Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 30 gennaio 2015, n. 455
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE TERZA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 14 del 2014, proposto da:
-OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Pa.Ca. e Ma.Ca., con domicilio eletto presso Ma.Ca. in Roma, Via (…);
contro
U.T.G. – Prefettura di Caserta e Ministero della Difesa in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI SEZIONE I n. 05410/2013
Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. – Prefettura di Caserta e di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell’ udienza pubblica del giorno 27 novembre 2014 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società ricorrente, aggiudicataria della procedura di affidamento per i lavori di demolizione e ricostruzione solai di copertura del palazzo Salerno, sito in Napoli, aveva impugnato davanti al Tar per la Campania, sede di Napoli, il provvedimento interdittivo antimafia prot. n. 2973/12b.16/ANT/Area 1 del 21 dicembre 2012 adottato dal Prefetto di Caserta, nonché la comunicazione del Ministero della Difesa che, sulla base dello stesso provvedimento, aveva disposto la risoluzione del contratto deducendo motivi di violazione di legge e di eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento dei fatti, sviamento di potere, violazione del giusto procedimento, motivazione errata, perplessità, contraddittorietà, illogicità, atipicità dell’atto, falsità della causa.
Si costituivano il Ministero dell’ Interno e della Difesa, chiedendo il rigetto del ricorso.
Il Tar, quanto all’atto del Ministero della Difesa, riteneva che lo stesso fosse congruamente motivato facendo riferimento per relationem, nel corpo dell’atto iniziale del procedimento di risoluzione, alle informazioni rilasciate dall’autorità prefettizia, non essendo necessario citare testualmente i singoli atti dell’istruttoria.
Quanto al comunicazione della Prefettura di Napoli, dopo avere ricostruito diffusamente i caratteri propri della informativa antimafia come elaborati dalla giurisprudenza amministrativa, evidenziava che, nel caso, non emergevano sintomi di non corretto o illogico esercizio del potere esercitato o di insufficiente istruttoria, né un travisamento in merito alla valutazione dei fatti acquisiti.
Infatti nelle note acquisite agli atti, gli organi investigativi avevano sottolineato che il “direttore tecnico” della società, già dipendente della stessa, era stato coinvolto in un’indagine penale per reati di riciclaggio al fine di favorire il clan egemone sul territorio.
Il fatto che il suddetto “direttore tecnico” fosse uscito dalla compagine sociale non aveva alcun significato nella vicenda, non essendo tale fatto idoneo a sconfessare gli elementi obiettivamente sintomatici di connessione o collegamenti indiziari con la criminalità organizzata risultanti dalle indagini, mentre era evidente il pericolo di infiltrazione diretto a condizionare le scelte di un operatore economico nei suoi rapporti con l’ente pubblico, desumibile dall’inserimento nella struttura societaria di un soggetto chiaramente vicino all’organizzazione criminale dominante sul territorio (clan -OMISSIS), tanto più che il soggetto in questione era avvinto da un duplice legame di parentela con i due soci della società.
A ciò doveva aggiungersi che il medesimo soggetto era stato proposto per l’applicazione di una misura di sequestro di beni, poi annullata in sede di riesame.
Se era vero che il Tribunale del riesame non aveva reperito elementi di collegamento sufficienti ai fini dell’estensione della misura patrimoniale in quanto era stato escluso un collegamento patrimoniale diretto tra il soggetto di cui sopra ed il clan -OMISSIS-, restava implicita e significativa la vicinanza dello stesso nella trama degli interessi economici del “clan dei -OMISSIS-”.
Risultava insignificante la mancanza di una carica formale di gestione della società in capo al soggetto sospettato, in quanto doveva darsi rilievo al pericolo di condizionamento nella gestione societaria, non irragionevolmente dedotto dalla presenza nell’organico della società e dal significativo legame di parentela con i soci.
In sintesi, i plurimi legami familiari ed il contesto societario di riferimento (strutturazione di una rete di società suscettibile di favorire gli interessi economici del clan di riferimento, consentendo agli stessi di ripulire i capitali illeciti) rappresentavano elementi da cui, ragionevolmente, poteva dedursi che sussisteva il pericolo di infiltrazione mafiosa, atteso che la compagine societaria, proprio in ragione dei predetti, persistenti legami economici e familiari, non assicurava assoluta impermeabilità circa possibili pressioni malavitose.
