Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 16 giugno 2015, n. 2979
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUARTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8947 del 2014, proposto da:
XXX s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Fe.Sc., con domicilio eletto presso Fe.Sc. in Roma, via (…);
contro
Comune di Summonte, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ro.Ia., con domicilio eletto presso lo Studio Mo. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Campania – Sezione staccata di Salerno: Sezione II n. 01463/2014, resa tra le parti, concernente silenzio serbato dall’Amministrazione su istanza di rilascio dei permessi a costruire relativi al progetto di lottizzazione convenzionata alla località “Cappella”
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Summonte;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2015 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Fe.Sc. e Ge.Te. su delega dell’avvocato Ro.Ia.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
In data 15 gennaio 2014, la società XXX ha inoltrato al Comune di Summonte l’istanza di permesso di costruire n. 137. Il relativo progetto – a suo dire – sarebbe conforme alle prescrizioni del piano di lottizzazione convenzionata per la località Cappelle, approvato con decreto n. 1746 del 10 aprile 2006, vigente al momento, e l’intervento previsto riprodurrebbe quello assentito con precedenti permessi rilasciati nel 2006.
Nella mancata risposta dell’Amministrazione comunale, l’XXX ne ha impugnato il silenzio.
Incardinato il ricorso, il Comune, con nota n. 1510 del 9 maggio 2014, ha risposto alla società di non aver dato corso all’istanza n. 137 a seguito dell’intervenuta adozione di una variante al piano di lottizzazione e di riservarsi il rilascio di una variante al precedente permesso di costruire n. 11 del 2006 una volta emanato il decreto sindacale di approvazione e stipulata la nuova proposta di convenzione.
Sulla base di tale risposta, sia pure tardiva, il T.A.R. della Campania – Salerno, sez. II, ha dichiarato cessata la materia del contendere, condannando il Comune al pagamento delle spese di giudizio sulla base dei criteri della soccombenza virtuale.
La società ha interposto appello contro la sentenza.
L’XXX sostiene che erroneamente il Tribunale regionale avrebbe dichiarato la cessazione della materia del contendere perché, se l’Amministrazione avesse concluso l’iter procedimentale nei termini prescritti, l’eventuale successiva adozione e approvazione della variante (quest’ultima, peraltro, ancora non definita) non sarebbe stata ad essa opponibile e non si sarebbe verificata una lesione dell’affidamento qualificato della parte privata. Nel caso di specie, l’accertamento dell’illegittimità dell’inerzia sarebbe anche pregiudiziale all’accoglimento di un’eventuale domanda risarcitoria. Tale circostanza varrebbe comunque a sostenere l’interesse alla definizione del merito del giudizio, anche al solo fine del risarcimento dei danni, in applicazione del principio generale suscettibile di essere ricavato dalla norma dell’art. 34, comma 3, c.p.a. Peraltro, non avendo la ricorrente ottenuto pienamente per via extragiudiziale il bene della vita cui aspirava, la decisione del T.A.R. sarebbe comunque da riformare.
Tanto premesso, l’appellante ripropone le censure del ricorso introduttivo, volte a far dichiarare illegittima l’inerzia della P.A. per avere omesso di provvedere con atto esplicito alla conclusione del procedimento attivato dall’interessata.
Il Comune di Summonte si è costituito in giudizio per resistere all’appello.
Il Comune riepiloga, dal suo punto di vista, i termini della vicenda: la controparte si dorrebbe di un ritardo di pochi giorni nel rilascio del provvedimento espresso; i permessi di costruire del 2006 non sarebbero mai stati utilizzati volontariamente; sul precedente piano di lottizzazione sarebbero sorti dubbi di illegittimità per essere in parte ricadente su area S.I.C.; ne sarebbero seguiti l’avvio di un giudizio penale e la sospensione dei lavori; presumibilmente al fine di superare le problematiche insorte, la società avrebbe prodotto una variante all’originario piano di lottizzazione, poi adottato con delibera della Giunta comunale n. 41 del 14 aprile 2014.
