Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 10 maggio 2018, n. 2799.
L’ordine di demolizione è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive enon richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell’abuso. In sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore. In ragione della natura vincolata dell’ordine di demolizione, non è pertanto necessaria la preventiva comunicazione di avvio del procedimento né un’ampia motivazione.
Sentenza 10 maggio 2018, n. 2799
Data udienza 29 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1445 del 2008, proposto dalla Società I.V. s.r.l. (già Do. S.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. St., Ca. Mi. e An. St. ed elettivamente domiciliata presso il dott. Gi. Ma. Gr., in Roma, Lungotevere (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Do. Ia. ed elettivamente domiciliato presso il dott. Gi. Ma. Gr. in Roma, Lungotevere (…);
nei confronti
del Dirigente dell’Assetto del Territorio/Urbanistica del Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Toscana, Sezione III, n. 1653 del 6 agosto 2007, concernente la determinazione del Dirigente del Settore Assetto del Territorio del Comune di (omissis) n. 22 del 3 marzo 2006, nonché l’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione di opere abusive e di ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 marzo 2018 il Consigliere Giovanni Sabbato e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Gi. St. e Ga. Pa., su delega di Do. Ia.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto innanzi il T.a.r. per la Toscana, Sezione III, la società La Do. s.r.l. (già Do. Gr. s.r.l.) ha impugnato i seguenti atti:
a) la determinazione n. 22 del 3 marzo 2006, con la quale il Comune di (omissis) disponeva la conferma del precedente ordine di demolizione di opere abusive, prot. n. 39669/6924 del 3 ottobre 1996, realizzate presso lo stabilimento industriale per la lavorazione di marmi di proprietà della predetta società (consistenti in una “recinzione con muri di contenimento in cemento armato e nell’innalzamento della quota originaria del terreno con riempimento di materiale derivante dalla lavorazione di marmo e granito”), fondata sulla pretesa diversa ubicazione catastale delle opere rispettivamente oggetto di condono edilizio e della precedente demolizione revocata proprio sulla base della pendenza di domanda di sanatoria (n. 422 del 1995);
b) l’accertamento di inottemperanza – prot. n. 9848 del 2 marzo 2006 – relativo alle ordinanze di demolizione n. 37771 e n. 37773 del 21 ottobre 1997, aventi ad oggetto le opere abusive sul diverso mappale (omissis) (consistenti in riempimento e rialzamento del terreno con fanghi di risulta della lavorazione di materiali lapidei) non interessate dal parziale accoglimento delle domande di sanatoria, rispettivamente, prot. n. 423 e 422 del 1995.
2. Con l’impugnata sentenza – n. 1653 del 6 agosto 2007 – il T.a.r. per la Toscana, Sezione III: ha evidenziato quanto segue:
a) ha dichiarato infondate le censure articolate nei riguardi della determina n. 22 del 2006, per le seguenti ragioni:
– non può essere condivisa la censura relativa al difetto di avviso di avvio del procedimento, atteso che detto atto “è stato adottato dopo che la Società ricorrente ha fatto pervenire all’Amministrazione comunale di (omissis) un atto di diffida e una richiesta di applicazione di sanzione pecuniaria (inoltrata, quest’ultima, il 24 giugno 2003) in ordine agli abusi edilizi di che trattasi”;
– la concessa sanatoria, oggetto di parziale accoglimento, attiene ad opere che insistono su altra area, quella contrassegnata dalla particella (omissis), e non agli abusi che ricadono sui terreni contraddistinti dalle particelle (omissis);
– l’Amministrazione ha “avuto cura di evidenziare nella parte narrativa l’erroneità del proprio precedente comportamento) nonché la legittimità dell’iniziale provvedimento repressivo i cui effetti andavano ripristinati, a mezzo della determinazione per cui è causa”;
