Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 3 aprile 2018, n. 2072. La revoca di una concessione di bene demaniale va congruamente motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico che risulti prevalente nella comparazione con l’affidamento del privato fondato su decenni di utilizzo dell’area e su di un recente di rinnovo della concessione

Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 3 aprile 2018, n. 2072.

La revoca di una concessione di bene demaniale va congruamente motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico che risulti prevalente nella comparazione con l’affidamento del privato fondato su decenni di utilizzo dell’area e su di un recente di rinnovo della concessione.

Sentenza 3 aprile 2018, n. 2072
Data udienza 8 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3322 del 2017, proposto da:
Az. – società cooperativa in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Yl. Lu., con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Eu. Pi. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. An. e Fe. Sc., con domicilio eletto presso lo studio di qust’ultima in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA, SEZIONE I n. 01159/2016, resa tra le parti, concernente revoca della concessione demaniale n. 15/2003, intestata alla Cooperativa Az.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 marzo 2018 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Pi. – in dichiarata delega di Lu. – e Sc.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Risulta dagli atti che la Cooperativa Az., associazione senza scopo di lucro costituitasi nel 1987, nel 1988 aveva ottenuto la concessione di un’area demaniale di arenile marittimo sita in Comune di (omissis), località (omissis), via (omissis) (zona ex poligono di tiro), per adibirla a campeggio mobile stagionale.
A seguito del rinnovo dei vari titoli concessori, l’ultima concessione veniva rilasciata dal Comune di (omissis) con atto n. 15 del 2003, per il periodo di 72 mesi decorrenti dal 1° gennaio 2003 (fino dunque al 31 dicembre 2008).
A fronte di un’ulteriore istanza di rinnovo formulata dalla cooperativa il 24 agosto 2008, il Comune di (omissis) avviava un procedimento per diniego di rinnovo, comunicato alla cooperativa solamente con nota n. 35463 del 31 dicembre 2008.
Ad esso faceva seguito il deposito di osservazioni da parte della cooperativa, cui non seguiva l’adozione di alcun atto ulteriore formale. Solo un anno e mezzo dopo, il 31 agosto 2010, il Comune di (omissis) notificava l’avvio di un nuovo procedimento – avente stavolta ad oggetto la revoca del titolo concessorio – che si concludeva con provvedimento (di revoca) n. 4835 del 1° marzo 2011.
Avverso quest’ultimo la cooperativa proponeva ricorso al Tribunale amministrativo del Veneto, deducendo i seguenti profili di illegittimità:
violazione di legge, sub specie di violazione dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009, conv. con l. n. 25/2010, nonché dell’art. 5 della l.r. n. 13/2010, carenza di potere, carenza e incongruità della motivazione per illogicità manifesta, contraddittorietà tra atti.
Sia la normativa nazionale, sia quella regionale sopra citate avrebbero infatti sancito la legittimità della proroga legale delle concessioni demaniali fino a tutto il 2015, cosicché nessun valido atto di revoca avrebbe potuto essere emanato dal Comune di (omissis) prima del 31 dicembre 2015.
Violazione di legge, sub specie di violazione dell’art. 20 della l. n. 241/1990, eccesso di potere per slealtà procedimentale, nonché per travisamento ed erronea valutazione dei fatti.
Sull’istanza di rinnovo della concessione demaniale marittima inoltrata dalla ricorrente si sarebbe infatti formato il cd. silenzio assenso ex art. 20 della l. n. 241/1990.
Carenza di potere, carenza, difetto, insufficienza ed incongruità della motivazione per illogicità manifesta, contraddittorietà tra atti e disparità di trattamento.
Nel provvedimento impugnato non sarebbero state in alcun modo indicate le ragioni nuove e/o diverse rispetto a quelle in essere nel 2010 (ultimo anno in cui l’utilizzo dell’area demaniale da parte della ricorrente era stato assentito dal Comune), tali da giustificare la revoca della concessione. Il provvedimento sarebbe quindi viziato da difetto di motivazione, essendo stato disposto sulla base della sola affermazione che, nell’area in concessione, gli strumenti urbanistici avrebbero vietato l’esercizio di campeggi mobili, essendo l’area qualificata come “di elevato valore naturalistico”, senza però tener conto del fatto che divieto e qualificazione – inseriti sin dal 1991 negli strumenti urbanistici – non avevano rappresentato un ostacolo al rinnovo della concessione nel 2003.
