Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 7 settembre 2017, n. 40855. La minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera implicita e indiretta

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In realta’, il ricorrente non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello che, con argomentazioni giuridicamente corrette, nonche’ esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato le contestate statuizioni incensurabilmente valorizzando le premesse gravi modalita’ dei fatti accertati e l’assenza di sintomi di resipiscenza o di altri elementi decisivamente sintomatici in senso contrario – della necessaria meritevolezza, determinando in maniera senz’altro congrua il conclusivo e complessivo trattamento sanzionatorio, quantificando la pena base al limite medio, con contenuti aumenti nella misura di un terzo per ciascuna usura a fronte di un massimo edittale pari a non meno di dodici anni di reclusione, pur in riferimento a condotte gravi che denotano capacita’ criminale particolarmente elevata e notevole intensita’ del dolo.
22.2.4. Il 5 motivo e’ infondato.
22.2.4.1. Il ricorrente lamenta violazione dell’articolo 442 c.p.p., comma 1-bis, richiamato dall’articolo 458 c.p.p., comma 2, norma prevista a pena d’inutilizzabilita’, nella parte in cui la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la confisca di beni nella disponibilita’ dell’imputato sulla base di atti non ricompresi tra quelli che potevano essere legittimamente utilizzati, trattandosi di atti integrativi d’indagine svolti dopo l’ammissione al rito abbreviato.
22.2.4.2. Deve convenirsi che la Corte d’appello non ha argomentato in maniera del tutto convincente in ordine al rigetto delle doglianze dell’imputato, essenzialmente fondate sul rilievo che i valorizzati atti integrativi di indagine potevano asseritamente essere utilizzati solo previa acquisizione da parte del GUP per la loro assoluta necessita’ ai fini della decisione, e con facolta’ di prova contraria, il che non risulta essere avvenuto. Diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non si porrebbe un problema di contraddittorio ne’ di confiscabilita’ in fase esecutiva, nella specie irrilevanti, perche’, procedendosi con rito abbreviato, nel fascicolo non potevano entrare ulteriori atti se non acquisiti con le formalita’ previste dall’articolo 441 c.p.p., comma 5, secondo quanto lamenta il ricorrente.
22.2.4.3. L’impossibilita’ di utilizzare validamente i predetti atti era stata tempestivamente eccepita dalla difesa all’udienza 17.5.2013.
22.2.4.4. Pur se in concreto il ricorso non indica il contenuto degli atti in ipotesi indebitamente valorizzati, ne’ effettua la dovuta “prova di resistenza”, dalla motivazione della sentenza impugnata appare evidente che gli atti integrativi de quibus siano stati determinanti ai fini della contestata statuizione, il che non consente di ritenere l’odierna doglianza priva della necessaria specificita’.
2.2.2.4.5. Prima di valutare la fondatezza o meno della doglianza difensiva, occorre necessariamente considerare che gli atti de quibus non sono stati utilizzati a fondamento dell’affermazione di responsabilita’, ma soltanto della contestata statuizione di confisca, cui il prevalente orientamento di questa Corte attribuisce natura di mera misura di sicurezza (Sez. 6, sentenza n. 10887 dell’11/10/2012, dep. 2013, Rv. 254786; Sez. 6, sentenza n. 25096 del 06/03/2009, Rv. 244355; Sez. 1, sentenza n. 8404 del 15/01/2009, Rv. 242562).
22.2.4.6. Cio’ premesso, nel caso in esame:
non appare applicabile la disciplina dettata dall’articolo 430 c.p.p., in difetto dell’emissione del decreto che dispone il giudizio;
– non appare applicabile la disciplina dettata dall’articolo 407 c.p.p. (con sanzione di inutilizzabilita’), perche’ gli atti oggetto della doglianza difensiva non erano diretti a sostenere l’accusa, trattandosi, piuttosto, di atti relativi a statuizioni di natura amministrativa (di confisca) che possono essere disposte per la prima volta anche dopo l’emissione della sentenza, dei quali la parte e’ stata messa a conoscenza e quindi posta in condizione di esplicare le opportune difese.
22.2.4.7. Come gia’ chiarito dalla giurisprudenza (Sez. un., sentenza n. 29022 del 30/05/2001, Rv. 219221; Sez. 6, sentenza n. 27343 del 20/05/2008, Rv. 240585), la confisca dei beni patrimoniali dei quali il condannato per determinati reati non sia in grado di giustificare la provenienza, prevista dal Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306, articolo 12-sexies, convertito in L. 8 agosto 1992, n. 356, come modificato dal Decreto Legge 20 giugno 1994, n. 399, convertito in L. 8 agosto 1994, n. 501, avrebbe potuto pacificamente essere disposta anche dal giudice dell’esecuzione, che provvede “de plano”, a norma dell’articolo 676 c.p.p. e articolo 667 c.p.p., comma 4, ovvero all’esito di procedura in contraddittorio a norma dell’articolo 666 c.p.p., salvo che sulla questione non abbia gia’ provveduto il giudice della cognizione, con conseguente preclusione processuale.
Si e’ anche precisato che la semplicita’ dell’accertamento richiesto nella procedura “de plano” non e’ incompatibile con la confisca speciale ogni qual volta i dati da valutare siano gia’ emergenti dagli accertamenti contenuti nei provvedimenti definitivi di merito”; peraltro, il giudice dell’esecuzione puo’ provvedere svolgendo in contraddittorio gli approfondimenti istruttori necessari, ex articolo 666 c.p.p., comma 5.
2.2.2.4.8. Appare, pertanto, evidente, anche per esigenze di economia processuale, che, premessa la necessita’ del contraddittorio (imposto anche in executivis dall’articolo 666 c.p.p., comma 5, quando siano necessari approfondimenti istruttori nuovi), nessun vizio e’ rilevabile nel caso di specie.
