Le circostanze da cui consegue la decadenza del consigliere comunale vanno interpretate restrittivamente e con estremo rigore, data la limitazione che essa comporta all’esercizio di un munus publicum, considerando dunque che gli aspetti garantistici della procedura devono essere valutati attentamente, anche al fine di evitare un uso distorto dell’istituto come strumento di discriminazione delle minoranze.
Consiglio di Stato
Sezione quinta
Sentenza 22 settembre 2017, n. 4433
Data udienza 24 novembre 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5005 del 2007, proposto da:
Ca. Ez. e altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Al. Pe., Da. Ma. Mo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Al. Pe. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ba., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Sa. in Roma, viale (…);
nei confronti di
In. Os. e altri, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – SEZ. STACCATA DI BRESCIA n. 00383/2006, resa tra le parti, concernente risarcimento danni per decadenza dalla carica di consiglieri comunali.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 novembre 2016 il Cons. Stefano Fantini e uditi per le parti gli avvocati Pe. e Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- I signori Ca. e altri hanno interposto appello avverso la sentenza 10 aprile 2006, n. 383 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. staccata di Brescia, con la quale è stato accolto in parte il ricorso (nei limiti dell’azione impugnatoria, e non anche della domanda di risarcimento) dagli stessi esperito avverso la delibera del Consiglio comunale di (omissis) n. 11 del 15 maggio 2003.
Tale delibera ha dichiarato la decadenza degli appellanti dalla carica di consigliere comunale ai sensi dell’art. 12, comma 5, dello statuto comunale, in quanto non intervenuti, in modo asseritamente non giustificato, alle sedute consiliari dal marzo 2001.
Con il ricorso in primo grado sono state dedotte censure di violazione di legge ed eccesso di potere, attinenti sia a vizi formali, che sostanziali, per non avere considerato il provvedimento di decadenza che l’assenza era il portato di un deliberato e preannunciato astensionismo dovuto a ragioni politiche.
- La sentenza qui appellata, come esposto, ha accolto l’azione impugnatoria, nella considerazione che “l’astensionismo deliberato e preannunciato, ancorchè superiore al periodo previsto ai fini della decadenza, deve [?] considerarsi uno strumento di lotta politico-amministrativa a disposizione delle forze di opposizione per far valere il proprio dissenso a fronte di atteggiamenti ritenuti non partecipativi, dialettici e democratici delle forze di maggioranza”, mentre ha disatteso la domanda di risarcimento del danno (svolta nell’assunto della impossibilità di svolgere attività amministrativa e di partecipare ad alcune decisioni consiliari, oltre che a titolo di danno all’immagine).
- L’appello principale, indirizzato avverso le statuizioni di rigetto della domanda di risarcimento del danno e di compensazione delle spese del giudizio di primo grado, deduce il difetto di motivazione per quanto riguarda la decisione sulle spese, lamentando essenzialmente il danno patito dagli appellanti per effetto del provvedimento di decadenza del 15 maggio 2003 che ha protratto i propri effetti sino al 24 luglio 2003, data di adozione del provvedimento cautelare, sotto il profilo di danno all’immagine (per il loro contestato assenteismo) e della preclusione a partecipare all’attività deliberativa in materie particolarmente importanti, pregiudizio equitativamente stimabile in euro 45.000,00 per ciascuno degli appellanti.
- Si è costituito in resistenza il Comune di (omissis), svolgendo altresì appello incidentale avverso la statuizione della sentenza che ha ritenuto illegittimo il provvedimento di decadenza, in quanto i consiglieri Ca. e altri avevano giustificato la loro mancata partecipazione a diciotto sedute consiliari. Deduce l’Amministrazione comunale che, al contrario, l’organo consiliare deve essere nel plenum della sua composizione, tollerandosi solo limitate e giustificate assenze.
- All’udienza pubblica del 24 novembre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- Principiando dalla disamina dell’appello incidentale, concernente il capo della sentenza con cui è stata dichiarata l’illegittimità della delibera di decadenza dei consiglieri appellanti principali, e dunque con carattere preliminare od assorbente, va rilevato che lo stesso, ad avviso del Collegio, è infondato, e deve pertanto essere disatteso.
In particolare, deduce il Comune di (omissis) la violazione degli artt. 12, comma 5, dello statuto comunale e 43, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000, censurando la sentenza dei prime cure laddove ha ritenuto giustificato, come strumento di lotta politica, l’astensionismo deliberato e preannunciato, ancorchè superiore al periodo di maturazione della decadenza, in quanto la carica di consigliere comunale non atttribuisce uno status, ma una funzione, che deve essere svolta attraverso l’esercizio del diritto di voto, sia pure di dissenso.
L’assunto non è condivisibile, in quanto la decadenza, intesa quale misura sanzionatoria, non può riguardare il deliberato astensionismo di un consigliere comunale che viene esercitato in un contesto di dialettica politica tra maggioranza ed opposizione di documentata conflittualità, come si evince anche dalla relazione del Ministero dell’Interno in data 17 luglio 2003 (acuita dal fatto che nel giugno 2002 è stato modificato il regolamento consiliare, con l’introduzione di una disposizione relativa alla decadenza dalla carica di consigliere al verificarsi di almeno tre assenze).