Neppure la deliberazione della giunta comunale di (omissis) n. 235 del 30 settembre 2008 (contenente gli indirizzi per la creazione di un parco ambientale nelle aree interessate) avrebbe potuto integrare un “fatto nuovo” ai fini revocatori, difettando il requisito dell’attualità e della pronta realizzabilità dell’opera.
Il Comune di (omissis) si costituiva in giudizio con il deposito di nota formale.
Con ordinanza 8 giugno 2011, n. 507, il giudice adito respingeva l’istanza cautelare in ragione: a) della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 7140 del 10 novembre 2003; b) della sopravvenuta approvazione della V.P.R.G. per le aree non urbane della penisola del Cavallino (cfr. l’art. 25 delle
N.T.A.); c) dell’esistenza di legittime giustificazioni per l’esercizio del potere di revoca, considerati gli interessi ambientali rappresentati.
Con motivi aggiunti depositati il 24 marzo 2014 la Cooperativa Az. tornava ad impugnare gli atti già gravati con il ricorso originario, in aggiunta impugnando il provvedimento del Comune di (omissis) prot. n. 30676 del 20 dicembre 2013, recante ordine di sgombero e riconsegna in pristino stato dell’area demaniale di cui alla revocata concessione n. 15/2003.
A supporto dei motivi aggiunti, con cui chiedeva l’annullamento degli atti impugnati (in specie, dell’ordinanza di sgombero), la ricorrente deduceva le seguenti censure:
violazione di legge, sub specie di violazione dell’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009, conv. con l. n. 25/2010, nonché dell’art. 5 della l.r. n. 13/2010, sotto altro profilo carenza di potere, violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, eccesso di potere per insufficienza ed incongruità della motivazione, illogicità manifesta, contraddittorietà di atti, carente, falsa ed erronea valutazione dei presupposti.
Ciò in quanto la motivazione della revoca della concessione si sarebbe basata sul divieto, ex art. 48, terzo comma, lett. d), delle norme tecniche di attuazione del p.r.g., di aprire campeggi mobili nelle zone di cui al primo comma dello stesso art. 48 (e cioè nelle zone con accresciuto grado di tutela), laddove invece il vigente testo dell’art. 48 cit., come risultante dalle deliberazioni della Giunta regionale del Veneto n. 1836 del 23 giugno 2000 e n. 4317 del 22 dicembre 2000, non avrebbe in realtà contemplato tale divieto, né le richiamate deliberazioni regionali sarebbero mai state modificate.
La stessa deliberazione comunale n. 11 del 4 febbraio 2010, recante recepimento dell’approvazione regionale della variante parziale al P.R.G., avrebbe espressamente richiamato la deliberazione regionale n. 1836 del 2000 (che avrebbe eliminato il divieto di campeggio mobile ex art. 48 delle n. t.a.).
La revoca della concessione sarebbe pertanto illegittima, poiché il rinvio alla deliberazione regionale n. 1836 cit., contenuto nella deliberazione comunale n. 11 del 2010 cit., si sarebbe posto in contraddizione con l’assunto della reviviscenza del divieto di campeggio mobile.
Carenza di potere e di legittimazione attiva, eccesso di potere per insufficienza ed incongruità della motivazione, illogicità manifesta, contraddittorietà di atti, carente, falsa ed erronea valutazione dei presupposti.
Il Comune svolgerebbe funzioni amministrative sui beni demaniali (quale ente subdelegato) solo fino a quando detti beni assolvano a finalità turistico-ricreative e, cioè, fino a quando sui beni in esame possano esercitarsi campeggi mobili (che sono attività turistiche), mentre non avrebbe alcun potere sui beni demaniali (quindi, nemmeno il potere di revoca), ove le succitate attività turistiche non potessero essere svolte, la mera tutela dominicale del demanio spettando al suo proprietario (ossia allo Stato).
