Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 8 maggio 2018, n. 2736.
In relazione al potere di imposizione del vincolo diretto, occorre valutare il carattere unitario del complesso, quale risulta dall’affioramento di resti murari e di materiale mobile, dall’omogeneità delle strutture, dalla dimensione e dalla continuità degli allineamenti murari tra i singoli settori scavati e visibili o ricoperti e parzialmente sommersi.
Sentenza 8 maggio 2018, n. 2736
Data udienza 15 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7825 del 2013, proposto da:
Do. Pa., La. Ma., rappresentati e difesi dall’avvocato Ma. Ru., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Cr. in Roma, via (…);
contro
Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Abruzzo, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO – L’AQUILA, sez. I, n. 682/2013, resa tra le parti, concernente vincolo archeologico su aree di proprietà e risarcimento danni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione Regionale dell’Abruzzo e Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo 2018 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Lu. Eb. Ru. per delega di Ma. Ru., e dello Stato Lu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. E’ appellata la sentenza del T.A.R. Abruzzo, l’Aquila, sez. I, n. 682/2013 di reiezione del ricorso proposto dai sigg.ri Do. Pa. e La. Ma. avverso il decreto (d.29.3.2012) della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Abruzzo d’imposizione del vincolo archeologico sull’area di proprietà a tutela e salvaguardia dei resti archeologici e del contesto ambientale circostante.
2. Nell’atto introduttivo i ricorrenti premettono che:
in data 30.7.2010 acquistarono con atto pubblico un appezzamento di terreno in comune di (omissis), libero da vincoli di qualsiasi genere, esteso complessivamente mq. 16.000 ed avente destinazione agricola;
con nota 19.1.2011 la Soprintendenza per i beni archeologici dell’Abruzzo dava atto che detto terreno era stato identificato nell’anno 2003 come area sepolcrale con tombe a fossa, con presenze in una zona di resti murari, forse di epoca romana;
con nota 19.12.2011 gli veniva comunicato l’avvio del procedimento finalizzato all’imposizione del vincolo sull’area a tutela e salvaguardia dei resti archeologici e del contesto ambientale circostante, conclusosi con il decreto impugnato del 29.3.2012;
con ricorso incardinato innanzi al TAR Abruzzo ne chiedevano l’annullamento deducendo vizi formali relativi al procedimento (artt. 2 e 7 l. 241/1990) e, cumulativamente, attinenti al contenuto sostanziale del provvedimento;
il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo con sentenza n. 682/2013 rigettava la domanda di annullamento ed accoglieva la domanda risarcitoria e per l’effetto condannava l’amministrazione resistente a pagare la somma determinata secondo i criteri indicati in motivazione.
3. Appellano la sentenza i sigg.ri Do. Pa. e La. Ma.. Resiste Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Abruzzo.
4. Con ordinanza pubblicata in data 16.07.18 questa Sezione del Consiglio di Stato ha chiesto ulteriori approfondimenti istruttori alla Soprintendenza; all’esito, alla pubblica udienza del 15.03.2018 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5. Con i motivi d’appello, oltre la violazione dei principi di proporzionalità, adeguatezza e bilanciamento degli interessi contrapposti, si denuncia l’eccesso di potere per difetto d’istruttoria e travisamento dei fatti.
5.1 Per motivare la reiezione della domanda d’annullamento del decreto, i giudici di prime cure, lamentano gli appellanti, hanno posto l’accento esclusivamente sulla natura vincolata del provvedimento.
5.2 In particolare hanno rilevato che “il vincolo in questione deriva dall’accertamento tecnico di una certa qualitas dell’area (art. 13 del Codice b.c.), riscontrata la quale il provvedimento finale è del tutto necessitato. Nell’ambito del procedimento non entrano quindi in discussione apprezzamenti discrezionali coinvolgenti la comparazione tra interessi diversi (come peraltro sottolinea la circolare ministeriale esibita dalla resistente). Il che vuol dire che, individuato l’oggetto di potenziale interesse archeologico, non vi sono scelte da compiere, valutazioni da effettuare, interessi da soppesare. L’area che sarà oggetto di vincolo è individuata per le sue caratteristiche intrinseche e non già per effetto di una qualche scelta amministrativa”. A corollario, ne hanno tratto la conseguenza giuridica che “ai sensi dell’art 21 octies, 2 comma, l. n. 241/90 non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato…”.