L’art. 43, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 dispone che “lo statuto stabilisce i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative”, rimettendo dunque all’autonomia riconosciuta all’ente locale di disciplinare le ipotesi di decadenza, ma anche garantendo la possibilità del consigliere comunale di esprimere le proprie giustificazioni.
La Sezione ha recentemente ribadito il proprio indirizzo secondo cui le circostanze da cui consegue la decadenza del consigliere comunale vanno interpretate restrittivamente e con estremo rigore, data la limitazione che essa comporta all’esercizio di un munus publicum, considerando dunque che gli aspetti garantistici della procedura devono essere valutati attentamente, anche al fine di evitare un uso distorto dell’istituto come strumento di discriminazione delle minoranze (Cons. Stato, V, 20 febbraio 2017, n. 743).
Ne consegue che le assenze danno luogo a decadenza dalla carica qualora la giustificazione addotta dall’interessato sia relegata alla sfera mentale soggettiva di colui che la adduce, sì da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza dei motivi (Cons. Stato, V, 29 novembre 2004, n. 7761), ovvero, più in generale, quando dimostrano con ragionevole evidenza un atteggiamento di disinteresse per motivi futili od inadeguati rispetto agli impegni con l’incarico pubblico elettivo (Cons. Stato, V, 9 ottobre 2007, n. 5277).
Nel caso di specie l’astensionismo degli appellanti principali, ancorchè superiore al periodo previsto, risulta deliberato e preannunciato, in conformità ad una decisione assunta dai gruppi consiliari di appartenenza ed adeguatamente motivata in relazione ad un asserito atteggiamento della maggioranza che li ha esclusi dalle scelte amministrative più significative, come è dato desumere dalla seduta consiliare del 15 maggio 2003, conclusasi con la pronunzia di decadenza.
Per tali ragioni merita conferma la sentenza appellata nella parte in cui ha accolto l’azione impugnatoria.
- Procedendo ora alla disamina dell’appello principale, il primo motivo concerne la statuizione di compensazione delle spese del primo grado di giudizio, motivata alla stregua della parziale reciproca soccombenza.
Allegano gli appellanti principali di essere risultati vittoriosi in primo grado con accoglimento dell’azione impugnatoria e conseguente annullamento del provvedimento di decadenza, ragione per cui la disposta compensazione violerebbe l’art. 92, comma 2, Cod. proc. civ.; a tutto concedere, il rigetto della domanda risarcitoria avrebbe giustificato una compensazione parziale.
Il motivo è infondato, in quanto proprio l’invocato art. 92, comma 2, Cod. proc. civ. contempla come ipotesi di compensazione, tra l’altro, la soccombenza reciproca; né può ritenersi che la domanda di risarcimento sia meramente accessoria rispetto alla domanda di annullamento.
In ogni caso, va rilevato che in tema di spese processuali è rimessa alla decisione del giudice la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto od in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri motivi.
- Il secondo motivo dell’appello principale è rivolto alla statuizione di rigetto della domanda di risarcimento del danno (sub specie di danno all’immagine, per l’accusa di assenteismo, di danno per non avere potuto vigilare ed intervenire nell’attività consiliare, caratterizzata in quell’epoca da importanti iniziative, non condivise dagli appellanti, nonché di danno per la perdita di voti delle liste di appartenenza in occasione delle elezioni del 2004), asseritamente connesso alla disposta decadenza dalla carica di consigliere comunale, che è stata efficace dal 15 maggio 2003 al successivo 24 luglio.
Il motivo è infondato.
Quanto al danno all’immagine, nel cui ambito andrebbe ricompreso, come conseguenza mediata, anche il decremento elettorale del movimento politico di appartenenza, osserva il Collegio che difetta la prova del nesso eziologico, come già ritenuto dal primo giudice. Più precisamente, il danno all’immagine non è un danno-evento, e cioè in re ipsa, ma deve essere oggetto di allegazione e di prova. Anzitutto, non può dubitarsi del fatto che il danno alla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati per effetto della decadenza subita è stato pienamente ristorato dalla pronuncia caducatoria, e già prima dalla sospensione cautelare del provvedimento. Peraltro, il danno all’immagine, per come prospettato, non inciderebbe sulla figura professionale degli appellanti, ma solo sulla loro dimensione politica, rispetto alla quale l’equazione astensionista-assenteista è negata non solo dall’accertamento contenuto nella sentenza, ma, ancora prima, dal dibattito pubblico, con risonanza anche nel sistema dei media.
Quanto al danno da mancata partecipazione a decisioni amministrative importanti, è evidente che gli appellanti non sono titolari del bene della vita che affermano pregiudicato. Il danno, ove configurabile, è dell’Amministrazione; gli appellanti, ove lo avessero ravvisato, avrebbero potuto attivare i sistemi di controllo giurisdizionale che l’ordinamento appresta.
- In conclusione, alla stregua di quanto esposto, devono essere respinti sia l’appello incidentale, che quello principale.
La soccombenza reciproca giustifica la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello incidentale e quello principale.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Sandro Aureli – Consigliere
Claudio Contessa – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere, Estensore
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