Illegittimità della revoca della concessione, nonché di ogni atto ad essa conseguente, ivi compresa l’ordinanza di sgombero.
Il Comune di (omissis) non sarebbe infatti titolare dei beni demaniali per cui è causa (appartenenti al demanio militare) e non potrebbe neppure pretenderne la gestione, ove gli stessi cessino di essere destinati ad attività turistico-ricreative. Pertanto, la riconsegna delle aree oggetto di concessione potrebbe essere fatta solo in favore del Ministero della Difesa e non del Comune, che non avrebbe titolo giuridico per aggredire tali aree.
Illegittimità del prodromico provvedimento di revoca della concessione, già impugnato con l’atto introduttivo del giudizio.
I provvedimenti del Comune intimato, ove miranti a reintrodurre nell’art. 48 delle N.T.A. il divieto di campeggio mobile, contrasterebbero altresì con la l.r. n. 33 del 2002, che ha espressamente escluso il campeggio mobile dal novero delle attività turistico-ricreative, di talché lo stesso sarebbe divenuto attività libera. Contrasterebbero inoltre con i verosimili intendimenti del Comune – come confermati da una cartografia allegata al P.A.T. del Comune stesso – in cui sulla porzione di area in uso alla ricorrente sarebbe stato indicato l’ingresso del “Camping Me.”, ossia di una struttura ricettiva all’aperto.
Violazione della l. n. 241/1990 e del procedimento, difetto di motivazione, travisamento ed erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto dell’ordinanza di sgombero e riconsegna dell’area.
Sulla domanda di sospensione del procedimento di sgombero, presentata dalla ricorrente, si sarebbe formato il silenzio assenso ex art. 20 della l. n. 241 del 1990. Inoltre, l’ordine di sgombero non sarebbe assistito da ragioni urgenti d’interesse pubblico idonee a giustificarlo, né il Comune sarebbe competente alla sua adozione, non avendo funzioni di tutela dominicale del demanio.
Con successiva memoria il Comune resistente eccepiva l’infondatezza del ricorso, nonché l’irricevibilità per tardività e, comunque, l’infondatezza dei motivi aggiunti.
Con sentenza 20 ottobre 2016, n. 1159, il Tribunale amministrativo del Veneto respingeva il ricorso introduttivo e dichiarava in parte irricevibile, in parte respinto quello per motivi aggiunti.
Avverso tale decisione la Cooperativa Az. interponeva appello, articolato nei seguenti motivi di gravame:
Erroneità, contraddittorietà e illogicità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato la tardività del deposito della deliberazione del Consiglio Comunale di (omissis) n. 13 (prot. 6436) del 9 aprile 2001. Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione e/o errata applicazione del principio jura novit curia. Errata applicazione dell’art. 54 co. 1 cpa. Ingiustizia manifesta. Travisamento dei fatti e dei presupposti;
Erroneità e/o illogicità della sentenza impugnata per aver respinto il 1^ motivo del ricorso principale in relazione all’applicabilità della normativa sulla proroga legale ed alla non revocabilità del titolo concessorio. Travisamento dei fatti. Mancato esame documentale. Violazione dei principi di correttezza e buona fede della p.a. nonché del legittimo affidamento del privato. Violazione e/o falsa applicazione dei principi e delle regole dettate dalla 241/1990 e s.m.i.; del principio di certezza del tempo dell’agire amministrativo. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale;
Erroneità della sentenza impugnata per aver respinto il 2^ motivo di ricorso principale in relazione all’avvenuta formazione del silenzio-assenso (art. 20, l. 241/990 s.m.i.). Travisamento dei fatti. Mancato esame documentale. Violazione dei principi di correttezza e buona fede della p.a. nonché del legittimo affidamento del privato. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale;
Erroneità e/o illogicità della sentenza impugnata per aver respinto il 3^ motivo del ricorso principale. Travisamento dei fatti. Mancato esame documentale. Violazione del principio di buona fede e correttezza dell’agire della pa e violazione del principio nazionale e comunitario del legittimo affidamento. Disparità di trattamento. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale;
Erroneità e illogicità della sentenza impugnata per aver dichiarato i motivi aggiunti in parte irricevibili per tardività ed in parte infondati. Difetto di istruttoria. Travisamento. Omessa pronuncia. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale;
Erroneità della sentenza impugnata in ordine alla condanna alle spese di giudizio. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale;
Costituitosi in giudizio, il Comune di (omissis) eccepiva l’infondatezza dell’appello, chiedendone conseguentemente il rigetto.
