Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 28 febbraio 2018, n. 1229. Alle luce dell’art. 6 della direttiva 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE riguardante la “cessazione della qualifica di rifiuto”

Alle luce dell’art. 6 della direttiva 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE riguardante la “cessazione della qualifica di rifiuto” che: a) la disciplina della cessazione della qualifica di “rifiuto” è riservata alla normativa comunitaria; b) quest’ultima ha previsto che sia comunque possibile per gli Stati membri valutare altri casi di possibile cessazione; c) tale prerogativa tuttavia compete allo Stato e precisamente al Ministero dell’Ambiente, che deve provvedere con propri regolamenti.

Sentenza 28 febbraio 2018, n. 1229
Data udienza 21 settembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1976 del 2017, proposto da:
Regione del Veneto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma., ed altri, con domicilio eletto presso lo studio An. Ma. in Roma, via (…);
contro
Co. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Lo. La., Fr. Fo., con domicilio eletto presso lo studio An. Fa. in Roma, via (…), 108;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. VENETO – SEZ. III n. 01422/2016, resa tra le parti, concernente INQUINAMENTO: AUTORIZZAZIONE IMPIANTO PER IL TRATTAMENTO ED IL RECUPERO DI RIFIUTI URBANI E ASSIMILABILI
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Co. S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 settembre 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati P. Ca. su delega di A. Ma., F. Fo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Con l’appello in esame, la Regione Veneto impugna la sentenza 28 dicembre 2016 n. 1422, con la quale il TAR per il Veneto, sez. III, in accoglimento del ricorso proposto dalla società Co. s.p.a., ha annullato la deliberazione della Giunta Regionale del Veneto 16 agosto 2016 n. 1319.
Con tale atto la Giunta Regionale, recependo il parere reso dalla Commissione tecnica regionale, sez. ambiente, aveva respinto la richiesta di qualificare le attività svolte in impianto come attività di recupero “R3”, finalizzate alla produzione di materie prime secondarie (MPS), e le ha invece classificate come “R13: messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12” e “R12: scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R! a R11”.
Tale decisione riguarda l’attività della società Co., che era già stata autorizzata ad una attività sperimentale per il trattamento ed il recupero di rifiuti urbani e assimilabili, costituiti da pannolini, pannoloni ed assorbenti igienici, per un periodo di due anni.
In sede di autorizzazione, le due frazioni recuperate dal processo di sanificazione dei pannolini (1.frazione composta di cellulosa in fiocchi; 2.frazione composta di plastica in foglia) sono state in origine classificate come rifiuti con codice CER.
La società ha quindi presentato domanda di modifica dell’autorizzazione al fine di ottenere la classificazione delle frazioni riciclabili, recuperate attraverso il processo di trattamento, come materie prime secondarie.
La Commissione tecnica, in sede di parere – con particolare riferimento alla richiesta di classificare le operazioni di recupero oggetto di sperimentazione “R3” con conseguente cessazione della qualifica di “rifiuto” – ha rilevato che l’art. 184-ter d.lgs. n. 152/2006 “non contempla la discrezionalità per le Autorità competenti al rilascio dell’autorizzazione, riguardo la definizione di criteri specifici per la cessazione della qualifica di rifiuto, ad oggi disciplinati solo da precisi regolamenti comunitari e da decreti del Ministero dell’Ambiente”.
Tale parere è stato recepito dalla impugnata deliberazione della Giunta Regionale, la quale ha autorizzato la società ad effettuare le modifiche all’impianto sperimentale e ad esercitate l’attività nel rispetto delle prescrizioni contenute nel parere, ma senza modificare la classificazione delle operazioni di recupero consentite all’impianto, e cioè da R12 e R13 a R3.
1.1.La sentenza impugnata afferma, in particolare:
– “la mancanza di regolamenti comunitari o di decreti ministeriali relativi alle procedure di recupero di determinati rifiuti, lungi dal precludere sic et simpliciter il potere dell’Autorità competente di valutare comunque, caso per caso, l’eventuale rilascio (nel rispetto delle quattro condizioni previste dall’art. 184-ter, co. 1, d.lgs. n. 152/2006) delle relative autorizzazioni, comporta al contrario il potere e il dovere appunto di procedere ad una analisi, ad una valutazione e ad una decisione casistica, rilasciando l’autorizzazione integrata ambientale qualora la sostanza che si ottiene dal trattamento e dal recupero del rifiuto soddisfi le quattro condizioni”;
– anche alla luce della circolare del Ministero dell’Ambiente 1 luglio 2016, “le Regioni possono definire criteri EoW, in sede di rilascio delle autorizzazioni di cui agli artt. 208, 209 e 211… sempre che, per la stessa tipologia di rifiuto, tali criteri non siano stati definiti con regolamento comunitario o con un decreto ministeriale, emanato ai sensi del co. 2 del citato art. 184-ter”;
– nel provvedimento della Giunta Regionale e nel parere “non viene affatto chiarito se, ed eventualmente in che termini, la disciplina contenuta nella suddetta decretazione consenta o meno di qualificare le attività svolte nell’impianto in oggetto come attività di recupero R3 per la produzione di materie prime secondarie”.
1.2.Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) erroneità e ingiustizia della sentenza appellata; violazione ed errata interpretazione art. 184-ter, co. 1 e 2, d.lgs. n. 152/2006; errata interpretazione della normativa di settore con conseguente errata individuazione della competenza in capo alle Regioni di definire criteri EoW, in sede di rilascio delle autorizzazioni; ciò in quanto, in base all’art. 6 della Direttiva n. 98/2008, in mancanza di provvedimenti comunitari, sono gli Stati membri a definire i criteri EoW, limitatamente al “caso per caso”, con la supervisione della Commissione Europea; ed in senso conforme dispone l’art. 184-ter, co. 2, cit., che prevede che quanto innanzi esposto avvenga “attraverso uno o più decreti del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare”;
b) erroneità della sentenza; violazione art. 117 Cost. e 196 del Testo Unico ambiente; poiché “nessuna norma attribuisce alle Regioni potestà legislativa in materia di EoW che, pertanto, rimane attratta nella competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117 Cost.”; peraltro, “in assenza di un provvedimento di armonizzazione di livello statale, deferendo alle Regioni la potestà decisionale sui criteri di EoW non verrebbe garantito in modo uniforme sul territorio nazionale lo stesso livello di tutela per l’ambiente e la salute umana”;
c) erroneità ed ingiustizia della sentenza per mancata valutazione dell’istruttoria espletata; poiché la sentenza non ha tenuto conto dell’attività svolta e della necessità di ulteriori informazioni da parte della ditta.
1.3.Si è costituita in giudizio Co. s.p.a., che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO

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