Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 7 settembre 2017, n. 40855. La minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita e indiretta

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12.1. Contro la predetta decisione, ricorre l’imputato, con l’ausilio di un difensore iscritto’ nell’albo speciale della Corte di cassazione, chiedendo:
E) l’annullamento della sentenza ex articolo 606 c.p.p., lettera B/C/E, in relazione all’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, e articolo 416-bis c.p., “vieppiu’ contraddittorieta’ della motivazione; lamenta, quanto all’affermazione di responsabilita’, che le valorizzate dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non sarebbero state valutate nel rispetto dei principi affermati dalle Sezioni Unite, e che tra le stesse non vi sarebbe la necessaria convergenza dichiarativa, in particolare avendo il reggente (OMISSIS) non indicato l’imputato come affiliato.
Sono nelle more pervenute due note contenenti memorie/motivi nuovi quanto all’affermazione di responsabilita’ ed al calcolo della recidiva e della pena, l’una recante in calce la data dell’8 aprile c.a. e depositata in pari data, l’altra pervenuta il 18.4.2017.
12.2. Il ricorso e’ integralmente inammissibile.
12.2.1. Le memorie, contenenti in parte anche motivi nuovi (quanto a recidiva e pena, non oggetto di ricorso), sono state depositate tardivamente, perche’ in violazione del prescritto termine di giorni 15 (cfr. § 3.3.1. di queste Considerazioni in diritto), e non andranno, pertanto, considerate.
12.2.2. Cio’ premesso, le doglianze tempestivamente dedotte, riguardanti la conclusiva affermazione di responsabilita’, reiterano, piu’ o meno pedissequamente, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilita’ (cfr. § 1.6.2. di queste Considerazioni in diritto), censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte, risultando, pertanto, prive della specificita’ necessaria ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), (Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), e, comunque, meramente assertive nonche’ manifestamente infondate, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato la contestata affermazione di responsabilita’ (in particolare, ff. 40 ss. della sentenza impugnata), valorizzando plurime e convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia motivatamente ritenute attendibili, e cospicui esiti di intercettazione di conversazioni, incensurabilmente interpretate, oltre che puntualmente esaminando, e dettagliatamente confutando, tutte le censure specifiche dell’appellante.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia’ sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, e’ giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilita’ dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze gia’ incersurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture difensive improduttive di effetti.
13) (OMISSIS):
Il GUP del Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato ascrittogli al capo 1), con la contestata recidiva, ed operata la riduzione per il rito lo aveva condannato alla pena di anni 7 e mesi 8 di reclusione, oltre alle statuizioni accessorie.
All’imputato si contestava (capo 1) la partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta, costituita, promossa, organizzata e diretta da (OMISSIS) detto “(OMISSIS)”, capo riconosciuto della locale di (OMISSIS), con ruolo esecutivo, quale preposto alla commissione di danneggiamenti ed altri atti intimidatori in danno di imprenditori, propedeutici alle estorsioni perpetrate dal sodalizio, nonche’ impegnato in attivita’ di spaccio di sostanze stupefacenti per conto della cosca (in (OMISSIS), con condotta perdurante).
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato, quanto all’affermazione di responsabilita’, la sentenza di primo grado, riducendo al pena ad anni 6 e mesi 4 di reclusione, e condannando l’imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali soltanto in favore delle pp.cc. Comune di Lamezia Terme, (OMISSIS) di Lamezia Terme e F.A.I..
13.1. Contro la predetta decisione, ricorre l’imputato, con l’ausilio di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, deducendo:
1/2 – inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 192 c.p.p. e articolo 416-bis c.p., nonche’ motivazione carente ovvero manifestamente illogica ed irragionevole quanto all’affermazione di responsabilita’, asseritamente viziata dalla valorizzazione di dichiarazioni collaborative non adeguatamente vagliate, in violazione dei principi stabiliti dalla giurisprudenza delle SS.UU., oltre che non sorrette dai necessari riscontri individualizzanti.
In data 3.4.2017 ha presentato memoria, essenzialmente citando l’orientamento della II sezione, per il quale non puo’ ritenersi accertata l’affiliazione ad un sodalizio di tipo mafioso valorizzando il mero rapporto di parentela con affiliati.
13.2. Il ricorso e’ integralmente inammissibile.
13.2.1. Deve premettersi che, come gia’ osservato nel § 5/6/7.2.1. e nel § 9.2.1. di queste Considerazioni in diritto, i vizi di “motivazione irragionevole” e “falsa applicazione della legge” non sono deducibili in quanto non previsti dal testo vigente dell’articolo 606 c.p.p. come possibili motivi di ricorso.
In parte qua, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, il ricorso, proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge, sono inammissibili.
13.2.2. Cio’ premesso, le doglianze, riguardanti la conclusiva affermazione di responsabilita’, reiterano, piu’ o meno pedissequamente, a fronte di una doppia conforme affe-mazione di responsabilita’ (cfr. § 1.6.2. di queste Considerazioni in diritto), censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte, risultando, pertanto, prive della specificita’ necessaria ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), (Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 201.3, CED Cass. n. 256133), e, comunque, meramente assertive nonche’ manifestamente infondate, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato la contestata affermazione di responsabilita’ (in particolare, ff. 161 ss. della sentenza impugnata), valorizzando plurime e convergenti dich arazioni di collaboratori di giustizia motivatamente ritenute attendibili, e cospicui esiti di intercettazione di conversazioni, incensurabilmente interpretate, oltre che puntualmente esaminando, e dettagliatamente confutando, tutte le censure specifiche dell’appellante.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia’ sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, e’ giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della respiDnsabilita’ dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze gia’ incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture difensive improduttive di effetti.
13.2.3. Deve aggiungersi che questa Corte (Sez. 2, sentenza n. 19177 del 15/03/2013, Rv. 255828) ha gia’ osservato che, in presenza di rapporti di parentela tra i presunti partecipanti ad una associazione per delinquere di tipo mafioso, deve escludersi l’idoneita’ di semplici relazioni di parentela o di affinita’ a costituire, di per se’, prova od anche soltanto indizio dell’appartenenza di taluno all’associazione; tuttavia, una volta accertata, da un lato, la probabile esistenza di un’organizzazione delinquenziale a base familiare e, dall’altro, una non occasionale attivita’ criminosa di singoli esponenti della stessa famiglia (intesa in senso lato). alla quale fa capo l’organizzazione stessa, nel medesimo campo nel quale questa opera, puo’ essere considerato sintomatico della della partecipazione dei suindicati soggetti al sodalizio criminoso, anche il fatto che vi siano legami di parentela o affinita’ fra essi e colore che in quel sodalizio occupano posizioni di vertice o, comunque, di rilievo.
La semplice esistenza di relazioni di parentela con un esponente di un sodalizio mafioso non costituisce, quindi, di per se’ prova o solo indizio dell’appartenenza di un soggetto al sodalizio medesimo (Sez. 5, sentenza n. 18491 del 22/11/2012, dep. 2013, Rv. 255431, con la importante precisazione che, una volta accertata – come nel caso di specie – resistenza di una organizzazione delinquenziale a base familiare ed una non occasionale attivita’ criminosa dei singoli esponenti della famiglia, nulla impedisce al giudice di attribuire alla circostanza che vi siano legami di parentela tra un soggetto e coloro che nella associazione occupano posizioni di vertice o di rilievo, valore indiziante in ordine alla sua partecipazione al sodalizio criminoso).
Nel caso in esame, correttamente attenendosi al predetto orientamento, la Corte di appello ha valorizzato, ai fini della prova dell’appartenenza dell’imputato all’enucleato sodalizio di tipo mafioso non soltanto l’esistente parentela tra l’imputato ed alcuni associati, ma anche gli elementi puntualmente riepilogati a f. 161 ss. della sentenza impugnata quanto alle condotte d’interesse del sodalizio in concreto tenute dall’imputato.
14) (OMISSIS):
Il GUP del Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato ascrittogli al capo 1), con la contestata recidiva, ed operata la riduzione per il rito lo aveva condannato alla pena di anni 12 di reclusione, oltre alle statuizioni accessorie.
All’imputato, detto “(OMISSIS)”, che aveva costituito, promosso, organizzato e diretto l’associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta, quale capo riconosciuto della locale di (OMISSIS), si contestava di aver conservato un ruolo verticistico nell’ambito del sodalizio nonostante la sopravvenuta restrizione in carcere (in (OMISSIS), con condotta perdurante).
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato la sentenza di primo grado, condannando l’imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali, anche in favore delle pp.cc. Comune di Lamezia Terme, (OMISSIS) di Lamezia Terme e F.A.I..

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