Consiglio di Stato
sezione V
sentenza 16 novembre 2015, n. 5217
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUINTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10817 del 2002, proposto dalla Vi. s.r.l., già Società Vi. a r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Ga.Ab., con domicilio eletto presso la medesima in Roma, Via (…);
contro
Comune di Galatone, rappresentato e difeso dall’avv. Ma.Ma., con domicilio eletto presso lo stesso avvocato in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – Sezione di Lecce, Sez. I, n. 1870/2002, resa tra le parti, di reiezione del ricorso proposto dalla suddetta società per il risarcimento del danno subìto a causa del mancato tempestivo rilascio di una concessione edilizia in sanatoria da parte del Comune di Galatone.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste, in particolare, la sentenza non definitiva n. 63 del 13 gennaio 2014 e l’ordinanza n. 64 del 13 gennaio 2014 emesse dalla Sezione;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2015 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Ga.Ab. e Ma.Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 La Vi. s.r.l. aveva presentato in data 26.3.1986 una domanda di condono edilizio con riguardo a opere abusive realizzate in un complesso immobiliare nel Comune di Galatone.
Il successivo 26.7.1995 la società aveva indi formulato un’espressa richiesta al Comune di rilascio della correlativa concessione in sanatoria, allegando l’avvenuta formazione del silenzio-assenso sulla propria istanza pregressa.
Il provvedimento formale di concessione in sanatoria veniva però rilasciato dall’Amministrazione solo il successivo 22.3.2000.
2 Da qui il ricorso della società al T.A.R. per la Puglia per ottenere il risarcimento del danno subìto a causa del mancato tempestivo rilascio di detta concessione da parte del Comune, ricorso con il quale si lamentava come l’immobile, nelle more, fosse rimasto inagibile ed escluso da ogni possibilità di utilizzazione economica, essendo stata impedita l’ultimazione dei relativi lavori e la sua immissione sul mercato.
3 Il ricorso veniva respinto dal Tribunale adìto con sentenza n. 1870/2002, avverso la quale la società proponeva il presente appello alla Sezione.
All’appello resisteva il Comune di Galatone.
4 La Sezione con sentenza non definitiva n. 63 del 13 gennaio 2014 accoglieva l’appello sotto il profilo dell’accertamento della fondatezza della pretesa della società di vedersi risarcire dal Comune per l’inerzia da questo tenuta sull’istanza di sanatoria, mentre disponeva incombenti istruttori ai fini della determinazione dell’ammontare risarcitorio dovuto.
Posta la premessa che il riconoscimento della risarcibilità non poteva avere decorrenza anteriore alla data del 26.7.1995, quando la società aveva formulato un’espressa domanda di rilascio della concessione in sanatoria deducendo la formazione del silenzio-assenso, la Sezione accertava, nell’occasione, tanto l’ingiustizia del danno patito dall’appellante quanto la colpa dell’Amministrazione, oltre che l’avvenuto adempimento da parte della società del proprio onere di allegazione e prova ai fini della determinazione del pregiudizio patrimoniale subìto.
La Sezione reputava sussistente la responsabilità del Comune per i danni derivati all’appellante a titolo di danno emergente e di lucro cessante dall’inerzia tenuta sull’istanza di sanatoria di cui trattasi, e riteneva, pertanto, doversi riconoscere alla società il risarcimento del pregiudizio patito per effetto del relativo, protratto silenzio. Tanto a partire dall’epoca in cui l’Amministrazione avrebbe potuto determinarsi, a seguito dell’istanza di parte basata sulla formazione del silenzio-assenso, e fino all’esplicito accoglimento dell’istanza medesima, ossia in definitiva a decorrere dal mese di agosto del 1995 e fino al marzo del 2000.
Veniva precisato, infine, che sull’ammontare liquidato a titolo di risarcimento si sarebbero dovuti calcolare, “oltre alla rivalutazione monetaria su tale somma dal dì del dovuto fino alla data di deposito della definitiva sentenza, gli interessi legali, questi ultimi computati a decorrere dalla data di deposito della presente decisione e fino all’effettivo soddisfo.”
5 Con separata ordinanza n. 64 del 13 gennaio 2014 veniva disposta una consulenza tecnica d’ufficio tesa ad accertare, nel contraddittorio delle parti e sulla base della complessiva documentazione acquisita o acquisibile dal consulente, quanto dovuto a titolo di risarcimento alla parte appellante.