2. – Nell’atto di appello la società ricorrente evidenzia che:
– contrariamente a quanto ritenuto dal Tar il signor M.L. era responsabile tecnico e non direttore tecnico e non aveva poteri decisionali o cointeressenze o poteri di rappresentanza, ma funzioni solo manuali essendo abilitato alla certificazione tecnica di impianti elettrici, inoltre era ed è incensurato;
– lo stesso è stato dipendente della società in maniera sporadica per pochi mesi ogni anno, dal 2005 al 2011;
– non è stato mai socio della società;
– era indagato per fatti (turbativa d’asta) risalenti al 2004, prima che iniziasse il rapporto di collaborazione con l’appellante società;
– la società -OMISSIS- non poteva conoscere la esistenza della indagine penale a suo carico;
– M.L. ha ottenuto il dissequestro dei beni dal Tribunale del riesame;
– non ha un duplice, ma unico rapporto di parentela essendo nipote del titolare della società;
– è stato allontanato dalla società dopo il rinvio a giudizio nel 2011;
– a carico dei soci della -OMISSIS- non sussistono pregiudizi di alcun genere essendo i soci tutti incensurati;
– non risultano frequentazioni sospette né di M.L., né dei soci della -OMISSIS-, anche questi ultimi sono del tutto incensurati ed esenti da pregiudizi.
Si è costituito il Ministero dell’Interno insistendo, con dovizia di argomentazioni, sul rigetto dell’appello e la conferma della sentenza del Tar.
Successivamente la società ha depositato una ulteriore memoria sottolineando che nei confronti di signor M.L. è stato depositato il dispositivo di assoluzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e che tale sentenza cancella con effetto ex tunc il procedimento penale a suo carico sul cui unico presupposto la Prefettura aveva emesso il provvedimento interdittivo.
All’udienza del 15 aprile 2014 la Sezione riteneva necessario acquisire la sentenza del 26.03.20014 n.1469/14 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, di assoluzione del M.L.
In vista dell’udienza di trattazione sono state depositate ulteriori memorie difensive da parte del Ministero dell’Interno e della Difesa e da parte della società -OMISSIS-.
All’udienza del 27 novembre 2014 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. – Il giudizio ha ad oggetto una informativa c.d. tipica emessa in data 17.12.2012, prima della entrata in vigore del nuovo codice antimafia.
Con riferimento a tale interdittiva antimafia, prevista dall’art. 4 del d. lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) questa Sezione (con sentenze n. 5995 del 12 novembre 2011 e n. 5130 del 14 settembre 2011) ha più volte affermato:
– che l’interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;
– che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l’interdittiva prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;
– che tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;
– che, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
– che, anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;
– che di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;
-che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.
2. – Calando tali principi al caso che occupa l’appello non merita accoglimento.
Il punto centrale della interdittiva riguarda la posizione di tale M.L., soggetto indicato come appartenente alla criminalità organizzata, dipendente della società appellante e nipote di M.A., quest’ultimo proprietario, insieme alla moglie, della società ed amministratore unico.
La sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha assolto il M. L. dai reati ascrittigli, tuttavia il fatto che nei confronti del sopradetto M.L. sia intervenuta sentenza di proscioglimento, non è in sé elemento decisivo al fine di ritenere illegittima la informativa prefettizia sia, come si vedrà, in relazione al contenuto della sopradetta sentenza, sia in relazione alla rilevanza degli elementi raccolti dal Prefetto al momento dell’adozione della interdittiva, elementi significativi che, sulla base del principio tempus regit actum, ben giustificavano la adozione della stessa.
Semmai circostanze emerse successivamente potrebbero giustificare una richiesta di aggiornamento della interdittiva, ma non sono idonee ad incidere sulla correttezza della originaria valutazione della Prefettura.
Quanto alla sentenza di proscioglimento, deve considerarsi che con riferimento al capo di imputazione n.26 (turbativa d’asta) si dava atto della esistenza di intercettazioni telefoniche tra l’imputato e -OMISSIS – – OMISSIS- sulla base delle quali il Tribunale ha affermato che “M.L. contribuì alla predisposizione delle buste d’appoggio della turbativa in esame (tra le partecipanti alla gara risulta un’impresa, la -OMISSIS-, avente come amministratore unico lo zio dell’imputato)”.
“Gli evidenziati elementi probatori escludono la possibilità di addivenire ad una pronuncia assolutoria nel merito per la contestazione di cui al capo 26 ; anche in tale caso, tuttavia, deve pervenirsi ad una pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 353 co.II c.p.”.
