Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 1 agosto 2018, n. 4772.
La massima estrapolata:
Gli accertamenti sulla dipendenza di una patologia da causa di servizio rientrano nella discrezionalità tecnica del Comitato di verifica, la cui valutazione conclusiva sul nesso eziologico tra l’attività lavorativa svolta e l’infermità sofferta dal pubblico dipendente, basato su cognizioni di scienza medico-specialistica e medico-legale, non è sindacabile nel merito in sede giurisdizionale, a meno che non emergano vizi del procedimento o vizi di manifesta irragionevolezza della motivazione per l’inattendibilità metodologica delle conclusioni ovvero per il travisamento dei fatti o, ancora, per la mancata considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione finale.
Sentenza 1 agosto 2018, n. 4772
Data udienza 24 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5734 del 2012, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ba. Co., con domicilio eletto presso lo studio degli avvocati Co., sito in Roma, via (…);
contro
Il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, Sez. II, n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 24 luglio 2018 il Cons. Luigi Birritteri e uditi per le parti l’avvocato Gi. Ba. Co. e l’avvocato dello Stato Al. Pe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza n. -OMISSIS-, il TAR per la Puglia ha respinto il ricorso n. -OMISSIS- del 2011, proposto dal signor -OMISSIS-, ispettore della Polizia di Stato, avverso il provvedimento del Dipartimento della Pubblica Sicurezza che ha rigettato la sua richiesta di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di alcune sue infermità .
Il primo giudice, per la parte che qui interessa, ha osservato che ” l’impugnato decreto ministeriale ha recepito il parere negativo espresso in data 18 giugno 2008 dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, che ha disconosciuto la dipendenza da causa di servizio di tutte le patologie denunciate dall’Ispettore Capo di P.S. ricorrente”, precisando altresì che, “alla stregua dell’insegnamento giurisprudenziale consolidato, i giudizi medico legali espressi dagli organi tecnico-consultivi, ai fini dell’accertamento della dipendenza da causa di servizio delle infermità contratte dal pubblico dipendente, sono giudizi connotati da discrezionalità tecnica la cui valutazione è sottratta al sindacato giurisdizionale di legittimità, salva la valutazione della eventuale irragionevolezza o evidente inattendibilità “.
L’adito Tar ha inoltre rilevato che – per la natura obbligatoria e sostanzialmente vincolante del parere espresso dal Comitato di Verifica – “l’Amministrazione non è tenuta alla comunicazione del preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis della Legge 7 agosto 1990 n° 241 e ss.mm., allorquando (come nella vicenda de qua) appare evidente che l’eventuale partecipazione procedimentale dell’interessato non potrebbe produrre effetti sul contenuto dispositivo del provvedimento finale, che non avrebbe, comunque, potuto essere diverso da quello in concreto adottato, stante il disposto dell’art. 21-octies secondo comma della Legge 7 Agosto 1990 n° 241 e ss.mm. (in tal senso: T.A.R. Puglia Lecce, II Sezione, 11 Novembre 2010 n° 2645). Infatti, nella fattispecie concreta oggetto del presente giudizio, va esclusa ogni influenza causale delle vicende penali subì te dal ricorrente, perché – a parte il rilievo che tali vicende (significativamente) non sono state indicate dal dipendente nell’istanza presentata in data 18 Dicembre 2000 per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità denunciate (nella quale, quali cause probabili o concause dell’insorgere delle patologie, si è limitato ad indicare la gravosità del servizio svolto presso le Questure di Milano e di Taranto) e che l’informativa sulle vicende stesse (contrariamente a quanto affermato nel ricorso) è stata trasmessa dall’Amministrazione datrice di lavoro al Comitato di Verifica per le Cause di Servizio – non vi è stata, in sede penale, assoluzione completa del ricorrente da tutte le imputazioni contestate, sicchè i patemi d’animo e gli stati patologici allegati (correlati alla detenzione ed alla sospensione dal servizio) sono da ricollegare a comportamenti posti in essere dal pubblico dipendente in violazione dei doveri d’ufficio.
