Palazzo-Spada

La massima

1. In ordine allo scioglimento per infiltrazioni mafiose, la comunicazione dell’avvio del procedimento non è necessaria, trattandosi di un’attività di natura preventiva e cautelare, per la quale non vi è necessità di alcuna partecipazione, anche per il tipo di interessi coinvolti, che non concernono, se non indirettamente, persone, ma la complessiva rappresentazione operativa dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale. Rileva, al riguardo, il carattere straordinario della misura che, nell’ipotesi di una concreta minaccia ai beni primari appartenenti a tutta la collettività, quali quelli rappresentati dall’ordine e dalla sicurezza pubblica, che lo scioglimento ex art. 143 del d. lgs. 267/2000 è volto a tutelare, giustifica una immediata reazione dell’ordinamento, mediante un intervento rapido e deciso.

2. Nel vigente sistema normativo, lo scioglimento dell’organo elettivo – che, di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata, ha non finalità repressive nei confronti di singoli, bensì di salvaguardia dell’amministrazione pubblica– si connota quale “misura di carattere straordinario” per fronteggiare “una emergenza straordinaria”.

3. La natura dell’atto di scioglimento dà ragione dell’esistenza, oltre che della gravità, dell’urgenza del provvedere, alla quale non può non correlarsi l’affievolimento dell’esigenza di salvaguardare in capo ai destinatari, nell’avvio dell’iter del procedimento di scioglimento, le garanzie partecipative e del contraddittorio assicurate dalla comunicazione di avvio del procedimento.

CONSIGLIO DI STATO

SEZIONE III

SENTENZA 14 febbraio 2014, n. 727

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6855 del 2013, proposto da:  Vincenzo Varone, Armando Mangone, Salvatore Cichello, Vincenzo Nicolasi, Salvatore Vallone, Antonino Fogliaro, Antonio Furci, Domenico Colloca e Fortunato Greco, tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Antonio Torchia, del Foro di Vibo Valentia, con domicilio eletto presso l’Avv. Saverio Menniti in Roma, viale Parioli, n. 74/C/4;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, U.T.G. – Prefettura di Vibo Valentia, in persona del Prefetto pro tempore, tutti rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; Presidente della Repubblica;

nei confronti di

Comune di Mileto, rappresentato e difeso dall’Avv. Gaetano Callipo, con domicilio eletto presso l’Avv. Alessandro Fusco in Roma, via Fulcieri Paolucci de’ Calboli, n. 1; Commissione Straordinaria per la Gestione del Comune di Mileto, in persona del Commissario Straordinario pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; Massimo Mariani, Caterina Minutoli, Giovanni Barilà, appellati non costituiti.

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I n. 04440/2013, resa tra le parti, concernente lo scioglimento del Consiglio comunale di Mileto

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Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Interno e di U.T.G. – Prefettura di Vibo Valentia nonché del Comune di Mileto e della Commissione Straordinaria per la Gestione del Comune di Mileto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2014 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti l’Avv. Torchia e l’Avvocato dello Stato Greco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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FATTO e DIRITTO

1. Gli appellanti in epigrafe indicati, proclamati consiglieri comunali del Comune di Mileto (VB) a seguito delle elezioni svoltesi nel 2009, impugnavano avanti al T.A.R. Lazio gli atti con i quali il Ministero dell’Interno procedeva allo scioglimento del Comune di Mileto ai sensi dell’art. 143 del d. lgs. 267/2000.

2. Con decreto prefettizio del 25.8.2011, reso ai sensi dell’art. 1, comma 4, del d.l. 629/1982, convertito in l. 726/1982, venivano designati i componenti della Commissione di accesso, alla quale veniva conferito l’incarico di svolgere accertamenti mirati a riscontrare la sussistenza di forme di condizionamento e di infiltrazione delle locali consorterie malavitose nei confronti dell’Amministrazione comunale, tali da compromettere la libera determinazione e l’imparzialità degli organi elettivi, il buon andamento dell’amministrazione e il funzionamento dei servizi, con grave pregiudizio per lo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica.