Successivamente le parti ulteriormente illustravano, con apposite memorie, le proprie tesi difensive, ed all’udienza dell’8 marzo 2018, dopo la rituale discussione, la causa passava in decisione.
DIRITTO
Ad un complessivo esame delle risultanze di causa, il Collegio ritiene di dover innanzitutto esaminare il motivo di appello relativo al merito della controversia ed avente per tale carattere assorbente rispetto alle preliminari questioni proposte dall’appellante, aventi per lo più carattere introduttivo e generale.
La cooperativa appellante deduce, in particolare, la violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esercizio dell’attività amministrativa, in quanto il provvedimento di revoca impugnato sarebbe in contraddizione con il comportamento precedente tenuto dall’amministrazione, idoneo ad ingenerare un legittimo affidamento nella sussistenza delle condizioni per il successivo rinnovo del titolo concessorio.
La sentenza, in particolare, aveva individuato nella deliberazione della Giunta comunale di (omissis) del 30 settembre 2008, recante gli indirizzi per la realizzazione di un parco ambientale sulle aree oggetto di concessione, un “fatto nuovo” per giustificare l’esercizio dei poteri di autotutela, in quanto “denotante, per di più, il sopravvenire di nuove ragioni di interesse pubblico”; la decisione aveva respinto l’assunto della ricorrente per la quale la deliberazione comunale non recava intendimenti attuali e facilmente realizzabili, non apparendo strettamente necessaria la realizzazione di opere pubbliche ai fini dell’istituzione del parco, che avrebbero anche potuto essere “demandate ad una seconda fase”.
Il ricorso, ritiene il Collegio, è fondato.
Occorre muovere dalla considerazione della posizione giuridica della Cooperativa Az. qui appellante. L’interesse legittimo per il quale essa agisce è quello che fa fronte all’impugnato provvedimento comunale n. 4835 del 1° marzo 2011 di revoca della concessione demaniale marittima ed è in riferimento all’inerente rapporto che essa intende tutelare il bene della vita consistente nella disponibilità a titolo concessorio dell’area.
La Cooperativa Az. contesta al Comune, in sintesi, una sostanziale contraddittorietà e ambiguità. Il Comune,, nonostante l’adozione del detto diniego di rinnovo n. 35463 del 31 dicembre 2008, non lo portava poi ad effetti perché comunque le consentiva lo svolgimento sul bene pubblico dell’attività di camping mobile sino a tutto il 2010, così protraendo tacitamente il rapporto concessorio; tanto che l’atto successivo (qui impugnato) è un atto (non di intimazione al rilascio di un bene detenuto sine titulo, come avrebbe dovuto essere se il rapporto concessorio non fosse più stato in essere, ma) di revoca, il quale per sua natura postula come oggetto un rapporto giuridico in atto: vale a dire un rapporto di concessione evidentemente dal Comune stesso stimato in atto al 2010, quando fu comunicato l’avvio del procedimento di revoca, e soprattutto alla data della revoca 1° marzo 2011 (il provvedimento di revoca, inoltre, è sopraggiunto senza che fosse stato predisposto un piano progettuale di realizzazione).
Con ciò converge che, seppure mediante silenzio-assenso ex art. 4 l.r. 13 aprile 1995, n. 21, lo stesso Comune da lungo aveva autorizzato l’interessata all’esercizio, sulla medesima area, di un campeggio e che detta attività mai era poi stata in concreto espressamente vietata, per quanto se ne asserisse la sopravvenuta incompatibilità con la variante di p.r.g. approvata nel 2009. Circostanza che denota che per il Comune stesso il rapporto concessorio permaneva in essere malgrado la detta variante.
Non poteva, del resto, autorizzarsi o considerare ancora autorizzato un campeggio sull’area se non a favore di un soggetto che legittimamente la detenesse: trattandosi di bene del demanio marittimo, questa detenzione altro non poteva consistere che nell’attualità, al 2010, di un rapporto concessorio.