Inoltre, dalla complessiva documentazione versata in atti, non emerge né la denunciata incompletezza della istruttoria procedimentale, né l’allegata illogicità e/o palese inattendibilità delle valutazioni tecnico-discrezionali espresse dall’organo consultivo (fatte proprie dal Ministero resistente), anche tenuto conto che, a ben vedere, la stessa parte ricorrente non allega (e tanto meno dimostra) la presenza di fatti specifici di servizio particolarmente significativi (cioè, ad alta valenza stressogena o comunque nociva per la salute), ma solo di comuni disagi connessi al normale servizio di polizia, propri di tutto il personale operativo della Polizia di Stato. Per le ragioni sopra sinteticamente illustrate il ricorso deve essere respinto.”
Avverso tale sentenza propone appello il signor -OMISSIS-, il quale ha riproposto i motivi di ricorso articolati in prime cure, anche con riferimento al rilievo dell’esito del processo penale sopra richiamato.
Nella prospettiva dell’appellante, andrebbe considerato in suo favore il fatto che il processo – a fronte di più gravi imputazioni – si sia chiuso “soltanto” con una condanna ad otto mesi e 15 giorni di reclusione con pena sospesa e non menzione, poiché egli avrebbe agito con la finalità di proteggere un suo confidente che gli consentiva efficaci operazioni antidroga nell’ambito della sua attività di servizio.
Resiste in giudizio il Ministero dell’Interno, il quale ha chiesto innanzitutto la declaratoria di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi e, in subordine, il rigetto dell’impugnazione proposta.
All’udienza del 24 luglio 2018, dopo la discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Ritiene la Sezione che si può prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità dell’appello, formulata dal Ministero dell’Interno, poiché l’appello è infondato e deve essere respinto.
Va anzitutto respinto il motivo d’appello secondo cui l’Amministrazione avrebbe dovuto ravvisare un nesso di causalità tra l’aggravamento delle condizioni di salute dall’appellante e le “vicissitudini penali” richiamate nell’atto d’appello e nella memoria depositata il 22 giugno 2018, le quali, in tesi, non si sarebbero concretate in “attività delittuosa dolosamente posta in essere a fini personali illeciti, sebbene in attività ricollegabile all’organizzazione nel cui ambito il soggetto ha operato”.
In primo luogo, non risulta irragionevole la valutazione dell’Amministrazione di prendere in considerazione in sé le risultanze medico-legali, senza rivalutare i fatti che hanno condotto al giudizio penale che ha riguardato l’appellante,
In secondo luogo, quand’anche si segua l’impostazione difensiva dell’interessato (volta a far attribuire rilevanza ai fatti valutati in sede penale, per una valutazione nel corso del procedimento riguardante l’istanza sulla dipendenza delle infermità d causa di servizio), le sue deduzioni vanno respinte perché infondate.
Il giudizio penale richiamato dall’appellante si è concluso con una sentenza della Corte di Appello di Milano, che lo ha condannato per alcune condotte di falsità ideologica e materiale ed ha dichiarato la prescrizione del reato di abusiva interrogazione del CED del Viminale (art. 12 della l. n. 121/1981).
In particolare, la sentenza della Corte di Cassazione n. 30817 del 14 luglio del 2004 (che ha reso definitiva la condanna per le fattispecie di falso) ha rilevato che “è corretta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui la finalità di servirsi dell’operato di confidenti da parte del personale della polizia è senz’altro legittima ma non può essere perseguita anche a costo di commettere reati, quali la falsa formazione di verbali di sequestro a copertura di una illecita attività svolta dal confidente stesso; onde non pare fondata l’affermazione della difesa che si sarebbe trattato di falsi innocui, laddove la falsità permane in tutta la sua oggettività e anche nell’aspetto soggettivo perché le evidenziate motivazioni non elidono la coscienza e volontà di commettere di commettere i falsi”.