I quesiti posti al CTU venivano formulati nei termini seguenti:
1° quesito:
“Accerti il C.T.U. se e in che misura, a seguito ed a causa della inerzia del Comune di Galatone nel rilasciare la concessione in sanatoria di cui trattasi e con riferimento al periodo tra il mese di agosto 1995 (in cui il Comune poteva determinarsi sulla presentata istanza di rilascio della concessione in sanatoria per avvenuta formazione del silenzio assenso) ed il mese di marzo 2000 (il cui detta concessione è stata effettivamente rilasciata), siano maturate maggiorazioni dei costi necessari per la ultimazione della parte di immobile oggetto di sanatoria edilizia in maniera da renderlo utilizzabile per le sue normali destinazioni, secondo i prezziari delle opere edili ed impiantistiche vigenti nella zona”.
2° quesito:
“Accerti inoltre il C.T.U. se la realizzazione delle opere di ultimazione delle parti dell’immobile oggetto di sanatoria fosse indispensabile ai fini di una normale completa utilizzazione dello stesso e, in caso negativo, individui con precisione le parti di edificio oggetto di sanatoria e le parti non oggetto di sanatoria autonomamente utilizzabili in relazione alla destinazione edilizia dell’edificio”.
3° quesito:
“Accerti ancora il C.T.U., con riferimento al lasso temporale intercorrente tra dette date, la entità del reddito che la società appellante avrebbe potuto trarre dalla utilizzazione completa dell’immobile, in caso di risposta positiva al precedente quesito, o, nella ipotesi di risposta negativa ad esso, solo delle parti di edificio oggetto di sanatoria, mediante locazione o altro impiego compatibile con le sue caratteristiche, secondo i prezzi all’epoca correnti nella zona e detratti i costi per normali manutenzioni”.
4° quesito:
“Accerti in conclusione il C.T.U. le somme complessive dovute alla società appellante a titolo di risarcimento danni per i titoli di danno emergente e lucro cessante sopra indicati”
6 La Sezione con successiva ordinanza del 10 giugno 2014, inoltre:
– dichiarava allo stato inammissibile la costituzione in giudizio dell’avvocato Pa. tesa alla sua surrogazione nel diritto al risarcimento vantato dalla società;
– respingeva la richiesta del Comune del 27 febbraio 2014 di revoca dell’ordinanza n. 64/2013 ammissiva del mezzo istruttorio;
– confermava la consulenza tecnica d’ufficio già disposta.
In seguito, dopo due proroghe del termine assegnato al CTU per il compimento della sua relazione finale, quest’ultima veniva depositata.
La difesa comunale con successiva memoria riprendeva e integrava le deduzioni già esposte in occasione della propria richiesta del 27 febbraio 2014 di revoca dell’ordinanza n. 64 ammissiva della CTU, insistendo per la richiesta revoca e, comunque, per il rigetto della domanda risarcitoria.
La causa perveniva infine all’odierna udienza pubblica, al cui esito è stata trattenuta in decisione.
7a La Sezione deve dare preliminarmente atto che, dopo l’ordinanza del 10 giugno 2014 con la quale è stata dichiarata, “allo stato, inammissibile la costituzione in giudizio dell’avvocato Pa. al fine di surrogarsi nel diritto al risarcimento del danno vantato dalla Vi. s.r.l..”, e tanto sulla motivazione che il decreto ingiuntivo posto a fondamento di tale iniziativa era stato gravato di opposizione (con la conseguente carenza del presupposto della certezza del credito a salvaguardia del quale il professionista agiva), il medesimo legale, che non ha mai mosso contestazioni avverso tale conclusione, non ha nemmeno fatto più deduzioni o allegazioni di sorta in giudizio.
La Sezione non può, quindi, che confermare la statuizione dell’inammissibilità della costituzione in giudizio in via surrogatoria del suddetto legale.
7b Altra notazione preliminare attiene alla comunicazione indirizzata dal Comune alla società con atto del 4 giugno 2015, concernente l’avvio di un procedimento finalizzato all’annullamento in autotutela della concessione in sanatoria del 22.3.2000. Tale comunicazione era motivata con riferimento alla circostanza che il condono edilizio era risultato effettuato per una superficie notevolmente inferiore alla reale consistenza dell’opera abusiva.
Alla Sezione non consta, alla stregua delle risultanze disponibili, che il procedimento in autotutela così promosso sia stato in alcun modo definito. Si vedrà tuttavia più avanti (paragr. 10a e segg.) come la constatazione che ha indotto l’Amministrazione al suo avvio non possa restare priva di conseguenze ai fini del presente giudizio.