3. La Commissione di accesso, a conclusione della propria attività di indagine, rassegnava le proprie conclusioni al Prefetto.

4. Il Prefetto, ritenuti sussistenti, a suo avviso, i presupposti per l’adozione della misura dello scioglimento previsto dall’art. 143 T.U.E.L., proponeva al Ministro dell’Interno lo scioglimento del Consiglio Comunale di Mileto.

5. Il Ministro dell’Interno recepiva e faceva proprie le conclusioni e la proposta del Prefetto di Vibo Valentia e, nella riunione del 5.4.2012, il Consiglio dei Ministri deliberava lo scioglimento del Consiglio Comunale di Mileto.

6. Infine, con decreto del Presidente della Repubblica del 10.4.2012, veniva disposto lo scioglimento del Consiglio Comunale di Mileto per la durata di 18 mesi, ai sensi dell’art. 143 del d. lgs. 267/2000, con contestuale nomina di una Commissione straordinaria per la gestione del Comune.

7. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. Lazio il Sindaco, Vincenzo Varone, e i consiglieri comunali, meglio in epigrafe indicati, impugnavano il decreto di scioglimento del Consiglio Comunale e tutti gli atti della relativa istruttoria, e ne chiedevano l’annullamento deducendo l’illegittimità di tali atti sotto molteplici distinti profili:

1) la violazione degli artt. 1, 3 e 7 della l. 241/1990, la violazione del giusto procedimento e del principio di partecipazione, la violazione degli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97, 113, 114 e 120 Cost., l’eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto assoluto di motivazione, in quanto gli atti non sarebbero stati preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento né sussisterebbero le ragioni di urgenza che legittimerebbero l’omissione della comunicazione;

2) l’assoluto difetto di motivazione, la motivazione perplessa per la contemporanea deduzione di presupposti di legge tra loro alternativi e, comunque, insussistenti, la mancanza del preliminare requisito dell’accertata diffusione sul territorio della criminalità organizzata di stampo mafioso e l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento; la violazione degli artt. 1 e 3 della l. 241/1990, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 143 T.U.E.L., la violazione del diritto ad una buona amministrazione, la violazione degli artt. 3, 5, 24, 48, 51,97, 113, 114, 120 Cost., l’eccesso di potere per difetto e perplessità della motivazione; la manifesta illogicità; il difetto di presupposto; la carenza di istruttoria, in quanto gli atti impugnati non sarebbero stati adeguatamente motivati, nemmeno per relationem, e sarebbero viziati da perplessità della motivazione, nella misura in cui richiamano sia “collegamenti diretti e indiretti” degli amministratori comunali con la criminalità organizzata sia “forme di condizionamento” degli stessi soggetti, sicché difetterebbe una adeguato accertamento in ordine all’eventuale radicamento, nel territorio del Comune di Mileto, della criminalità organizzata di stampo mafioso;

3) l’insussistenza di tutte le pretese irregolarità dell’attività amministrativa dell’ente e sulla conseguente assenza di compromissione del regolare funzionamento dello stesso, la carenza dei requisiti della univocità e rilevanza e il difetto del nesso eziologico tra le asserite ingerenze della criminalità organizzata e la pretesa compromissione del regolare funzionamento dell’ente, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 143 T.U.E.L., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 50 ss. T.U.E.L., la violazione dell’art. 125 del d. lgs. 163/2006, la violazione degli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97, 113, 114 e 120 Cost., l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e l’erroneità della loro valutazione; il difetto di presupposto; il difetto assoluto di motivazione; la manifesta illogicità; la carenza di istruttoria.

8. I ricorrenti in prime cure assumevano, conclusivamente, che i provvedimenti impugnati si fondavano su ipotesi prive di concreto riscontro e, perciò, sarebbero illegittimi per macroscopica carenza di istruttoria e di motivazione e per mancanza assoluta dei presupposti previsti dalla legge.