– “l’effetto acquisitivo per la mancata ottemperanza nei termini previsti dalla legge si era invero già determinato ove si consideri che la sospensione dell’efficacia della predetta ordinanza di demolizione è intervenuta (3/6/97) solo dopo che erano decorsi i 90 giorni dalla data di adozione (3/10/96) ma anche di notificazione (9/10/96) del provvedimento repressivo”;
– “il gravame proposto avverso la citata ordinanza di demolizione è stato definito con un decreto di improcedibilità che, come tale, non ha valore di giudicato sostanziale e per ciò stesso non impedisce la reviviscenza degli originari rapporti giuridici operata proprio con l’adozione della determinazione dirigenziale n. 22/2006”;
– il silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza di applicazione di sanzione pecuniaria, inoltrata dalla società ricorrente in data 24 giugno 2003, “può tutt’al più condurre a configurare nella fattispecie gli estremi di un ingiustificato silenzio, senza che però un siffatto comportamento sia idoneo ad incidere sul contenuto (e la legittimità) delle decisioni assunte con la determinazione dirigenziale per cui è causa”;
b) ha disatteso anche le censure articolate nei riguardi dell’accertamento di inottemperanza prot. n. 9848 del 2/3/2006 “avuto riguardo al carattere obbligatorio e vincolato dell’atto di accertamento dell’inottemperanza”.
c) ha, quindi, respinto il ricorso proposto avverso gli atti su indicati e ha condannato la società ricorrente al pagamento delle spese di lite (Euro 3.000,00 oltre IVA e C.P.A.).
3. Con l’appello in esame, ritualmente notificato in data 13 febbraio 2008, la società I.V. s.r.l., nelle more subentrata per fusione alla società La Do. s.r.l., ha impugnato la menzionata sentenza deducendo – attraverso tre macro motivi di appello (pagine 9-30 del ricorso) – quanto di seguito sintetizzato.
3.1. Nei riguardi della determinazione n. 22 del 2006:
I) è stata indebitamente pretermessa la comunicazione dell’avviso di avvio procedimentale, stante la natura di secondo grado del procedimento di autotutela e l’assenza di ogni collegamento con l’istanza di applicazione di sanzione pecuniaria, di guisa che non può affermarsi, come ha fatto erroneamente il Tribunale, che dalla presentazione di questa si possa inferire la conoscenza del primo, anche in considerazione della diversitàdelle rispettive opere, e comunque, a tutto concedere a tale prospettazione, difetta il preavviso di diniego dell’anzidetta istanza;
II) le vie di corsa della gru, oggetto della “domanda n. 422/1995” (cfr. pagina 3 e 16 dell’appello) accolta parzialmente, “si estendono fino ai mappali (omissis)”, di tal che non è possibile rimuovere il riempimento di terra (ed i relativi muri di contenimento), cui si riferisce l’ordinanza demolitoria, senza rimuovere anche tali opere che sul medesimo riempimento poggiano ed “il provvedimento di annullamento, nonostante sia intervenuto a distanza di quasi dieci anni dall’emissione del provvedimento annullato, è motivato esclusivamente in relazione alle esigenze “di ripristino della legalità violata, senza alcun accenno né all’interesse pubblico, ulteriore e diverso dal ripristino della legalità violata, che richiedesse l’annullamento dell’atto precedentemente emesso, né alla” prevalenza dell’interesse pubblico sugli interessi del destinatario del provvedimento annullato”;
III) l’aver ricollegato in via immediata alla reviviscenza dell’ordine demolitorio l’applicazione delle conseguenze sanzionatorie per non aver ottemperato allo stesso rende impossibile l’esercizio del diritto di difesa;
IV) l’amministrazione non poteva disporre la demolizione delle opere senza prima pronunciarsi sull’istanza di irrogazione della sanzione pecuniaria avendo questa sostanziale natura di domanda di sanatoria dell’abuso;
V) il Tribunale ha omesso di considerare che l’ordinanza demolitoria era stata sospesa con provvedimento cautelare dagli effetti ex tunc oltre che revocata dall’amministrazione in data 1° febbraio 1997;
VI) contraddittorio è il comportamento dell’amministrazione che dispone la demolizione di opere precedentemente sanate.