Aggiunge la parte pubblica che – a norma dell’art. 12, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001- l’adozione della variante avrebbe precluso l’accoglimento dell’istanza, non conforme al nuovo strumento urbanistico, e che l’appellante avrebbe omesso di impugnare – anche ai sensi dell’art. 117, comma 5, c.p.a. – la nota comunale in questione.
Con successiva memoria, la società contesta gli argomenti del Comune: l’accertamento dell’illegittimità dell’inerzia dell’Ente sarebbe pregiudiziale all’accoglimento di un’eventuale domanda risarcitoria; l’Amministrazione avrebbe sempre negato che le opere ricadessero in area S.I.C.; la richiesta di variante, formulata dalla società in data 29 ottobre 2010 e non prontamente istruita dal Comune, sarebbe irrilevante; la mera successiva adozione della variante, in un momento posteriore alla formazione del silenzio-inadempimento, non inciderebbe sulla posizione soggettiva della XXX; l’onere di impugnazione potrebbe sussistere solo riguardo all’eventuale approvazione dello strumento urbanistico; non sarebbe ipotizzabile né la cessazione della materia del contendere né l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, perché l’operato del Comune non avrebbe comportato il venir meno della lite, in quanto la semplice adozione della variante non sarebbe idonea alla soddisfazione dell’interesse dell’appellante.
In definitiva, sarebbe incontrovertibile l’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione per contrasto con gli artt. 20 e 21 del d.P.R. n. 380 del 2001, l’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, i principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa.
Dopo un rinvio, richiesto dall’appellante e accordato il 14 aprile 2015, l’XXX ha depositato una nuova memoria, nella quale ricostruisce i fatti che hanno preceduto la causa, sostiene che mancata utilizzazione dei precedenti permessi di costruire sarebbe dipesa da fattori a lei estranei, nega di avere ricevuto alcune note depositate dal Comune in allegato alla propria memoria difensiva e, come nuove, ne contesta l’ammissibilità in questo grado, insiste infine nelle proprie conclusioni.
Alla camera di consiglio del 14 aprile 2015, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
In via preliminare, la Sezione osserva come la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non sia stata contestata dalle parti costituite, che semmai non convergono perfettamente nell’illustrazione della vicenda presupposta. Per quanto qui interessa, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., tale ricostruzione deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto del presente giudizio.
In primo grado, il Tribunale territoriale ha dichiarato la cessazione della materia del contendere nel giudizio promosso dalla società appellante contro il silenzio serbato dal Comune in ordine all’istanza volta al rilascio di un permesso di costruire, per avere il Comune dato risposta, sia pure tardiva, all’istanza in questione.
La società contesta che sussistano i presupposti per l’adozione di una decisione come quella ora impugnata.
Secondo l’art. 34, comma 5, c.p.a., “qualora nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta, il giudice dichiara cessata la materia del contendere”.
Occorre allora valutare se – come ha ritenuto il T.A.R. – la risposta del Comune, sebbene tardiva (la circostanza è incontestata) sia stata idonea a dare al ricorrente la piena soddisfazione cui questi aspirava.
Ritiene il Collegio che il quesito meriti risposta negativa.
Con il ricorso introduttivo, la società ha chiesto:
l’accertamento dell’illegittimità del comportamento inadempiente dell’Amministrazione;
la dichiarazione dell’obbligo di pronunziarsi in modo esplicito e positivo sull’istanza;
occorrendo, la nomina di un commissario ad acta.
