Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 25 ottobre 2016, n.4457

L’art. 42-bis, d.P.R. n. 327/2001, risponde ad una finalità di favore per l’espropriato, nella misura in cui sottintende che il valore venale del bene cui la norma si riferisce comprende non solo il valore del suolo occupato, ma anche quello delle opere che su di esso siano state eventualmente realizzate (le quali, ove la p.a. non procedesse all’acquisizione, sarebbero soggette ad accessione a favore del privato in applicazione degli ordinari canoni civilistici).

CONSIGLIO DI STATO

sezione IV

sentenza 25 ottobre 2016, n.4457

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 1458 del 2016, proposto dal signor Luigi ROSATI, rappresentato e difeso dagli avv.ti Enrico Follieri e Ilde Follieri, con domicilio eletto presso l’avv. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18,

contro

il COMUNE DI MALTIGNANO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Ortenzi, con domicilio eletto presso l’avv. Livia Ranuzzi in Roma, viale del Vignola, 5,

per l’annullamento e/o la riforma parziale,

previa sospensione dell’esecuzione,

della sentenza del T.A.R. delle Marche nr. 798 del 6 novembre 2015, notificata dagli appellanti in data 23 dicembre 2015, che, accertata l’assenza di un valido titolo di trasferimento del diritto di proprietà sul terreno degli appellanti nonché la modifica del fondo e la sua utilizzazione, ha accolto i motivi aggiunti ed ha disposto che il Comune deve scegliere tra l’emanazione di un provvedimento ex art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, e l’immediata restituzione del bene, previa riduzione in pristino, nella parte in cui si è stabilito che la liquidazione ex art. 42-bis “deve essere limitata al valore venale del bene al momento dell’emanazione del provvedimento, più eventuali accessori di legge”, e non il valore al momento dell’occupazione attualizzato, escludendo il 5% per ogni anno di occupazione e il 10% per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale del valore venale del bene.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Maltignano;

Viste le memorie prodotte dall’appellante (in data 2 settembre 2016) e dal Comune (in data 1 settembre 2016) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 22 settembre 2016, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Follieri per l’appellante e l’avv. Ortenzi per il Comune di Maltignano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il signor Luigi Rosati, in proprio e quale erede del fratello, signor Angelo Maria Luigi Rosati, ha impugnato in parte qua la sentenza con la quale il T.A.R. delle Marche, nell’accogliere i motivi aggiunti da lui proposti a integrazione di un ricorso originario avente a oggetto la illegittima occupazione di suoli in sua proprietà da parte del Comune di Maltignano, ha stabilito, per l’ipotesi di emanazione da parte del detto Comune di un provvedimento ai sensi dell’art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, che la liquidazione avrebbe dovuto essere limitata al valore venale del bene al momento dell’emanazione del provvedimento, più gli eventuali accessori di legge.

A sostegno dell’appello, l’istante ha dedotto, previe precisazioni in fatto, la violazione del citato art. 42-bis, d.P.R. nr. 327/2001 e l’errore nella valutazione della controversia sotto tre profili: il primo concernente il parametro applicato per il calcolo del valore venale del bene, il secondo attinente al mancato riconoscimento del 10% per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, ed infine il terzo profilo riguardante il mancato riconoscimento del 5% annuo per il periodo di occupazione senza titolo.

L’odierno appellante ha, altresì, chiesto in via cautelare la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

Con memoria depositata il 1 aprile 2016, si è costituita l’Amministrazione appellata chiedendo il rigetto dell’appello e instando per la conferma della sentenza impugnata.

Alla camera di consiglio del 7 aprile 2016, fissata per l’esame della domanda cautelare, questo è stato differito sull’accordo delle parti, per essere abbinato alla trattazione del merito.

In seguito, le parti hanno ulteriormente argomentato le rispettive tesi con il deposito di memorie.

All’udienza del 22 settembre 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Nel 1989 i germani Luigi e Angelo Maria Luigi Rosati hanno stipulato con il Comune di Maltignano un accordo transattivo con cui si impegnavano a rinunciare ad alcuni ricorsi promossi avverso gli atti di procedimenti espropriativi avviati su aree di loro proprietà, mentre il Comune si impegnava a revocare i predetti provvedimenti; inoltre, i signori Rosati si obbligavano a concedere al Comune l’immediata disponibilità delle aree in oggetto, dietro condizione che il Comune, in cambio, approvasse due piani di lottizzazione per le zone omogenee B3 e C3 (in cui ricadevano altri suoli in loro disponibilità).