3.2. Nei riguardi del provvedimento n. 9848 del 2006:
VII) esso consegue alla determinazione dirigenziale n. 22 del 2006 da reputare illegittima “per aver riportato in vita un provvedimento ormai revocato da tempo, senza tener conto né della normativa sopravvenuta né della istanza presentata dalla ricorrente per 1’applicazione della sanzione pecuniaria”;
VIII) l’amministrazione ha omesso di verificare, com’è doveroso in caso di abuso parziale, “la possibilità di rimessa in pristino senza pregiudizio della parte conforme”.
3.3. Infine, la società ha chiesto la riforma della clausola di condanna alle spese di primo grado, insistendo per la liquidazione delle medesime a carico del Comune in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.
4. In data 20 marzo 2008 si è costituito il Comune di (omissis) al fine di chiedere il rigetto del gravame.
5. In prossimità dell’udienza di trattazione dell’appello, le parti hanno depositato memorie scritte.
6. All’udienza pubblica del 29 marzo 2018, la causa è stata riservata in decisione.
7. L’appello non merita accoglimento.
7.1. Preliminarmente il Collegio rileva che:
a) il perimetro del giudizio di appello è circoscritto dalle censure ritualmente sollevate in primo grado secondo quanto disposto dall’art. 104 c.p.a.;
b) pertanto, per comodità espositiva, saranno prese in esame direttamente le censure poste a sostegno del ricorso proposto in prime cure (cfr., ex plurimis sul punto, Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 673; Sez. V, 29 ottobre 2014, n. 5347).
7.2. Infondato è il primo motivo del ricorso instaurativo della lite (pagina 6), col quale si lamenta la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, per l’omessa comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento; invero, tale diaframma partecipativo non è necessario ai fini dell’esercizio del potere repressivo in materia edilizia avendo questo carattere interamente doveroso. A tal riguardo, il ricorrente valorizza la natura di secondo grado dell’atto impugnato essendo inteso al ritiro della determinazione a sua volta repressiva dell’ordine demolitorio, lamentando quindi la mancanza del profilo motivazionale richiesto dall’invocato art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 in punto di interesse pubblico.
La deduzione non può essere condivisa, in quanto, come opinato anche direcente da questa Sezione (sentenza 28 marzo 2018, n. 1959), il potere di autotutela costituisce la riedizione del potere originariamente esercitato in modo da essere attratto alla relativa disciplina. Non va trascurata infatti la circostanza che, attraverso l’atto impugnato, l’amministrazione, nel ritirare il precedente provvedimento di autotutela, ha di fatto riesercitato il potere sanzionatorio edilizio, per il quale, secondo orientamento pretorio tanto consolidato da assurgere a jus receptum, non si richiede la previa instaurazione del contraddittorio procedimentale innescato dall’avviso di avvio del procedimento per la natura vincolata della irroganda sanzione. Come ha avuto modo di rilevare la giurisprudenza di questo Consiglio (in particolare la recente Adunanza plenaria 17 ottobre 2017, n. 9; successivamente si veda la prima applicazione fattane da Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2017, n. 5595), “l’ordine di demolizione è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive enon richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell’abuso. In sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore. In ragione della natura vincolata dell’ordine di demolizione, non è pertanto necessaria la preventiva comunicazione di avvio del procedimento (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 12 dicembre 2016, n. 5198), né un’ampia motivazione”.
7.2.1. Comunque la censura risulta neutralizzata anche per effetto del principio di dequotazione dei vizi formali di cui all’art. 21 octies della medesima legge n. 241 del 1990, in quanto, come si dirà in prosieguo, la società ricorrente non avrebbe potuto offrire all’attenzione dell’amministrazione circostanze di fatto e di diritto tali da indurre a determinazioni diverse da quella adottata.
