CONSIGLIO DI STATO
SEZIONE V
SENTENZA 17 febbraio 2014, n. 755
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 556 del 2014, proposto dalla Regione Piemonte, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;
contro
Le signore Mercedes Bresso e Luigina Staunovo Polacco, rappresentate e difese dagli avvocati Gianluigi Pellegrino e Paolo Davico Bonino, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, corso del Rinascimento, n. 11;
nei confronti di
signori Michele Giovine, Sara Franchino, Antonello Angeleri, Elena Maccanti, Roberto De Magistris, Federico Gregorio, Michele Marinello, Gianfranco Novero, Claudio Sacchetto, Paolo Tiramani, Marco Botta, Cristiano Bussola, Carla Spagnuolo, Angiolino Mastrullo, Fabrizio Comba, Alberto Cortopassi, Claudia Porchietto, Gianluca Buonanno, Massimo Giordano, Maurizio Lupi, Riccardo Molinari, Sara Franchino, Alberto Cirio, Michele Coppola, Rosa Anna Costa, Pietro Francesco Toselli, Valerio Cattaneo, Massimiliano Motta, Alfredo Roberto Tentoni, Gianluca Vignale, Ugo Cavallera, Caterina Ferrero, Barbara Bonino, Rosanna Valle, Lorenzo Leardi, Raffaele Costa, Augusta Montaruli, Roberto Ravello, tutti non costituiti in giudizio; signori Mario Carossa, Angelo Burzi, Daniele Cantore, Luca Pedrale e Franco Maria Botta, appellanti incidentali, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Bruno Sassani e Andrea Abbamonte, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;
e con l’intervento di
Associazione Codacons, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gino Giuliano e Carlo Rienzi, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale Nazionale Codacons in Roma, viale Mazzini, n. 73;
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E sul ricorso numero di registro generale 888 del 2014, proposto dai signori Michele Giovine e Sara Franchino, rappresentati e difesi dagli avvocati Giorgio Strambi e Giovanni Nigra, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Carlo Guglielmo Izzo, in Roma, viale Carso, n. 43;
contro
Le signore Mercedes Bresso e Luigina Staunovo Polacco, rappresentate e difese dagli avvocati Gianluigi Pellegrino e Paolo Davico Bonino, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, corso del Rinascimento, n. 11;
nei confronti di
I signori Roberto Cota, Antonello Angeleri e Marco Botta, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del Piemonte, Sezione I, n. 66 del 15 gennaio 2014, recante l’annullamento:
a) dell’atto con cui l’Ufficio circoscrizionale per il Piemonte – Provincia di Torino ha ammesso la lista ‘Pensionati per Cota’ collegata al candidato presidente per la coalizione di centrodestra, onorevole Roberto Cota;
b) del provvedimento dell’Ufficio circoscrizionale per il Piemonte istituito presso il Tribunale di Torino, con cui è stato proclamato eletto il consigliere Giovine Michele;
c) della proclamazione, da parte dell’Ufficio elettorale centrale costituito presso la Corte di Appello di Torino, del Presidente della Giunta Regionale e dei consiglieri regionali per la Regione Piemonte a seguito della consultazione elettorale tenutasi nei giorni 28 e 29 marzo 2010;
d) dei provvedimenti con cui gli Uffici circoscrizionali costituiti presso i Tribunali della Regione Piemonte hanno proclamato i consiglieri eletti.
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Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti nel giudizio n. 556 del 2014 l’atto di appello incidentale dei signori Mario Carossa, Angelo Burzi, Daniele Cantore, Luca Pedrale e Franco Maria Botta, nonché l’atto di intervento del Codacons;
Viste le memorie di costituzione nei giudizi delle signore Mercedes Bresso e Luigina Staunovo Polacco, integrata con scritti difensivi depositati in data 6 e 8 febbraio 2014;
Vista la propria ordinanza 11 febbraio 2014 n. 595, emessa al termine della camera di consiglio;
Visti tutti gli atti delle cause;
Designato come relatore il Cons. Antonio Amicuzzi per la camera di consiglio straordinaria elettorale del giorno 11 febbraio 2014:
Udita la ricostruzione del Presidente, sui fatti e sulle questioni controverse, e uditi altresì per le parti gli avvocati Angelo Clarizia, Gianluigi Pellegrino, Paolo Davico Bonino, Bruno Sassani, Andrea Abbamonte, Gino Giuliano e Giorgio Strambi;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Designati come coestensori della sentenza nella sua integralità il Presidente ed il Relatore;
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FATTO E DIRITTO
Premessa
1. Nel presente giudizio, è controversa la legittimità degli atti riguardanti la competizione elettorale svoltasi in Piemonte nei giorni 28 e 29 marzo 2010, per l’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio Regionale.
Per la comprensione delle vicende che hanno condotto alla sentenza di primo grado n. 66 del 2014 del TAR per il Piemonte (che ha annullato il verbale di proclamazione degli eletti), nonché delle ragioni giuridiche (processuali e sostanziali) che inducono questa Sezione del Consiglio di Stato a respingere gli appelli rivolti avverso le statuizioni del TAR, è opportuno suddividere la presente sentenza in due parti.
Nella prima parte, sono esposte le vicende che hanno condotto dapprima al deposito della sentenza del TAR n. 66 del 2014 e poi alla fissazione della camera di consiglio – presso la Quinta Sezione del Consiglio di Stato – per il giorno 11 febbraio 2014, al termine della quale il Collegio ha depositato l’ordinanza cautelare n. 595 del 2014, in attesa della pubblicazione della presente sentenza.
Nella seconda parte, sono trattate le questioni controverse tra le parti, dopo aver sintetizzato il contenuto della sentenza del TAR ed i motivi di gravame complessivamente proposti dalle parti appellanti, le quali hanno tutte chiesto – sulla base di censure parzialmente diverse tra loro – che, in riforma della medesima sentenza, il ricorso di primo grado sia respinto.
2. Poiché sono stati formulati avverso la medesima sentenza, vanno riuniti per essere decisi congiuntamente gli appelli n. 556 e n. 888 del 2014 (unitamente all’appello incidentale e all’atto di intervento proposti nel primo appello n. 556 del 2014).
Sulle vicende che hanno condotto alla sentenza del TAR
e alla fissazione della camera di consiglio dell’11 febbraio 2014 presso il Consiglio di Stato
3. Con il verbale del 9 aprile 2010, l’Ufficio Elettorale Centrale ha disposto la proclamazione del signor Roberto Cota quale Presidente della Regione, avendo ottenuto 1.042.483 voti, e cioè 9.157 in più rispetto a quelli (1.033.326) ottenuti dalla signora Mercedes Bresso.
4. Con il ricorso di primo grado n. 555 del 2010 (proposto al TAR per il Piemonte, depositato il 7 maggio 2010 e integrato con motivi aggiunti), la signora Mercedes Bresso e la signora Luigina Staunovo Polacco (quale coordinatrice del partito ‘Pensionati e invalidi per Bresso’) hanno impugnato il verbale di proclamazione degli eletti e l’atto presupposto di ammissione della lista ‘Pensionati per Cota’, collegata con il candidato risultato eletto alla carica di Presidente della Giunta Regionale.
4.1. Le originarie ricorrenti hanno dedotto che:
– la lista ‘Pensionati per Cota’, collegata al candidato Presidente signor Cota e presentata dal consigliere regionale del Piemonte signor Michele Giovine, ha riportato 15.805 voti nella circoscrizione elettorale della Provincia di Torino (per un totale di 27.892 voti a livello regionale), superiore alla differenza risultante all’esito delle elezioni tra le due principali coalizioni contrapposte;
– in particolare, nella circoscrizione elettorale della Provincia di Torino, la lista ‘Pensionati per Cota’ (che ha ottenuto 15.805 voti) ha indicato i nominativi di 19 candidati, le cui dichiarazioni di accettazione delle relative candidature sono state autenticate dal medesimo signor Michele Giovine e dal signor Carlo Giovine (nelle qualità, rispettivamente, di consigliere comunale del Comune di Gurro e del Comune di Miasino), ai sensi dell’art. 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53;
– almeno 11 delle 19 sottoscrizioni di accettazione delle candidature, relative alla lista ‘Pensionati per Cota’ per la Provincia di Torino, sarebbero risultate invalide, in quanto i due citati consiglieri comunali (unitamente ad un altro consigliere comunale) avrebbero falsamente attestato di avere effettuato le autentiche negli ambiti territoriali dei Comuni nei quali ricoprivano le loro cariche;
– sarebbero risultati elementi tali da far ritenere che anche per le altre circoscrizioni elettorali del Piemonte vi sarebbero state analoghe modalità di presentazione della lista ‘Pensionati per Cota’, come emergerebbe da un esposto presentato in data 4 maggio 2010 dalla signora Luigina Staunovo Polacco, presso la locale Procura della Repubblica.
4.2. Con il citato ricorso n. 555 del 2010, le originarie ricorrenti hanno chiesto:
a) in via principale, che il TAR accertasse autonomamente i fatti penalmente rilevanti emersi nel corso dell’indagine penale avviata a seguito dell’esposto del 4 maggio 2010, con il conseguente annullamento dell’atto di ammissione della lista ‘Pensionati per Cota’ e del verbale di proclamazione degli eletti, perché il numero dei voti (27.892) così invalidamente attribuiti a tale lista (e computati a favore del signor Cota ai sensi dell’art. 2 della legge n. 43 del 1995) risulta superiore alla differenza di voti (9.157) verificatasi tra le due coalizioni più votate;
b) in subordine, di ottenere la fissazione di un termine per proporre la querela di falso, all’epoca disciplinata dall’art. 41 del testo unico 17 agosto 1907, n. 642, e dagli articoli 221 ss. del codice di procedura civile.
Con atto ritualmente notificato e depositato il 29 giugno 2010, le originarie ricorrenti hanno depositato motivi aggiunti.
5. Dopo la costituzione nel giudizio di alcune parti (che hanno formulato eccezioni processuali), all’esito della pubblica udienza del 15 luglio 2010 con la sentenza parziale n. 3196 del 6 agosto 2010 il TAR per il Piemonte:
– ha respinto ‘tutte le eccezioni preliminari di nullità, inammissibilità, irricevibilità e improcedibilità, come sollevate dalle parti resistenti’;
– ha respinto la tesi avanzata in via principale, sulla possibilità che il giudice amministrativo accerti senza ritardo la sussistenza delle falsità di atti, ed ha fissato alle ricorrenti un termine per la proposizione della querela di falso innanzi al tribunale civile, circa l’autenticità delle dichiarazioni di accettazione delle candidature della lista ‘Pensionati per Cota’ e delle autenticazioni delle relative sottoscrizioni;
– ha rinviato la causa all’udienza pubblica del 18 novembre 2010, per verificare se fosse stata proposta la querela di falso e se dunque occorresse sospendere il giudizio amministrativo, in attesa dell’esito di quello civile.
