Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 26 gennaio 2015, n. 319
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7673 del 2013, proposto da:
So.Lu., rappresentata e difesa dagli avvocati Pi.Fe., En.Ro., Ma.St.Ma., con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via (…);
contro
Comune di Ardenno in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati En.Ma. e Al.Sa., con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, (…);
Ministero per i beni e le attività culturali in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO: SEZIONE II n. 1308/2013, resa tra le parti, concernente ingiunzione di demolizione di opere edilizie.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2014 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Ma.St.Ma. e Al.Sa., e l’avvocato dello Stato Va.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La signora Lu.So. chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo della Lombardia ha respinto il ricorso proposto avverso l’ordinanza in data 16 luglio 2012 del responsabile del servizio tecnico del Comune di Ardenno (Sondrio) recante ingiunzione di demolizione della tettoia posta sul lato nord dell’edificio noto come palazzo Paravicini Sabini, vincolato come bene culturale con decreto ministeriale del 16 giugno 1980 ai sensi della l. 1 giugno 1939, n. 1089.
I) Espone l’appellante che tale manufatto, costruito in materiale metallico e risalente ad un periodo anteriore al 1960, e quindi senza che ne fosse necessario il previo assenso da parte del Comune, è da considerarsi compreso nel suddetto vincolo; in data 31 ottobre 2011 il Comune di Ardenno ha inaspettatamente comunicato a tutti i comproprietari dell’immobile l’avvio del procedimento volto ad accertarne l’abusività, in quanto realizzato in assenza e/o difformità dai permessi rilasciati. Il 1° dicembre 2011, a seguito di apposito sopralluogo, il Comune ha riscontrato l’abusività dell’opera, e nel marzo 2012 ha ordinato dapprima la sospensione dei lavori ai sensi dell’art. 27, terzo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 e, con l’ordinanza oggetto del ricorso di primo grado ne ha poi disposto la demolizione, ai sensi del successivo art. 31, chiedendo, con nota del 14 agosto 2012, alla competente Soprintendenza chiarimenti in merito al compendio tutelato. In data 5 ottobre 2012 la Soprintendenza rispondeva nel senso che la tettoia era compresa nel perimetro del vincolo istituito con d.m. del 16 ottobre 1980.
L’interessata, assumendo l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione, ne ha chiesto l’annullamento al Tribunale amministrativo della Lombardia, che con la sentenza impugnata ha respinto il ricorso, rilevando che l’epoca di realizzazione del manufatto non può essere fatta risalire a data anteriore al 1960, dato che le planimetrie allegate al decreto di vincolo non ne evidenziano l’esistenza, e che pertanto si rende applicabile ratione temporis l’art. 31, comma primo, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 nella formulazione introdotta dall’art. 10 della legge 6 agosto 1967, n. 765, in base al quale le nuove costruzioni devono essere assentite da previa licenza comunale. In base alle medesime risultanze documentali, secondo la sentenza in esame, deve inoltre escludersi che il vincolo comprenda anche la tettoia, la cui realizzazione avrebbe presupposto il rilascio di apposita concessione edilizia: la mancanza del titolo autorizzatorio è stato, quindi, correttamente sanzionata dal Comune con l’applicazione dell’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, applicabile a prescindere dal lasso di tempo trascorso dalla realizzazione del manufatto.
II) La sentenza merita conferma, essendo infondato l’appello in esame.
1) Va innanzitutto confermato il rilievo attribuito dalla sentenza impugnata alla planimetria allegata al decreto ministeriale impositivo del vincolo, dalla quale emerge che alla data del 16 ottobre 1980 la tettoia non era stata realizzata: avverso questa evidenza l’appellante nulla deduce, limitandosi ad affermare che tale circostanza non è sintomatica dell’inesistenza del manufatto. Tale affermazione è destituita di fondamento, sol che si consideri che né la descrizione del compendio dichiarato di interesse particolarmente importante ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089, operata con il suddetto decreto, né le planimetrie allegate contengono alcun accenno alla tettoia, e che il vincolo si impone precisamente sui beni così come descritti e specificati (tale essendo, appunto, la valenza degli elementi identificativi del bene, necessari alla stessa dichiarazione di interesse).
2) Come ha ritenuto il Tribunale amministrativo, l’opera di cui trattasi deve essere qualificata quale nuova costruzione: questo Consiglio di Stato ha già osservato che, contrariamente a quanto pretende l’appellante, la realizzazione di una tettoia, anche se in aderenza ad un muro preesistente, non può essere considerata un intervento di manutenzione straordinaria ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera b) del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto non consiste nella rinnovazione o nella sostituzione di un elemento architettonico, ma nell’aggiunta di un elemento strutturale dell’edificio, con modifica del prospetto (per tutte, sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4086). La sua costruzione, pertanto, necessita del previo rilascio di permesso di costruire, e non è assentibile mediante semplice denuncia di inizio di attività, anche attesa la perdurante modifica dello stato dei luoghi che produce sul tessuto urbano: la mancanza del previo assenso legittima, quindi, l’applicazione della sanzione demolitoria, che costituisce atto dovuto per l’Amministrazione comunale, a prescindere dal lasso di tempo intercorso dalla realizzazione abusiva (per tutte, Consiglio di Stato, sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184), soprattutto quando, come nel caso di specie, l’abuso incide su un immobile sottoposto a vincolo.
3) Il potere di vigilanza di cui all’art. 27 comma 1 del citato d.P.R. n. 380 del 2001 deve intendersi come potere di carattere generale, appartenente al Comune e riguardante l’intera attività edilizia sul territorio: di conseguenza, non è fondata la pretesa esclusione della competenza comunale per effetto del comma 2 del medesimo art. 27, in favore di quella del Soprintendente laddove trattasi di abusi realizzati su immobili vincolati (cfr. Cons. Stato, VI, 18 aprile 2013, n. 2150). Il doveroso raccordo tra le due amministrazioni comporta dal punto di vista dell’ordine urbanistico-edilizio (che qui rileva) che, ferma la competenza del Comune, l’attività ripristinatoria e demolitoria incidente su immobili soggetti a vincolo sconti l’intervento, su richiesta del Comune (o delle altre autorità preposte alla tutela) della Soprintendenza nelle concrete specificazioni delle modalità operative, e quindi nello svolgimento materiale delle operazioni di ripristino dello stato preesistente al fine di prevenire che i valori culturali cui il vincolo si riferisce siano materialmente offesi dalle operazioni di riduzione in pristino. Resta naturalmente ferma la possibilità di dar corso alla parallela e autonoma potestà ripristinatoria ad opera degli organi di tutela del patrimonio culturale ai sensi di quelle leggi. Anche la censura appena esaminata è, quindi, infondata.
IV) Poiché ai motivi sopra considerati, e respinti, possono essere riportati tutti i motivi che lo compongono, l’appello non merita accoglimento.
La sentenza impugnata deve, quindi essere confermata.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna l’appellante a rifondere alle Amministrazioni resistenti le spese del secondo grado del giudizio, nella misura di 2.000 (duemila) euro oltre accessori di legge, con solidarietà passiva.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Maurizio Meschino – Consigliere
Roberta Vigotti – Consigliere, Estensore
Carlo Mosca – Consigliere
Bernhard Lageder – Consigliere
Depositata in Segreteria il 26 gennaio 2015.
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