Tali argomentazioni inducono a ritenere che i patemi d’animo prospettati dall’appellante in conseguenza del lungo procedimento penale cui è stato sottoposto (con misure restrittive della libertà personale, la sospensione dal servizio e l’accusa di più gravi reati dai quali è stato assolto) non possano ritenersi connessi ad attività di servizio imputabili al Ministero.
Pertanto, ragionevolmente l’Amministrazione (così come la sentenza impugnata) non ha rilevato un nesso di causalità – giuridicamente rilevante – tra tali fatti e le condizioni di salute dell’appellante.
Analogamente infondato è il motivo inerente il mancato espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio (già richiesta in primo grado).
Al riguardo va richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non si ha motivo di discostarsi (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 marzo 2014, n. 1454, nonché Sez. III, n. 6175 del 29.12.2017), richiamato anche dal TAR, per il quale le valutazioni sugli accertamenti delle patologie da causa di servizio rientrano nella discrezionalità tecnica del Comitato di verifica, la cui conclusioni sulla sussistenza o meno del nesso eziologico tra l’attività lavorativa svolta e l’infermità sofferta dal pubblico dipendente, basate su cognizioni di scienza medico-specialistica e medico-legale, non sono sindacabili nel merito in sede giurisdizionale, a meno che non emergano vizi del procedimento o vizi di manifesta irragionevolezza della motivazione per l’inattendibilità metodologica delle conclusioni ovvero per il travisamento dei fatti o, ancora, per la mancata considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione finale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 marzo 2014, n. 1454; id., 8 giugno 2009, n. 3500; 9 marzo 2017, n. 1435; 27 giugno 2017, n. 5357).
Nel caso di specie, il Comitato di verifica per le cause di servizio ha espresso la propria motivata valutazione sulla insussistenza di una dipendenza dal servizio concretamente prestato sull’insorgere delle patologie, senza alcun errore metodologico, né alcun travisamento del fatto.
In altri termini, l’amministrazione ha valutato le specifiche circostanze in cui il ricorrente svolgeva il proprio servizio e le ha ritenute, in maniera non illogica né irragionevole, insufficienti a giustificare la sussistenza di un nesso di causalità o di concausalità fra il servizio prestato e l’infermità dal medesimo sofferta, con la conseguenza che sotto tale profilo la censura di difetto di motivazione e di istruttoria deve essere respinta.
Infine, rileva il Collegio che non può assumere rilievo il richiamo effettuato dal ricorrente alle considerazioni contenute nella consulenza di parte depositata in atti, poiché, in base alla consolidata giurisprudenza in subiecta materia, “non sono motivi capaci di produrre l’illegittimità di un atto impugnato la contraddittorietà tra il parere del CVCS e… referti d’istituti di parte in ordine al caso di specie, o produzioni della scienza medica, atteso che la competenza a stabilire l’eventuale rapporto di derivazione tra prestazioni di servizio e insorgenza di una infermità ricade in via esclusiva sul comitato di verifica a norma del d. P.R. n. 461 del 2001, che disciplina in termini organici la materia delle cause di servizio” (cfr. Consiglio di Stato, Sez II, n. 1810/2017 del 26 luglio 2017).
Infondato risulta, infine, il motivo inerente la mancata comunicazione del preavviso di diniego, dovendosi sul punto condividere l’argomentazione del primo giudice secondo cui deve escludersi, ai sensi dell’art. 21 octies secondo comma della legge 241/90, che la eventuale partecipazione dell’interessato avrebbe determinato un diverso esito finale del procedimento, non rinvenendosi neppure nei motivi d’appello elementi di una qualche concretezza posti a sostegno di una tale conclusione.
Pertanto, l’appello va respinto.
La peculiarità delle questioni trattate rende equo compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello n. 5734 del 2012, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del secondo grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 24 luglio 2018, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Giovanni Pescatore – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Luigi Birritteri – Consigliere, Estensore
Leave a Reply