9. Si costituivano nel giudizio di primo grado la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno e il Comune di Mileto, concludendo per la reiezione del ricorso.

10. Il T.A.R. Lazio, dopo aver svolto attività istruttoria consistente nell’acquisizione della relazione prefettizia e della relazione della Commissione di accesso intervenute nel procedimento de quo, disattendeva tutte le censure mosse dai ricorrenti e, infine, rigettava il ricorso con la sentenza n. 4440 del 6.5.2013.

11. Avverso tale sentenza proponevano appello gli interessati, lamentandone l’erroneità per aver essa infondatamente disatteso tutte le censure formulate in prime cure, e riproponendo quindi tutte tali censure, e ne domandavano, previa sospensione, l’integrale riforma, con conseguente annullamento degli atti gravati.

12. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio il Ministero dell’Interno nonché il Comune di Mileto, in persona della Commissione straordinaria, chiedendo entrambi di dichiarare l’inammissibilità dell’appello, per la genericità dei suoi motivi, la sua improcedibilità, per la mancata impugnazione del decreto del Presidente della Repubblica del 9.8.2013, recante la proroga dello scioglimento del Consiglio comunale, e nel merito deducendo l’infondatezza dell’appello stesso.

13. Con ordinanza n. 3891 del 3.10.2013 la Sezione, all’esito della camera di consiglio celebratasi in pari data, rigettava l’istanza cautelare, formulata dagli appellanti e intesa ad ottenere la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.

14. Con successiva istanza ex art. 58 c.p.a. gli appellanti, deducendo il sopravvenire di elementi documentali nuovi, riproponevano l’istanza cautelare già respinta.

15. Nella camera di consiglio del 9.1.2014, fissata per l’esame di tale rinnovata istanza, il Collegio, stante la contiguità temporale dell’udienza pubblica del 23.1.2014 fissata per la trattazione del merito, rinviava a tale data l’esame della questione abbinandola al merito.

16. Nella pubblica udienza del 23.1.2014 il Collegio, uditi i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

17. L’appello deve essere respinto.

18. Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, formulata dal Comune di Mileto, il quale ha dedotto che l’atto di gravame difetterebbe della specifica indicazione dei motivi in violazione dell’art. 101 c.p.a.

18.1. L’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, assume il Comune, non può consistere nella rinnovata esposizione delle originarie censure, senza far seguire ad essa la puntuale confutazione di tutte le argomentazioni addotte dal primo giudice a supporto dei convincimenti espresse in sentenza.

18.2. Inoltre, osserva ancora il Comune, quando la sentenza appellata si fonda su una pluralità di motivi di accoglimento, come è avvenuto nel caso di specie, anche in ipotesi di rituale contestazione di uno dei motivi di appello, esso sarebbe comunque inammissibile, giacché l’eventuale riconosciuta fondatezza dell’unico motivo contestato non sarebbe idonea a determinare l’annullamento di una decisione che si fonda su ragioni non censurate.

19. Il motivo deve essere disatteso.

19.1. L’atto di appello, seppur in forma sintetica, ha mosso specifiche censure al ragionamento svolto dal giudice di prime cure, come si evince dalla lettura della sua prima parte (cfr., in particolare, pp. 5-10), per poi procedere alla riproposizione dei motivi svolti in primo grado, analiticamente sviluppati nel loro percorso argomentativo (pp. 10-32).

19.2. Stima quindi il Collegio che il gravame proposto non violi la previsione dell’art. 101, comma 1, c.p.a. per asserita mancanza di specificità nei motivi proposti.

20. Deve essere respinta anche la seconda eccezione preliminare, formulata dal Comune di Mileto, il quale ha dedotto che il ricorso proposto in prime cure sarebbe improcedibile perché gli odierni appellanti non avrebbero impugnato il provvedimento di proroga dello scioglimento del consiglio comunale.

20.1. A confutazione di tale erroneo assunto basti qui osservare che il provvedimento di proroga ripete la sua legittimità dell’originario provvedimento di scioglimento, sicché l’eventuale annullamento dello scioglimento avrebbe efficacia caducante sul provvedimento di proroga, senza che quindi anch’esso dovesse essere oggetto di impugnativa.

