CONSIGLIO DI STATO
SEZIONE V
SENTENZA 23 marzo 2015, n. 1552
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4466 del 2014, proposto dalla Regione Campania, rappresentata e difesa dall’avv. Rosaria Palma, con domicilio eletto presso la medesima in Roma, alla Via Poli 29;
contro
Arka S.r.l. in liquidazione, rappresentata e difesa dagli avv. Luigi Tretola e Ugo D’Angelo, con domicilio eletto presso Massimiliano Lombardo in Roma, Via Taro 56;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE III, n. 6002/2013, resa tra le parti, concernente la delibera della G.R. della Campania n. 36 dell’8/02/2013, recante l’annullamento delle precedenti delibere n. 2130/2007 e n. 180/2008, recanti il “finanziamento integrativo di progetti speciali”.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Arka S.r.l. in liquidazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Lidia Buondonno, su delega dell’avv. Rosaria Palma, e Paola Salvatore, su delega degli avv.ti Luigi Tretola e Ugo D’Angelo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La ARKA s.r.l. con ricorso al T.A.R. per la Campania, notificato il 27 luglio 2012 e ritualmente depositato, impugnava la delibera di Giunta n. 198 del 27 aprile 2012, con la quale la Regione Campania aveva sospeso in via cautelativa l’efficacia delle proprie precedenti delibere nn. 2130/2007 e 180/2008, aventi ad oggetto il finanziamento dei progetti di formazione di cui all’art. 26 della legge n. 845 del 1978, sospensione motivata con la pendenza di un procedimento penale relativo all’assegnazione dei contributi in questione e, inoltre, con la circostanza che le delibere di approvazione dei progetti erano state assunte da un organo incompetente nonché in assenza di procedure comparative.
L’Amministrazione, più precisamente, ravvisando la sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto, con la delibera n. 198 cit. aveva proceduto: a) ad avviare il procedimento per l’esercizio del potere di autotutela in merito alle deliberazioni nn. 2130/2007 e n. 180/2008, recanti l’approvazione delle proposte progettuali oggetto di finanziamento; b) a sospendere con decorrenza immediata, ai sensi dell’art. 7, comma 2, della legge n. 241 del 1990, l’efficacia delle deliberazioni predette, nelle more della conclusione del procedimento; c) ad incaricare il Coordinatore dell’A.G.C. n. 17 di provvedere all’avvio del procedimento volto all’esercizio dei poteri di autotutela in ordine alle menzionate deliberazioni.
La ricorrente con il proprio ricorso giurisdizionale premetteva in punto di fatto che:
– con le deliberazioni giuntali nn. 2130/2007 e 180/2008 erano stati approvati 11 progetti speciali (tra i quali quello di essa ricorrente), ritenuti coerenti con la programmazione regionale, e per questo trasmessi al Ministero del lavoro per il finanziamento di cui all’art. 26 della legge n. 845/1978;
– a seguito del decreto interministeriale (DI n. 57/CONT/V/2008) del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, di attribuzione dei contributi, in data 7 novembre 2008 era stato sottoscritto con la Regione Campania l’atto n. 539/2008 di concessione del finanziamento (poi sostituito dal n. 1330/2009), ed erano iniziate le relative attività formative;
– la Regione aveva indi autorizzato l’erogazione di una prima tranche del contributo finanziario previsto;
– la società, in seguito, aveva completato le proprie attività di formazione, e, pertanto, richiesto la liquidazione della seconda tranche di pagamento e delle successive;
– l’Amministrazione, tuttavia, avendo avuto già allora notizia di indagini in corso, con le note nn. 752142 del 5.10.2011 e 878976 del 21.11.2011 aveva sospeso in via cautelativa sia le attività didattiche finanziate, sia l’esame delle richieste di liquidazione avanzatele;
– le dette note erano state impugnate con un precedente ricorso davanti al T.A.R. per la Campania, che le aveva annullate con la sentenza n. 2305/2012;
– a quel punto la Regione aveva quindi adottato l’ulteriore provvedimento oggetto della nuova impugnativa, la delibera giuntale n. 198 del 27 aprile 2012, con il quale veniva preannunciato l’esercizio dei poteri di autotutela in ordine alle delibere n. 2130/2007 e n. 180/2008, delle quali era sospesa in via cautelativa l’efficacia, e comunicato agli interessati l’avvio del procedimento.