5.3 Secondo gli appellanti, i giudici di prime cure, trincerandosi dietro la discrezionalità tecnica che caratterizza il potere esercitato dalla Soprintendenza, avrebbero omesso di considerare l’effettivo dipanarsi del procedimento istruttorio che ha preso le mosse dal recuperato ed asporto di alcuni reperti dai terreni di loro proprietà da comparare con altri reperti al fine d’individuare l’effettivo pregio archeologico delle aree
5.4 Questi ulteriori reperti sarebbero risultati di fatto irrilevanti ai fini archeologici e culturali non presentando caratteri tali da renderli meritevoli di visitazione culturale; e, per di più, collocati in un ettaro di terreno isolato nella campagna di (omissis), ossia in una zona non ricompresa nel compendio immobiliare di proprietà degli appellanti ed estranea a qualsiasi flusso turistico-culturale.
6. Il motivo è fondato.
6.1 Con ordinanza pubblicata in data 16.07.17, in considerazione della prospettazione dei motivi d’appello in esame, al fine di acquisire elementi di giudizio sui presupposti di fatto sottesi al provvedimento di vincolo, questa Sezione del Consiglio di Stato ha richiesto ulteriori approfondimenti istruttori, segnatamente: ha domandato chiarimenti sulla precisa individuazione di reperti d’evidente interesse archeologico all’interno del terreno di proprietà dei ricorrenti appellanti; l’indicazione analitica delle esigenze di tutela archeologica incompatibili con le colture agricole, assumendo a parametro di riferimento la possibile perimetrazione di aree vincolate più circoscritte per consentire ai proprietari il normale esercizio dell’agricoltura nelle zone residue.
6.2 All’esito dell’integrazione istruttoria, è emersa l’assenza della precisa individuazione di reperti nell’area di cui si discute nonché l’insufficiente giustificazione del provvedimento impositivo del vincolo esteso ai terreni di proprietà senza la specifica verifica dell’adozione di provvedimenti meno invasivi, quali, ad esempio, il trasferimento dei reperti.
6.3 La certa sussistenza di sepolture italiche “in tutta l’area centro – settentrionale delle particelle 262-263.376-680”, menzionata nella relazione della Soprintendenza depositata in giudizio in adempimento dell’ordinanza istruttoria, costituisce una mera perifrasi del decreto impugnato priva di riscontro obiettivo con i fatti di causa.
Oltretutto, non corroborata affatto dalle notazioni aggiunte che “solo uno scavo esaustivo permetterebbe di verificare l’effettiva densità e stratificazione delle testimonianze archeologiche sul terreno”, e che perciò “è impossibile, allo stato attuale delle conoscenze, stabilire se siano presenti e dove eventualmente collocate, nel terreno in esame, aree prive di tombe del I millennio a.C., e distinguere puntualmente la loro attribuzione alle diverse classi tipologiche attestate nelle necropoli di (omissis)…”.
7. Non va revocato in dubbio che, sebbene gli artt. 20 e ss d.lgs. 42/2004 nel disciplinare la cura dell’interesse archeologico attribuiscano al Ministero il potere di valutazione del pregio archeologico dotandolo di potestà d’accertamento preventivo, il procedimento impositivo del vincolo è subordinato all’individuazione dei presupposti fattuali richiesti dalle norme richiamate con riferimento al terreno da sottoporre a vincolo.
7.1 E’ uniforme e stratificato nel corso del tempo l’indirizzo giurisprudenziale, qui condiviso cui va data continuità, a mente del quale, in relazione al potere di imposizione del vincolo diretto, occorre valutare “il carattere unitario del complesso”, quale risulta “dall’affioramento di resti murari e di materiale mobile, dall’omogeneità delle strutture, dalla dimensione e dalla continuità degli allineamenti murari tra i singoli settori scavati e visibili o ricoperti e parzialmente sommersi (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 6 ottobre 1986 n. 758).