21. Venendo ora all’esame dei singoli motivi di appello, reiterativi di quelli disattesi dal primo giudice e integralmente qui riproposti, deve qui analizzarsi il primo, con il quale gli odierni appellanti deducono la violazione delle garanzie partecipative che assicurerebbe loro la generale previsione dell’art. 7 della l. 241/1990.

21.1. Gli amministratori comunali, cessati dalla carica per effetto dello scioglimento disposto, lamentano che non sia stata data loro comunicazione dell’avvio del procedimento avente ad oggetto il decreto di scioglimento impugnato, con conseguente immediato pregiudizio del diritto di partecipazione procedimentale degli stessi.

21.2. Ove ciò fosse stato fatto, come la legge imponeva, gli odierni appellanti, previamente resi edotti, in tal modo, delle ragioni poste a fondamento della emananda determinazione, avrebbero potuto senz’altro apportare, a loro dire, elementi fondamentali per il completamento dell’istruttoria procedimentale.

22. Il motivo è infondato e va respinto.

22.1. La prevalente giurisprudenza di questo Consiglio afferma che, in ordine alla fattispecie in oggetto, la comunicazione dell’avvio del procedimento non è necessaria, trattandosi di un’attività di natura preventiva e cautelare, per la quale non vi è necessità di alcuna partecipazione, anche per il tipo di interessi coinvolti, che non concernono, se non indirettamente, persone, ma la complessiva rappresentazione operativa dell’ente locale e, quindi, in ultima analisi, gli interessi dell’intera collettività comunale (v., sul punto, Cons. St., sez. IV, 22.6.2004, n. 4467).

22.2. Rileva infatti, al riguardo, il carattere straordinario della misura che, nell’ipotesi di una concreta minaccia ai beni primari appartenenti a tutta la collettività, quali quelli rappresentati dall’ordine e dalla sicurezza pubblica, che lo scioglimento ex art. 143 del d. lgs. 267/2000 è volto a tutelare, giustifica una immediata reazione dell’ordinamento, mediante un intervento rapido e deciso (v., inter multas, Cons. St., V, 20.10.2005, n. 5878; Cons. St., sez. V, 4.10.2007, n. 5146).

22.3. In altre parole, nel vigente sistema normativo, lo scioglimento dell’organo elettivo – che, di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata, ha non finalità repressive nei confronti di singoli, bensì di salvaguardia dell’amministrazione pubblica (Cons. St., sez. VI, 13.5.2010, n. 2957) – si connota quale “misura di carattere straordinario” per fronteggiare “una emergenza straordinaria” (Corte cost., 19.3.1993, n. 103; Cons. Stato, sez. VI, 10.3.2011, n. 1547).

22.4. La stessa natura dell’atto di scioglimento dà, quindi, ragione dell’esistenza, oltre che della gravità, dell’urgenza del provvedere, alla quale non può non correlarsi l’affievolimento dell’esigenza di salvaguardare in capo ai destinatari, nell’avvio dell’iter del procedimento di scioglimento, le garanzie partecipative e del contraddittorio assicurate dalla comunicazione di avvio del procedimento.

22.5. Occorre pertanto ribadire, anche in questa sede, che per l’attività amministrativa in questione, stante la sua ratio di straordinarietà, non trova applicazione l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento previsto in via generale dall’art. 7 della l. 241/1990 (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 13.3.2007, n. 2222; Cons. St., sez. VI, 28.10.2009, n. 6657).

23. Il motivo, quindi, deve essere respinto.

24. Con un secondo mezzo di gravame gli appellanti censurano la sentenza del T.A.R. capitolino per aver erroneamente disatteso le censure mosse in prime cure al provvedimento di scioglimento per assoluto difetto di motivazione, motivazione perplessa per la contemporanea deduzione di presupposti tra loro alternativi e, comunque, inesistenti, nonché per mancanza di un preliminare requisito relativo alla accertata diffusione sul territorio della criminalità organizzata di stampo mafioso.