La ricorrente deduceva a sostegno del proprio nuovo gravame varie censure di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere.
La domanda cautelare da essa spiegata trovava accoglimento con l’ordinanza del Tribunale n. 1217 del 6 settembre 2012, provvedimento motivato con la considerazione che il ricorso appariva sorretto da elementi di fondatezza in relazione alla circostanza che il provvedimento di sospensione risultava privo di un termine certo di durata, e che in proposito non sarebbe potuto valere il generico rinvio al futuro esercizio del potere di autotutela, da esercitarsi in tempi parimenti indeterminati, in assenza di specifiche motivazioni in ordine alla necessità di sospendere in via immediata le pregresse delibere regionali.
Il thema decidendum veniva indi integrato mediante tre successivi atti di motivi aggiunti.
Con il primo la ricorrente aveva impugnato il decreto dirigenziale AGC 17 n. 3 del 29.11.2012, recante la “presa d’atto degli esiti delle comunicazioni di avvio del procedimento di revoca della DGR n. 2130 del 7.12.2007 e n. 180 del 28.1.2008 in attuazione della DGR n. 198 del 27.4.2012”.
Con il secondo atto di motivi aggiunti era stata impugnata la deliberazione di G.R. n. 36 dell’8 febbraio 2013, con la quale la Regione aveva definitivamente annullato, ai sensi degli artt. 21 octies e nonies della legge n. 241 del 1990, le proprie delibere n. 2130/2007 e n. 180/2008.
Tale annullamento era stato basato dalla Regione, in sintesi, sui rilievi che: 1) in riferimento ai finanziamenti di cui alle delibere da ultimo citate pendeva un procedimento penale per truffa presso la Procura della Repubblica di Napoli; 2) l’assegnazione dei contributi era avvenuta mediante una deliberazione dell’organo di indirizzo politico (la Giunta regionale), organo incompetente, e, inoltre, sulla base di una programmazione regionale assente, e in carenza di procedure comparative; 3) la realizzazione dei progetti finanziati era ancora incompiuta e, comunque, non più utile al raggiungimento degli obiettivi della programmazione regionale, oltre che inadeguata rispetto alle finalità di cui all’art. 26 della legge n. 845/1978; 4) non sussisteva l’interesse pubblico ad erogare il finanziamento, e l’interesse dei beneficiari a ottenere i contributi doveva ritenersi recessivo rispetto al primo.
Il T.A.R., con ordinanza n. 1017 del 20 giugno 2013, aveva accolto anche la nuova domanda di tutela cautelare presentata dalla società interessata.
Quest’ultima (nel frattempo posta in liquidazione), infine, con un terzo atto di motivi aggiunti aveva impugnato il decreto dirigenziale dell’AGC 17 n. 7 del 7 giugno 2013, con il quale la Regione aveva dato esecuzione alla delibera di G.R. n. 36/2013.
La ricorrente unitamente ai propri atti di gravame proponeva anche una domanda di risarcimento dei danni da essa patiti.
La Regione Campania si costituiva in giudizio in resistenza alle impugnative proposte dalla società ARKA.
All’esito del giudizio il Tribunale adìto, con la sentenza n. 6002/2013 in epigrafe, mentre dichiarava inammissibile il primo atto di motivi aggiunti (in quanto concernente un atto endoprocedimentale privo di valenza lesiva), accoglieva invece il ricorso introduttivo ed il secondo e terzo atto di motivi aggiunti (questo per invalidità derivata), per l’effetto annullando gli atti con essi rispettivamente impugnati.