La contestata statuizione di confisca avrebbe potuto essere adottata dal giudice dell’esecuzione sulla base di elementi acquisiti successivamente addirittura anche rispetto al giudicato di cognizione, purche’ in contraddittorio; del tutto legittimo appare, quindi, che essa sia stata disposta dalla Corte di appello valorizzando elementi acquisiti dopo l’ammissione al giudizio abbreviato, ma pur sempre nel contraddittorio, ovvero consentendo alle parti l’esplicazione di ogni utile attivita’ difensiva (in ipotesi, anche l’esercizio de diritto di prova contraria, in concreto non esercitato dalla difesa per sua scelta), come e’ avvenuto all’udienza 17.5.2013, nel corso della quale il ricorrente ha avuto facolta’ di attivarsi come riteneva opportuno.
22.2.5. Il 6 motivo e’ fondato.
li ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha confermato la confisca dell’immobile di cui al punto 4) del decreto di sequestro preventivo del 28.2.2013, trascurando di considerare che l’immobile sembrerebbe nella disponibilita’ dell’imputato da data antecedente agli anni 2007/2008, come testimoniato dalla domanda di condono risalente al 2003 e dal pagamento di una somma per la sanatoria tra gli anni 2004 e 2006.
La denunziata contraddizione appare effettivamente sussistente:
a f. 116 della sentenza impugnata si ammette che tra il 2004 ed il 2006 e’ documentata una spesa per la sanatoria del fabbricato;
– a f. 117 della sentenza impugnata si afferma che il fabbricato risulterebbe edificato negli anni 2007-2008.
22.2.6. In accoglimento del ricorso dell’imputato (OMISSIS) classe (OMISSIS), la sentenza impugnata va, quindi, annullata limitatamente alle statuizioni di confisca in danno del predetto, aventi ad oggetto il fabbricato di cui al punto 4) del decreto di sequestro emesso in data 28.2.2013, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Catanzaro per nuovo giudizio, che sara’ condotto tenendo conto dei rilievi di cui al § che precede, ed in particolare componendo l’indicata contraddizione.
22.2.6.1. Non opera al riguardo alcun effetto estensivo in favore dei coimputati soccombenti in ordine al punto delle disposte confische, cui risultano confiscati beni diversi.
22.2.6.2. Alla luce dei rilievi che precedono, il ricorso va, nel resto, rigettato.
23) (OMISSIS):
Il GUP del Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole del reato ascrittogli al capo 1), con la contestata recidiva, ed operata la riduzione per il rito lo aveva condannato alla pena di anni 8 e mesi 8 di reclusione, oltre alle statuizioni accessorie.
All’imputato si contestava (capo 1) la partecipazione all’associazione di tipo mafioso dencminata âEuroËœndrangheta, costituita, promossa, organizzata e diretta da (OMISSIS) detto “(OMISSIS)”, capo riconosciuto della locale di (OMISSIS), con il compito, tra gli altri, di usuraio/esattore per conto della cosca di appartenenza, attivo nell’esercizio abusivo del credito.
a Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha confermato la sentenza di primo grado quanto all’affermazione di responsabilita’, riducendo la pena ad anni 8 di reclisione e condannando l’imputato al pagamento delle ulteriori spese processuali soltanto in favore delle pp.cc. Comune di Lamezia Terme, (OMISSIS) di Lamezia Terme e F.A.I..
23.1. Contro la predetta decisione, ha proposto ricorso l’imputato, personalmente, deducendo (con ricorso del quale sono giunte due copie sostanzialmente sovrapponibili):
1) violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera E in relazione all’articolo 546, comma 1, lettera e), c.p.p., per manifesta illogicita’ ed intima contraddittorieta’ della motivazione, quanto all’affermazione di responsabilita’, viziata dalla valorizzazione di un singolo episodio di usura individuale separatamente giudicato, dall’assenza di prova della consapevole volonta’ di far parte del sodalizio, dalla mancata considerazione di quanto riferito dai collaboratori di giustizia (OMISSIS) ed (OMISSIS) sulla specifica dimensione non associativa delle usure;
2) vizi di motivazione e violazione di legge quanto alla ritenuta partecipazione al sodalizio dell’imputato perche’ valorizza il fatto che i collaboratori di giustizia hanno definito l’imputato “battezzato” senza dimostrare nulla di piu’, ovvero individuare il concreto contributo fornito al sodalizio, non emergente dalle dichiarazioni dei pentiti; inoltre perche’ valorizza il coinvolgimento in una usura (come gia’ diffusamente argomentato sub 1);
3) violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera C ed E, in relazione all’articolo 192 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, per violazione dei criteri di valutazione della prova indiziaria con specifico riferimento alle dichiarazioni dei cinque collaboratori di giustizia valorizzati, al contrario inattendibili e non convergenti;
4) violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera B e C, con mancanza di motivazione in relazione all’articolo 125 c.p.p., comma 3 e articolo 546 c.p.p., comma 1, articoli 62-bis e 99 c.p., quanto al diniego della attenuanti generiche ed alla mancata esclusione della recidiva.
In data 3.4.2017 sono stati depositati motivi asseritamente nuovi, ma in realta’ pedissequamente reiterativi delle gia’ formulate doglianze quanto all’affermazione di responsabilita’, in riferimento alla non riconducibilita’ delle usure (quella separatamente giudicata con esclusione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7) all’attivita’ del sodalizio, riferita da due pentiti dei quali allega verbali di dichiarazioni, ed all’inconsapevolezza dell’eventuale contributo.

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