Ne segue che, per apparenza e affidamento, la cooperativa qui appellante si poneva come un soggetto che, per fatti concludenti e oggettivi del Comune, ragionevolmente poggiava, nel 2010 e 2011, sull’attualità di un rapporto concessorio, malgrado il pregresso mancato rinnovo del 2008, evidentemente poi disatteso e superato da siffatto comportamento.
Posto dunque che il Comune per fatto proprio si trovava, nel 2011, ancora di fronte a un concessionario e non a un soggetto ormai privo di titolo a utilizzare il bene, occorre passare a verificare se sussistessero i presupposti per la revoca della concessione.
Ritiene anzitutto il Collegio di confermare i presupposti generali per l’esercizio del potere di revoca, da ultimo richiamati – pur in tema di aggiudicazione di contratti pubblici – nei precedenti di Cons. Stato, V, 19 maggio 2016, n. 2095 e III, 29 novembre 2016, n. 5026 – che di seguito brevemente si riportano.
In via generale, la revoca disciplinata dall’art. 21-quinquies l. n. 241 del 1990, è strumento dell’autotutela decisoria preordinato alla rimozione, con efficacia ex nunc (e, quindi, non retroattiva), di un atto ad efficacia durevole, in esito a una nuova (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico alla conservazione della sua efficacia.
I presupposti del valido esercizio del ius poenitendi sono quelli del detto art. 21-quinquies (come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. b-ter), d.-l. n. 133 del 2014) dalle ampie formule lessicali e consistono: 1) nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico; 2) nel mutamento della situazione di fatto (imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento) e 3) in una rinnovata (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico originario (tranne che per i provvedimenti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici).
Ancorché la modifica del 2014 abbia accresciuto la tutela del privato da un indebito esercizio del potere (come con l’esclusione dei titoli abilitativi o attributivi di vantaggi economici dal cata degli atti revocabili per rinnovata valutazione dell’interesse pubblico originario), il potere di revoca resta discrezionale (ex multis, Cons. Stato, III, 6 maggio 2014, n. 2311); a differenza del potere di annullamento d’ufficio, che postula l’illegittimità dell’atto rimosso, la revoca esige una valutazione di opportunità, seppur ancorata alle condizioni legittimanti dell’art. 21-quinquies; sicché il valido suo esercizio resta comunque discrezionale.
La configurazione normativa di questo potere si presta alla critica in punto di legittimità se omette un’adeguata considerazione e protezione delle esigenze nascenti dal giustificato affidamento (“principio fondamentale” dell’Unione europea per la Corte di giustizia UE) ingenerato dalla condotta dell’Amministrazione nel privato che può essere leso dalla revoca, avendo anche riguardo all’interesse alla sicurezza e stabilità dei rapporti giuridici.
Nel caso specie si verte in tema di concessione di beni del demanio marittimo, la quale per sua natura si giustifica in quanto mezzo per un migliore e più efficiente perseguimento dell’interesse pubblico immanente alla natura dell’area concessa (cfr. art. 37 Cod. nav.; Cons. Stato, VI, 19 aprile 1995, n. 352) e ha ad oggetto – evidenzia la dottrina – più che il bene, la sua particolare utilizzazione (Cons. Stato, V, 6 novembre 2017, n. 2053).
Più nello specifico, l’atto di concessione demaniale marittima affida la res a soggetti particolari (c.d. uso particolare) ma non per loro uso esclusivo bensì ai fini di un uso stimato convergente con l’interesse pubblico e a questi scopi il concessionario realizza investimenti e sostiene costi in vista di un’utilizzazione prefigurata per un tempo nel quale egli può ammortizzare e portare a utilità economica i costi medesimi. Un successivo provvedimento di revoca, che interrompe questa utilizzazione e viene ad alterare il programma economico del concessionario, va perciò sorretto – per elementari ragioni di sicurezza giuridica – da una congrua, sopravvenuta e manifestata ragione. A fronte di una tale cessazione unilaterale anticipata, che non poggia su inadempimenti del concessionario, la situazione di quest’ultimo merita dunque particolare apprezzamento perché gli investimenti compiuti fidando nella durata del rapporto giovano non solo al mero suo utile, ma anche alla realizzazione dell’interesse pubblico dall’Amministrazione stimato meritevole all’atto della concessione per l’obiettivo di interesse generale di assicurare al pubblico la buona fruizione del bene.