“Infatti come già detto per R.L. e D’A. M., non emerge alcun elemento di prova che induca a ritenere che M.L. il cui contributo per come emerso dal processo si è limitato alla predisposizione di una o più buste d’appoggio, fosse anche a conoscenza dei rapporti di connivenza tra i sodali e un soggetto preposto all’espletamento della procedura di gara, né vi sono elementi sufficienti a poter affermare che, in concreto, egli avrebbe dovuto prevedere tale circostanza.” “Quanto ai reati di cui al capo 19, pure contestati al M.L., sussistono invece i presupposti di una pronuncia assolutoria nel merito perché manca del tutto la prova del suo coinvolgimento in tali turbative: nessuna impresa a lui riconducibile (neppure la citata – OMISSIS) risulta tra le partecipanti a tali procedure, né vi sono intercettazioni a carico dell’imputato riferibili a tali fatti. M.L. deve pertanto essere assolto dai reati a lui ascritti riferibili al capo 19 per non avere commesso il fatto.”
Concludendo:
– in capo al M.L. è stata accertata la commissione del fatto di turbativa d’asta (capo 26) per il quale non è stato condannato a causa della prescrizione;
– elemento indiziario che ha indotto il Tribunale a ritenere provata la turbativa d’asta consisteva nel fatto che in quella gara partecipava la – OMISSIS-, odierna appellante, il cui amministratore era lo zio dell’imputato.
Deve quindi considerarsi che la sentenza penale invocata, e sulla quale molto ha insistito la difesa dell’appellante, non assume portata risolutiva per escludere la fondatezza della interdittiva ed anzi è significativo il fatto che il reato per il quale il M.L. era imputato e non condannato per intervenuta prescrizione, viene contemplato ora dall’art. 84 co.4 lett. a) del d.lgs. 159/2011 (art. 353 c.p.).
In ogni caso, al momento della adozione della interdittiva e sulla base del già richiamato principio tempus regit actum, era indubitabile che:
– esisteva un procedimento penale in cui M.L., responsabile tecnico della società, rinviato a giudizio nell’ambito del procedimento ”Normandia 2”, rivestiva la posizione di persona sottoposta alle indagini per 416 bis e turbativa d’asta aggravata dall’art. 7 del legge n.203/91 per fatti risalenti al 2004;
– il M.L. era imparentato con l’amministratore unico della società appellante ed ha ricevuto redditi dalla società dal 2005 al 2011;
– la ordinanza del Gip presso il Tribunale di Napoli del 21.6.2010 ha ritenuto sussistere in capo al M.L. gravi indizi di colpevolezza e non ha applicato altre misure quali quelle inerenti la libertà personale solo per la ritenuta insussistenza del pericolo di reiterazione del reato;
– in detto procedimento M.L. era stato rinviato a giudizio, sia per associazione di stampo mafioso, sia per turbativa d’asta;
– esistevano elementi che evidenziavano la contiguità del M.L. con ambienti della malavita organizzata riconducibili al “clan dei – OMISSIS -”.
Né poteva avere rilievo la risalenza nel tempo degli avvenimenti al vaglio del giudice penale (2004) se si tiene conto della natura e del tipo di intrecci del fenomeno mafioso in un contesto geografico particolarmente difficile; ed infatti, come è stato frequentemente rilevato in giurisprudenza, il semplice decorso del tempo non assume un ruolo significativo per ritenere recisi i collegamenti malavitosi, né nel caso in esame assume significato il fatto che il M.L. sia stato alle dipendenze della società per periodi sporadici nel periodo 2005 al 2011 o il fatto che lo stesso risulti incensurato o infine che la -OMISSIS- abbia interrotto ogni rapporto con il medesimo.
E’ ragionevole poi ritenere che la posizione del M.L. nella vita imprenditoriale abbia assunto un peso ben più rilevante di quanto appaia in relazione alla sua qualifica formale, come peraltro chiaramente emerso nel corso del procedimento penale nel quale il giudice ha ritenuto raggiunta la prova che M.L. abbia commesso fatti integranti il reato di turbata libertà degli incanti proprio in una gara pubblica partecipata dalla -OMISSIS-.
3. – Per i motivi suddetti l’appello non merita accoglimento e la sentenza del Tar deve essere confermata.
4. – Spese ed onorari del grado tuttavia in relazione alla peculiarità della fattispecie possono essere compensati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi di …….. manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo – Presidente
Carlo Deodato – Consigliere
Roberto Capuzzi – Consigliere, Estensore
Dante D’Alessio – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Depositata in Segreteria il 30 gennaio 2015
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