Secondo una recentissima ricostruzione del quadro processuale (Cons. Stato, sez. V, 28 aprile 2014, n. 2184), dalla quale non vi è ragione per discostarsi in questa sede, l’azione avverso il silenzio, prevista dall’art. 31 c.p.a., è concettualmente scindibile in due domande: la prima, di natura dichiarativa, volta all’accertamento, in capo all’Amministrazione destinataria dell’istanza presentata dal titolare dell’interesse pretensivo, dell’obbligo di definire il procedimento nel termine prescritto dalla disciplina legislativa o regolamentare ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990; l’altra, inquadrabile nel novero delle azioni di condanna, diretta ad ottenere una sentenza che condanni l’Amministrazione inadempiente all’adozione di un provvedimento esplicito, previo accertamento della spettanza del bene della vita nei casi in cui venga in rilievo l’esplicazione di in potere discrezionale.
Le due domande, normalmente conosciute nell’ambito di un giudizio unitario in seno al quale l’attività di accertamento è strumentale alla pronuncia di condanna a un facere di stampo pubblicistico, rivelano la loro autonomia nell’ipotesi in cui la sentenza di condanna non risulti più ammissibile o utile ma residui, a fini risarcitori, l’interesse a una declaratoria che stigmatizzi l’illegittima inerzia amministrativa. Tale autonomia viene in rilievo in modo particolare nel caso di specie in cui, nell’atto di appello, la parte ricorrente ha manifestato l’interesse a conseguire una pronuncia dichiarativa della formazione del silenzio anche a fronte del venir meno dell’interesse alla sentenza di condanna alla definizione dell’iter procedurale.
Tanto premesso, si deve reputare che l’improcedibilità del ricorso di primo grado a seguito del sopravvenuto difetto d’interesse conseguente al sopravvenuto esplicito diniego non faccia venir meno l’interesse a conseguire una decisione sull’autonoma domanda di accertamento della violazione dell’obbligo di provvedere entro i termini di legge, nella prospettiva della futura proponibilità di una domanda risarcitoria di cui sussistano almeno potenzialmente i presupposti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 maggio 2012, n. 2916).
A suffragio di tale ricostruzione depone la disciplina dettata dall’articolo art. 34, comma 3, c.p.a., secondo cui “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.
La norma, pur se relativa all’azione di annullamento, esprime una regula iuris, che – riconnettendosi al principio generale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale (così Cons. Stato, sez. I, 18 maggio 2012, n. 2918) e al corollario, che a tale premessa consegue, dell’ammissibilità di azioni di accertamento anche atipiche (Cons. Stato, ad. plen., 29 luglio 2011, n. 15; Id., sez. V, 31 gennaio 2012, n. 472; Id., sez. IV, 9 maggio 2013, n. 2518) – non può che estendersi anche al giudizio avverso il silenzio. Ne deriva che il sopravvenire di un provvedimento di diniego non può ostare alla declaratoria dell’illegittimità procedurale dell’Amministrazione laddove, come nel caso di specie, venga prospettata e sia astrattamente ravvisabile l’utilità di una tale decisione nella prospettiva di un successivo giudizio risarcitorio, ferma restando la riserva a tale separato momento cognitivo della delibazione, sul piano dell’an e del quantum, della domanda risarcitoria.
Semmai, non c’è ancora piena identità di vedute nella giurisprudenza sul punto del se tale declaratoria di illegittimità presupponga o no una domanda o allegazione di parte (per il quadro della questione cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6541).
Peraltro, nel caso di specie il contrasto di orientamenti è irrilevante. Infatti, la parte appellante specifica la propria originaria domanda richiedendo espressamente una pronuncia di accertamento in vista di un’azione per il risarcimento quanto meno del danno da ritardo.
L’appello è dunque fondato e va accolto, con riforma della sentenza di primo grado e accoglimento del ricorso introduttivo, nei sensi appena detti.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza, secondo la legge, e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi esposti in motivazione.
Condanna il Comune soccombente al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida complessivamente nell’importo di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi – Presidente
Nicola Russo – Consigliere
Fabio Taormina – Consigliere
Andrea Migliozzi – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore
Depositata In Segreteria il 16 giugno 2015.
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