Alla luce di tali premesse, ritiene il Collegio che il motivo di appello sia fondato.
La contestata revoca faceva perno sui seguenti presupposti: 1) la notizia di reato n. 19 del 2008 elevata dall’Ufficio circondariale marittimo di (omissis) a carico del legale rappresentante della cooperativa appellante per esecuzione, posizionamento e mantenimento di impianti tecnologici e nuove opere in area demaniale marittima in violazione dell’art. 54 Cod. nav.; 2) la volontà dell’amministrazione comunale, espressa dalla delibera di Giunta comunale n. 235 del 30 settembre 2008, di realizzare sull’area un parco ambientale, in conformità alle previsioni urbanistiche di zona; 3) la destinazione urbanistica dell’area all’interno delle “sopravvivenze di elevato valore ambientale”; 4) il divieto di aprire nell’area campeggi mobili a qualsiasi titolo ai sensi dell’art. 48, comma 3, lett. d) delle norme tecniche di attuazione (n. t.a.) del p.r.g., introdotto dalla variante del 2004 approvata con d.G.R. n. 4002 del 22 dicembre 2009.
Con delibera di Consiglio comunale n. 58 del 21 ottobre 2004 era stata adottata una variante parziale al p.r.g. per le aree non urbane della penisola di (omissis), in cui – recuperando quanto a suo tempo già disposto con la variante al p.r.g. del 1995 – l’area di cui si discute veniva qualificata come “ambito di riformazione dell’ambiente boschivo litoraneo” e come area a “sopravvivenza di elevato livello”, normate rispettivamente dagli artt. 25 e 48 delle (nuove) n. t.a., che prevedevano il divieto di apertura in detta area di campeggi mobili a qualsiasi titolo e dunque (come assume poi il Comune) l’impossibilità del mantenimento di quelli esistenti.
Viste le eccezioni di parziale inammissibilità del motivo dedotte dal Comune, per il quale alcuni argomenti dedotti in appello non sarebbero stati sollevati nel primo grado di giudizio, con conseguente violazione delle preclusioni dell’art. 104 Cod. proc. amm., occorre limitare l’esame alle censure formulate in primo grado (e poi riproposte), per le quali l’eccezione non opera.
Con esse la Cooperativa Az. eccepiva che, contro quanto ritenuto dall’amministrazione, “il dato temporale è fattore intimamente collegato al consolidamento di posizioni di affidamento in capo al soggetto controinteressato”, poiché il decorso del tempo rafforza la convinzione del destinatario che quell’atto continuerà a produrre effetti: la ricorrente aveva la concessione da oltre trenta anni e vi aveva investito ingenti capitali, per assicurarne la cura ed il pregio paesaggistico.
Nel corso degli anni, il Comune aveva costantemente assentito le autorizzazioni al campeggio mediante silenzio-assenso, ai sensi dell’art. 4 l.r. 13 aprile 1995, n. 21 (“il Sindaco, acquisito il parere del settore igiene pubblica dell’Unità locale socio sanitaria competente, rilascia l’autorizzazione entro quarantacinque giorni dalla presentazione della domanda, trascorsi i quali, in caso di silenzio, la stessa si intende accolta”), circostanza di cui darebbe atto la stessa revoca.
Come sopra qui ricordato, risponde a legge e giurisprudenza che la revoca, per essere legittima, va fondata su ragioni di opportunità concrete e attuali. Queste ragioni debbono essere sopravvenute e vanno comparate all’affidamento sulla durata nel tempo del rapporto, sulla cui base il concessionario ha intanto effettuato a sue spese gli investimenti finalizzati alla miglior fruizione pubblica dei servizi inerenti il bene demaniale.