6. Con ordinanza del 19 novembre 2010, il TAR ha constatato l’avvenuta proposizione della querela di falso (notificata il 23 settembre 2010) ed ha sospeso il giudizio ai sensi dell’art. 77, comma 4, del codice del processo amministrativo (nel frattempo entrato in vigore il 16 settembre 2010).
7. A questo punto, in base alla legislazione vigente, il TAR per circa tre anni non ha potuto più esaminare il ricorso originario, a causa della sospensione così disposta del giudizio e delle ulteriori e peculiari vicende che hanno caratterizzato il processo, nel corso del quale si sono pronunciati più volte il Consiglio di Stato, nonché la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione.
Il Collegio esaminerà nella seconda parte della sentenza le deduzioni delle parti appellanti, secondo le quali anche attualmente – dopo il decorso di questi tre anni – il processo amministrativo si dovrebbe considerare ancora sospeso (tanto che è stata formulata una specifica istanza di sospensione anche in sede di appello).
8. E’ infatti accaduto che – poiché la sentenza parziale del TAR n. 3196 del 2010 ha constatato il divieto per il giudice amministrativo di accertare direttamente e senza ritardo i falsi commessi nel corso del procedimento elettorale – con l’appello n. 7579 del 2010 (proposto al Consiglio di Stato) le originarie ricorrenti – prima che il TAR constatasse la proposizione della querela di falso e sospendesse il giudizio con l’ordinanza del 19 novembre 2010 – hanno impugnato la sentenza parziale del TAR n. 3196 del 2010, chiedendo l’accoglimento, da parte del Consiglio di Stato, della propria originaria domanda principale di accertamento diretto, da parte del giudice amministrativo, delle circostanze di fatto che hanno condotto alla ammissione alla competizione elettorale della lista ‘Pensionati per Cota’.
9. In sede di decisione dell’appello n. 7579 del 2010, in data 16 febbraio 2011 questa Sezione del Consiglio di Stato ha emesso due contestuali pronunce:
– con la sentenza n. 999, ha ritenuto ammissibile l’appello avverso la sentenza parziale n. 3196 del 2010 ed ha dichiarato inammissibili – in quanto non sottoscritti da un difensore abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori – gli appelli incidentali proposti dai signori Michele Giovine e Sara Franchino (rispettivamente, eletto consigliere regionale nella lista ‘Pensionati per Cota’ e candidata della stessa lista), sospendendo anche il giudizio di secondo grado in considerazione del deposito della contestuale ordinanza n. 1000;
– con l’ordinanza n. 1000, ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni, specificamente ivi indicate, del codice del processo amministrativo e di quelle previgenti che precludono al giudice amministrativo di accertare incidentalmente le falsità di atti del procedimento elettorale (in quanto tale preclusione incide in modo irreversibile sulla effettività della tutela giurisdizionale di chi chieda fondatamente l’annullamento di atti che abbiano disposto l’investitura a cariche pubbliche ad tempus in assenza dei relativi presupposti, destinate dunque ad essere ineluttabilmente esercitate – per le regole applicabili nel processo amministrativo – durante la pendenza dei vari gradi del processo civile sulla querela di falso).
10. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 304 dell’11 novembre 2011, ha dichiarato non fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale.
11. Dopo tale sentenza, le originarie ricorrenti hanno riassunto il giudizio innanzi al Consiglio di Stato, per la decisione dell’appello n. 7579 del 2010.
12. In pendenza del giudizio di secondo grado così riassunto, in data 7 giugno 2012 il signor Michele Giovine – nella sua qualità di ‘controinteressato’ – ha depositato presso la segreteria del TAR un ricorso ‘incidentale’, volto all’annullamento dell’atto con cui è stata ammessa alla competizione elettorale la lista ‘Pensionati e invalidi per Bresso’, collegata alla candidata Presidente signora Bresso, nonché del provvedimento dell’Ufficio Centrale Regionale, nella parte in cui ha constatato che tale lista ha conseguito 12.582 voti validi.
A fondamento del ricorso ‘incidentale’, il signor Giovine ha dedotto che anche la presentazione della lista ‘Pensionati e invalidi per Bresso’ è conseguita alla commissione di reati di cui agli artt. 81 cpv. c.p. e 90, comma secondo, del testo unico approvato con il d.P.R. n. 570 del 16 maggio 1960 ed ha richiamato gli atti del procedimento penale n. 17344/12, riguardante le attestazioni delle autenticazioni.
In tal modo, il signor Giovine ha chiesto che – dovendosi sottrarre questi voti a quelli attribuiti alla candidata Presidente signora Bresso – sia effettuata la ‘prova di resistenza’, risultando comunque che il candidato Presidente signor Cota avrebbe così conseguito più voti della candidata originaria ricorrente.
13. Il giudizio d’appello – riassunto dopo la sentenza della Corte Costituzionale – è stato deciso con la sentenza n. 4395 del 1 agosto 2012, con la quale questa Sezione:
– ha respinto la domanda delle originarie ricorrenti, volta a far accertare senza ritardi dal giudice amministrativo le falsità delle sottoscrizioni e delle autenticazioni delle firme di presentazione della lista ‘Pensionati per Cota’;
– ha respinto anche la loro tesi secondo cui il falso nell’autenticazione – commesso da parte di un consigliere comunale al di fuori del proprio territorio – sarebbe qualificabile come ‘falsità materiale commessa dal privato’, e dunque direttamente accertabile dal giudice amministrativo;
– ha rilevato che solo il TAR, con la sentenza definitiva (e non direttamente il Consiglio di Stato in sede di impugnazione di una sentenza parziale), nel rispetto del principio del doppio grado del processo amministrativo avrebbe potuto esaminare l’esito della querela di falso (proposta in sede civile con la citazione notificata il 9 settembre 2010) ovvero l’esito del processo penale pendente nei confronti dei signori Michele Giovine e Carlo Giovine (processo che all’epoca aveva condotto alla sentenza di condanna di primo grado del Tribunale penale di Torino in data 30 giugno/28 luglio 2011).
14. A seguito del deposito della sentenza di questa Sezione n. 4395 del 2012, in data 29 agosto 2012 le originarie ricorrenti hanno chiesto al Presidente del TAR la fissazione dell’udienza per la definizione del primo grado del giudizio.
15. Successivamente, presso la Segreteria del TAR:
– la Regione Piemonte ha depositato una memoria in data 7 settembre 2012, con cui ha chiesto che fosse ancora disposta la sospensione del giudizio (comunicando che aveva proposto una duplice impugnazione avverso la sentenza n. 4395 del 2012, e cioè un ricorso in Cassazione per eccesso di potere giurisdizionale ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, nonché un ricorso in revocazione davanti al Consiglio di Stato per errore di fatto);
– in data 21 settembre 2012, il Presidente del TAR ha depositato il decreto che ha fissato l’udienza pubblica dell’8 novembre 2012.
– in data 23 ottobre 2012, le originarie ricorrenti tra l’altro hanno segnalato la mancata definizione del procedimento per querela di falso (e che il relativo giudizio proposto innanzi al Tribunale civile di Torino era stato dichiarato estinto con la sentenza n. 7520 del 21 dicembre 2011, avverso la quale pendeva il giudizio d’appello) ed hanno evidenziato che la Corte d’appello penale di Torino, con la sentenza 22 maggio/21 luglio 2012, aveva confermato la condanna pronunciata in primo grado a carico dei signori Michele Giovine e Carlo Giovine, chiedendo che il TAR si pronunciasse sul loro ricorso originario o che si attendesse il passaggio in giudicato della condanna penale, in quanto rilevante, al pari del giudicato civile ex art. 221 c.p.c., ai fini della definizione della questione incidentale di falso.
16. All’udienza dell’8 novembre 2012 la discussione della causa innanzi al TAR, su istanza delle parti, è stata rinviata ad altra data da fissare, non risultando il deposito di alcuna sentenza definitiva sulla questione pregiudiziale di falso.
17. Con la sentenza 15 gennaio 2013, n. 175, questa Sezione ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione, proposto dalla Regione Piemonte avverso la sentenza di questo Consiglio n. 4395 del 2012.
18. Con la sentenza delle Sezioni Unite 12 marzo 2013, n. 6082, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso la medesima sentenza di questo Consiglio n. 4395 del 2012.
19. Con la sentenza n. 2018 del 2013, la Sez. V della Corte di Cassazione penale ha confermato integralmente la sentenza di condanna penale emessa dalla Corte d’Appello di Torino nei confronti dei signori Michele Giovine e Carlo Giovine.
20. Con istanza del 18 novembre 2013, le originarie ricorrenti hanno richiamato la sentenza n. 2018 del 2013 della Corte di Cassazione penale ed hanno chiesto al Presidente del TAR la fissazione della udienza pubblica per l’esame del ricorso n. 555 del 2010.
Il Presidente del TAR ha fissato per la discussione l’udienza del 9 gennaio 2014.
21. A seguito del deposito di vari atti difensivi e all’esito della discussione, il TAR per il Piemonte ha pubblicato in data 10 gennaio 2014 il dispositivo della sentenza, ai sensi dell’art. 130, comma 7, del c.p.a., cui ha fatto seguito la pubblicazione della sentenza n. 66 del 15 gennaio 2014 completa della motivazione.
