L’errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., deve essere caratterizzato : a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso, ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) dall’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa; l’errore deve inoltre apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.
Decisione 2 novembre 2017, n. 5078
Data udienza 12 ottobre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso numero di registro generale 7803 del 2016, proposto da:
En. So. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Sc. e Fl. Ia., con domicilio eletto presso lo studio Gr. Studio Legale in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. V n. 02529/2016, resa tra le parti, concernente la risoluzione della convenzione di affidamento del servizio di illuminazione pubblica nel Comune di (omissis);
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2017 il Cons. Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati Ia. e Ra.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
En. So. s.r.l. propone ricorso per revocazione della sentenza di questo Consiglio di Stato, V, 13 giugno 2016, n. 2529 che ha rigettato l’appello proposto dalla medesima società avverso la sentenza del Tribunale amministrativo della Lombardia, I, 13 marzo 2015, n. 700.
Con gli atti impugnati in primo grado il Comune di (omissis) aveva disposto la risoluzione ope legis, in virtù dell’art. 34, comma 21, d.-l. 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, della convenzione stipulata con En. So. nel 2007 dalla durata di quindici anni per la gestione del servizio di pubblica illuminazione. Infatti, la delibera del Consiglio comunale e l’allegata relazione ai sensi dell’art. 34, comma 20, d.-l. n. 170 del 2012, davano atto dell’impossibilità di adeguare la convenzione alla normativa eurounitaria, vista anche la proprietà in capo ad En. So. della maggior parte degli impianti siti nel territorio comunale. La convenzione prevedeva l’affidamento diretto del servizio pubblico locale a En. So. in base all’allora vigente art. 113, comma 14, d.lgs. n. 267 del 2000 (Testo unico degli enti locali – TUEL), poi abrogati dal d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168. Tale modalità di affidamento, a seguito delle modifiche recate dal d.-l. n. 179 del 2012, era infatti ormai non più compatibile con la normativa e i principi generali di matrice comunitaria, per i quali le ipotesi di affidamento diretto sono eccezionali e tassative.
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