8a Tutto ciò premesso, occorre avere subito riguardo all’insistita obiezione del Comune, ripresa da varie angolazioni anche nella sua memoria conclusiva, secondo la quale l’appellante non avrebbe fornito, a sostegno della propria pretesa, i necessari elementi di prova del danno patito e della sua entità.
In proposito il Collegio non può che prendere atto che sul punto esiste già una statuizione definitiva, dal momento che con la precedente sentenza parziale n. 63/2014, che non risulta essere stata impugnata, la relativa eccezione comunale che non fosse stata fornita idonea prova del danno è già stata disattesa (cfr. il paragr. 7.5 della sentenza), e che proprio sul presupposto costituito da questa specifica decisione è stato disposto un mezzo istruttorio inteso alla quantificazione del risarcimento di spettanza della società.
La sentenza parziale, invero, recita quanto segue.
“Quanto alla determinazione del concreto pregiudizio patrimoniale subito in relazione al non tempestivo completamento dei lavori e alla mancata vendita o locazione dell’immobile in questione, in conseguenza del “tardivo” conseguimento della relativa concessione, va rilevato che, in tema di risarcimento del danno, incombe sul richiedente l’onere di provare la sussistenza di tutti i requisiti per il conseguimento del bene della vita (mancando i quali, non può dirsi sussistere l’obbligo amministrativo di consentirne il raggiungimento), quindi anche di detto elemento costitutivo della domanda.
In proposito vanno richiamati ulteriori principi giurisprudenziali, in forza dei quali, stante il potere del giudicante di fornire all’Amministrazione i soli criteri per la liquidazione, è sufficiente anche al privato indicare analoghi criteri, purché ragionevolmente precisi e definiti, non incombendogli necessariamente l’onere di una esatta quantificazione del danno risarcibile.
Nel caso di specie la società ricorrente ha richiamato il pregiudizio derivante dalla perdita di utilità conseguente ai maggiori costi sostenuti per l’ultimazione dell’immobile nonché quello conseguentealla mancata utilizzazione dell’immobile de quo e inoltre, sotto il profilo probatorio, ha depositato in primo grado perizia dell’ing. Castellani recante quantificazione dei danni dei quali è stato chiesto il ristoro.
Il Collegio ritiene che l’impostazione di parte ricorrente sia da condividere e che pertanto vada accolta anche la proposta istanza istruttoria, sicché può procedersi ad acquisire una consulenza tecnica di ufficio finalizzata all’esatta liquidazione del danno sulla base di detti criteri.”
Stante, quindi, l’esistenza di una decisione già emessa sul punto e reiettiva dell’eccezione, oltre che ormai passata in giudicato, non può che risultare inammissibile la riproposizione della stessa eccezione, ancorché con l’accorgimento di appuntarla formalmente, stavolta, sul testo dei quesiti rivolti al CTU, quale definito dall’ordinanza n. 64/2014.
8b Vale inoltre sottolineare che con la stessa sentenza parziale la Sezione ha già favorevolmente apprezzato altresì :
– l’ascrivibilità al comportamento dell’Amministrazione, e non alla mera volontà del privato, dell’esclusione della possibilità di utilizzazione economica dell’immobile in discorso;
– l’astratta risarcibilità, a favore della società, tanto dei maggiori costi correlati al compimento delle opere di ultimazione dell’immobile, quanto delle utilità non potute conseguire per la mancata utilizzazione medio tempore del medesimo fabbricato.
9a Altra obiezione del Comune è quella che l’immobile in concreto non è mai stato ultimato, né per esso è stata chiesta l’agibilità. Donde la conseguenza che alcun costo la società ha ancora sostenuto per l’ultimazione del suo fabbricato, e pertanto neppure alcun “maggior costo” suscettibile di valorizzazione alla stregua di un danno risarcibile.
9b La Sezione deve però osservare che questa obiezione, per quanto basata su un dato di fatto esatto, non permette di escludere l’esistenza di un danno risarcibile sotto il profilo in disamina.
Il completamento di un edificio che sia stato in precedenza realizzato al rustico costituisce, secondo criteri di razionalità economica e alla luce dell’ id quod plerumque accidit, un’epilogo del tutto naturale, secondo un giudizio di ragionevole prevedibilità ex ante, del fatto della primitiva costruzione. Sicché la maggiore onerosità dei lavori di completamento del fabbricato cagionata dal ritardato rilascio della relativa concessione in sanatoria si manifesta comunque come un danno che colpisce il patrimonio dell’avente diritto, indipendentemente dal momento in cui la detta opera di completamento venga in concreto effettivamente eseguita.
Quale che sia, infatti, il momento in cui saranno svolti i relativi lavori, essi si renderanno comunque più onerosi, a carico della proprietà, a causa dell’illecito ritardo nel rilascio della sanatoria, illecito che nella fattispecie la Sezione ha già accertato. E tale loro maggiore onerosità integra una componente di danno che, configurandosi come una conseguenza immediata e diretta dell’illecito, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ. (cui l’art. 2056 rinvia), entra nel perimetro del risarcimento del danno dovuto all’appellante.
10a La difesa dell’Amministrazione sulla scia delle deduzioni del proprio consulente di parte ha fatto inoltre notare che, come emerso anche nella consulenza tecnica d’ufficio (pagg. 7-8 della relativa relazione), la pratica di sanatoria edilizia è stata presentata dalla società a tempo debito solo per una parte, pari a mq 770,23, della superficie delle opere abusive realmente riscontrate (la cui consistenza ammonta a mq 1254, come accertato dall’UTE sin dal 1976); e che solo per la superficie oggetto di richiesta di condono, ossia mq. 770,23, la società ha fatto luogo alla corresponsione della relativa oblazione.
Né, d’altra parte, l’oggetto della domanda di sanatoria fissato nel 1986, nei termini di legge, avrebbe potuto essere sostanzialmente modificato mediante il fatto del mero deposito agli atti del Comune, quattro anni dopo la pratica di condono, della perizia giurata del 5 maggio 1990 indicante una superficie dell’abuso notevolmente maggiore (mq 1108,20), per quanto ancora inferiore al reale.
10b Orbene, la Sezione ritiene che il punto così emerso, che trova univoca evidenza nelle risultanze disponibili e non ha formato oggetto di contestazione da parte della società, meriti di rivestire rilievo ai fini della quantificazione del risarcimento di pertinenza dell’appellante.
10c Ai limitati fini della presente causa risarcitoria non è necessario stabilire se il provvedimento concessorio rilasciato il 22.3.2000 abbia fedelmente modellato la propria portata su quella della pratica di condono edilizio, nella quale la superficie dell’abuso era stata individuata e definita in mq 770,23, o se invece ad esso debba ricollegarsi un effetto di sanatoria comunque integrale dell’abuso commesso (mq 1254).
Il presente giudizio verte, infatti, unicamente sull’obbligo risarcitorio ascrivibile all’Amministrazione per aver ritardato la definizione della pratica di condono di cui si è detto (onde la questione che precede potrebbe costituire, al più, materia di un accertamento incidenter tantum, ma non in via principale).
Segnatamente, in questa sede rimane da stabilire soltanto “quanto dovuto a titolo di risarcimento dei danni derivati alla appellante dall’inerzia tenuta sulla istanza di concessione in sanatoria di cui trattasi” (v. in termini il dispositivo della sentenza parziale n. 63).
10d Ciò posto, poiché risulta per tabulas che la predetta pratica di condono edilizio era stata presentata per una consistenza abusiva limitata a mq 770,23, e l’illecita inerzia imputata all’Amministrazione riguarda la ritardata definizione proprio di tale procedimento, già da questo emerge come nella presente sede di quantificazione del danno campeggino i pregiudizi ricollegabili alla sola consistenza immobiliare che aveva specificamente formato oggetto di condono.
11 La Sezione, invero, pur ritenendo condivisibile, e pertanto utilizzabile ai fini decisori, l’impianto complessivo della CTU acquisita (anche nella parte in cui essa in varia forma disattende le residue osservazioni, più marcatamente tecniche, espresse dal consulente dell’Amministrazione in tema di destinazione d’uso del fabbricato, voci riflettenti infissi e intonacatura già in sito, valore locativo delle unità destinate a magazzino-deposito), ritiene che le risultanze offerte dalla consulenza d’ufficio ai fini della quantificazione del risarcimento debbano essere considerevolmente ridotte.
Le stime elaborate dal CTU, che hanno riguardato maggiori consistenze dell’immobile, dovranno infatti essere proporzionalmente ribassate, occorrendo applicare i valori unitari pur individuati dal consulente d’ufficio all’effettiva superficie, sensibilmente inferiore, per la quale la domanda di sanatoria è stata realmente presentata (mq 770,23).
11a Questo criterio de plano s’impone per la quantificazione del danno emergente, che era stato già individuato dalla Sezione in occasione dell’ordinanza n. 64/2014 mediante riferimento alle maggiorazioni eventualmente maturate sui “costi necessari per la ultimazione della parte di immobile oggetto di sanatoria edilizia in maniera da renderlo utilizzabile” (1° quesito al CTU).
Ai fini del danno emergente occorrerà perciò solo tener conto dell’inferiore consistenza dell’abuso che ha formato effettivo oggetto di sanatoria.
11b Lo stesso criterio limitativo del danno risarcibile deve tuttavia essere seguito anche per la determinazione del lucro cessante riconoscibile alla società.
A questo proposito il Collegio ha ben presente, naturalmente, che nell’ambito dei quesiti sottoposti al CTU era compreso quello di accertare “…se la realizzazione delle opere di ultimazione delle parti dell’immobile oggetto di sanatoria fosse indispensabile ai fini di una normale completa utilizzazione dello stesso”, e, in caso negativo, era chiesto di individuare “le parti di edificio oggetto di sanatoria e le parti non oggetto di sanatoria autonomamente utilizzabili in relazione alla destinazione edilizia dell’edificio”.
Nondimeno, in questa definitiva sede decisoria la Sezione reputa conclusivamente che anche il lucro cessante debba essere circoscritto entro i limiti della superficie immobiliare che aveva formato specifico oggetto di condono edilizio. Ciò per le seguenti ragioni.
11c In primo luogo, vale ribadire l’osservazione già espressa con la precedente sentenza parziale per cui “anche alla quantificazione del danno in caso di lesione di interessi legittimi pretensivi deve trovare applicazione il criterio della mitigazione del danno di cui all’art. 1227 comma 2 c.c.; peraltro la deduzione ivi prevista non integra un’eccezione in senso stretto, sicché nel giudizio amministrativo per lesione degli interessi legittimi pretensivi la generica allegazione del Comune che nega e circoscrive i danni lamentati consente al Giudice di esaminare nella controversia risarcitoria, conformata ai principi civilistici, la questione dell’evitabilità di essi.”
Ebbene, questo richiamo, valso nella precedente occasione a circoscrivere la pretesa risarcitoria della società sul piano temporale, deve essere ora applicato anche per definire la misura del risarcimento dovuto. Ciò in relazione alla circostanza che la società era comunque tenuta a intervenire secondo correttezza, in base alla norma appena citata, nei limiti di uno sforzo da parte sua ragionevole, per contenere il danno discendente dal ritardo comunale, e segnatamente, in via di principio, per circoscriverlo almeno entro i limiti della consistenza immobiliare che formava oggetto di quella pratica di condono cui il detto ritardo amministrativo si riferiva, impiegando quindi senza indugio la consistenza rimanente del fabbricato in modo produttivo.
A questo riguardo va rilevato, difatti, che il CTU, pur affermando, nel riscontrare il secondo quesito, che “la realizzazione delle opere di ultimazione delle parti dell’immobile oggetto di sanatoria fosse indispensabile ai fini di una normale completa utilizzazione dell’intero stabile così come modificato dalle opere oggetto di sanatoria” (con la sola eccezione di due negozi posti a piano terra), sì da pervenire a individuare in ben mq 2548,65 la parte dell’immobile in tesi utilizzabile per il calcolo del lucro cessante (pagg. 28-29 della relazione), non ha però delineato alcun oggettivo ostacolo, per una utilizzazione parziale del bene, che non fosse superabile dalla società con un impiego di ordinaria diligenza, e mediante un impegno economico da parte sua pur sempre esigibile, dato il cospicuo valore totale dell’investimento che occorreva mettere a frutto, e tenuto conto che si trattava di ovviare alla sola limitata carenza, nell’immediato, di “altroaccesso utile o soddisfacente” ai piani superiori (la giurisprudenza esclude dall’ambito dell’ordinaria diligenza ex art. 1227 cit. le sole attività che siano gravose o eccezionali, o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici: Cass. Civ., sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2855; sez. I, 17/05/2006, n. 11498: estremi che però nel caso concreto non si rinvengono).
A questo proposito non guasta aggiungere che l’intervento abusivo in discorso aveva avuto natura essenzialmente ampliativa della presistenza, ed era consistito, in estrema sintesi (pagg. 12-13 della relazione): nella realizzazione di un secondo piano di costruzione interamente abusivo; nella copertura, al piano terra, di un patio e di un adiacente portico; nell’esecuzione di uno sbancamento al piano scantinato. Né va trascurato il fatto che la stessa valutazione del CTU circa l’indispensabilità delle opere di ultimazione delle parti di immobile oggetto di sanatoria era riferita alla normale completa utilizzazione dell’intero stabile “così come modificato dalle opere oggetto di sanatoria”, “e non, invece, per lo stabile così come approvato con parere favorevole dalla Commissione Edilizia del 4/4/1975”.
11d Nella fattispecie deve trovare applicazione, pertanto, il principio per cui, qualora il danneggiato abbia avuto la possibilità di interrompere, mediante un diligente contegno positivo, la serie di conseguenze dannose ascrivibile all’autore dell’evento dannoso, a norma del capoverso dell’art. 1227 c.c., tale circostanza può comportare una ripartizione finale delle conseguenze economiche dell’illecito diversa da quella che verrebbe suggerita dal ricorso a una valutazione di stretta causalità giuridica, riconoscendo al danneggiato la sola differenza tra il complessivo ammontare del danno effettivamente subito e quella porzione di esso che poteva essere evitato mediante la diligenza del buon padre di famiglia (Cass. Civ., Sez. II, 24 aprile 2007, n. 9864).
La quantificazione del lucro cessante dovrà dunque essere commisurata ai valori unitari ottenibili dalla messa sul mercato locativo -anche in questo caso- della sola consistenza che aveva formato oggetto della domanda di condono della società.
11e Come stabilito dalla sentenza parziale n. 63/2014, infine, sul totale ammontare definitivamente liquidato a titolo di risarcimento si dovranno altresì calcolare, “oltre alla rivalutazione monetaria su tale somma dal dì del dovuto fino alla data di deposito della definitiva sentenza, gli interessi legali, questi ultimi computati a decorrere dalla data di deposito della presente decisione e fino all’effettivo soddisfo.”
12 Il Comune di Galatone, in applicazione dell’art. 34, comma 4, C.P.A., attenendosi ai criteri esposti nei paragrafi precedenti dovrà, pertanto, provvedere alla determinazione dell’ammontare del risarcimento riconoscibile alla società, facendone oggetto di un’offerta da proporre all’avente diritto nel termine di gg. novanta dalla pubblicazione della presente sentenza.
In assenza di un successivo accordo tra le parti la Sezione potrà essere nuovamente adìta per ottenere la puntuale determinazione della somma dovuta.
Le spese processuali del doppio grado di giudizio vanno ascritte secondo il criterio della soccombenza a carico del Comune, e sono liquidate dal seguente dispositivo.
Quanto, infine, alle spettanze da riconoscere al CTU ing. Sa.Pa., da porre anch’esse a carico dell’Amministrazione, la Sezione osserva che, venendo in rilievo valutazioni di non particolare complessità tecnica, le competenze riconoscibili possono essere determinate in prossimità del minimo tabellare, e pertanto fissate nella misura di euro 6.000,00, oltre gli accessori di legge. Venendo alle relative spese vive, poiché non è stata fatta constare con il necessario rigore l’inerenza all’incarico delle trasferte a Roma corrispondenti alle fatture del 27/10/2014 e 3/3/2015 (per complessivi euro 410), la relativa rifusione viene fissata in euro 2.221,87.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), pronunciando sull’appello in epigrafe per quanto residua, fissa i criteri esposti in motivazione per la quantificazione del risarcimento dovuto alla società appellante dal Comune di Galatone, il quale in applicazione di tali criteri dovrà proporre all’avente diritto il pagamento di una coerente somma, mediante comunicazione che dovrà pervenire al privato nel termine di gg. novanta dalla pubblicazione della presente sentenza.
Condanna il Comune al rimborso alla società delle spese processuali del doppio grado di giudizio, che liquida nella misura complessiva di euro ottomila oltre gli accessori di legge.
Liquida il compenso spettante al consulente tecnico d’ufficio ing. Sa.Pa., ponendolo a carico del Comune, nella misura di euro 6.000,00 oltre gli accessori di legge, oltre a euro 2.221,87 di spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello – Presidente
Vito Poli – Consigliere
Nicola Gaviano – Consigliere, Estensore
Raffaele Prosperi – Consigliere
Sabato Guadagno – Consigliere
Depositata in Segreteria il 16 novembre 2015.
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