E’ richiesta una valutazione specifica dei “singoli reperti e della loro ubicazione al fine di dimostrare che essi costituiscono un complesso inscindibile” (cfr., Cons. Stato, sez. VI, n. 923/1983), essendo illegittima (ad esempio) l’imposizione del vincolo su un intera collina ove non risulti valutata la notevole dimensione ed eterogeneità del comprensorio in questione (cfr., Cons. Stato, ad. plen., n. 6/1973).
Sicché il vincolo diretto risulta sproporzionato ove – come nel caso in esame – non sia stata indicata specificamente l’ubicazione dei singoli reperti nelle varie particelle catastali di una vasta area vincolata (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 322/1982), potendosi ritenere legittima l’imposizione del vincolo diretto esteso ad un’intera area – nel lessico tecnico-giuridico il c.d. predium espressione ellittica che sta ad indicare l’unitarietà di un’area archeologica inscindibile documentata dalle fonti antiche, oltre che dalle modalità, storicamente stratificatesi, di fruizione estetica e visiva dei beni del complesso archeologico medesimo – solo quando i ruderi costituiscano un complesso inscindibile (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 6 settembre 2002, n. 4566).
8. I suddetti rilievi inducono ad annullare il decreto di vincolo con la conseguente reintegrazione dei ricorrenti nella piena proprietà delle aree oggetto del decreto di vincolo.
9. A diversa conclusione deve giungersi con riguardo all’appello avente ad oggetto il capo di sentenza di condanna al risarcimento del danno.
9.1 Il TAR, lamentano gli appellanti, ha accolto la domanda risarcitoria e per l’effetto ha condannato l’amministrazione resistente a pagare la corrispondente somma determinata secondo i criteri indicati in motivazione.
9.2 Nonostante l’affermata sussistenza di danni scaturiti dal ritardato avvio del procedimento e dalla connessa inottemperanza agli obblighi di comunicazione, i giudici di prime cure, deducono gli appellanti, hanno circoscritto il risarcimento “al prezzo di acquisto del terreno in questione (con relativi accessori) desunto dall’atto pubblico, detratto il valore attuale del fondo (determinato in misura pari all’indennità di esproprio), che l’amministrazione dovrà quantificare e quindi offrire ex art. 34, co. 4, c.p.a. nel termine di 60 giorni dalla notificazione della presente sentenza”, quantificato dalla Direzione Regionale nella somma di Euro 4.561,4.
Somma la cui entità, insistono gli appellanti, non copre nemmeno le spese di lite.
10. Il motivo è infondato.
10.1 Il quantum del risarcimento del danno scaturisce dal capo della sentenza di primo grado – non appellato dal Ministero resistente – che ha individuato il danno sofferto dai ricorrenti (il c.d. evento di danno) nel lungo lasso di tempo trascorso dal reperimento nel terreno di proprietà dei primi reperti, avvenuto nel 2003, fino all’adozione del decreto impugnato del 29.3.2012.
10.2 Il criterio di quantificazione (del c.d. danno conseguenza) dettato in sentenza tiene conto del tipo di danno (c.d. da ritardo) risarcibile. La lamentata esiguità potrà essere oggetto di reclamo o verifica ex art. 34, comma 4, c.p.a. innanzi al TAR che ha demandato alla Direzione regionale la concreta quantificazione del ristoro patrimoniale.
10.3 Viceversa, il qui disposto annullamento del decreto impositivo del vincolo per difetto d’istruttoria determina la reintegrazione del diritto di proprietà dei ricorrenti, ossia – ai sensi dell’art. 30, comma 2 c.p.a. che fa espresso rinvio all’art. 2058 c.c. – il risarcimento del danno in forma specifica.
11. Le spese di lite del doppio grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi della motivazione.
Condanna il Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Abruzzo al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore dei sigg.ri Do. Pa. e La. Ma. che si liquidano in complessivi 7000,00 (settemila) euro, oltre diritti ed accessori di legge, da dividersi fra loro in parti uguali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
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