La domanda risarcitoria proposta dalla società veniva invece respinta.
Seguiva, avverso tale sentenza, la proposizione da parte della Regione Campania del presente appello alla Sezione, articolato in cinque motivi.
La soc. ARKA si costituiva in giudizio in resistenza all’appello deducendone l’inammissibilità, e comunque la sua infondatezza nel merito.
La Sezione, con ordinanza n. 2885 del 2 luglio 2014, si pronunciava sulla domanda cautelare proposta unitamente all’appello regionale accogliendola ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito.
L’appellata sviluppava quindi ulteriormente le proprie argomentazioni con una successiva memoria.
La Regione Campania, dal canto suo, il 27 novembre 2014 depositava uno scritto di replica alle obiezioni di controparte. Questa tuttavia eccepiva l’inammissibilità dello scritto, chiedendone lo stralcio dal fascicolo. Veniva infatti opposto che la sua qualificazione in termini di “replica” era impedita dall’assenza di una precedente memoria conclusionale della stessa Amministrazione, sicché il nuovo atto, riguardato quale comune memoria, non poteva che risultare tardivo.
Alla pubblica udienza del 18 dicembre 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
La Sezione deve dare preliminarmente dare atto che non risulta proposto appello avverso la sentenza in epigrafe nei capi di segno sfavorevole all’originaria ricorrente, ossia quello con il quale è stata dichiarata l’inammissibilità del primo atto di motivi aggiunti, e quello con cui è stata respinta la domanda risarcitoria proposta dalla stessa ARKA. I detti capi della pronuncia sono divenuti pertanto definitivi per carenza d’impugnativa.
Tanto premesso, l’appello della Regione Campania è fondato.
1 La Sezione deve preliminarmente disattendere le eccezioni di inammissibilità dell’appello regionale sollevate dall’originaria ricorrente.
1a Questa deduce che l’appello si limiterebbe ad una generica impugnazione della sentenza, senza specificare in modo analitico e motivato i singoli capi di sentenza contestati e le censure ad essi mosse.
Una piana lettura dell’atto di appello rende però evidente come la Regione, nel riprendere le proprie precedenti difese, abbia al tempo stesso mosso anche delle critiche sufficientemente precise alle argomentazioni motive svolte dal primo Giudice, potendosi perciò reputare assolto l’onere della parte appellante di investire puntualmente il decisum impugnato precisando i motivi per cui questo sarebbe erroneo e da riformare, con il pieno adempimento delle condizioni di ammissibilità prescritte dall’art. 101 C.P.A..
1b Viene poi dedotto che nelle more del presente giudizio sarebbero passate in giudicato, siccome non appellate, altre sentenze dello stesso T.A.R. emesse nella stessa vicenda (nn. 811/2013, 3554/2013 e 4218/2013), decisioni che avevano annullato in modo ormai definitivo gli stessi atti regionali formanti oggetto (anche) del presente contenzioso.
Assume l’ARKA che tali pronunce dispiegherebbero la vincolante autorità del giudicato anche ai fini del corrente giudizio, poiché l’atto annullato in autotutela sarebbe stato di natura indivisibile, e le sentenze divenute definitive avevano accertato negli atti della Regione la presenza di vizi di legittimità che li avrebbero inficiati in modo parimenti indivisibile per tutti i destinatari.
Nemmeno questa eccezione è tuttavia fondata.
L’appellata assume la natura indivisibile degli atti in rilievo, ma significativamente non fornisce alcun argomento che possa giustificare siffatta qualificazione. Ed è agevole rilevare l’inconsistenza del presupposto logico della sua eccezione.
L’annullamento operato dalla delibera di G.R. n. 36/2013 aveva, difatti, natura di semplice atto plurimo.