24.1. Si lamenta, in particolare, che gli atti impugnati in primo grado non siano adeguatamente motivati.

24.2. Il difetto di motivazione sarebbe reso ancor più grave dalla circostanza che la relazione del Prefetto conterrebbe numerosi omissis e addirittura tutti i nominativi ivi indicati sarebbero genericamente sostituiti da tre asterischi, sicché sarebbe assolutamente impossibile ricostruire i fatti e le persone in essi coinvolti che, secondo l’Amministrazione, giustificherebbero il disposto scioglimento del Consiglio comunale.

24.3. Non sarebbe stata resa disponibile, essi lamentano, nemmeno la relazione della Commissione di accesso, che dovrebbe essere allegata alla stessa relazione prefettizia e non risulterebbe invece pubblicata né resa altrimenti conoscibile, con la conseguenza che non sono comprensibili neppure i numerosi richiami operati dalla relazione prefettizia nello stesso documento.

24.4. Nel caso di specie sarebbe evidente che l’Amministrazione ha frustrato tutte le fondamentali funzioni garantistiche assicurate dalla motivazione nell’esercizio del potere di scioglimento, dal momento che non ha neppure integralmente pubblicato la relazione del Prefetto, di cui lo stesso art. 143, comma 9, T.U.E.L. impone la pubblicazione proprio al fine di rendere edotti gli interessati delle ragioni dello scioglimento.

24.5. Ne conseguirebbe l’assoluta insufficienza ed inadeguatezza delle pretese motivazioni indicate negli atti impugnati in prime cure, poiché l’Amministrazione non avrebbe proceduto alla piena enunciazione delle ragioni di fatto e alla loro correlazione con le norme di diritto che ne hanno giustificato il contenuto, precludendo agli interessati la possibilità di ricostruire l’iter logico-giuridico che ha determinato lo scioglimento disposto.

24.6. Gli appellanti, ancor più radicalmente, assumono che la proposta ministeriale di scioglimento del Consiglio Comunale di Mileto e l’allegata relazione prefettizia siano irrimediabilmente viziate anche per la perplessità della motivazione, deducendo che entrambi gli atti siano contraddittori in quanto fondati su due situazioni antitetiche e non sovrapponibili, nell’ottica legislativa adottata dall’art. 143 T.U.E.L., e, cioè, l’essere i locali amministratori, da un lato, “collusi con” la criminalità organizzata e, dall’altro, l’essere gli stessi “condizionati dalla” stessa criminalità organizzata.

24.7. Tutti gli elementi addotti dall’Amministrazione a preteso supporto dell’esistenza ora dell’una ora dell’altra delle situazioni alternativamente indicate dalla norma in esame sarebbero, per la maggior parte, privi di concretezza, costituendo pure illazioni, e in ogni caso assolutamente non univoci né rilevanti.

24.8. Nessun rilievo, secondo tale tesi (p. 19 dell’appello), avrebbe la circostanza, presunta e non provata, che tra i componenti della Giunta e del Consiglio e i dipendenti del Comune di Mileto ci siano soggetti con procedimenti penali a carico e altri con frequentazioni con esponenti delle locali consorterie, non essendovi stato alcun accertamento sulla “influenza negativa” degli stessi.

24.9. Resterebbe in conclusione assolutamente indimostrata la concludenza, ai fini di specie, degli episodi menzionati nella relazione prefettizia e il necessario coinvolgimento in essi della “criminalità organizzata di tipo mafioso o similare”.

25. Il motivo è infondato.

25.1. La relazione prefettizia e la relazione ministeriale, diversamente da quanto assumono gli appellanti, danno ampio e dettagliato ragguaglio della grave situazione nella quale versava l’amministrazione comunale di Mileto prima che ne fosse decretato lo scioglimento ai sensi dell’art. 143 del d. lgs. 267/2000.

