Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 7 settembre 2017, n. 40855. La minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita e indiretta

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14.1. Contro la predetta decisione, ricorre l’imputato, con l’ausilio di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, deducendo:
– violazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3 e articolo 187 c.p.p. e dell’articolo 416-bis c.p., nonche’ mancanza ed illogicita’ della motivazione quanto all’affermazione di responsabilita’, in particolare essendo il ruolo verticistico riconosciutogli incompatibile con la detenzione ininterrottamente sofferta a partire dal 1992; sarebbero state mal valutate le dichiarazioni collaborative dell’imputato e gli esiti di una consulenza depositata dalla difesa, avente ad oggetto trascrizione di conversazioni ed esame di filmati riguardanti colloqui con i familiari.
14.2. Il ricorso e’ integralmente inammissibile.
14.2.1. Le doglianze, riguardanti la conclusiva affermazione di responsabilita’, reiterano, piu’ o meno pedissequamente, a fronte di una doppia conforme affermazione di responsabilita’ (cfr. § 1.6.2. di queste Considerazioni in diritto), censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte, risultando, pertanto, prive della specificita’ necessaria ai sensi dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera C), (Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), e, comunque, meramente assertive nonche’ manifestamente infondate, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato la contestata affermazione di responsabilita’ (in particolare, ff. 7 ss. della sentenza impugnata), valorizzando plurime e convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia motivatamente ritenute attendibili, e cospicui esiti di intercettazione di conversazioni, incensurabilmente interpretate, oltre che puntualmente esarninando, e dettagliatamente confutando, anche con riferimento alla menzionata consulenza di parte, tutte le censure specifiche dell’appellante.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio gia’ sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, e’ giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilita’ dell’imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze gia’ incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture difensive improduttive di effetti.
14.2.2. In particolare, quanto al permanere del riconosciuto ruolo verticistico, che la difesa contesta a cagione dell’ininterrotta detenzione patita da lungo tempo, ma che la Corte d’appello motivatamente conferma, si e’ raggiunta prova certa della continua trasmissione di ordirli – propiziata dalle visite delle congiunte, moglie e figlie – all’esterno del carcere dove era ristretto, valorizzando le plurime dichiarazioni collaborative acquisite, e soprattutto le captazioni di conversazioni incensurabilmente interpretate e di immagini, che in un caso documentano la consegna alla moglie di un “pizzino” in data 30.11.2010, assai verosimilmente contenente un messaggio, secondo quanto peraltro riferito anche dai collaboratori di giustizia.
L’episodio risulta incensurabilmente ricostruito dalla Corte d’appello. In proposito, quanto la difesa pretenderebbe di desumere dalla propria consulenza tecnica si e’ rivelato del tutto privo di fondamento (cfr. rilievi a f. 16 della sentenza impugnata, che “smontano” la prospettazione difensiva, evidenziando che la predetta consulenza fonda su “immagini parziali, che non rappresentano l’intera sequenza, come si evince dall’orario in minuti e secondi impresso sulle immagini, non relativo a tutti gli istanti in cui la mano e’ stata ripresa, e che proprio per questo non danno la rappresentazione completa del gesto”, concludendo incersurabilmente nel senso che “non vi e’ quindi motivo di disattendere la ricostruzione della PG, che documenta il passaggio di mano del pizzino. Sebbene non si conosca il contenuto di quel messaggio, l’episodio assume obbiettiva valenza indiziaria, riscontrando quan-o riferito dai collaboratori sul fatto che nella cosca si usasse il sistema dei pizzini per comunicare con l’esterno (come confermano le stesse dichiarazioni di (OMISSIS)) e com’ermano che il canale di comunicazione di (OMISSIS) verso l’esterno era rappresentato dai colloqui con i familiari”.
E’ certo, inoltre, l’intervento dell’imputato in almeno due occasioni (f. 16 s.) nella quali furono prese decisioni fondamentali per la vita della cosca.
L’assunto accusatorio e’ ulteriormente comprovato dalla altrimenti immotivata precccupazione di non essere intercettato, frequentemente palesata nel corso dei colloqui con le congiunte, spesso condotti con linguaggio criptico oppure a segni e gesti, non altrimenti giustificata dalla difesa.
15) (OMISSIS):
Il GUP del Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1), 3), 13), 14), 15), 28), 29), 30), 31) (esclusa per i capi 3), 13), 14), 15), 28), 29), 30), 31) la circostanza aggravante di cui all’articolo 629 c.p., comma 2, in riferimento all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 1), unificati dal vincolo della continuazione, e, riconosciute l’attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 8, nonche’ le attenuanti generiche (queste ultime con giudizio di equivalenza sulle aggravanti concorrenti), operata la riduzione per il rito lo aveva condannato alla pena di anni 6 e mesi 8 di reclusione, oltre alle statuizioni accessorie.
All’imputato, detto “il (OMISSIS)”, si contestava (capo 1) la partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta, costituita, promossa, organizzata e diretta dal padre (OMISSIS) detto “(OMISSIS)”, capo riconosciuto della locale di (OMISSIS), con ruolo verticistico di co-reggente, come dettagliatamente descritto nel relat vo capo d’imputazione (in (OMISSIS), con condotta perdurante), oltre alla commissione di alcuni reati fine.
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato, quanto alle affermazioni di responsabilita’, la sentenza di primo grado, riducendo la pena ad anni 5 e mesi 4 di reclusione, e condannando l’imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali soltanto in favore delle pp.cc. Comune di Lamezia Terme, (OMISSIS) di Lamezia Terme e F.A.I. nonche’ della p.c. (OMISSIS).
15.1. Contro la predetta decisione, ricorre l’imputato, con l’ausilio di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, deducendo:
1) – mancanza di motivazione in relazione al bilanciamento tra circostanze;
2) – mancanza di motivazione quanto all’eccessivo aumento per la continuazione.
15.2. Il ricorso e’ integralmente inammissibile, perche’ presentato per motivi privi della necessaria specificita’, in quanto meramente reiterativi, e comunque manifestamente infondati.
15.2.1. Il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello che, con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato le contestate statuizioni valorizzando incensurabilmente le premesse gravissime modalita’ del fatto e la rilevanza concreta delle aggravanti concorrenti (recidiva particolarmente significativa per numero e gravita’ dei precedenti – ed associazione armata), correttamente conformandosi al consolidato orientamento di questa Corte, per la quale, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita’ qualora – come nel caso di specie – non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogizo e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu’ idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (cosi’ Sez. un., sentenza n. 10713 del 25 febbraio 2010, CED Cass. n. 245931).

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