Non è esatto che – come assume la ricorrente – queste ragioni di opportunità “per loro natura, si affievoliscono con il decorso del tempo e, dunque, con il consolidamento dell’assetto degli interessi regolati dall’atto revocando”: ma è esatto che il sopravvenire delle ragioni di revoca vada comparato e bilanciato con siffatti investimenti, di loro convergenti con l’interesse pubblico. Afferma del resto la giurisprudenza che la revoca di una concessione di bene demaniale va congruamente motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico che risulti prevalente nella comparazione con l’affidamento del privato fondato su decenni di utilizzo dell’area e su di un recente di rinnovo della concessione (Cons. Stato, VI, 11 maggio 1998, n. 692).
Perciò, considerato che l’utilizzo dell’area appariva per quanto detto assentito dal Comune ancora nel 2010, e malgrado nel 2009 fosse stata approvata la variante urbanistica si cui sopra, a tutto concedere la revoca avrebbe dovuto indicare i mutamenti ulteriori poi intervenuti nella situazione di e tali da, – nella descritta comparazione – risultare effettivamente prevalenti.
La revoca prot. n. 4835 del 1° marzo 2011, invece, fa testuale riferimento solo a circostanze già sopravvenute al momento in cui nelle forme dette era stato autorizzato il campeggio nel 2010, tenendone evidentemente conto nella relativa istruttoria: ed aveva così implicitamente dato corso al rinnovo della concvessione.
Ciò vale sia per la deliberazione di Giunta comunale n. 235 del 30 settembre 2008, sia per la successiva comunicazione di avvio del procedimento di non rinnovo della concessione (nota n. 35463 del 31 dicembre 2008), sia per la (conseguente e meramente applicativa delle forme) notizia di reato n. 19 del 2008 verso il presidente della Cooperativa Az., e per la d.G.R. n. 4002 del 22 dicembre 2009, che ha reso esecutiva la variante parziale alla v.p.r.g. per le aree non urbane della penisola del Cavallino, della quale il Comune prendeva atto con delibera consiliare n. 1 del 4 febbraio 2010.
In sintesi, a seguito del concludente comportamento comunale ancora nel 2010 favorevole all’utilizzo dell’area per campeggio mobile, si era radicato non solo un percepito e praticato rinnovo del rapporto concessorio, il quale poteva venir meno per revoca solo per fatti sopravvenuti al rinnovo stesso. E, si era costituito un corrispondente affidamento dell’interessata sulla posizione del Comune. Perciò la revoca non dà adeguato conto in motivazione dei fatti sopravvenuti che, per il loro peso pubblico, giustifichino il sacrificio dell’affidata posizione dell’appellante.
Invero, l’amministrazione comunale, concedente un bene del demanio marittimo ai sensi dell’art. 37 Cod. nav., ove non intenda corrispondere favorevolmente a un’istanza di rinnovo della concessione presentata dal concessionario in scadenza, ha l’onere di mantenere un comportamento amministrativo complessivo coerente, non contraddittorio e lineare con tale obiettivo anche riguardo a ogni altro suo procedimento amministrativo riguardante la medesima area. Diversamente, e qualora altri suoi sopravvenuti provvedimenti o comportamenti implichino la detenzione del bene da parte dell’interessato, il suo comportamento complessivo può – come è avvenuto nella specie – manifestare implicitamente la volontà di accogliere l’istanza di rinnovo. In un tale caso, la successiva revoca espressa della concessione demaniale deve essere basata solo su fatti ulteriormente sopravvenuti e tali per la loro assoluta prevalenza da giustificare il sacrificio economico che ne andrebbe a subire il reiterato e affidato concessionario.
Rileva il Collegio che, attenendo il vagliato motivo di appello al merito della controversia, il suo accoglimento assorba le ulteriori censure dedotte dall’appellante perché superflue.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, per l’effetto accogliendo – in riforma dell’impugnata sentenza – il ricorso introduttivo proposto dalla Cooperativa Az.
Liquida in favore di quest’ultima le spese di lite del presente grado di giudizio, pari ad euro 1.500,00 (millecinquecento/00) complessivi, oltre oneri di legge, che pone a carico del Comune di (omissis).
Compensa tra le parti le spese di lite del precedente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Claudio Contessa – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Federico Di Matteo – Consigliere

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