7.3. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso (pagina 6), con il quale la società, nel valorizzare la successione temporale degli atti di provenienza comunale che connotano la vicenda in esame, ha osservato criticamente quanto segue:
– è inesistente il presupposto dell’annullamento d’ufficio, atteso che “le vie di corsa della gru” erano state sanate a seguito dell’accoglimento della relativa domanda di condono (determinazione prot. n. 37771 del 21.10.97);
– il provvedimento impugnato è in contrasto con la pronuncia giudiziale di cessazione della materia del contendere;
– difetta una specifica motivazione in punto di interesse pubblico a norma dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990.
Invero, nessuna delle critiche che sorreggono il mezzo di gravame risulta convincente.
7.3.1. Sotto il primo profilo, parte ricorrente poggia le proprie deduzioni sul fatto che la domanda di condono n. 422 del 1995 non sarebbe relativa solo alla particella n. (omissis) ma anche a quelle (nn. (omissis) del foglio (omissis)) cui si riferisce l’ordinanza demolitoria rivitalizzata dall’atto impugnato. L’appellante ha quindi lamentato innanzi al T.a.r. la stessa insussistenza del presupposto per l’annullamento d’ufficio del provvedimento di revoca dell’ordinanza demolitoria, stante l’erroneità dell’assunto circa la diversità delle opereoggetto di sanatoria rispetto a quelle precedentemente sanzionate con la demolizione.
La deduzione, che assume rilievo centrale nell’economia del gravame, non trova riscontro negli atti di causa.
Occorre infatti rilevare che, come eccepito dal Comune nelle sue controdeduzioni, entrambe le domande di condono richiamano solo la particella n. (omissis) ed il fondo interessato dalle altre tre particelle nemmeno è confinante con questo. E’ dirimente quindi la constatazione che, contrariamente a quanto dedotto, le aree interessate, rispettivamente dalle due domande di condono e dall’ordinanza di demolizione, risultano ontologicamente distinte, secondo la loro diversa rispettiva collocazione catastale, e nemmeno limitrofe.
Tanto si evince agevolmente dalla documentazione di causa nei termini che seguono:
– le due domande di condono, avanzate ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724 del 1997, di cui ai numeri di protocollo 422 e 423 del 1995, recano in diversi passaggi precise indicazioni circa la particella interessata dai lavori abusivi identificandola in entrambi i casi nel solo mappale n. (omissis) del foglio (omissis);
– le predette istanze recano la coincidente descrizione urbanistica (“destinazione urbanistica industriale marmifera e parte fascia di rispetto di strada di PRGC”) dell’area interessata dai lavori senza alcun riferimento alla “destinazione viabilità e rurale” (cfr. pagina 3 della memoria dell’appellante depositata in data 26 febbraio 2018) cui sono sottoposti i mappali nn. (omissis) del medesimo foglio;
– dalla planimetria catastale in atti risulta che il mappale n. (omissis) non è confinante con i nn. (omissis);
– i tracciamenti in rosso di cui alla planimetria allegata all’integrazione documentale della domanda n. 422 del 1995, evidenziati dall’appellante nelle sue difese, assumono carattere equivoco e non possono certo valere ad integrare l’oggetto della sanatoria così come esplicitato già nel frontespizio della domanda stessa;
– l’ordinanza n. 37773 del 21.10.1997, di accoglimento parziale delle domanda di condono n. 422 del 1995 e contestuale ordine di demolizione, contiene espresso riferimento al solo mappale n. (omissis), pertanto non solo tale provvedimento non poteva dispiegare effetti abilitativi anche su opere realizzate altrove ma di tale configurazione dell’oggetto effettivo della domanda di sanatoria la società veniva resa formalmente edotta senza che, sul punto, sollevasse alcuna tempestiva contestazione.
7.3.2. Da tanto consegue anche l’infondatezza del terzo connesso profilo di censura, in quanto:
– essendo stato il Comune indotto in errore dall’appellante circa la consistenza delle opere sanande, l’interesse pubblico è da ritenere autoevidente e non richiede quindi una particolare ostensione argomentativa, secondo il recente insegnamento dell’Adunanza plenaria n. 8 del 2017; tale pronuncia, inoltre, ha avuto ad oggetto l’autotutela su provvedimenti ampliativi: nel caso di specie, invece, nella sostanza (come si dirà in prosieguo) si tratta della conferma di un ordine di demolizione per abusivismo edilizio;
– questa Sezione ha peraltro già opinato, in epoca precedente a tale fondamentale pronuncia, che “allorquando una concessione edilizia in sanatoria sia stata ottenuta dall’interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla p.a. esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa” (cfr. sentenza 14 dicembre 2016, n. 5262);
– è pur vero che, con la su citata pronuncia, l’Adunanza plenaria ha escluso la configurabilità dell’interesse pubblico in re ipsa con riferimento all’esercizio del potere di autotutela sui titoli edilizi in sanatoria, quali atti di natura ampliativa, ma la vicenda in esame sottende l’esercizio di un potere sanzionatorio avente carattere ripristinatorio e doveroso; in ogni caso i principi espressi dall’Adunanza plenaria sono comunque estensibili alla controversia in esame;
– deve infatti rilevarsi che anche nel caso di specie il potere di autotutela esercitato dall’amministrazione, avente ad oggetto un precedente provvedimento repressivo dell’ordine demolitorio invece che un titolo edilizio risultato illegittimo, sottende “l’evidente esigenza di un deciso contrasto al grave e diffuso fenomeno dell’abusivismo edilizio, che deve essere fronteggiato con strumenti efficaci e tempestivi e con la piena consapevolezza delle gravi implicazioni che esso presenta in relazione a svariati interessi di rilievo costituzionale (quali la salvaguardia del territorio e del paesaggio, nonché la tutela della pubblica incolumità)”;
– non va peraltro trascurato, per rimarcare nella specie la natura vincolata dell’atto oggetto del presente giudizio, che l’ordine demolitorio rivitalizzato dall’amministrazione comunale non solo non risulta più intaccato nella sua portata effettuale dalle derminazioni in autotutela dell’amministrazione, ma nemmeno è stato interessato da alcun intervento annullatorio dell’Autorità giurisdizionale;
– poiché viene in considerazione, nel caso di specie, un titolo in sanatoria di carattere parziale, il provvedimento oggetto di gravame non è espressione del potere di autotutela decisoria, intimamente discrezionale, ma si fonda sulla mera presa d’atto del perimetro abilitativo della sanatoria, la cui validità non è quindi messa in discussione;
– nel caso di specie viene infatti in considerazione un provvedimento di assenso postumo avente ad oggetto soltanto una parte delle opere oggetto della relativa istanza, di guisa che quella residua risulta estranea all’alveo della sanatoria stessa, nel rispetto quindi del principio secondo cui i limiti imposti dal legislatore alla concessione della sanatoria sono tassativi e non soggetti ad “alcuna possibilità di estensione discrezionale da parte della PA” (Cons. giust. amm., n. 941 del 2009), onde consentire la tutela di valori fondamentali (a livello costituzionale ed internazionale) quali il governo del territorio, l’ambiente, il paesaggio;
– dagli atti di causa si evince che la società ha assunto una condotta tale da indurre in errore l’amministrazione, per avere affermato in sede giurisdizionale, contrariamente al vero, che le opere descritte nell’ordinanza demolitoria prot. n. 39669/6924 del 3.10.1996 erano oggetto della domanda di condono n. 422 del 1995;
– tale condotta è pertanto inidonea a consolidare una posizione di affidamento secondo le stesse coordinate ermeneutiche elaborate dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 8 del 2017;
– deve escludersi, in definitiva, che le cautele divisate dall’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 possano trovare ingresso in un caso come quello in esame stante la doverosità dell’intervento repressivo della P.A. e l’incidenza dell’autotutela su un provvedimento d’indole sanzionatoria e non certo di carattere autorizzatorio o comunque ampliativo.
7.3.3. Non può configurarsi inoltre alcun conflitto con il decreto del Presidente del T.a.r. Toscana, sez. III, n. 4438 del 4 settembre 2003 – come dedotto a pagina 7 del ricorso di primo grado – in quanto con tale pronuncia monocratica si dava semplicemente atto dell’intervenuta revoca del provvedimento demolitorio con l’atto del 1° febbraio 1997 e pertanto, al di là dell’uso di formule di mero stile, non postulava alcuna valutazione circa l’effettiva integrale soddisfazione dell’originaria pretesa della parte ricorrente in modo da acquisire forza di giudicato.
7.4. Sono del pari infondati gli ulteriori vizi – motivi articolati avverso il provvedimento impugnato (pagine 8 e ss. del ricorso di primo grado), in quanto:
– non vi è alcuna interferenza tra il provvedimento impugnato ed il (previo) parziale accoglimento della domanda di sanatoria, stante la rilevata diversità delle aree interessate dai rispettivi interventi;
– la reviviscenza dell’ordinanza demolitoria del 3 ottobre 1996 non è preclusa dal fatto che la stessa era stata precedentemente revocata comportando l’atto impugnato il travolgimento proprio di tale precedente determinazione di autotutela;
– l’impugnato provvedimento nemmeno può ritenersi precluso dall’istanza di irrogazione di sanzione pecuniaria del 24 giugno 2003 rimasta inevasa non assumendo tale iniziativa la valenza di domanda di sanatoria;
– i presupposti (normativi ed ermeneutici) dell’istituto della fiscalizzazione dell’illecito edilizio si pongono infatti su un piano ontologicamente diverso da quelli della sanatoria sia perché esso trova il proprio fondamento nella impossibilità di rimuovere le conseguenze dell’illecito senza creare danni irreparabili alla parte di edificio eseguita in conformità al permesso a costruire sia perché il pagamento della sanzioni pecuniarie, se esclude che opere edilizie abusive possano essere legittimamente demolite, non ne rimuove, però, il carattere antigiuridico (Cons. Stato, Sez. IV, 29 settembre 2011, n. 5412);
– va altresì rilevato che, come da orientamento ormai pienamente consolidato di questo Consiglio (da ultimo, sez. IV, 27 luglio 2017, n. 3728) “la P.A. non ha alcun obbligo di reiterare l’ingiunzione a demolire dopo che ha respinto una istanza di sanatoria presentata successivamente all’originario ordine di demolizione (cfr. ex plurimis sez. V, n. 466 del 2015 e Sez. VI, n. 1909 del 2013 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.)”;
– ad ogni modo, detta istanza contiene espresso riferimento all’ordinanza demolitoria di cui al provvedimento prot. 37771 del 21 ottobre 1997 che riguarda le opere oggetto della domanda di sanatoria n. 423 del 1995, insistenti come detto sul mappale n. (omissis), invece che le diverse opere, pur della medesima consistenza, di cui all’ordinanza di demolizione prot. n. 39669/6924 del 3.10.1996;
– la pronuncia cautelare che abbia, seppur temporaneamente, fatto venir meno l’obbligo di dare esecuzione all’ordine di ripristino dello status quo ante incide sul decorso del termine di 90 giorni concesso agli interessati per provvedere nel senso che questo riprende a decorrere dopo il venir meno degli effetti della stessa pronuncia, di tal che l’ordinanza cautelare del T.a.r. per la Toscana (n. 483 del 3.6.97) ha comportato la sospensione dell’ordinanza demolitoria del 3 ottobre 1996 soltanto a decorrere dall’intervento della pronuncia cautelare invece che, retroattivamente, dalla data di emanazione del provvedimento impugnato;
– va quindi escluso che, come si assume dall’appellante, l’accoglimento della domanda cautelare abbia assunto carattere ostativo alla consumazione del termine di novantagiorni prescritto dalle legge per la sua esecuzione essendo questo, avuto riguardo alla data cui risale la notificazione dell’ordine demolitorio (9.10.1996), già ampiamente decorso al momento del pronunciamento cautelare;
– né la validità della sanzione demolitoria può dirsi inficiata dalla vagheggiata possibilità di applicare, in sua vece, la sanzione pecuniaria a norma dell’art. 12 della legge n. 47 del 1985, in quanto “La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione: il dato testuale della legge è univoco ed insuperabile, in coerenza col principio per il quale, accertato l’abuso, l’ordine di demolizione va senz’altro emesso. La norma, inoltre, è chiara nel riferirsi soltanto al caso in cui si sia in presenza di opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 novembre 2017 n. 5472).
8. Infondate sono anche le censure articolate nei riguardi del provvedimento sub b) del precedente § 1 (pagine 12 e ss. del ricorso di primo grado) avendo la società valorizzato ancora una volta la circostanza della presentazione di istanza di irrogazione di sanzione pecuniaria sostitutiva di quella demolitoria. Vale al riguardo osservare, come da orientamento di questa Sezione, che “l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione è normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l’effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l’ingiunzione stessa. La giurisprudenza ha pacificamente confermato tale lettura, affermando che l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate è una misura di carattere sanzionatorio che consegue automaticamente all’inottemperanza dell’ordine di demolizione. Né in senso ostativo puòassumere rilevanza l’assenza di motivazione specifica sulle ragioni d’interesse pubblico perseguite mediante l’acquisizione, essendo in re ipsa l’interesse all’adozione della misura, stante la natura interamente vincolata del provvedimento (ex multis Cons. di Stato, Sez. IV, 5 maggio 2017 n. 2053 e Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3834)” (cfr. sentenza 27 luglio 2017, n. 3728). Ne consegue che la prospettata impossibilità di demolire le opere abusive senza pregiudizio della parte costruita legittimamente, a tacer della necessità di fornire ogni dimostrazione al riguardo incombente sul medesimo istante, può impedire l’esecuzione in danno dell’ordine demolitorio ma non anche l’effetto acquisitivo dell’area di sedime siccome contemplato come automatico dalla normativa in materia (art. 31 del D.P.R n. 380 del 2001). Va altresì evidenziato che il provvedimento in questione concerne le richiamate ordinanze demolitorie prot. n. 37771 e n. 37773 del 21 ottobre 1997, relative alle opere insistenti sul mappale n. (omissis), non interessate da alcun provvedimento di ritiro o annullamento giurisdizionale sì da conservare piena efficacia repressiva delle opere ivi contestate.
9. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.
10. Le spese del presente grado di giudizio,regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55 e dell’art. 26, comma 1, c.p.a., ricorrendone i presupposti applicativi, anche in relazione ai profili di sinteticità e chiarezza, secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sostanzialmente recepita, sul punto in esame, dalla novella recata dal decreto-legge n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a. [cfr. sez. V, 9 luglio 2015, n. 3462; sez. V, 21 novembre 2014, n. 5757; sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210; sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733; sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria conformemente, peraltro, ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo sez. VI, 2 novembre 2016; sez. VI, 12 maggio 2017, n. 11939)].
11. La condanna dell’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 1, c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, nr. 208.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso (n. r.g. 1445/2008), come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la società appellante alla rifusione, in favore del Comune di (omissis), delle spese del giudizio che liquida in euro 8.000,00 (ottomila/00), anche ai sensi dell’art. 26, comma 1 c.p.a., oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
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