In seguito, i suoli oggetto della cessione sono stati effettivamente concessi in uso al Comune, il quale ha realizzato su di essi delle opere pubbliche, mentre i signori Rosati hanno ottenuto l’approvazione del piano di lottizzazione B3, ma non anche quella del piano di lottizzazione C3.

1.1. Nel 1996, i germani Rosati hanno citato in giudizio il Comune dinanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, chiedendo l’accertamento dell’inadempimento all’accordo transattivo suindicato e il risarcimento dei danni da questo determinati.

Il Tribunale ha accolto parzialmente il ricorso e, previa C.T.U., ha condannato l’Amministrazione al pagamento a favore dei ricorrenti dell’indennizzo di cui all’art. 2041 cod. civ., in relazione all’indebito arricchimento conseguito dal Comune per effetto della cessione dei suoli non accompagnata dall’approvazione dei due piani di lottizzazione.

La suddetta decisione è stata impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Ancona, la quale, nel qualificare l’accordo intercorso tra i fratelli Rosati e il Comune come accordo sostitutivo di provvedimento amministrativo ai sensi dell’art. 11, comma 1, della legge 7 agosto 1990, nr. 241, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a favore del giudice amministrativo.

La Corte di Cassazione ha successivamente confermato la predetta statuizione.

1.2. Il signor Luigi Rosati, in proprio e quale erede del fratello (nelle more deceduto), ha riassunto il giudizio dinanzi al T.A.R. delle Marche riproponendo in un primo momento le domande avanzate in sede civile, mentre con successivi motivi aggiunti ha chiesto, altresì, la condanna del Comune alla restituzione dei fondi previa riduzione in pristino e, in subordine, la condanna al risarcimento dei danni cagionati dall’espropriazione sostanziale subita.

Con la sentenza oggetto del presente gravame, il T.A.R. ha accolto i motivi aggiunti, imponendo al Comune di scegliere alternativamente tra l’emanazione di un provvedimento di acquisizione ai sensi dell’art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, previa verifica della sussistenza dei presupposti di legge, e la immediata restituzione del bene; per il primo caso, ha stabilito, in considerazione dell’assenza di un’occupazione illegittima, che il risarcimento da liquidare dovesse essere limitato al valore venale del bene al momento dell’emanazione del provvedimento.

Con l’odierno appello, l’originario istante insorge avverso la sentenza suindicata, per le parti da lui ritenute non satisfattive della propria pretesa.

Invero, parte appellante concorda con la prescrizione impartita al Comune dal giudice di prime cure circa l’alternativa tra l’emanazione del provvedimento di c.d. acquisizione sanante o l’immediata restituzione del bene, previa riduzione in pristino; tuttavia, egli censura la sentenza in epigrafe sotto tre aspetti:

– il primo concerne la decisione di prendere a riferimento per il calcolo del valore venale del bene il momento dell’emanazione del provvedimento anziché quello della consegna del bene, attualizzandolo;

– il secondo profilo riguarda l’esclusione del ristoro del 10% per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale;

– infine, il terzo profilo di doglianza si riferisce all’esclusione del risarcimento del 5% annuo per il periodo di occupazione illegittima, a far data dal 15 dicembre 1996, momento al quale l’appellante riconduce l’inizio dell’occupazione sine titulo.

La ricostruzione in fatto che precede, corrispondente a quella ricavabile dagli atti e da quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.

Tanto premesso, l’appello è parzialmente fondato, e merita quindi accoglimento entro i limiti di seguito esposti.

In particolare, è destituita di fondatezza la critica alla decisione del primo giudice di prendere a riferimento per il calcolo del valore venale del bene il momento dell’adozione dell’eventuale provvedimento di acquisizione ex art. 42-bis, d.P.R. nr. 327/2001.