25.2. Emerge anzitutto, proprio da un’attenta lettura della relazione del Ministro dell’Interno al Presidente della Repubblica e dalla relazione prefettizia, che la realtà economica del Comune, soprattutto se inquadrata nel contesto provinciale caratterizzato da una diffusa condizione di fragilità socio-economica, sia contraddistinta da un relativo benessere e da diverse opportunità di investimento, incrementate negli ultimi anni dall’affermarsi del turismo religioso, legata alla presenza, nella frazione di Paravati, della mistica Natuzza Evolo, oggi deceduta, la cui fama ha oltrepassato i confini regionali e richiamato in zona numerosissimi fedeli.

25.3. In tale peculiare contesto, ha sottolineato la relazione prefettizia, la criminalità locale ha trovato fertile e fonte di sostentamento per il perseguimento delle proprie attività illecite.

25.4. Tanto ha trovato riscontro proprio in alcune recenti indagini condotte dalla magistratura inquirente nei territori limitrofi del centro di Mileto, poiché negli ultimi cinque anni sono state effettuate numerose indagini che hanno consentito di mettere in risalto intromissioni della locale criminalità nelle pieghe del settore economico-commerciale.

25.5. La presenza della criminalità organizzata, si legge ancora nella minuziosa relazione prefettizia, non è nuova nel territorio di Mileto, rientrando esso da tempo e a pieno titolo nel territorio sottoposto all’influenza della cosca dei “Mancuso” di Limbadi, legata al potente clan “Piromalli-Molè” di Gioia Tauro e a tutta la ‘ndrangheta reggina.

25.6. Sotto lo storico dominio della cosca dei Mancuso opera in Mileto e nella zona limitrofa di San Calogero il clan “Pittito-Prostramo-Iannello”, originario della frazione di San Giovanni di Mileto, principalmente dedito alla commissione di reati contro il patrimonio, e proprio in questa frazione il 16.7.2007, all’interno di un bunker e dopo ben nova anni di latitanza, fu tratto in arresto il noto boss Giuseppe Bellocco, esponente di spicco dell’omonimo sodalizio criminale operante nella piana di Gioia Tauro, sì che non appare arbitrario né illogico arguirne, come ben sottolinea la relazione prefettizia, la grande naturalezza con la quale le cosche della Piana si muovono nel territorio di Mileto.

25.7. Recenti sequestri di beni hanno consentito di evidenziare i forti legami tra il predetto clan e quelli della Piana di Gioia, che hanno investito in zona ingenti somme di danaro, avviando attività imprenditoriali finalizzare al riciclaggio dei proventi della attività illecite poste in essere dalle varie consorterie.

25.8. Altre cosche operanti sul territorio sono quella del clan “Galati”, con centro delle proprie attività nella frazione Comparni, e quella della famiglia “Mesiano” nella frazione Calabrò, famiglia resasi autrice, nel corso degli anni ’90 del secolo scorso, di una impressionante serie di efferate rapine sull’autostrada A3, tra le quali quella che culminò, nel 1994, nel famigerato ed esecrando omicidio del piccolo Nicholas Green.

25.9. La relazione prefettizia, nel delineare il generale inquadramento del territorio comunale, non ha mancato di sottolineare che esso, caratterizzato dall’esistenza di una cronica e diffusa violenza, costituisce un humus favorevole alla crescita della criminalità organizzata e, quindi, alle sue tipiche e capillari manifestazioni intimidatorie.

26. Tale essendo il grave e allarmante contesto ambientale del territorio, quale emerge da una piana e attenta lettura della relazione prefettizia nella sua interezza, trasmessa dalla Prefettura di Vibo Valentia e acquisita agli atti del giudizio di primo grado in ottemperanza dell’ordinanza istruttoria del T.A.R. Lazio, non si può seriamente contestare, come invece fanno gli odierni appellanti, che l’istruttoria svolta dalla Prefettura ben abbia messo a fuoco e convincentemente dimostrato, anzitutto, il fertile terreno nel quale alligna la criminalità organizzata nel territorio di Mileto e la sua pervasiva capacità di infiltrarsi, con il proprio potere corruttivo e intimidatorio, in ogni ganglio della locale vita politica, sociale ed economica.

26.1. Proprio all’interno di tale contesto l’analisi svolta dalla Prefettura, sulla base delle indagini demandate alla Commissione d’accesso, ha evidenziato la sussistenza, sotto una pluralità di aspetti, di significative, circostanziate, oggettive e concludenti condizioni di collegamenti che hanno vincolato la vita amministrativa dell’ente locale rendendola succube di dinamiche riconducibili alle mire espansionistiche delle consorterie criminali gravitanti sul territorio.

26.2. Gli accertamenti effettuati dall’organo ispettivo hanno consentito, infatti, di appurare una fitta di rete di parentele dirette e collaterali, di affinità, di contiguità, di connivenze e di assidue frequentazioni di alcuni amministratori locali con numerosi soggetti gravanti da diversi precedenti penali e di polizia, nonché con gli esponenti delle consorterie criminali locali, descritti nella relazione della Commissione.

26.3. Ne emerge, al di là di talune esattezze inevitabilmente connesse alla mole di dati al riguardo acquisiti, un impressionante quadro di parentele, frequentazioni e di influenze dei locali amministratori e, in particolare, dei componenti della Giunta con consorterie criminali del luogo, a partire dal vicesindaco, Armando Mangone, imparentato con la famiglia Galati e più volte segnalato in compagnia di diversi pregiudicati, all’assessore allo sviluppo economico, Antonio Fogliaro, con pregiudizi penali e di polizia, segnalato in compagnia di noti pregiudicati appartenenti ai sodalizi dei Pititto e dei Mesiano, all’assessore al territorio e all’urbanistica, Vincenzo Nicolaci, entrato in giunta in sostituzione dell’ex assessore Furci, più volte segnalato in compagnia dei pregiudicati.

26.4. La relazione prefettizia si diffonde ampiamente sulle parentele, sulle amicizie, sulle frequentazioni di assessori e consiglieri comunali con esponenti, anche di spicco, della malavita locale, evidenziando anche come questo clima di contiguità, se non di promiscuità, con l’onnipresente mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso pervada ogni settore dell’amministrazione comunale, dal suo vertice sino ai suoi uffici esecutivi, gettando una luce sinistra di diffusa e incontrollabile illegalità finanche sui dipendenti dell’ufficio tecnico, costituito, in gran parte, da pregiudicati per reati gravi, come ricettazione, truffa, lesioni personali, o ascrivibili al novero di quelli caratterizzati da condotte arbitrarie e violente.

26.5. In una compagine amministrativa di questo genere, caratterizzata nel suo complesso da evidenti legami degli amministratori con la criminalità e da un clima diffuso e pervasivo di illegalità ad ogni livello dell’amministrazione comunale, la relazione prefettizia ha ben messo in rilievo la differenza che contraddistinguerebbe la figura di Vincenzo Varone, giornalista apprezzato in provincia, la ui candidatura viene presentata come garanzia di legalità e di riscatto per un territorio notoriamente difficile e assillato dalla piaga dei clan mafiosi.

26.6. Tale evidente contrasto, ha sottolineato la relazione, appare funzionale ad una precisa strategia nella quale il Varone, figura onesta e stimata, viene inconsapevolmente ad assumere il ruolo e il simulacro di una conclamata quanto inesistente legalità, da ostentare vanamente all’esterno, un simbolo ingannevole, quale copertura di un sistema fatto di contiguità e connivenze con le consorterie criminali.

26.7. A queste conclusioni la relazione prefettizia perviene sulla base di un’analisi incrociata dei dati a sua disposizione circa i locali amministratori e le varie frazioni del territorio comunale che ospitano le consorterie criminali, secondo una logica ben precisa e definita di spartizione del controllo sul territorio comunale da parte delle cosche.