22. In estrema sintesi (poiché sulle relative questioni il Collegio si pronuncerà nella seconda parte della presente sentenza), la sentenza n. 66 del 2014 del TAR ha così deciso:
– ha dichiarato inammissibile e irricevibile il ricorso ‘incidentale’ del signor Michele Giovine (in quanto non notificato alle altre parti e inoltre perché depositato presso la Segreteria del TAR a distanza di circa due anni dalla proclamazione degli eletti e dalla proposizione del ricorso ‘principale’);
– ha escluso che i fatti dedotti con il ricorso ‘incidentale’ (la cui sussistenza risulta definitivamente accertata, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione penale n. 42162 del 9 luglio 2013, seguita dalla sentenza del Tribunale di Torino per la relativa attività esecutiva) possano avere una rilevanza processuale, poiché – in assenza di un rituale ricorso ‘incidentale’ di primo grado – non può il giudice amministrativo rilevare d’ufficio quali siano i voti da ritenere spettanti ai candidati nelle competizioni elettorali e conteggiare ‘in pejus’ i voti spettanti ai candidati, neppure ai sensi dell’art. 31, comma 4, del codice del processo amministrativo;
– ha ravvisato la propria potestas iudicandi, poiché la Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 2918/2013, ha respinto i ricorsi degli imputati ed ha confermato integralmente la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’appello di Torino n. 7110 del 22 maggio 2012 nei confronti dei signori Michele Giovine e Carlo Giovine, ritenendo legittima la declaratoria di falsità – già statuita dalla Corte d’appello ai sensi dell’art. 537 c.p.p. – delle diciassette autenticazioni di firma poste in calce alle rispettive dichiarazioni di accettazione di candidatura relative alla lista provinciale ‘Pensionati per Cota’;
– ha rilevato che è stato definitivamente accertato in sede penale il falso commesso dai signori Michele Giovine e Carlo Giovine e che tale accertamento vada posto a base della sentenza che definisce il ricorso elettorale, malgrado non abbia avuto ancora definizione il giudizio civile avente per oggetto la querela di falso (poiché la sentenza penale di condanna, con la connessa statuizione sulla falsità documentale emessa ai sensi dell’art. 537 c.p.p., comporta un ‘accertamento di valenza civilistica tendente, al pari del giudicato che si forma a seguito della querela di falso, a rimuovere erga omnes l’efficacia probatoria del documento che ne forma oggetto’, anche se non tutte le parti del giudizio di primo grado si sono costituite parti civili nel processo penale nei confronti dei signori Michele Giovine e Carlo Giovine);
– ha escluso che – ai sensi dell’art. 2 della legge n. 43 del 1995 – i voti attribuiti alla lista ‘Pensionati per Cota’ possano restare attribuiti al candidato Presidente signor Cota, poiché non si tratta di voti nulli, ma di voti illegittimamente attribuiti ad una lista che non doveva essere ammessa alla competizione elettorale;
– ha accolto il ricorso originario delle signore Bresso e Staunovo Polacco, poiché – sottraendosi i 15.805 voti attribuiti alla lista ‘Pensionati per Cota’ – risulta superato ampiamente lo ‘scarto dei voti registrato tra i due candidati alla presidenza risultati più votati (9.157)’;
– ha ritenuto insussistenti i presupposti per disporre la cancellazione (ai sensi dell’art. 89 c.p.c.) di alcune espressioni contenute negli scritti difensivi ed ha compensato tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
23. Con i gravami indicati in epigrafe, la sentenza n. 66 del 2014 del TAR per il Piemonte è stata appellata:
– dalla Regione Piemonte, con l’appello principale n. 556 del 2014, contenente una domanda incidentale, volta ad ottenere la sospensione della esecutività della gravata sentenza;
– dai signori Michele Giovine e Sara Franchino, con l’appello n. 888 del 2014, che – senza contenere una domanda incidentale cautelare – ha chiesto preliminarmente la sospensione del presente giudizio d’appello, in attesa dell’esito del giudizio civile concernente la querela di falso, pendente presso la Corte civile d’appello;
– dai signori Burzi, Carossa, Cantore, Pedrale e Botta, rappresentanti delle forze politiche che compongono la maggioranza politica nel consiglio regionale, che – con appello incidentale proposto nel giudizio n. 556 del 2014 – hanno anch’essi chiesto la sospensione degli effetti dell’impugnata sentenza del TAR.
Con tutti gli appelli, le parti hanno chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia respinto.
24. Le signore Mercedes Bresso e Luigina Staunovo Polacco si sono costituite in giudizio ed hanno chiesto – anche con ulteriori note difensive – che gli appelli siano respinti.
Le appellate hanno altresì chiesto che il Consiglio di Stato – in attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale – individui ‘quale sia’ l’autorità competente ad indire la competizione elettorale da rinnovare e che determini il ‘quando’ debba esservi tale indizione.
25. Con atto depositato il 6 febbraio 2014, è intervenuta nel giudizio d’appello n. 556 del 2014 l’Associazione Codacons, la quale ha chiesto che, nel caso di conferma della sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato disponga che la rinnovazione della competizione elettorale ‘sia accorpata con le consultazioni europee previste per maggio 2014’, per contenere la spesa pubblica.
26. A seguito del deposito dell’appello n. 556 del 2014, il Presidente titolare della Sezione Quinta del Consiglio di Stato ha fissato una camera di consiglio straordinaria elettorale, per il giorno 11 febbraio 2014, alle ore 15, designandone il Collegio.
27. A seguito del deposito dell’appello n. 888 del 2014 (che a pp. 1 e 45 ha contenuto l’istanza di riunione al giudizio n. 556 del 2014), il medesimo Presidente ha fissato anche per tale secondo appello la camera di consiglio dell’11 febbraio 2014.
28. Verso le ore 13 del giorno 10 febbraio 2014, il consigliere designato relatore ha preannunziato il proprio assoluto impedimento ad essere presente alla camera di consiglio del giorno dopo, trasmettendo la relativa documentazione.
Il Presidente titolare della Sezione Quinta – nel constatare l’oggettiva sussistenza delle circostanze risultanti da tale documentazione – ha immediatamente integrato il Collegio, con un consigliere di Stato della Sezione.
29. Alle ore 15 dell’11 febbraio 2014, sono state chiamate per la camera di consiglio le due cause d’appello.
Preliminarmente, il Presidente del Collegio ha segnalato la modifica della composizione del Collegio e la designazione di un ulteriore relatore delle cause.
Il Presidente ha richiamato le questioni controverse tra le parti ed ha aggiunto che – in considerazione della particolare completezza, chiarezza e sinteticità degli scritti difensivi, che ne hanno consentito lo studio e l’approfondita trattazione – il Collegio è stato posto in grado di definire l’intera controversia con sentenza da rendere al termine della camera di consiglio, sussistendo tutte le condizioni previste dall’art. 60 del codice del processo amministrativo.
In particolare, il Presidente ha rappresentato alle parti la possibilità che, in attesa della pubblicazione della sentenza ai sensi del citato art. 60, sia emessa al termine della camera di consiglio una ordinanza che – in considerazione della necessità di rimuovere ogni incertezza sui poteri esercitabili da organi regionali di rilievo costituzionale – decida sulle domande cautelari, in attesa della pubblicazione della sentenza che definisca il merito della controversia.
I difensori di tutte le parti hanno manifestato il loro auspicio che la sentenza sia resa in tempi rapidi, nulla osservando in ordine alla trattazione in camera di consiglio anche dell’appello n. 888 del 2014, non recante istanza cautelare.
I difensori della Regione Piemonte e dei signori Giovine e Franchino si sono opposti, con dichiarazione a verbale, alla definizione dell’intera controversia con sentenza in forma semplificata.
30. Con l’ordinanza n. 595 dell’11 febbraio 2014, il Collegio ha rilevato che “l’opposizione così manifestata alla emanazione della sentenza di secondo grado non può essere positivamente apprezzata, in quanto:
– non ricorre alcuna delle condizioni ostative previste dal citato art. 60, in particolare non essendo state segnalate esigenze relative all’esercizio del diritto di difesa, di completezza del contraddittorio, della istruttoria, o comunque finalizzate all’esigenza di approfondire lo studio della controversia;
– tutti i difensori delle altre parti hanno aderito alla possibilità di definire la controversia con una sentenza in forma semplificata;
– la controversia riguarda la materia elettorale, che è disciplinata da speciali procedure acceleratorie, in considerazione della necessità di definire rapidamente quali siano le Autorità titolari di poteri pubblici nell’assetto costituzionale”.
Stando così le cose, il Collegio ha ritenuto di definire l’intera controversia con l’ordinanza già pubblicata (recante il n. 595 del 2014) e la presente sentenza, in attuazione delmodus procedendiprospettato alle parti.
31. La medesima ordinanza ha dunque respinto le istanze cautelari ed ha mantenuto ferma l’esecutività della sentenza appellata, in attesa del deposito della presente sentenza.
SULLE QUESTIONI CONTROVERSE TRA LE PARTI
32. Così riassunte le vicende che hanno preceduto il deposito della presente sentenza, ritiene la Sezione che gli appelli proposti avverso la sentenza del TAR n. 66 del 2014 vadano tutti respinti, perché infondati per le ragioni che saranno di seguito esposte.
33. Preliminarmente, il Collegio osserva che, sul piano sostanziale, la controversia si caratterizza per il fatto che – nel corso del giudizio amministrativo proposto per l’annullamento degli atti della competizione elettorale che ha condotto alla proclamazione del Presidente della Regione Piemonte – vi sono stati due procedimenti penali, al termine dei quali sono state emesse condanne nei confronti dei soggetti che hanno presentato sia la lista ‘Pensionati con Cota’ (v. la sentenza della Corte di Cassazione penale n. 2918 del 2013, emessa nei confronti dei signori Michele Giovine e Carlo Giovine), sia la lista ‘Pensionati e invalidi per Bresso (v. la sentenza della Corte di Cassazione penale n. 42162 del 9 luglio 2013, seguita dalla sentenza del Tribunale di Torino per le relative modalità esecutive).
34. Come osservato in vari punti degli scritti difensivi degli appellanti (e, in particolare, a p. 8 dell’atto d’appello incidentale dei signori Burzi, Carossa, Cantore, Pedrale e Botta), non può che constatarsi come entrambe le liste siano state ammesse sulla base di presentazioni di autenticazioni di cui poi è stata rilevata la falsità in sede penale.
In questa fase del giudizio, il Consiglio di Stato deve verificare se – per i relativi profili processuali e sostanziali – l’accertamento in sede penale di tali reati incida sulla legittimità degli atti che hanno condotto alla proclamazione del signor Cota quale Presidente della Regione, nonché dei consiglieri regionali, fermo restando che nessun comportamento illecito o comunque censurabile è stato commesso dai due candidati, che hanno assunto nel giudizio le qualità di parti contrapposte.
35. Va ancora preliminarmente segnalato come nella presente controversia siano state prospettate dalle parti molteplici questioni tecniche, riguardanti sia la legislazione sulle competizioni elettorali, sia la legislazione sul processo amministrativo.
Tale tecnicismo potrebbe non rendere facilmente comprensibile il perché dapprima la sentenza impugnata del TAR e poi la presente sentenza abbiano attribuito rilevanza soltanto alla sentenza penale di condanna relativa alle modalità di presentazione della lista ‘Pensionati per Cota’ e non anche all’altra sentenza penale di condanna relativa alle modalità di presentazione della lista ‘Pensionati e invalidi per Bresso.
Sul punto, nel rinviare alle successive argomentazioni della presente sentenza, il Collegio osserva sin d’ora che le sopra richiamate vicende penali hanno un rilievo giuridico molto diverso, perché sono trattate diversamente dalla legge: e i giudici amministrativi non possono che applicare le leggi (salve le valutazioni inerenti al rispetto dei principi costituzionali e del diritto europeo, che – per tale questione – nella specie non sono stati posti in discussione da alcuno).
Il Collegio non può dunque fare altro che applicare le leggi che in materia elettorale – per la certezza dei rapporti giuridici – hanno disciplinato i casi in cui le liste vadano ammesse e i casi in cui i voti vadano attribuiti ai candidati, nonché quelle processuali che hanno delimitato i poteri esercitabili quando ai giudici amministrativi siano rivolte domande di tutela.
36. Nel giudizio elettorale, così come nel giudizio amministrativo in generale, vi sono specifiche regole riguardanti la proposizione del ricorso ‘incidentale’.
Spesso avviene che il ricorrente ‘principale’ – nel giudizio elettorale – proponga censure avverso il verbale di proclamazione degli eletti, deducendo di avere titolo a un maggior numero di voti o che ad un controinteressato (il beneficiario dell’atto impugnato, che abbia conseguito unostatusod altra utilità, che perderebbe nel caso di accoglimento del ricorso) debba essere attribuito un numero inferiore di voti: non si è mai dubitato che il controinteressato possa ampliare l’oggetto della lite, soltanto proponendo un rituale ‘ricorso incidentale’ (deducendo a sua volta che al ricorrente originario vadano sottratti voti, perché illegittimamente attribuiti, o che a se stesso vadano attribuiti altri voti, incongruamente annullati).
Gli stessi principi si applicano quando – in modo ‘incrociato, come nella specie – il ricorrente ‘principale’ e quello ‘incidentale’ chiedano entrambi che il giudice amministrativo ritenga non spettanti i voti attribuiti alla controparte, perché questi sono stati attribuiti ad una lista illegittimamente ammessa.
Dunque, così come il ricorrente ‘principale’ può impugnare il verbale di proclamazione degli eletti solo entro il termine perentorio stabilito dalla legge (e non entro un termine imprecisato, decorrente da quando venga a sapere che vi è un vizio degli atti), così anche il ricorrente ‘incidentale’ (cioè il controinteressato) può impugnare – sotto altri profili – il verbale di proclamazione degli eletti solo entro il termine perentorio, fissato dalle leggi processuali per la proposizione del ricorso ‘incidentale’.
37. Un altro profilo che sarà esaminato nel corso della presente sentenza – difficilmente comprensibile dai ‘non addetti ai lavori’ – riguarda la rilevanza che ha il giudicato penale di condanna, da cui emerge che i presentatori di una lista (poi ammessa alla competizione elettorale) hanno presentato una documentazione caratterizzata dalla falsità di alcune sottoscrizioni, necessarie – per il computo complessivo – per disporne l’ammissione.
La sentenza appellata, nell’accogliere le deduzioni delle originarie ricorrenti, ha ritenuto che nell’attuale quadro normativo anche da un tale giudicato penale di condanna il giudice amministrativo deve trarre gli elementi di fatto da porre a base delle proprie determinazioni.
Al contrario, tutti gli appellanti – con dovizia di argomentazioni e sotto vari distinti profili – hanno dedotto che nell’attuale quadro normativo (e come si desumerebbe dalla sentenza parziale del TAR n. 3196 del 2010, che avrebbe acquisito efficacia di ‘giudicato interno’) soltanto una sentenza definitiva del giudice civile, di definizione di una ‘querela di falso’, possa consentire al giudice amministrativo di esercitare la suapotestas iudicandisulla legittimità degli atti del procedimento elettorale.
38. La presente controversia, dunque, si caratterizza per un elevato tecnicismo e per la peculiarità della normativa processuale vigente, che comunque preclude al giudice amministrativo – quando si prospetti la commissione di un falso – l’accertamento di cosa sia effettivamente accaduto.
39. Con l’ordinanza n. 1000 del 16 febbraio 2011, questa Sezione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni del vigente codice del processo amministrativo (e di quelle previgenti, rilevantiratione temporis), che precludono al giudice amministrativo di accertare direttamente i fatti accaduti: il subordinare la sentenza amministrativa all’accertamento definitivo dei fatti, da parte di un altro ordine giurisdizionale, non può che ritardare l’esito del giudizio amministrativo, con pregiudizio irreversibile della parte che in ipotesi abbia ragione (dal momento che la competizione elettorale riguarda una caricaad tempus, per una durata che continua a decorrere nel corso del tempo necessario per la definizione della questione ‘pregiudiziale’ di falso).
Tuttavia, per ragioni sistematiche e anche di carattere storico, la sentenza della Corte Costituzionale n. 304 del 2011 ha ritenuto che l’attuale sistema (nella parte in cui dispone che il giudice amministrativo non possa occuparsi degli accertamenti riservati al giudice civile nel caso di proposizione di una ‘querela di falso’) sia conforme ai principi costituzionali sulla effettività della tutela giurisdizionale: non può avere un rilievo decisivo, in senso contrario, la circostanza che nel codice del processo amministrativo non sia stata data attuazione ai criteri fissati dall’art. 44 della legge n. 69 del 2009, secondo cui nel codice si sarebbe dovuta «assicurare la snellezza, concentrazione ed effettività della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata del processo» e, con riguardo ai giudizi elettorali, si sarebbero dovute «razionalizzare e unificare le norme vigenti per il processo amministrativo sul contenzioso elettorale».
40. Svolte queste premesse sulla indefettibilità delle regole processuali e sostanziali, anche in tema di giudizi elettorali, si deve passare all’esame delle articolate censure formulate dagli appellanti.
41. Nei tre atti di appello (in quelli rubricati ai nn. 556 e 888 del 2014 e in quello depositato nel primo come appello incidentale, di per sé autonomo, ma ‘inserito’ nel primo fascicolo), sono state proposte avverso la sentenza del TAR n. 66 del 2014 censure talvolta corrispondenti, altre volte diverse.
Seguendo l’ordine logico seguito da tutte le parti appellanti, le prime loro censure da esaminare riguardano proprio le questioni che sorgono dalla condanna disposta in sede penale (e su cui si è formato il giudicato di cui alla sentenza della Corte di Cassazione n. 42162 del 9 luglio 2013), in relazione alle falsità commesse in occasione della presentazione della lista ‘Pensionati e invalidi per Bresso’.
Come sopra indicato al § 12, col suo ricorso ‘incidentale’ depositato il 7 giugno 2012 il signor Michele Giovine ha dedotto che – in ragione di tale falsità (all’epoca già sottoposta all’esame della Autorità giudiziaria) – andrebbero sottratti alla candidata signora Bresso 12.582 voti, sicché, per la ‘prova di resistenza’ e dovendosi considerare la differenza di 9.157 voti risultante dal verbale di proclamazione degli eletti, il ricorso originario dovrebbe essere respinto, perché il numero di voti così risultante (12.582+9.157) è superiore a quello contestato col ricorso principale (15.805).
42. Nei loro complessivi scritti difensivi, gli appellanti hanno dedotto che:
a) contrariamente a quanto statuito dal TAR, il ricorso ‘incidentale’ non sarebbe inammissibile (perché la sua mancata notifica è dipesa dalla mancanza di atti imputabile alla segreteria del TAR, che non avrebbe dato applicazione all’art. 130, comma 2, del c.p.a., sia pure a causa della già disposta sospensione del processo) e non sarebbe irricevibile (perché la sua proposizione a distanza di circa due anni dal ricorso principale è dipesa della ‘sopravvenienza di un fatto nuovo’, cioè dalla chiusura delle indagini nei confronti di chi aveva presentato la lista ‘Pensionati e invalidi per Bresso’);
b) quand’anche risulti irrituale il ricorso ‘incidentale’, il TAR avrebbe dovuto d’ufficio esaminarne la fondatezza, poiché:
b1) il ricorso ‘incidentale’ sarebbe qualificabile come ‘eccezione’ o ‘eccezione riconvenzionale’ che attiva i poteri officiosi del giudice amministrativo, anche alla luce del principiotemporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum;
b2) la commissione di un reato (e, in particolare, di quello su cui si è formato nella specie il giudicato, rilevando la cancellazione disposta dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 42162 del 2013) implicherebbe la nullità degli atti conseguenti (e dunque dell’atto di ammissione della lista ‘Pensionati e invalidi per Bresso’ e del verbale di proclamazione degli eletti, nella parte in cui ha attribuito ad essa 12.582 voti), con la conseguente applicazione dell’art. 31, comma 4, del codice del processo amministrativo, che sarebbe stato erroneamente interpretato dal TAR;
b3) le deduzioni contenute nel ricorso ‘incidentale’ comunque consentirebbero l’effettuazione della ‘prova di resistenza’ da parte del giudice amministrativo.
Tali censure risultano complessivamente dai seguenti scritti difensivi:
– dal primo motivo dell’appello della Regione (v. pp. 7-17);
– dal primo motivo dell’appello dei signori Giovine e Franchino (v. pp. 8-21);
– dal primo motivo dell’appello dei signori Burzi, Carossa, Cantore, Pedrale e Botta (v. pp. 7-11).
Unitamente a tali censure, va esaminata quella di cui al settimo motivo dell’appello dei signori Giovine e Franchino (v. pp. 41-45), con cui si lamenta che il TAR avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso originario per difetto di interesse, poiché nel corso del giudizio i resistenti hanno depositato documenti dai quali risulterebbero anche le irritualità delle ‘dichiarazioni di collegamento’ della coalizione che ha appoggiato la candidata Presidente signora Bresso, con il conseguente obbligo di effettuare la ‘prova di resistenza’.
43. Ritiene la Sezione che tutte tali censure sono nel loro complesso infondate e vanno respinte.
44. Come si è rilevato al § 36, nel processo amministrativo vi sono specifiche regole che vanno rispettate, affinché possa essere esaminato un ricorso ‘incidentale’ (cfr. Cons. St., Ad. Plen., n. 4 del 2011 e n. 10 del 2011).
Tali regole generali si applicano anche quando si tratta di un ricorso ‘incidentale’ in materia elettorale.
45. Questo Consiglio si è più volte pronunciato sulla possibilità di dare rilievo a circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio, ma che non sono state oggetto di rituali ricorsi principali o incidentali.
Per la pacifica giurisprudenza, nel giudizio elettorale, si possono contestare i risultati delle operazioni elettorali solo nel rispetto dei termini perentori previsti dalla legge, specificando quali illegittimità siano state commesse (per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 28 dicembre 1996, n. 1618).
Infatti, “il legislatore non ha previsto una giurisdizione di diritto obiettivo, con la quale si debba accertare quale sia stato l’effettivo responso delle urne elettorali, poiché il giudice amministrativo non può riesaminare (direttamente o tramite suoi incaricati) tutta l’attività amministrativa svoltasi durante le operazioni”.
“Il legislatore, invece, anche al fine di contemperare tutti gli interessi in conflitto, ha inteso dare rilievo al principio di certezza dei rapporti di diritto pubblico (che ha uno specifico rilievo nella materia elettorale), prevedendo la giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo e il rigoroso termine di decadenza di trenta giorni, entro il quale gli atti vanno posti in contestazione e decorso inutilmente il quale i risultati elettorali diventano inattaccabili (per la parte che non è stata oggetto di tempestiva contestazione)”.
Con argomentazioni che rilevano anche per il ricorso ‘incidentale’ (rispetto al quale sussistono identiche esigenze anche alla luce del principio della parità delle parti), la Sezione ha più volte pure osservato che la legge (tenuto anche conto della complessità delle operazioni e della molteplicità delle sezioni e pure quando una sola sia la sezione elettorale) considera irrilevante la circostanza che l’elettore o il soggetto leso, intenzionato a proporre un ricorso giurisdizionale, abbia percepito tardivamente la sussistenza di specifici vizi delle operazioni ovvero non abbia avuto la concreta possibilità di essere a conoscenza di tutti i vizi delle operazioni elettorali: l’impugnazione del verbale di proclamazione degli eletti ha rilevanza giuridica nei limiti in cui, entro il termine perentorio previsto dalla legge, sono state proposte censure avverso di esso.
Il ricorso elettorale, dunque, delimita i poteri istruttori e decisori del giudice amministrativo nell’ambito delle specifiche censure tempestivamente formulate: ciò vale sia per il ricorso ‘principale’ del ricorrente, che per quello ‘incidentale’ del ‘controinteressato’ (per tutte, Cons. Stato, Sez, V, 11 luglio 20o2, n. 3924; Sez. V, 5 maggio 1999, n. 519; Sez. V, 10 marzo 1997, n. 247), e non può ammettersi l’ampliamentosine diedelthema decidendidopo la scadenza del termine di decadenza, ad esempio dimostrando che la conoscenza di vizi delle operazioni elettorali è conseguita a indagini od informative, ovvero è derivata dalla cura con la quale si sia seguito l’andamento di un procedimento penale.
In altri termini, le modifiche o il sovvertimento del risultato elettorale non possono dipendere dalla effettiva conoscibilità dei vizi eventualmente sussistenti, in quanto l’obiettivo decorso del tempo rende immutabili i risultati, così come ufficializzati nell’atto di proclamazione: la delimitazione dell’oggetto del giudizio elettorale ha luogo mediante l’indicazione tempestiva degli specifici vizi di cui sono affette le operazioni.
Diversamente opinando, si giungerebbe ad ammettere in sede giurisdizionale una sostanziale revisione di tutte le operazioni elettorali per il solo fatto che un ricorso sia stato tempestivamente proposto, ciò che il legislatore ha espressamente escluso, con la previsione del rigoroso termine di decadenza e delle altre regole riguardanti il giudizio di legittimità, tra cui quelle sul ricorso ‘incidentale’.
46. Nella specie, risulta che il ricorso ‘incidentale’ è stato proposto circa due anni dopo la proclamazione degli eletti (avvenuta ad aprile 2010) e la proposizione del ricorso principale delle signore Bresso e Staunovo Polacco (avvenuta nel maggio del 2010).
Va fatta pertanto applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 83/11 del testo unico approvato con il d.P.R. n. 570 del 1960, nonché dei principi elaborati dalla consolidata giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St., Ad. Plen. n. 10 del 2005), posti a base dell’art. 130 c.p.a. (cfr. la Relazione illustrativa al codice del processo amministrativo, pag. 60), per i quali – nelle controversie aventi ad oggetto la regolarità del procedimento elettorale – devono essere rispettati inderogabilmente i termini decadenziali sanciti a salvaguardia della stabilità del risultato elettorale, decorrenti, indipendentemente dalla conoscenza di elementi di fatto sopravvenuti (legittimanti eventualmente la proposizione di motivi aggiunti), dalla proclamazione degli eletti (trenta giorni per il ricorso principale), ovvero dalla notificazione del ricorso principale (quindici giorni per il ricorso ‘incidentale’).
47. Tali conclusioni non possono essere superate sulla base degli argomenti sostenuti dagli appellanti.
47.1. Quanto alle deduzioni riguardanti la natura del ricorso ‘incidentale’ quale ‘eccezione’ o ‘eccezione riconvenzionale’, vanno richiamati i principi elaborati dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2011 (cui si rinvia ai sensi dell’art. 74 e 88, comma 2, lett. d), del c.p.a.), secondo cui il ricorso ‘incidentale’ non ha una sola funzione (sollevare una eccezione paralizzante), ma un contenuto complesso, ben potendo introdurre una vera e propria domanda riconvenzionale volta all’annullamento di un atto che priva il ricorrente principale della propria legittimazione ad agire in giudizio.
Con riferimento alla impugnazione ‘incidentale’ dell’atto di una ammissione di una lista, finalizzata alla reiezione del ricorso principale, l’interesse ad impugnare tale atto deriva proprio, ed immediatamente, dalla impugnazione proposta col ricorso principale: anche l’atto di ammissione di una lista ha natura autoritativa e il giudice amministrativo può ravvisarne l’illegittimità solo nel caso di sua rituale e tempestiva impugnazione.
Pertanto, sono infondate tutte le deduzioni secondo cui il TAR avrebbe dovuto valutare d’ufficio la documentazione da cui è risultata l’illegittima attribuzione di 12.582 voti alla candidata signora Bresso.
47.2. Quanto alla tesi secondo cui l’accertata commissione del reato (con la sentenza della Corte di Cassazione n. 42162 del 2013) comporterebbe in sostanza la nullità dell’atto di ammissione della lista ‘Pensionati e invalidi per Bresso’ e la nullità del verbale di proclamazione degli eletti per la parte in cui ha attribuito i medesimi 12.582 voti, osserva la Sezione che il Consiglio di Stato – con una giurisprudenza che il Collegio condivide e fa propria – ha più volte chiarito come la commissione di un reato di per sé non determina la nullità del conseguente provvedimento autoritativo.
Sul punto, va richiamata la sentenza della Sezione VI, 31 ottobre 2013, n. 5266, che – nel condividere i principi espressi in generale sulla questione dalla Adunanza Plenaria con la sentenza n. 3 del 1976 – ha ribadito che è “affetto da annullabilità (e non da nullità) il provvedimento amministrativo (per sua natura autoritativo) che sia stato rilasciato sulla base di un atto la cui emanazione abbia comportato alla commissione di un reato”.
“La tesi della nullità neppure risulta supportata dall’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990:
– tra le violazioni di legge – che comportano l’annullabilità dell’atto amministrativo ai sensi dell’art. 21octies – non possono distinguersi quelle ‘più gravi’ (tra cui quelle costituenti reato) o quelle ‘meno gravi’.
– il difetto assoluto di attribuzioni è configurabile nei casi – per lo più ‘di scuola’ – in cui un atto non può essere radicalmente emanato da una autorità amministrativa, che non ha alcun potere nel settore, neppure condividendone la titolarità con un’altra amministrazione (risultando altrimenti un vizio di incompetenza)”.
“Sotto il profilo sostanziale, l’affermazione della sussistenza della nullità comporterebbe gravi turbamenti all’esigenza di certezza dei rapporti di diritto pubblico”.
D’altra parte, anche la sentenza della Adunanza Plenaria n. 22 del 9 ottobre 2013 – nell’occuparsi della nullità delle autenticazioni poste in essere da un giudice di pace extra moenia, in violazione dell’art. 14 della legge n. 53 del 1990 – non ha dubitato della natura autoritativa dell’illegittimo atto di esclusione della lista che si fondi su di esse (e simmetricamente lo stesso principio si applica all’illegittimo atto di ammissione).
47.3. Unitamente alle sopra formulate osservazioni per cui il giudice amministrativo nel giudizio elettorale non esercita una giurisdizione ‘di diritto obiettivo’ e non può rieffettuare alcun calcolo, se non in sede di esame di censure ritualmente proposte, quanto precede comporta che il TAR doverosamente non ha tenuto conto del ricorso ‘incidentale’ risultato tardivo, ovvero della documentazione cui ha fatto riferimento il settimo motivo dell’appello n. 888 del 2014.
47.4. Sono pertanto irrilevanti le articolate deduzioni degli appellanti, che hanno criticato i riferimenti che il TAR ha effettuato all’art. 31, comma 4, del c.p.a. per negare il rilievo nel giudizio delle nullità riscontrate: il medesimo art. 31, comma 4, non è applicabile, per il semplice fatto che – per la natura autoritativa dell’atto di ammissione alla competizione elettorale della lista ‘Pensionati e invalidi per Bresso’ – esso andava ritualmente impugnato mediante ricorso ‘incidentale’.
47.5. La constatata irricevibilità, per tardività, del ricorso ‘incidentale’ di primo grado comporta l’irrilevanza della questione se esso risulti anche inammissibile.
48. Con un secondo complessivo ordine di considerazioni, gli appellanti hanno dedotto che, in base all’ordinamento vigente e contrariamente a quanto rilevato dal TAR, solo il giudicato civile sulla fondatezza della querela di falso – e non anche la statuizione del giudice penale sulla commissione di un falso – consentirebbe al giudice amministrativo di porre la falsità a base di una sentenza di annullamento.
Tale censura in sostanza è stata proposta da tutti gli appellanti (v. pp. 17-23 e il secondo motivo dell’appello della Regione; pp. 27-38 e il quarto motivo dell’appello dei signori Giovine e Franchino; pp. 24-33 e i motivi IV-VI dell’appello dei signori Burzi, Carossa, Cantore, Pedrale e Botta).
49. Tale questione è strettamente connessa con le altre formulate dagli appellanti, secondo cui:
– con la sentenza parziale del TAR n. 3196 del 2010, si sarebbe formato un ‘giudicato interno’ sul principio per cui solo il giudicato civile sulla fondatezza della querela di falso consentirebbe al giudice amministrativo di esaminare la legittimità degli atti amministrativi conseguenti ad un falso, sicché in questa sede si dovrebbe sospendere il giudizio, in attesa dell’esito del processo civile;
– anche dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 304 del 2011 si evincerebbe lo stesso principio, per cui il giudice amministrativo può tenere conto solo della sentenza civile che si pronunci sulla fondatezza della querela di falso, proposta ai sensi dell’art. 221 ss. c.p.c.
Tali deduzioni sono state proposte dalla Regione (v. il terzo motivo e pp. 23-46 del suo appello), dai signori Giovine e Franchino (v. il secondo motivo e pp. 21-24 del loro appello, nonché la loro richiesta di sospensione del presente giudizio, formulata a p. 45) e dai signori Burzi, Carossa, Cantore, Pedrale e Botta (v. il terzo motivo e pp. 14-24 del loro atto d’appello).
50. Sono connesse a tali questioni anche quelle ulteriori riguardanti la ‘opponibilità’erga omnesdelle risultanze del processo penale, dal momento – come è pacifico – non tutte le parti del presente giudizio sono divenute parti nel processo penale che ha condotto alla condanna dei signori Giovine.
Con argomentazioni e passaggi logici a volte simili e a volte difformi, tutti gli appellanti hanno contestato al TAR la violazione degli artt. 537 e 654 del codice di procedura penale e la commissione di errori di diritto, nel ricostruire il quadro normativo concernente il rilievo nel giudizio amministrativo delle statuizioni del giudice penale sulla falsità documentale.
Su tali questioni, si sono particolarmente diffusi:
– la Regione appellante (con il terzo motivo a pp. 23-46), la quale ha anche lamentato la indebita natura ‘creativa’ del principio affermato dal TAR;
– i signori Giovine e Franchino (con il quinto motivo a pp. 38-40), i quali hanno particolarmente approfondito il profilo per il quale, in assenza della costituzione di parte civile, ed essendovi la ‘riserva di giurisdizione del giudice civile’ sulla declaratoria di falsità, alla sentenza del giudice penale non può riconnettersi alcun valore ‘equivalente’ alle statuizioni riservate al giudice civile sulla querela di falso;
– gli appellanti Burzi, Carossa, Cantore, Pedrale e Botta (con il secondo motivo a pp. 11-14, più volte successivamente richiamato), i quali hanno lamentato la violazione degli artt. 130 e ss. del c.p.a. in connessione con l’art. 537 c.p.p.
51. Nel passare all’esame di tali questioni, comunque connesse tra loro e da trattare dunque unitariamente per ragioni logiche ed espositive, ritiene innanzitutto la Sezione che non si è formato un ‘giudicato interno’, sul dovere del giudice amministrativo di attendere – nella presente controversia – la sentenza del giudice civile sulla già proposta querela di falso (sicché va respinta la deduzione secondo cui vi sarebbe la nullità della sentenza appellata n. 66 del 2014).
E’ ben vero, come hanno correttamente rilevato gli appellanti, che la sentenza parziale del TAR n. 3196 del 2010 rileva che la fede privilegiata disciplinata dall’art. 2700, riferibile alle autenticazioni in questione, è “revocabile in dubbio e contestabile unicamente mediante lo strumento processuale della querela di falso disciplinata agli artt. 221 e seguenti c.p.c.”.
La loro tesi dunque si incentra sull’avverbio ‘unicamente’, che precluderebbe di ritenere ‘equipollente’ una sentenza del giudice penale, passata in giudicato.
Senonché, la Sezione ritiene che tale osservazione del TAR non abbia formato un giudicato preclusivo dell’ulteriore esercizio della suapotestas iudicandi.
52. In primo luogo, la sentenza parziale si è pronunciata soltanto sulla questione fondamentale, a suo tempo controversa tra le parti, sul ‘se il giudice amministrativo’ possa direttamente accertare una falsità nel corso del giudizio al suo esame, per evitare il differimento della tutela giurisdizionale delle ricorrenti originarie, all’esito del giudizio civile.
In altri termini, innanzi al TAR non era discusso se anche il giudice penale possa effettuare quelle indagini, e disporre quelle statuizioni idonee ad attribuire conseguentemente al giudice amministrativo il potere di decidere la lite elettorale sottoposta al suo esame.
Dunque, come hanno correttamente osservato le originarie ricorrenti, la sentenza parziale del TAR ha interpretato la normativa vigente affermando il principio per cui il giudice amministrativo non può ‘sostituirsi’ al giudice civile (e solo al giudice civile), ribadendo una regola processuale che poi – all’esito del giudizio di costituzionalità attivato con l’ordinanza n. 1000 del 2011 di questo Consiglio – la Corte Costituzionale ha ritenuto conforme ai principi costituzionali con la sentenza n. 304 del 2011.
Ne consegue che neanche tale sentenza della Corte Costituzionale supporta la tesi degli appellanti, non essendosi essa occupata della questione – estranea al suo esame perché non sollevata – del rilievo da attribuire ai giudicati formatisi con le sentenze del giudice penale.
Del resto, sino alle statuizioni contenute nella sentenza appellata n. 66 del 2014 tra le parti era controverso (e anche la sentenza della Corte Costituzionale ha trattato unicamente quella questione) se potesse ‘anche’ il giudice amministrativo effettuare le indagini riservate al giudice civile quando si tratti di una ‘controversia tra le parti’ su un rapporto controverso, in relazione ai criteri di riparto tra la giurisdizione amministrativa e quella civile: discutendosi dei ‘criteri di riparto della giurisdizione’, né il TAR con la sentenza parziale né la Corte Costituzionale si sono occupate del rilievo sistematico delle sentenze del giudice penale, rispetto ai poteri decisori dei giudici amministrativi nelle controversie elettorali.
53. In secondo luogo, qualsiasi significato si attribuisca all’avverbio ‘unicamente’ utilizzato dal TAR, è decisivo considerare che – come sopra osservato al § 13 – la sentenza di questa Sezione n. 4395 del 2012 ha rilevato come il TAR, con la sentenza definitiva, avrebbe potuto esaminare non solo l’esito della querela di falso (proposta in sede civile con la citazione notificata il 9 settembre 2010), ma anche l’esito del processo penale pendente nei confronti dei signori Michele Giovine e Carlo Giovine (processo che all’epoca aveva condotto alla sentenza di condanna di primo grado del Tribunale penale di Torino in data 30 giugno/28 luglio 2011).
La sentenza di questa Sezione n. 4395 del 2012 aveva dunque rilevato incidentalmente che il giudicato penale poteva essere posto a base della sentenza di primo grado, con ciò affermando un principio di ‘equivalenza’ sul quale lo stesso TAR non si era affatto pronunciato.
Come sottolineato dagli stessi appellanti, l’affermazione di questo principio è stata considerata una ”enunciazione incidentale, come tale priva di contenuto decisionale” da questa Sezione (che con la sentenza 15 gennaio 2013, n. 175, ha dichiarato pertanto inammissibile il ricorso per revocazione, proposto dalla Regione Piemonte avverso la sentenza n. 4395 del 2012), e come obiter dictum dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (che con la sentenza 12 marzo 2013, n. 6082, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso la medesima sentenza).
Dunque, in considerazione di tali ultime sentenze, si deve ritenere che sulla questione controversa (se il giudicato penale ‘equivalga’ al giudicato civile sulla querela di falso) non si è formato il giudicato né in un senso (come emergerebbe dalla sentenza del TAR, ove si enfatizzasse l’avverbio ‘unicamente’, ma che non si è affatto occupata della questione, come già rilevato dalla sentenza della Sezione n. 175 del 2013), né nell’altro (in quanto il principio enunciato dalla sentenza n. 4395 del 2012 va considerato un obiter dictum).
Ne consegue che ben poteva il TAR trattare ‘per la prima volta’ la questione della ‘equivalenza’ delle statuizioni del giudice penale a quelle del giudice civile, così come ben può questo Consiglio verificare se la questione sia stata decisa legittimamente dal TAR.
54. Quanto alle questioni sostanziali riguardanti l’equivalenza tra le statuizioni del giudice penale e quelle del giudice civile sulla querela di falso, ritiene il Collegio che il TAR del tutto legittimamente (e in coerenza con la giurisprudenza di questo Consiglio: cfr. Sez. VI, 18 marzo 2008, n. 1127, sul rilievo ‘dell’accertamento penalistico’; Sez. V, 14 novembre 2006, n. 6685; Sez. V, 7 maggio 1993, n. 570) è arrivato alla conclusione di attribuire rilevanza nel presente giudizio alle sentenze del giudice penale, su cui si è formato il giudicato di condanna nei confronti dei signori Giovine.
55. Per il compiuto esame delle questioni controverse tra le parti, va riportato per esteso il contenuto dell’art. 537 del codice di procedura penale, sulla ‘Pronuncia sulla falsità di documenti’.
‘1. La falsità di un atto o di un documento, accertata con sentenza di condanna, è dichiarata nel dispositivo.
2. Con lo stesso dispositivo è ordinata la cancellazione totale o parziale, secondo le circostanze e, se è il caso, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma dell’atto o del documento, con la prescrizione del modo con cui deve essere eseguita. La cancellazione, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma non è ordinata quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento.
3. La pronuncia sulla falsità è impugnabile, anche autonomamente, con il mezzo previsto dalla legge per il capo che contiene la decisione sull’imputazione.
4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nel caso di sentenza di proscioglimento’.
56. E’ del tutto pacifico che – ai sensi dell’art. 654 del c.p.p. – le statuizioni del giudice penale non sono opponibili a coloro che non si siano costituiti parte civile nel processo penale: nel presente giudizio rileva però unicamente la ben diversa questione dell’ambito di applicabilità dell’art. 537, comma 1, c.p.p. e se rilevi di per sé, anche in altri giudizi, il giudicato sulla sussistenza di un falso, formatosi in applicazione del medesimo comma 1.
57. Il Collegio ritiene di effettuare una prima considerazione di carattere generale, così condividendo in parte qua le corrispondenti osservazioni del giudice di primo grado.
Il processo penale sui delitti contro la fede pubblica – come ha correttamente evidenziato la sentenza ora appellata – si caratterizza per il possibile esercizio di due distinte ed autonome azioni, suscettibili di epiloghi differenziati:
– l’azione penale principale, volta all’accertamento della colpevolezza o meno dell’imputato rispetto alle ipotesi di reato ed eventualmente alla pronuncia di condanna;
– nonché l’azione ‘accessoria e complementare’ di cui all’art. 537 c.p.p., preordinata alla tutela della fede pubblica e destinata a concludersi con la declaratoria di falsità del documento, allorché, indipendentemente dall’esito dell’altra azione, la falsità stessa sia accertata dal giudice (come si evince chiaramente dal sopra riportato comma 4).
58. Proprio la diversità tra le ‘due azioni suscettibili di epiloghi differenziati’ induce a ritenere infondata la tesi per cui la declaratoria sul falso, ai sensi dell’art. 537 c.p.p., abbia rilievo nei soli limiti di efficacia previsti dall’art. 654 c.p.p.:
– l’art. 654 condiziona l’efficacia del giudicato penale in altri giudizi civili, purché vi sia la coincidenza soggettiva delle parti costituite nei due procedimenti;
– l’art. 537 attribuisce rilevanza al fatto della accertata non rispondenza al vero dell’atto o del documento (a prescindere se poi vi sia una sentenza di proscioglimento o di condanna), in considerazione dell’interesse pubblico – indisponibile (a differenza di quanto accade nel giudizio civile, che può essere proposto o meno, o rinunciato) – alla rimozione dell’efficacia probatoria del documento che ne forma oggetto, a tutela della fede pubblica, quale bene della collettività sottratto alla disponibilità delle parti.
Come ha correttamente rilevato il TAR, sul piano processuale la dichiarazione di falsità – contenuta nella sentenza penale – è una statuizione accessoria, ma distinta, per contenuto e presupposti, dall’indagine riguardante la responsabilità dell’imputato.
Sotto il profilo sistematico, rilevano anche ulteriori osservazioni (già richiamate dal TAR):
a) è di per sé significativa la mancata ripetizione nell’art. 537 c.p.p. del riferimento invece contenuto nell’art. 654 c.p.p. sui limiti all’efficacia soggettiva del giudicato (così ribadendosi il principio sul rilievoerga omnes,in parte qua, del giudicato penale, già sancito dall’art. 480 del previgente codice di procedura penale);
b) è incongrua la soluzione per la quale le statuizioni del giudice penale, emesse ai sensi dell’art. 537 c.p.p., avrebbero o meno rilievo a seconda della costituzione di parte civile di coloro che sono coinvolti dalla vicenda, perché così si subordinerebbe alla decisione di un soggetto privato la determinazione legislativa sul rilievo obiettivo della statuizione del giudice penale sul falso (con vanificazione di ogni principio riguardante l’indisponibilità degli interessi pubblici coinvolti dai reati contro la fede pubblica e l’esigenza che la sentenza del giudice penale ripristini la certezza dei rapporti giuridici);
c) il giudizio elettorale ha proprie peculiarità, poiché le parti – proprio in ragione dei principi sull’azione popolare – sono sostanzialmente indeterminate, con la conseguenza che sarebbe “pressoché impossibile l’individuazione nominativa dei terzi potenzialmente pregiudicati dalla pronuncia ex art. 537 c.p.p.”;
d) è implausibile una soluzione per la quale – in tema di ‘pubblica fede’, ove vi sono le relative esigenze di certezza – allo stesso tempo un atto pubblico dichiarato falso dal giudice penale ex art. 537 c.p.c. (e privo di rilevanza giuridica tra le parti del giudizio penale) sia ‘ancora efficace e opponibile ai soggetti rimasti terzi rispetto al giudizio penale’, ove si consideri che la pubblica fede – in base all’ordinamento – o vi è o non vi è con riferimento ad un singolo atto.
Inoltre, il Collegio ritiene che:
– una tale soluzione incongrua si manifesterebbe, oltre che ingiustificabile, anche in contrasto con i canoni della ragionevolezza, per i casi in cui – come nella specie – la mancata opponibilità del giudicato penale sul falso ex art. 537 c.p.p. sia invocata da chi riceva uno svantaggio dalla affermazione della responsabilità dell’imputato;
– l’ordinamento si ispira ad un ‘principio di non contraddizione’, oltre che al principio di ‘economia dei mezzi giuridici’, sicché – anche per considerazioni di buon senso, facilmente percepibili – sarebbe incongruo e palesemente irrazionale un ordinamento che richieda una ulteriore sentenza del giudice civile e non ritenga sufficiente quella penale, emessa ai sensi dell’art. 537 c.p.p.;
– la necessità di tale ulteriore differimento sarebbe a sua volta in contrasto con i principi di effettività della tutela, pur sempre rilevanti nelle controversie elettorali, poiché l’ulteriore decorso del tempo – malgrado il giudicato penale – a sua volta impedirebbe anche quel residuo di tutela, spettante in relazione all’accertata illegittimità degli atti della competizione elettorale, che hanno condotto all’emanazione di atti di investitura ad tempus.
Ciò induce il Collegio a condividere le conclusioni cui è giunto il TAR, secondo cui la rilevanza dell’atto pubblico non può essere ‘scindibile’, e cioè rilevante verso alcuni consociati e non rispetto ad altri: così come i consociati confidano sulla natura fidefaciente dell’atto pubblico una volta posto in essere, così tutti i consociati non ne possono più beneficiare, quando all’esito del processo penale l’atto sia risultato falso, non essendo rimessi i suoi effetti alla disponibilità dei singoli.
59. L’obiettiva rilevanza della statuizione del giudice penale, emessa ai sensi dell’art. 537 c.p.p., rende irrilevante l’esame delle ulteriori considerazioni poste dal TAR a base della propria conclusione sulla ‘equipollenza’ (considerazioni basate sulla mancata indicazione di un qualsiasi elemento contrario agli accertamenti effettuati in sede penale, nonché sulla mancata volontà degli originari controinteressati di costituirsi parte civile nel giudizio penale, con il conseguente rispetto dei principi enunciati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 55 del 1971, circa l’efficacia delle risultanze della sentenza penale sentenza nei confronti di chi sia stato in grado di partecipare al relativo processo).
60. Gli appellanti hanno anche evidenziato che la sentenza di condanna, pronunciata nei confronti dei signori Giovine, ha rilevato la falsità degli atti ai sensi dell’art. 537, comma 1, c.p.c.: a loro avviso, solo la cancellazione materiale del documento, ai sensi del comma 2, renderebbe la pronuncia di falsità opponibile erga omnes.
Osserva il Collegio che anche tale punto è stato adeguatamente approfondito dal TAR.
La dichiarazione di falsità di cui al comma 1 riguarda l’efficacia giuridica del documento, mentre il comma 2 riguarda una eventuale misura ripristinatoria e l’attività esecutiva che si renda necessaria o opportuna (con la restitutio in pristinum, possibile anche ai sensi dell’art. 675 c.p.p.) per dare attuazione alla dichiarazione di falsità.
Dunque, basta la dichiarazione prevista dal comma 1 per rilevare la privazione degli effetti dell’atto e le relative conseguenze (nella specie, riguardanti l’illegittimità della ammissione della lista alla competizione elettorale).
61. Sulla base di tali considerazioni, ritiene il Collegio che:
– il Presidente del TAR ha legittimamente fissato l’udienza di trattazione, che ha condotto alla sentenza impugnata;
– legittimamente il TAR non ha nuovamente sospeso il giudizio di primo grado:
– non sussistono i presupposti per sospendere il giudizio in questa sede;
– va confermata la statuizione del TAR, per cui – ai fini dell’esame delle deduzioni delle originarie ricorrenti – sono divenute rilevanti le risultanze della sentenza penale passata in giudicato e, in particolare, delle statuizioni emanate ai sensi dell’art. 537 c.p.p.
62. Con il terzo motivo (v. pp. 24-27), i signori Giovine e Franchino lamentano l’erroneità delle argomentazioni con cui il TAR ha qualificato come condotte di falso materiale (oltre che come di falso ideologico) quelle accertate in sede penale nei confronti dei signori Michele Giovine e Carlo Giovine, rilevando al contrario che il dispositivo delle sentenze di condanna non ha riportato una specifica declaratoria di falsità delle sottoscrizioni dei candidati.
63. Osserva al riguardo il Collegio che effettivamente, al § 4.1. e a p. 28, la sentenza appellata ha rilevato come le condotte dei medesimi signori abbiano posto in essere sia un falso materiale (con “l’apposizione di firme mediante utilizzo di nome e cognome di altra persona”), sia un falso ideologico (con “l’autenticazione di firme effettivamente apposte dagli aventi diritto ma certificate in data e luoghi diversi da quelli riportati sui documenti”).
Tali frasi, che hanno richiamato qualificazioni giuridiche oggetto di dibattiti ancora attuali nella letteratura giuridica, tuttavia non hanno avuto alcuna concreta rilevanza processuale.
Dall’esame della sentenza penale di primo grado del Tribunale di Torino (del suo dispositivo e della successiva sentenza depositata il 28 luglio 2011), si evince che il tribunale ha effettivamente dichiarato “la falsità delle 17 ‘autenticazioni della firma’ poste in calce alle rispettive ‘dichiarazioni di accettazione di candidatura’ oggetto di imputazione”.
Tale statuizione è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino all’esito dell’udienza del 22 maggio 2012, con la sentenza avverso la quale è stato proposto ricorso in cassazione, poi respinto con la sentenza della Sez. V n. 2018 del 2013.
Poiché tale dichiarazione di falsità – come si è osservato in precedenza – è stata resa ai sensi dell’art. 537 del c.p.p. ed è rilevante nel presente processo amministrativo, non rileva la qualificazione che il TAR ha attribuito ai reati per cui vi è stata la condanna penale, anche in termini di ‘falso materiale’.
64. Gli appellanti hanno censurato la sentenza del TAR, anche nella parte in cui essa ha escluso che, pur nel caso di riscontrata illegittimità dell’atto di ammissione della lista ‘Pensionati per Cota’, i 15.805 voti ad essa attribuiti nel verbale di proclamazione degli eletti non vadano comunque attribuiti al candidato Presidente ad essa collegato: a loro avviso, l’art. 2 della legge n. 43 del 1995 avrebbe sancito il principio generale per cui vi è in ogni caso tale ‘estensione’.
La censura è stata proposta dalla Regione Piemonte con il quarto motivo (pp. 46-58) e dai signori Burzi, Carossa, Cantore, Pedrale e Botta con il settimo motivo (pp. 33-43).
65. Giova riportare per esteso l’art. 2 della legge n. 43 del 1995, per il quale “l’elettore esprime il suo voto per una delle liste provinciali tracciando un segno nel relativo rettangolo, e può esprimere un voto di preferenza scrivendo il cognome, ovvero il nome e cognome di uno dei candidati compresi nella lista stessa. L’elettore esprime il suo voto per una delle liste regionali anche non collegata alla lista provinciale prescelta e per il suo capolista tracciando un segno sul simbolo della lista o sul nome del capolista. Qualora l’elettore esprima il suo voto soltanto per una lista provinciale il voto si intende validamente espresso anche a favore della lista regionale collegata”.
Ad avviso degli appellanti, l’ultimo periodo dell’art. 2 comporterebbe che in ogni caso, qualora l’elettore esprima il suo voto soltanto per una lista provinciale, il voto si debba intendere espresso anche a favore della lista regionale collegata, anche perché così si esprimerebbero ‘due voti concettualmente diversi’, uno per la lista provinciale ed uno per la collegata lista regionale, sicché l’eventuale invalidità del voto espresso in favore di una lista illegittimamente ammessa alla competizione elettorale non si propagherebbe al voto espresso per la lista regionale (e quindi per il candidato presidente), anche per dare il massimo significato possibile all’espressione di voto.
66. Ritiene il Collegio che la deduzione degli appellanti va respinta, perché infondata.
66.1. Va premesso che questo Consiglio si è già espresso nel senso che la regola della ‘estensione’, disposta dall’art. 2 della legge n. 43 del 1995, è applicabile solo quando sia stato espresso un voto valido in favore di una lista provinciale (Cons. Stato, Sez. V, 28 dicembre 1996, n. 1618).
Ciò posto, a maggior ragione nel caso di specie non è applicabile la medesima regola, dal momento che non solo il voto di per sé non è ‘valido’, ma per di più la stessa indebita presenza della lista sulla scheda ha inevitabilmente influito sulle scelte dell’elettore (che poteva decidere di votare anche una diversa lista).
Dunque, l’invocato art. 2 non risulta applicabile.
66.2. Il TAR ha rilevato che la presenza sulla scheda di una lista illegittimamente ammessa alla competizione elettorale comporta una sua “possibile perniciosa incidenza” “sull’andamento della consultazione elettorale nel suo insieme” e un “effetto perturbatore indotto sull’elettorato”.
Al riguardo osserva il Collegio che risultano ragionevoli alcune critiche formulate dagli appellanti avverso tali considerazioni, radicalmente ostative alla ‘estensione’.
Infatti, tale “effetto perturbatore” va considerato sussistente non ‘in sé e per sé’, cioè esclusivamente per una astratta considerazione logica, ma perché la legislazione attuale – con il sopra riportato art. 2 – non prevede una specifica regola giuridica sulla estensione nel caso di specie.
In linea ipotetica ede iure condendo, ben potrebbe la legge prevedere un principio diverso, secondo cui la regola della estensione (alla lista regionale collegata) del voto dato alla lista provinciale si applichi non solo nel caso attualmente previsto dal sopra riportato art. 2 (di voto dato alla lista provinciale legittimamente ammessa), ma anche quandoex post(all’esito di una controversia elettorale) risulti che la medesima lista provinciale sia stata illegittimamente ammessa.
In tal caso, nel mantenere ferma la preferenza legislativamente estesa alla lista regionale collegata, la legge non farebbe che presumere la volontà dell’elettore – che abbia votato una lista provinciale – di attribuire ‘in ogni caso’ il proprio voto anche al candidato Presidente da essa appoggiato, pur nel caso in cui la medesima lista provinciale sia stata illegittimamente ammessa: tale presunzione, in altri termini, comporterebbe la ‘stabilità’ della estensione, anche nel caso in cui risulti illegittima l’ammissione della lista provinciale.
Tale presunzione può essere però disposta solo da una specifica norma legislativa, nella specie inesistente.
Non può invece il giudice amministrativo – in presenza del dato testuale dell’art. 2 della legge n. 43 del 1995 – forzarne la portata e ritenere che gli elettori avrebbero votato ugualmente proprio il candidato Presidente, sostenuto dalla lista illegittimamente ammessa cui abbiano inteso dare il loro voto.
66.3. Dunque, la statuizione del TAR che ha ritenuto non applicabile l’art. 2 della legge n. 43 del 1995 è legittima quanto aldecisume va in quanto tale integralmente confermata, pur se basata su considerazioni condivisibili solo nella parte in cui ha dato rilievo al suo dato testuale ed alla esigenza di rispettare la volontà legislativa sul punto (dovendosi invece escludere che vi siain re ipsaun ‘effetto perturbatore’ della volontà dell’elettore, potendo il legislatore regolare il caso con una specifica disposizione di legge, in un senso o nell’altro).
67. Una volta constatato che vanno sottratti al candidato Presidente signor Cota i 15.805 voti attribuiti alla lista ‘Pensionati per Cota’ nella circoscrizione elettorale della Provincia di Torino, va confermata la sentenza di primo grado, che – nel ritenere fondato il ricorso di primo grado – ha disposto la rinnovazione della competizione elettorale.
Va infatti condivisa la valutazione finale, contenuta al §. 8.8. della medesima sentenza, secondo cui l’avvenuta partecipazione alla competizione elettorale di una lista che non doveva esservi ammessa – qualora essa abbia ottenuto un numero di voti tanto consistente da avere avuto una decisiva incidenza sull’esito finale – comporta l’integrale annullamento del verbale di proclamazione degli eletti, con la conseguente rinnovazione delle relative operazioni (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 29 ottobre 2012, n. 5504; Sez. V, 31 marzo 2012, n. 1889; Sez. V, 20 marzo 2006, n. 1437; Sez. V, 18 giugno 2001, n. 3212; Sez. V, 10 maggio 1999, n. 535).
68. Resta da esaminare il sesto motivo proposto dai signori Giovine e Franchino (v. pp. 40-41), i quali hanno lamentato la violazione dell’art. 89 c.p.c., poiché le originarie ricorrenti avrebbero espresso una frase calunniosa a p. 23 della memoria depositata il 21 dicembre 2013, asserendo la sussistenza di un reato in realtà non commesso.
69. Osserva il Collegio che, come ha correttamente evidenziato la sentenza appellata a pp. 46 e 47, la frase in discussione, riportata nella memoria del 21 dicembre 2013, non ha alcun oggettivo contenuto sconveniente ed offensivo, né ha manifestato, neppure velatamente, l’intenzione di attribuire ad alcuno la commissione di un reato.
La frase oggetto della censura si è limitata a contestare una dichiarazione resa dalla signora Franchino nel corso delle indagini preliminari, in relazione ad una contestata ricostruzione dei fatti, rispetto ai quali si può ritenere sussistente un rapporto di pertinenza con le questioni controverse,
70. Per le ragioni che precedono, vanno respinti tutti gli appelli proposto avverso la sentenza n. 66 del 2014 del TAR per il Piemonte.
71. Vanno ora esaminate le domande formulate dalla Associazione Codacons (intervenuta nel corso del secondo grado del giudizio) e dalle originarie ricorrenti, proposte per il caso – effettivamente verificatosi – di conferma della sentenza del TAR:
– l’Associazione Codacons – con l’atto di intervento in appello, notificato alle parti del giudizio – ha chiesto che il Consiglio di Stato fissi le date della rinnovazione della competizione elettorale e che questa ‘sia accorpata con le consultazioni europee previste per maggio 2014’, per contenere la spesa pubblica;
– le originarie ricorrenti – con la loro memoria di costituzione (non notificata alle controparti) – hanno chiesto che il Consiglio di Stato, in attuazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, oltre a determinare il ‘quando’ debba esservi la competizione elettorale, individui anche ‘quale sia’ l’Autorità competente ad indirla.
72. Ritiene il Collegio che tali domande vadano dichiarate inammissibili.
72.1. La domanda di fissazione della specifica data della rinnovazione della competizione elettorale – formulata dalla Associazione Codacons e dalle originarie ricorrenti – è di per sé inammissibile perché si chiede l’emanazione di statuizioni che esulano dai poteri del giudice amministrativo e, in particolare, dall’oggetto del giudizio elettorale.
Infatti, le disposizioni del codice del processo amministrativo delimitano i poteri esercitabili dal giudice amministrativo, il quale:
– può annullare i provvedimenti impugnati e – in materia elettorale – anche correggere i risultati del verbale di proclamazione degli eletti;
– non può però “pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati” (art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo), tanto meno quando gli si chieda di determinare le date per le quali va convocato un comizio elettorale, dal momento che si tratta di determinazioni rimesse alla competenza dell’Autorità individuata dalla legge.
Resta pertanto assorbito ogni esame circa l’ammissibilità dell’intervento della Associazione.
72.2. L’ulteriore domanda formulata dalle originarie ricorrenti con la memoria di costituzione innanzi al Consiglio di Stato – volta ad ottenere l’individuazione di ‘quale sia’ l’Autorità competente ad indire la competizione elettorale da rinnovare – risulta a sua volta inammissibile, poiché proposta direttamente in secondo grado (con atto non notificato), ciò che non è consentito dall’art. 104, comma 1, del codice del processo amministrativo, per il quale “nel giudizio di appello non possono essere proposte nuove domande”, tranne alcune ipotesi che qui non rilevano.
E’ ovviamente fatta salva la tutela giurisdizionale loro spettante nel caso di mancata esecuzione della sentenza confermata in questa sede, così come resta salva la tutela spettante ai soggetti legittimati a contestare l’eventuale inerzia della Autorità competente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2012, n. 6002).
73. Per le ragioni che precedono, tutti gli appelli, previa loro riunione, vanno respinti, con integrale conferma della sentenza appellata.
Vanno dichiarate inammissibili le domande formulate, nel corso del secondo grado del giudizio, dalle appellate e dall’Associazione Codacons.
74. Sussistono giusti motivi per compensare tra tutte le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), previa loro riunione, respinge tutti gli appelli indicati in epigrafe, proposti avverso la sentenza del TAR per il Piemonte n. 66 del 2014, che conferma integralmente, e dichiara inammissibili le domande di cui al § 71 della motivazione,
Compensa tra tutte le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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