Difatti, ad avviso dell’odierno ricorrente, il T.A.R. avrebbe dovuto ancorare la liquidazione dell’indennità al valore venale del bene al momento della consegna al Comune, attualizzandolo ad oggi, sul rilievo che, contrariamente, si darebbe luogo ad un ingiusto danno per il proprietario, atteso che le aree in questione, secondo la caratterizzazione e la destinazione attuale, presenterebbero un valore inferiore.

5.1. Tale impostazione non appare condivisibile.

5.1.1. Infatti, sebbene il citato art. 42-bis non espliciti la regola per cui il computo dell’indennità va riportato al valore del bene al momento dell’acquisizione sanante, la giurisprudenza è pacificamente orientata in tal senso, come ampiamente rilevato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza del 30 aprile 2015, nr. 71.

In tale sede, si è precisato che “…la norma prevede bensì la corresponsione di un indennizzo determinato in misura corrispondente al valore venale del bene e con riferimento al momento del trasferimento della proprietà di esso, sicché non vengono in considerazione somme che necessitano di una rivalutazione”.

5.1.2. Esclude, inoltre, il Collegio che dall’applicazione del parametro anzidetto possa configurarsi per il privato un ristoro economico svantaggioso, atteso che la disposizione in esame risponde ad una finalità di favore per l’espropriato, nella misura in cui sottintende che il valore venale del bene cui la norma si riferisce comprende non solo il valore del suolo occupato, ma anche quello delle opere che su di esso siano state eventualmente realizzate (le quali, ove la p.a. non procedesse all’acquisizione, sarebbero soggette ad accessione a favore del privato in applicazione degli ordinari canoni civilistici).

5.2. Pertanto, correttamente il giudice di prime cure ha stabilito che l’indennità spettante ex art 42-bis, d.P.R. nr. 327/2001 debba essere computata con riferimento alla data di emissione del provvedimento (ferma restando la precisazione, appena fatta, per cui il valore di mercato va determinato tenendo conto delle caratteristiche attuali del bene e, quindi, anche dell’irreversibile trasformazione del fondo nel frattempo intervenuta).

Invece, è fondata e pertanto meritevole di positiva delibazione la seconda doglianza, relativa alla mancata liquidazione dell’indennizzo pari al 10% del valore venale, con la dovuta puntualizzazione preliminare che tale quantificazione forfettaria è prevista dalla norma per il solo pregiudizio non patrimoniale e non anche per quello patrimoniale, come vorrebbe l’appellante.

6.1. Al riguardo, nella già citata sentenza nr. 71/2015 la Corte costituzionale ha affermato che la somma a titolo di danno non patrimoniale, quantificata in misura pari al 10% del valore venale del bene, costituisce un importo ulteriore, non previsto per l’espropriazione condotta nelle forme ordinarie, determinato direttamente dalla legge, in misura certa e prevedibile, per il quale il privato, in deroga alle regole ordinarie, è sollevato dall’onere della relativa prova.

6.2. Si osserva che, già prima della richiamata pronuncia, una parte della giurisprudenza di merito era orientata nel senso di ritenere che l’art. 42-bis, comma 1, laddove prevede la ridetta voce del 10% per il pregiudizio non patrimoniale, istituisce un meccanismo di liquidazione automatica del citato profilo di danno che prescinde da una specifica allegazione e dimostrazione dello stesso.

6.3. Tale conclusione trova ulteriore conferma nel recente arresto della Corte di Cassazione (sez. un., 25 luglio 2016, nr. 15283), in cui si è affermato – in disparte le questioni di giurisdizione, che qui non rilevano – che l’indennizzo dovuto a seguito dell’adozione del provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42-bis è unitario e ricomprensivo, ai fini della sua integralità, oltre che della voce relativa al valore venale, anche delle voci afferenti al pregiudizio non patrimoniale e all’interesse del 5% annuo per il periodo di occupazione.

6.4. Deve, pertanto, ritenersi superato l’orientamento – peraltro non unanime – secondo cui la previsione dell’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale subito dal proprietario spogliato del proprio diritto, anche nell’ipotesi di cui all’art. 42-bis, non dava luogo ad alcuna automatica attribuzione di una somma a tale titolo, dovendo in ogni caso accertarsi la sussistenza e natura del detto pregiudizio, nonché la sussistenza di un nesso di causalità che consentisse di attribuire il detto pregiudizio all’attività e/o ai comportamenti della p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2013, nr. 76).

