Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 7 settembre 2017, n. 40855. La minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita e indiretta

[……..segue pag. precedente]

La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato la sentenza di primo grado, condannando l’imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali, anche in favore delle pp.cc. Comune di Lamezia Terme, (OMISSIS) di Lamezia Terme e F.A.I..
22.1. Contro la predetta decisione, ha proposto ricorso l’imputato, con l’ausilio di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, deducendo:
1) manifesta illogicita’ della motivazione quanto all’affermazione di responsabilita’ in ordine al reato di cui al capo 21) (lamentando la falsita’ delle dichiarazioni della p.o. quanto al coinvolgimento del figlio (OMISSIS) nell’usura che si assume perpetrata dal padre (OMISSIS): l’affermazione che (OMISSIS) avrebbe negoziato i titoli rilasciati dalla presunta p.o. dell’usura al padre (OMISSIS) sarebbe frutto di travisamento in quanto i titoli de quibus non sarebbero stati negoziati; il figlio (OMISSIS) odierno ricorrente nessuna parte avrebbe avuto nella vicenda, ne’ apprezzabile riscontro alle dichiarazioni della p.o. poteva essere tratto dalle valorizzate dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS));
2) manifesta illogicita’ della motivazione quanto all’affermazione di responsabilita’ in ordine al reato di cui al capo 24): le dichiarazioni della p.o. sarebbero inattendibili e lacunose; la Corte avrebbe illogicamente interpretato il senso di una annotazione rinvenuta sulla matrice di un assegno;
3) manifesta illogicita’ della motivazione quanto all’affermazione di responsabilita’ in ordine al reato di cui al capo 1) nonche’ inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 416-bis c.p., comma 1: non poteva essere valorizzata l’attivita’ di prestiti ad usura, svolta individualmente e non “in forma societaria”, come testimoniato dal fatto che non gli era neanche stata contestata l’aggravante di cui all’articolo 7 della finalita’ mafiosa; il sodalizio enucleato non prevedeva il ruolo che si e’ preteso di attribuire all’imputato;
4) (non 3 come indicato in ricorso) mancanza di motivazione quanto alla conclusiva determinazione del trattamento sanzionatorio (che pretende distonica rispetto ad altri associati con ruolo di maggior rilievo) voleva minimo pena, attenuanti generiche e riduzione dell’aumento per la continuazione;
5) (non 4 come indicato in ricorso) articolo 606 c.p.p., lettera C – violazione dell’articolo 442 c.p.p., comma 1-bis, richiamato dall’articolo 458 c.p.p., comma 2, norma prevista a pena d’inutilizzabilita’, nella parte in cui la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la confisca di beni nella disponibilita’ dell’imputato sulla base di atti non ricompresi tra quelli che potevano essere legittimamente utilizzati, trattandosi di atti integrativi d’indagine svolti dopo l’ammissione al rito abbreviato;
6) (non 5 come indicato in ricorso) articolo 606 c.p.p., lettera E – mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione nella parte in cui la Corte d’appello ha confermato la confisca dell’immobile di cui al punto 4) del decreto di sequestro preventivo del 28.2.2013, nella disponibilita’ dell’imputato da data antecedente agli anni 2007/2008, come testimoniato dalla domanda di condono risalente al 2003 e dal pagamento di una somma per la sanatoria tra gli anni 2004 e 2006.
22.2. Il ricorso e’ fondato limitatamente alla confisca del fabbricato di cui al punto 4) del decreto di sequestro emesso in data 28 febbraio 2013, e, nel resto, e’, nel complesso, infondato.
22.2.1. Le doglianze riguardanti le conclusive affermazioni di responsabilita’ (1, 2 e 3 motivo) reiterano, piu’ o meno pedissequamente, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilita’ (cfr. § 1.6.2. di queste Considerazioni in diritto), censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte, risultando, pertanto, prive della specificita’ necessaria ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), (Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), e, comunque, meramente assertive nonche’ manifestamente infondate, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato le contestate affermazioni di responsabilita’ (in particolare, ff. 107 ss. della sentenza impugnata), valorizzando incensurabilmente plurime e convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia motivatamente ritenute attendibili, e dichiarazioni di persone offese, oltre che puntualmente esaminando, e dettagliatamente confutando tutte le censure specifiche dell’appellante.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia’ sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, e’ giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza di responsabilita’ dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze gia’ incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture difensive improduttive di effetti.
22.2.2. In particolare, la Corte di appello ha, tra gli altri, incensurabilmente valorizzato i seguenti elementi:
– quanto al reato di cui capo 21): il rinvenimento del nome (OMISSIS) (riferibile all’imputato) sugli assegni, a conferma delle dichiarazioni rese dalla p.o. quanto all’identita’ dell’imputato (figlio di (OMISSIS), ovvero il soggetto che gli prestava denaro ad usura) e da alcuni collaboratori di giustizia (concordi e precisi nel riferire che padre e figlio facevano usure insieme); appare, infine, irrilevante l’invocato dato della mancata negoziazione del titolo, peraltro assertivamente prospettato, ma non congruamente dimostrato;
– quanto al reato di cui al capo 24): le dichiarazioni della p.o., scrupolosamente vagliate; ne’ e’ dato comprendere – in un contesto di condotte di usura – in cosa si concretizzerebbe l’evocata illogicita’ del senso di una annotazione rinvenuta sulla matrice di un assegno (int. uguale interessi: deduzione al contrario estremamente logica);
– quanto al reato di cui al capo 1: plurime dichiarazioni di collaboratori di giustizia, concordi e precise, di certo non ostili all’imputato, in assenza di congruamente documentati moventi calunniatori (che neanche l’imputato accreditata), e comunque in massima parte facenti parte del medesimo nucleo familiare dello stesso imputato; non corrisponde, peraltro, al vero che la Corte di appello abbia affermato che le usure fossero direttamente riconducibili al sodalizio, essendosi limitata ad affermare che esse, poste in essere a titolo individuale, costituivano peraltro elementi sintomatici che confermavano l’assunto – aliunde ampiamente corroborato dalle acquisite risultanze probatorie – della mafiosita’ dell’imputato: come reiteratamente chiarito dalla Corte d’appello, l’usura praticata dai (OMISSIS), ancorche’ posta in essere dai membri di quel sottogruppo individualmente e non in forma collettiva (vale a dire attraverso capitali comuni), rientrava a pieno titolo tra le attivita’ illecite della cosca e contribuiva a connotare l’apporto partecipativo al sodalizio.
2:2.2.3. Il quarto motivo e’ in parte non consentito (in difetto di appello quanto alle circostanze: cfr. sul punto quanto gia’ osservato nel § 10/11.2.3. di queste Considerazioni in diritto), in parte privo della specificita’ necessaria ex articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), (essendo stato richiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche assertivamente, senza congruamente indicare gli elementi eventualmente sintomatici della necessaria meritevolezza).

[……..segue pag. successiva]

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *