Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 3 dicembre 2015, n. 5492

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 814 del 2014, proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ed altri (…);

contro

Ga. Spa ed altri (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II n. 06024/2013, resa tra le parti, concernente irrogazione sanzione amministrativa pecuniaria per inosservanza dei livelli di servizio della convenzione

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ga. Spa e di So. Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 maggio 2015 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Li. ed altri (…);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con l’appello in esame, l’Agenzia delle dogane impugna la sentenza 17 giugno 2013 n. 6024, con la quale il TAR per il Lazio, sez. II, ha accolto il ricorso proposto dalla società Ga. s.p.a., annullando, in particolare, il provvedimento con il quale è stata irrogata la penale per l’inosservanza dei livelli di servizio, di cui all’all. 3, par. 2, lett. b) della Convenzione di concessione della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento ed intrattenimento.

La controversia riguarda, in sostanza, le penali irrogate dall’Agenzia delle dogane e dei Monopoli (già Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato), nei confronti dei concessionari per l’attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito, avuto riferimento alle interrogazioni effettuate tramite il sistema “gateway” di accesso nel periodo 15 luglio 2005 – 12 marzo 2008 (e solo per la società Pl. dal 7 novembre 2008).

Il sistema “gateway di accesso”, che i concessionari erano tenuti a realizzare ai sensi del par. 12.2.2 del Capitolato tecnico, è costituito da un complesso di apparati hardware e software dedicati esclusivamente al compito di consentire all’Amministrazione l’interrogazione, diretta ed indipendente dal concessionario, degli apparecchi di gioco, ai fini di ulteriore verifica a campione (5 per cento al giorno) dei dati in essi registrati.

La sentenza impugnata – premessa una ricostruzione in fatto della genesi e sviluppo dei rapporti esistenti tra Amministrazione e concessionari, ed affermata la giurisdizione del giudice amministrativo – ha affermato, in particolare, con riferimento alla applicabilità della penale per il periodo 2005/2008:

– “non può fondatamente ritenersi che l’illecito sanzionato difettasse in toto del presupposto dell’antigiuridicità in quanto i livelli per la rilevazione del livello di servizio sono stati determinati soltanto ex post, con la conseguenza che la penale non avrebbe potuto trovare applicazione relativamente al periodo antecedente”. Ed infatti: a) per un verso, l’atto aggiuntivo 2008 della convenzione del 2004, che non ricomprende più il livello di servizio relativo al gateway, stabilisce che i livelli di servizio e le relative penali ivi previste sono “da applicarsi a decorrere dalla data di stipula dell’atto aggiuntivo ed integrativo della convenzione”, e dunque è possibile irrogare sanzione per la mancata attivazione del sistema gateway per il periodo 2005/2008, dovendosi ritenere che “sulla predetta clausola di operatività si sia formato accordo tra le parti proprio al momento della sottoscrizione”; b) per altro verso, l’irrogazione della sanzione non è impedita dalla contraddizione tra una immediata operatività della penale indipendentemente dalla tempestiva fissazione dei criteri da parte di una commissione tecnica (costituita solo nel novembre 2008, con termine dei lavori nel luglio 2009), che ha a ciò provveduto solo successivamente, in quanto “i livelli di servizio erano già stati puntualmente individuati in modo convenzionale tra le parti e l’apporto della commissione tecnica non era finalizzato ad esplicitare le specifiche modalità di adempimento dei concessionari ma era preordinato esclusivamente ad indicare i criteri per la quantificazione degli importi delle penali da irrogare”;

– in definitiva, quanto al punto da ultimo indicato, “il livello di servizio è esattamente definito nella convenzione e gli elementi forniti dalla Commissione, in attuazione del comma 4 dell’art. 27, incidono esclusivamente sui criteri di valutazione dell’operato ai soli fini delle modalità di calcolo dell’importo della penale, peraltro individuando, in modo più puntuale e nello stesso tempo più favorevole per i concessionari, le singole fattispecie in cui la penale non poteva trovare applicazione”.

Quanto ai concreti presupposti e modalità di applicazione della penale, la sentenza afferma:

– “in linea di principio, trovano piena ed integrale applicazione, anche alle penali previste in convenzione, le regole civilistiche in materia di imputabilità dell’inadempimento, di prova del danno cagionato e di congruità e proporzionalità della relativa sanzione”;

– “la funzione tipica della clausola penale nel diritto amministrativo non è solo quella di liquidare e limitare preventivamente il risarcimento del danno ma anche quella di rafforzamento del vincolo contrattuale e, pertanto, la stessa non può avere natura e finalità meramente punitive. La pattuizione di una clausola penale da parte di una pubblica amministrazione, quindi, non sottrae il rapporto alla disciplina generale delle obbligazioni, dovendo escludersi la responsabilità del debitore quando costui prova che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione, sia determinato dalla impossibilità della prestazione, derivante a causa a lui non imputabile”;

– è da escludere che “la ricorrente avrebbe operato nella consapevolezza dell’inoperatività della penale prima che fosse portata a sua conoscenza la relazione della Commissione tecnica con la conseguenza che la prestazione in questione sarebbe stata concretamente inesigibile da parte dei concessionari in quanto non completamente ed effettivamente determinata al momento della stipula della convenzione;

– al contrario, è da condividere “la considerazione che il gateway non fosse il cuore del modello organizzativo del gioco lecito e che, pertanto, si tratta effettivamente di una obbligazione soltanto accessoria avuto riguardo alla funzione riconosciuta al gateway dal capitolato tecnico; deve, infatti, ritenersi che consistesse esclusivamente in un apparato di cui ciascun concessionario si doveva dotare per permettere l’accesso diretto del sistema centrale AAMS – Sogei, a campione, ai dati registrati dagli apparecchi di gioco ai fini dell’esercizio del controllo nell’indicata specifica modalità operativa”;

– dal fatto che la clausola convenzionale “prevedeva l’operatività dell’adempimento relativo al ga. a decorrere dal mese di luglio 2005, decorrenza che in precedenza è stata ritenuta legittima”, ne consegue che detta clausola “non poteva se non presupporre a sua volta la piena operatività della predetta rete telematica”, laddove invece vi è stato “un arco temporale non indifferente in cui tutto il sistema telematico non ha operato nella sua compiutezza, ossia con tutte le funzionalità previste in convenzione e nei termini ivi indicati”. Pertanto, poiché “la prova in ordine alla imputabilità dell’inadempimento grava in capo alla parte che pretende di avvalersi della clausola penale”, deve escludersi che detta prova sia stata fornita dall’amministrazione;

– peraltro, considerato che il lasso temporale interessato dall’applicazione della penale coincide con la transizione dalla “difficoltosa fase di start-up . . . alla successiva fase di un maturo assestamento del sistema”, ciò stante “non può se non presumersi che l’inadempimento alla clausola di cui trattasi non sia imputabile ai concessionari”;

– inoltre, “la funzione della previsione in convenzione di clausole penali, con le quali si procede ad una liquidazione anticipata e forfettaria del danno risarcibile, è quella di esonerare l’amministrazione dall’onere di fornire la prova esatta del quantum del detto danno; e tuttavia, indubbiamente non può prescindersi dalla necessità di provarne preliminarmente l’an, ossia dell’allegazione e della dimostrazione da parte dell’amministrazione che la condotta della controparte contrattuale, sebbene in ipotesi violativa di specifici obblighi sanciti dalla convenzione, abbia cagionato al soggetto pubblico un effettivo pregiudizio”;

– in definitiva, “ai fini dell’irrogazione delle penali è necessario pertanto sussista effettivamente un danno oggettivo per l’amministrazione”;

– nel caso di specie, poiché la peculiarità del gateway era pertanto quella di consentire all’amministrazione, al fine dell’esercizio del controllo sul sistema, di accedere ai dati registrati direttamente e senza alcun previo intervento di elaborazione da parte del concessionario, non può ritenersi che il danno “possa sostanziarsi esclusivamente nel pregiudizio alla realizzazione dell’interesse pubblico”, connesso alla impedita effettuazione dei controlli, “atteso che affinchè il pregiudizio all’interesse pubblico dia luogo ad un danno risarcibile all’interno di un rapporto convenzionale con i privati, è necessario che venga a concretizzarsi in una specifica e apprezzabile lesione patrimoniale”, poichè “in caso contrario, si confonderebbe la condotta con il pregiudizio che ne deve derivare” (pregiudizio patrimoniale che, nel caso di specie, non è stato accertato e comprovato).

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando; errata esclusione dei presupposti per l’irrogazione della quarta penale con riguardo al comprovato inadempimento dell’appellata agli obblighi nascenti dalla Convenzione; violazione art. 11 l. n. 241/1990 e artt. 1218, 1256, 1375, 1382 e 2697 c.c.; motivazione insufficiente e contraddittoria; ciò in quanto: a1) “il primo giudice ha palesemente smentito se stesso, perché dopo aver affermato che indubbiamente la quarta penale presenta caratteristiche proprie, e scaturisce da autonomi procedimenti, ha finito per il considerarla in tutto e per tutto alla stessa stregua delle altre tre penali, nel momento in cui ha ritenuto rilevante la mancata completa funzionalità operativa del sistema nei termini pattuiti, quale circostanza esimente il rispetto del livello di servizio in discussione”; a2) ai sensi degli artt. 1218 e 1256 c.c., è il debitore che deve dimostrare che l’inadempimento non è a lui imputabile, dovendo vincere la presunzione di colpa, posto che la colpa del debitore inadempiente si presume (e ciò a maggior ragione “se si considera che l’obbligo di consentire all’amministrazione l’accesso diretto al sistema attraverso il c.d. getaway non era un obbligo accessorio ma un elemento essenziale del programma negoziale”;

b) error in iudicando; errata esclusione dei presupposti per l’irrogazione della quarta penale con riguardo al comprovato danno effettivo per l’amministrazione, conseguente all’inadempimento imputabile alla concessionaria; violazione art. 11 l. n. 241/1990 e artt. 1218, 1256, 1375, 1382 e 2697 c.c.; motivazione insufficiente e contraddittoria; ciò in quanto. b1) pur ammettendo “che nel caso di specie la penale potesse essere irrogata solo a fronte di un danno effettivamente arrecato, non emergono né dalla convenzione né dalle ulteriori pattuizioni intervenute tra le parti, elementi che possano far ritenere che quel danno dovesse avere necessariamente natura patrimoniale”, di modo che “la tesi che subordina l’irrogazione della penale alla verificazione di un danno patrimoniale è frutto di una mera congettura del TAR”; b2) d’altra parte, “il mancato esercizio della funzione di controllo della rete ben può arrecare un pregiudizio economico alla P.A. consistente nei maggiori oneri da sopportare per sopperire ex ante con altri mezzi alle necessarie verifiche del sistema, sia per fronteggiare ex post le conseguenze lesive derivanti dall’assenza di una efficace azione di sorveglianza della rete”; b3) in definitiva, “il mancato svolgimento di una efficace azione di controllo sulla rete da parte della AAMS nei termini pattuiti convenzionalmente ha arrecato alla P.A. un danno non patrimoniale grave ed irreparabile consistente nella lesione dell’interesse pubblico che sottende e giustifica il rapporto concessorio ossia il corretto svolgimento del gioco lecito attraverso la rete telematica”.

Si è costituita in giudizio la società appellata, che ha innanzi tutto concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

La società ha, inoltre, proposto appello incidentale avverso la sentenza di I grado, sia perché questa respinge alcune delle doglianze proposte in I grado, rendendone necessaria la riproposizione in via incidentale, sia per il mancato esame di alcuni motivi.

In particolare, si adduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 27 della Convenzione; violazione e falsa applicazione artt. 1218 e 1375 c.c.; art. 13 D.Lgs. n. 39/1993; violazione dei principi del giusto procedimento ex l. n. 241/1990; violazione artt. 25 e 97 Cost.; eccesso di potere. Ciò in quanto, in sostanza, la penale è stata irrogata senza che nel periodo di riferimento (15 luglio 2005 – 12 marzo 2008), l’amministrazione, a mezzo dell’apposita commissione tecnica, avesse definito i livelli di servizio e i criteri di rilevazione, calcolo e arrotondamento delle penali relative al Ge..

Si è, inoltre, costituita la società So., che ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva.

All’udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. Il Collegio deve, preliminarmente, dichiarare il difetto di legittimazione passiva della So. s.p.a., in relazione al presente giudizio, come conformato – quanto al thema decidendum – dagli appelli principale ed incidentale.

Ed infatti, come questo stesso Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare (tra le altre, sez. IV, 27 gennaio 2014 n. 373) – a seguito di ricorso in opposizione di terzo proposto dalla medesima So., avverso sentenze di appello afferenti provvedimenti di irrogazione di penali ai sensi della convenzione di concessione per la gestione telematica degli apparecchi di divertimento e intrattenimento – oggetto del giudizio (anche nella presente sede) sono “provvedimenti sanzionatori e la legittimità (o meno) dei medesimi, e non già l’accertamento della responsabilità per il ritardo e dunque per l’inadempimento di obbligazioni, tanto più coinvolgente soggetti terzi”.

Poiché, dunque, è estranea al presente giudizio ogni verifica di posizioni soggettive della So., né avendo la sentenza di I grado evocato “coinvolgimenti” o profili di responsabilità della stessa, ne consegue il difetto di legittimazione passiva della predetta società.

3. L’appello dell’Agenzia delle dogane è fondato e deve essere, pertanto accolto, per le ragioni di seguito esposte.

La sentenza impugnata perviene al giudizio di illegittimità della penale irrogata alla società convenzionata, sulla base di una ricostruzione giuridica dell’istituto della penale, nell’ambito dei rapporti di concessione-convenzione, che si fonda:

– in primo luogo, sulla premessa secondo la quale “la funzione tipica della clausola penale nel diritto amministrativo non è solo quella di liquidare e limitare preventivamente il risarcimento del danno ma anche quella di rafforzamento del vincolo contrattuale e, pertanto, la stessa non può avere natura e finalità meramente punitive”, il che non sottrae né il rapporto convenzionale (ex art. 11 l. n. 241/1990), né il più specifico istituto della penale alla disciplina generale delle obbligazioni; ed infatti, secondo la sentenza, “in linea di principio, trovano piena ed integrale applicazione, anche alle penali previste in convenzione, le regole civilistiche in materia di imputabilità dell’inadempimento, di prova del danno cagionato e di congruità e proporzionalità della relativa sanzione”;

– in secondo luogo, sulla affermazione secondo la quale, “la prova in ordine alla imputabilità dell’inadempimento grava in capo alla parte che pretende di avvalersi della clausola penale”;

– in terzo luogo, sulla ulteriore affermazione secondo la quale, benché “la funzione della previsione in convenzione di clausole penali, con le quali si procede ad una liquidazione anticipata e forfettaria del danno risarcibile, è quella di esonerare l’amministrazione dall’onere di fornire la prova esatta del quantum del detto danno”, tuttavia “indubbiamente non può prescindersi dalla necessità di provarne preliminarmente l’an, ossia dell’allegazione e della dimostrazione da parte dell’amministrazione che la condotta della controparte contrattuale, sebbene in ipotesi violativa di specifici obblighi sanciti dalla convenzione, abbia cagionato al soggetto pubblico un effettivo pregiudizio”; pregiudizio che si configura, più precisamente, come “danno oggettivo per l’amministrazione”, e, ancor più precisamente, in un danno di natura patrimoniale, poiché “non può ritenersi che il danno “possa sostanziarsi esclusivamente nel pregiudizio alla realizzazione dell’interesse pubblico”, e ciò in quanto perché “il pregiudizio all’interesse pubblico dia luogo ad un danno risarcibile all’interno di un rapporto convenzionale con i privati, è necessario che venga a concretizzarsi in una specifica e apprezzabile lesione patrimoniale”.

Orbene, tanto precisato, e pur ritenendo (per le differenti ragioni che saranno di seguito esposte), illegittima l’applicazione/irrogazione della penale (cd. quarta penale) alle società concessionarie, il Collegio non condivide le considerazioni contenute nella sentenza impugnata, sia in ordine alla natura della clausola penale nei rapporti tra concedente e concessionario, sia in ordine alla natura del danno arrecato, onde poter dar luogo all’applicazione di penale, sia infine in ordine alla necessità di fornire la prova del danno subito.

4. Innanzi tutto, occorre affermare che il rapporto amministrazione/concessionario, fondato sulle (usualmente definite) “concessioni/contratto”, proprio in ragione delle sue peculiarità originate dall’inerenza all’esercizio di pubblici poteri, non ricade in modo immediato, e tanto meno integrale, nell’ambito di applicazione delle disposizioni del codice civile, le quali, se possono certamente trovare applicazione in quanto applicabili ovvero se espressamente richiamate, tuttavia non costituiscono la disciplina ordinaria di tali convenzioni, né ciò è indicato dalla l. n. 241/1990 (cui pure fa riferimento la sentenza impugnata).

Giova, infatti, ricordare che la legge 7 agosto 1990 n. 241 disciplina nell’art. 11 gli “accordi” tra privati e pubblica amministrazione.

In realtà, come segnalato da subito dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato (parere 17 febbraio 1987 n. 7/1987). sotto la comune dizione di “accordi”, sono richiamati (e succintamente disciplinati) sia moduli più propriamente procedimentali, cioè attinenti alla definizione dell’oggetto dell’esercizio della potestà, sia accordi con contenuto più propriamente contrattuale, veri e propri contratti ad oggetto pubblico – secondo una definizione comunemente invalsa – in quanto disciplinanti aspetti patrimoniali connessi all’esercizio di potestà.

La presenza contemporanea delle due figure rende distinta e, per così dire, “asimmetrica”, l’applicazione delle stesse norme desumibili dall’art. 11, quali, in particolare, il comma 2, relativo all’applicabilità dei principi del codice civile in tema di obbligazioni e contratti, ovvero il comma 4, concernente la possibilità offerta alla P.A. di recesso dall’accordo.

Per un verso, dunque, la generale disciplina dell’art. 11 trova applicazione (anche) nel caso di “convenzioni” con contenuto patrimoniale, afferenti tuttavia al previo esercizio di potestà, per altro verso, essa deve applicarsi anche ad ipotesi in cui, difettando ogni “substrato patrimoniale”, il richiamo – ad esempio – alla applicabilità dei principi del codice civile in tema di obbligazioni e contratti, risulta avere un ambito di applicazione certamente più ristretto.

In tale contesto, la applicazione dei principi in tema di obbligazioni e contratti agli accordi dell’amministrazione (riconducibili o meno alla generale figura del contratto), trova in ogni caso un limite, e dunque una conseguente necessità di adattamento, nella immanente presenza dell’esercizio di potestà pubbliche, e nelle finalità di pubblico interesse cui le stesse sono teleologicamente orientate.

Come la giurisprudenza ha avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2013 n. 5786; 14 ottobre 2013 n. 5000), fermi i casi di contratti di diritto privato (per i quali trovano certamente applicazione le disposizioni del codice civile), nei casi invece di contratto ad oggetto pubblico l’amministrazione mantiene comunque la sua tradizionale posizione di supremazia; tali contratti non sono disciplinati dalle regole proprie del diritto privato, ma meramente dai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti”, sempre “in quanto compatibili” e salvo che “non diversamente previsto”.

Ciò, ovviamente, non esclude – sussistendone i presupposti ora delineati – che il giudice possa fare applicazione anche della disciplina dell’inadempimento del contratto, allorchè una parte del rapporto contesti alla controparte un inadempimento degli obblighi di fare (cons. Stato, sez. IV, 24 aprile 2012 n. 2433).

Proprio per questo, la giurisprudenza – certamente escludendo una acritica applicazione delle norme del codice civile – ha avuto modo di affermare:

– che l’impegno assunto dall’amministrazione attraverso l’accordo non può risultare vincolante in termini assoluti, in quanto esso riguarda pur sempre l’esercizio di pubbliche potestà (Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2001 n. 354);

– che il cd. “autovincolo” derivante all’amministrazione da un accordo può perdere successivamente consistenza a seguito del confronto delle posizioni caratterizzanti le fasi successive del procedimento (Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2004 n. 7245).

Come si è detto, l’art. 11 l. n. 241/1990 non rende applicabili agli accordi della pubblica le norme del codice civile in tema di obbligazioni e contratti, bensì i “principi”, con ciò stesso presupponendo una non immediata adattabilità – sia ad accordi non aventi natura contrattuale, sia a convenzioni/contratto – delle norme valevoli per le espressioni di autonomia privata, ma richiedendo la verifica della applicabilità, in ragione della specifica natura dell’atto bilaterale sottoposto a giudizio, dei “principi” (e di quanto da essi desumibile) in tema di obbligazioni e contratti, senza per ciò stesso escludere la stessa applicazione di nome in tema di obbligazioni e contratti, nei casi in cui agli accordi possa riconoscersi una natura prettamente contrattuale.

Nel caso delle convenzioni che accedono all’esercizio di potestà amministrativa concessoria – dove è chiara la natura latamente contrattuale dell’atto bilaterale, stante la regolazione di aspetti patrimoniali – ben possono trovare applicazione le disposizioni in tema di obbligazioni e contratti.

Tuttavia, tale applicazione non può esservi, se non considerando la persistenza (ed immanenza) del potere pubblico, dato che l’atto fondativo del rapporto tra amministrazione e concessionario non è la convenzione, bensì il provvedimento concessorio, rispetto al quale la prima rappresenta solo uno strumento ausiliario, idoneo alla regolazione (subalterna al provvedimento) di aspetti patrimoniali del rapporto.

Da quanto sin qui esposto, consegue che l’istituto della “penale” in diritto amministrativo, non può essere apoditticamente ricondotto alla figura contrattuale della clausola penale (artt. 1382-1384 c.c.), ma – contrariamente al percorso argomentativo proprio della sentenza impugnata – deve innanzi tutto trovare il proprio fondamento nel regime di diritto pubblico governante il rapporto concessorio.

5. L’istituto della “penale”, presente nelle ipotesi di esercizio di potere amministrativo ampliativo della sfera giuridica dei privati (non solo, dunque, nelle ipotesi di esercizio di potere concessorio, ma anche autorizzatorio), ha certamente natura sanzionatoria e salvaguarda il raggiungimento delle finalità di pubblico interesse sottese all’esercizio del potere.

Nel rapporto concessorio (ed in particolare, nel caso della concessione cd. traslativa, di esercizio di funzioni o servizi pubblici), il perseguimento del pubblico interesse del quale l’amministrazione è fatta titolare avviene anche per il tramite dell’attività del privato, di modo che – laddove questo non si conformi alle regole imposte dal provvedimento concessorio e dalla convenzione a questo accessiva – l’irrogazione della penale prevista costituisce appunto sanzione per una condotta tenuta o un evento prodotto non conformi al pubblico interesse.

Il bene giuridico inciso non è, dunque, il patrimonio della pubblica amministrazione, bensì il più generale interesse pubblico che costituisce ad un tempo la ragione causale della concessione ed il fine al quale deve essere orientata l’azione del privato concessionario (al di là delle ovvie finalità individuali). Di conseguenza, la penale costituisce la sanzione per la lesione arrecata all’interesse pubblico, quell’interesse – come si è detto – che sorregge sul piano motivazionale l’adozione stessa del provvedimento concessorio.

Ovviamente, la lesione arrecata ben può consistere anche in un danno di natura patrimoniale arrecato alla pubblica amministrazione, o, più precisamente, nel danno conseguente all’inadempimento (o al non esatto adempimento) di una obbligazione assunta in convenzione.

Ma, in tali ipotesi, la penale svolge una duplice funzione:

– quella (primariamente) di sanzione per l’interesse pubblico violato (cui, nel rapporto concessorio, anche il danno patrimoniale si ricollega direttamente);

– quella più squisitamente civilistica (ex art. 1382 c.c.) di determinazione preventiva e consensuale della misura del risarcimento del danno derivante dall’inadempimento o dal ritardo nell’adempimento di una determinata prestazione, salvo che “sia convenuta la risarcibilità del danno ulteriore”.

Tale configurazione non esclude che, ai fini della verifica dei presupposti per l’irrogazione della penale, possano trovare applicazione le ulteriori disposizioni civilistiche in tema di penale. E dunque, la possibilità che “sia convenuta la risarcibilità del danno ulteriore” (art. 1382, I co.); il fatto che essa “è dovuta indipendentemente dalla prova del danno” (II co.), e può essere ridotta (art. 1384 c.c.) “se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento”.

Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare (sez. IV, 16 giugno 2015 n. 2997), i criteri di ermeneutica contrattuale possono applicarsi oltre che per l’interpretazione dei provvedimenti amministrativi, anche per gli accordi ex art. 11 l. n. 241/1990.

Le considerazioni sin qui esposte trovano una loro antecedente formulazione nella decisione con la quale si sono annullati gli atti di irrogazione di ulteriori e diverse penali previste dalla Convenzione (v. Cons. Stato, sez. IV, 23 dicembre 2010 n. 9347).

Con tale sentenza, la Sezione, pur affermando che nel caso degli accordi “il giudice possa e debba fare applicazione diretta anche della disciplina dell’inadempimento del contratto”, ha già avuto modo di affermare:

– che la previsione delle penali è legata ad una finalità di pubblico interesse, poiché, nel caso di specie, essa è “indubbiamente connessa all’esigenza di favorire un celere avvio del servizio pubblico oggetto di affidamento”;

– che la penale ha natura pienamente sanzionatoria, posto che l’art. 27 della Convenzione prevede ora l’irrogazione delle penali “secondo principi di ragionevolezza e di proporzionalità rispetto all’inadempimento accertato ed al danno effettivamente arrecato”, di modo che “non può dubitarsi che tale disposizione non si esaurisca nell’imporre all’amministrazione di commisurare il quantum della sanzione all’entità e alla gravità dell’inadempimento, ma, prima ancora, subordini lo stesso esercizio del potere sanzionatorio al presupposto di un concreto e oggettivo pregiudizio per l’amministrazione medesima”.

Alla luce di tutte le argomentazioni sin qui esposte, deve essere accolto l’appello dell’amministrazione, con particolare riguardo al secondo motivo proposto, posto che, attesa la natura giuridica di “sanzione”, da riconoscersi alla penale, non era necessaria l’esistenza di un danno di natura patrimoniale per la sua irrogazione (pag. 33 sent.).

E ciò sia in quanto non è tale danno (e la sua liquidazione in via preventiva) il fondamento della penale, sia in quanto è proprio in relazione ad un danno di tale natura che è stata condotta in sentenza la verifica della esistenza di “un danno oggettivo per l’amministrazione” e della sua imputabilità.

Né può essere condivisa la premessa di tale considerazione, secondo la quale “la funzione tipica della clausola penale nel diritto amministrativo non è solo quella di liquidare e limitare preventivamente il risarcimento del danno ma anche quella di rafforzamento del vincolo contrattuale e, pertanto, la stessa non può avere natura e finalità meramente punitive”.

Da quanto precede, consegue, in accoglimento dell’appello proposto, la riforma della sentenza impugnata.

6. L’accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle dogane rende conseguentemente necessario l’esame dell’appello incidentale proposto dalla società concessionaria appellata.

Il Collegio ritiene che anche tale appello debba essere accolto, nella parte in cui con lo stesso si afferma, in sostanza, che la penale è stata irrogata senza che nel periodo di riferimento (2005 – 2008), l’amministrazione, a mezzo dell’apposita commissione tecnica, avesse definito i livelli di servizio e i criteri di rilevazione, calcolo e arrotondamento delle penali relative al Ga., il che ha reso possibile “ora per allora”, l’applicazione di penali.

Occorre, innanzi tutto, rilevare come la sentenza presenti talune contraddizioni in ordine all’accertamento dei presupposti per l’irrogazione della sanzione e, dunque, in ordine alla sussistenza di un effettivo inadempimento del concessionario causativo di danno. Ed infatti:

– per un verso, nel rigettare la tesi dei concessionari, secondo la quale solo dopo l’intervento della Commissione tecnica sarebbe stato possibile l’adempimento dell’obbligo del “gateway”, la decisione afferma che “il livello di servizio è esattamente definito dalla Convenzione e gli elementi forniti dalla commissione . . . incidono esclusivamente sui criteri di valutazione dell’operato ai soli fini della modalità di calcolo dell’importo della penale”;

– per altro verso, al fine di escludere l’ “imputabilità del danno ai concessionari dell’inadempimento alla relativa clausola convenzionale” nonché la “esistenza di un comprovato danno effettivo, la decisione afferma (pp. 28-29) che “l’adempimento relativo al gateway a decorrere dal mese di luglio 2005 non poteva se non presupporre a sua volta la piena operatività della predetta rete telematica”, di modo che “non può pertanto negarsi a priori che la mancata completa funzionalità operativa del sistema nei termini pattuiti abbia avuto riflessi nella fase successiva della conduzione della rete”.

In definitiva, la sentenza, pur negando che il quadro del livello di servizio richiesto fosse divenuto chiaro solo dopo l’operato della Commissione, ha tuttavia affermato che l’adempimento richiesto (appunto il gateway) non era possibile, stante la non piena operatività del sistema.

Ma tale ultima affermazione – ancor più una volta chiarita la natura sanzionatoria della penale – non attesta solo l’impossibilità oggettiva dell’adempimento, ma anche il difetto degli elementi integratori dell’illecito, perché la sanzione potesse essere applicata: non si tratta di non imputabilità dell’inadempimento (pur affermato sussistente), quanto di insussistenza della violazione del precetto.

A quanto ora esposto, deve aggiungersi che effettivamente la commissione tecnica, nominata e convocata solo nel novembre 2008, solo dopo la diramazione delle contestazioni ad opera di AAMS sul mancato presunto rispetto dei livelli di servizio afferenti al ga., ha inciso sulla definizione di questi ultimi.

Giova osservare che il comma 4 dell’art. 27 della Convenzione specifica che “le penali di cui al precedente comma 3, lett. b) verranno determinate ed applicate a partire dal 1 luglio 2005. Entro tale data, un’apposita commissione tecnica, composta da tre esperti estranei ad AAMS, definirà le procedure e i criteri di rilevazione, il calcolo e l’arrotondamento delle penali di cui al comma 3”.

Alla luce di quanto previsto, appare difficile sostenere che quanto definito dalla Commissione fosse qualcosa in più, tale da non incidere sui livelli di servizio da rendersi, e comunque sulle modalità di rilevazione tramite ga. e sulla entità delle penali.

Ed infatti, in primo luogo occorre osservare che la necessità di definizione “completa”, per il tramite dell’operato della Commissione, si evince dalla stessa esplicitata volontà di definizione del lavoro di quest’ultima entro la data a decorrere dalla quale si prevedeva l’applicazione delle penali.

In secondo luogo, come risulta anche dallo stesso appello dell’amministrazione (v. pag. 6), la stessa Commissione ha suggerito, all’esito del proprio operato, di valutare il possibile ricorso a “misure correttive idonee a ricondurre a razionalità amministrativa l’applicazione del sistema sanzionatorio”, qualora l’entità della penale derivante dall’applicazione dei criteri individuati dalla commissione medesima fosse risultata violare i principi di ragionevolezza e proporzionalità. Il che dimostra sia l’incidenza e la novità dei criteri introdotti, sia il difetto di definizione dell’entità della sanzione prima della commissione dell’illecito.

Per le ragioni esposte, l’appello incidentale della società concessionaria deve essere accolto, con conseguente accoglimento del ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed annullamento degli atti con il medesimo impugnati.

7. Le questioni appena vagliate nell’esame degli appelli principale ed incidentale esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante; ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione del giudizio di tipo diverso dalla presente.

Stante la natura e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Agenzia delle dogane e dei monopoli (n. 814/2014 r.g.):

a) dichiara il difetto di legittimazione passiva di So. s.p.a., con conseguente estromissione della stessa dal giudizio;

b) accoglie l’appello principale;

c) accoglie l’appello incidentale della Ga. s.p.a. e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, con conseguente annullamento dei provvedimenti con il medesimo impugnati;

d) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Virgilio – Presidente

Nicola Russo – Consigliere

Sandro Aureli – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere

Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 3 dicembre 2015.

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