6.5. In definitiva, in accoglimento dell’appello in parte qua, la sentenza in epigrafe va riformata nella parte in cui non riconosce l’indennizzo del 10% del valore venale per il ristoro del pregiudizio non patrimoniale, una volta acclarato che la liquidazione della succitata posta è dovuta in via automatica per il solo fatto dell’emanazione del provvedimento di acquisizione sanante, senza la necessità di alcuna prova dell’effettiva sussistenza del danno in questione.

È, altresì, fondata la censura relativa al mancato riconoscimento dell’interesse del 5% annuo sul valore venale per l’occupazione sine titulo.

7.1. Al riguardo, va innanzi tutto rilevato che è priva di pregio l’eccezione di parte appellata secondo cui non è stata formulata alcuna domanda di risarcimento del danno da occupazione illegittima, dovendo la stessa ricondursi alla domanda formulata col ricorso introduttivo del giudizio, non superata in parte qua dai successivi motivi aggiunti.

7.2. Nel merito, dall’esposizione in fatto della vicenda per cui è causa emerge che l’accordo stipulato tra le parti nel 1989 aveva subordinato il trasferimento della proprietà alla condizione sospensiva della previa approvazione delle convenzioni di lottizzazione B3 e C3; la seconda di queste non è mai stata adottata, e conseguentemente la condizione non si è avverata e l’accordo ha perso efficacia con effetto dalla sua stipulazione.

Non può pertanto convenirsi con il giudice di prime cure, laddove ha ritenuto insussistente nella specie un’occupazione illegittima dei terreni, sul semplice assunto che l’apprensione era stata autorizzata dagli accordi del 1989; in tal modo, si è obliterato il rilevante fatto che, per effetto del mancato avveramento della condizione dell’approvazione della lottizzazione C3, l’occupazione dei suoli si configurava come illecita ab origine.

7.3. Così stando le cose, questa Sezione reputa doversi riconoscere all’odierno appellante, in ipotesi di adozione di un decreto di acquisizione ai sensi del più volte citato art. 42-bis, anche la voce del 5% annuo del valore venale per il periodo di occupazione illegittima; con la puntualizzazione che, sebbene – come si è visto – l’illegittimità ricorra fin dal momento iniziale di apprensione dei fondi, l’odierno appellante ha ritenuto di fissare il dies a quo della relativa domanda risarcitoria alla data del 16 dicembre 1996, momento a cui questa Sezione non può che attenersi, per evitare di incorrere nel vizio di ultrapetizione.

In conclusione, alla luce delle argomentazioni svolte, si impone una riforma parziale della sentenza in epigrafe, nei sensi e nei limiti di seguito specificati.

L’Amministrazione comunale, ai fini della determinazione dell’indennità di cui all’art. 42- bis del d.P.R. nr. 327/2001, ove si orienti in tal senso (e non, invece, per la restitutio in integrum che costituisce l’altra opzione posta dalla sentenza impugnata), è tenuta a conformarsi ai seguenti criteri: l’appellante, per effetto dell’eventuale adozione del provvedimento di acquisizione, avrà diritto alla liquidazione di una somma costituita dal valore venale del bene calcolato al momento dell’emanazione del provvedimento de quo, con le precisazioni di cui sopra, nonché, in aggiunta, dal 10% del valore venale (come sopra determinato) a ristoro del pregiudizio non patrimoniale e, infine, dal 5% annuo sul valore venale (come sopra determinato) a far data dal 16 dicembre 1996 per il periodo di occupazione illegittima.

Solo dal versamento della suddetta somma all’espropriato potrà discendere il prodursi dell’effetto ablativo della proprietà.

Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 cod. proc. civ., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: cfr. ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, nr. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, nr. 7663).

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Tenuto conto della peculiarità della vicenda esaminata, e anche della novità delle questioni giuridiche trattate, può disporsi la compensazione delle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e lo respinge per il resto, nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie in parte ulteriore i motivi aggiunti di primo grado, nei sensi e con gli effetti di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa

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