano, piu’ o meno pedissequamente, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilita’ (cfr. § 1.6.2. di queste Considerazioni in diritto), censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte, risultando, pertanto, prive della specificita’ necessaria ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), (Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), e, comunque, meramente assertive nonche’ manifestamente infondate, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato la contestata affermazione di responsabilita’ (in particolare, ff. 26 ss.), valorizzando incensurabilmente le inequivocabili dichiarazioni della p.o., che ha anche espressamente dichiarato di non avere mai agito per il recupero del proprio credito perche’ intimidito dalla caratura criminale del ricorrente.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia’ sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, e’ giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilita’ dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze gia’ incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture difensive improduttive di effetti.
17.2.2. Il secondo motivo e’ manifestamente infondato, perche’ la Corte di appello ha riconcsciuto all’imputato le circostanze attenuanti generiche (valorizzando anche “l’atteggiamento processuale collaborativo (vi e’ stata confessione in relazione al reato associativo’) non soltanto per l’estorsione, ma anche per il reato associativo: dette circostanze sono state poi esplicitamente comparate con le sole aggravanti del reato ritenu:o piu’ grave (f. 28 della sentenza impugnata), ed implicitamente computate ai fini dell’aumento di pena per il reato satellite (in relazione al quale, se e’ vero che non sono state esplicitamente menzionate le attenuanti generiche, e’ vero anche che non e’ stata menzionata neanche la contestata e gia’ ritenuta recidiva).

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