Il provvedimento annullato non riguardava, invero, come deduce l’appellata, “un complesso di soggetti considerati come componenti indifferenziati di un gruppo unitario ed inscindibile”, ma, ben al contrario, racchiudeva disposizioni concettualmente autonome, ciascuna delle quali si riferiva ad un distinto progetto e aveva un proprio destinatario a sé stante.
Tali disposizioni erano, pertanto, perfettamente scindibili l’una dall’altra, e come tali suscettibili di vicende giuridiche separate.
1c Sicché entrambe le eccezioni di inammissibilità dell’appello devono essere respinte.
2 Tanto premesso, rileva la Sezione che la fondatezza delle assorbenti censure sollevate con i motivi terzo e quarto comporta l’accoglimento dell’appello.
2a In primo luogo appare con tutta evidenza la sostenuta violazione del principio di cui all’art. 12 della L. 241 del 1990, secondo il quale qualsiasi genere di sovvenzione, contributi o sussidi a soggetti privati o pubblici deve essere preceduta dalla predeterminazione e dalla pubblicazione da parte delle P.A. procedenti dei criteri cui le stesse Amministrazioni si dovranno attenere nell’an e nel quantum da concedere.
Né può addursi che le procedure in questione avrebbero un carattere di accreditamento/convenzione (sulla base di un procedimento di riconosciuta idoneità rispetto agli obiettivi di sviluppo) piuttosto che comparativo-concorrenziale.
In realtà si deve partire dal presupposto che l’art. 12 della L. 241 del 1990 riveste carattere di principio generale dell’ordinamento giuridico, ed in particolare della materia che governa tutti i contributi pubblici, la cui attribuzione deve essere almeno governata da norme programmatorie che definiscano un livello minimo delle attività da finanziare e ciò viene a costituire poi il metro di valutazione di un’eventuale comparazione di un numero di domande superiori allo stanziamento; non è sostenibile che il concetto di “finanziamento” sia diverso da quello di contributo o di agevolazione e dunque escluso dalla norma di cui all’art. 12 L. 241 sopraddetta, né gli art. 26 della L. 21dicembre 1978 n. 845, né l’art. 35 d.P.R. 24 luglio 1977 sulle funzioni regionali in materia di istruzione artigiana e professionale, comunque precedenti alla L. 241 del 1990, offrono spunti peculiari per discernere agevolazioni pubbliche sotto forma di “accreditamento”, al pari della materia sanitaria ed ospedaliera, così come ritenuto da parte appellata.
La contestata assenza di una graduatoria costituisce un corollario della preventiva mancanza di criteri per la comparazione valutativa di tutti progetti.
2b Ancora, è evidente che sia stata la Giunta regionale ad approvare ciascuno dei progetti da finanziare con la delibera n. 2130 del 7 dicembre 2007 e successivamente ulteriori tre progetti con la delibera n. 180 del 28 gennaio 2008, dando così luogo ad atti tipicamente di gestione di tipica spettanza dirigenziale; né il passaggio può ritenersi sanato dai conseguenti atti dei dirigenti che hanno di seguito approvato i progetti, avendo questi una mera natura attuativo-esecutiva.
2c Ciò detto per quanto concerne le principali illegittimità accertate che hanno dato luogo al provvedimento di annullamento d’ufficio, va ulteriormente rilevato, quanto all’interesse pubblico concreto fatto valere, oltre alla presenza di una scorretta spendita di denaro pubblico, che solo una prima parte dei contributi è stata erogata, mentre una seconda parte dei contributi non è stata ancora versata dalla Regione. Dunque non si può assumere maturato quell’affidamento che solo un lungo decorso del tempo potrebbe permettere di considerare consolidato al punto di ritenere inibita qualsiasi forma di autotutela.
3 Per le suesposte considerazioni l’appello deve essere accolto, con il conseguente rigetto del complessivo ricorso di primo grado.
La peculiarità della questione giustifica la compensazione delle spese di giudizio per ambedue i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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