26.8. La conclusione che la giunta sia stata determinata da logiche spartitorie e di appartenenza territoriale, inscindibilmente legate ad assetti mafiosi e non rispondenti ad autonome scelte del sindaco, trova conferma anche nelle audizioni degli assessori, eseguite dalla Commissione di indagine, dalle quali emerge sostanzialmente come la candidatura del sindaco Varone abbia seguito, e non preceduto, la creazione e l’individuazione del “gruppo” di governo.

26.9. Ne esce così motivatamente e logicamente avvalorata la conclusione, fatta propria dal Prefetto, che la compagine di maggioranza risponda a precisi equilibri e si sia voluto, a giochi già fatti, individuare il Sindaco come velleitaria figura di garanzia, simulacro di legalità apparente verso l’esterno, a copertura di un incontrastata influenza della criminalità sulla vita politica e amministrativa locale, sicché il Sindaco, secondo quanto chiaramente emerge dalla relazione della Commissione di indagine, non appare in grado, in tale consolidato e immodificabile sistema, di assicurare la correttezza e la legalità dell’agire amministrativo, manifestando una pressoché totale incapacità di incidere sulla funzione di direzione e di indirizzo dell’ente.

27. Un complessivo quadro del genere, al di là di singole inesattezze o imprecisioni su specifiche parentele o rapporti, mostra tutta la gravità della situazione nella quale versa l’amministrazione comunale, caratterizzata da entrambe le situazioni tipiche descritte dall’art. 143 del T.U.E.L. e, cioè, sia da notevoli collegamenti diretti e indiretti con la criminalità organizzata sia da forme di condizionamento degli stessi amministratori, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione comunale stessa, come del resto si legge diffusamente nella relazione del Ministero dell’Interno al Presidente della Repubblica.

28. Invano gli appellanti lamentano la presunta contraddittorietà degli atti impugnati nella misura in cui essi si fonderebbero su due situazioni antitetiche e non sovrapponibili, nell’ottica legislativa adottata dall’art. 143 T.U.E.L., e, cioè, l’essere i locali amministratori, da un lato, “collusi con” la criminalità organizzata e, dall’altro, l’essere gli stessi “condizionati dalla” stessa criminalità organizzata.

29. Si tratta di un assunto erroneo e infondato, poiché è ben evidente che le due situazioni non si escludono reciprocamente, secondo un presunto rapporto logico inclusio unius, exclusio alterius, ben evidente essendo al contrario, come ha correttamente rilevato il giudice di prime cure, che il collegamento e il condizionamento, contemplati dall’art. 143, comma 1, del T.U.E.L., sono due situazioni assolutamente compatibili sul piano logico ed anzi spesso compresenti in realtà locali ad alta densità criminale, come quella di cui si controverte, nella quale collegamento e condizionamento sono spesso gli aspetti di una stessa realtà e le espressioni concorrenti di uno stesso clima, fatto nel contempo di connivenze e di intimidazioni, di lusinghe e di minacce, e dove la sola verità che infine emerge, nel preoccupante spaccato della vita amministrativa locale, è l’asservimento della res publica, nell’uno e/o nell’altro modo, a perverse logiche mafiose.

30. Né certo giova agli appellanti invocare, sotto altro e distinto profilo, l’assenza di quei “concreti, univoci e rilevanti elementi” che, ai sensi del medesimo art. 143, comma 1, T.U.E.L., giustificherebbero la contestata misura dello scioglimento del consiglio comunale.

30.1. Tali elementi, al contrario, ben sussistono e sono evidenziati nella relazione prefettizia, sulla scorta degli elementi acquisiti dalla Commissione d’indagine nominata dal Prefetto, sia sulla base di un’attenta analisi dei legami, parentali e/o amicali, intercorrenti tra vari amministratori locali e la criminalità e delle frequentazioni con esponenti, anche di spicco, delle locali ‘ndrine, sia da una più vasta e capillare disamina dell’attività amministrativa dell’ente in alcuni nevralgici settori della vita cittadina e dei servizi pubblici locali.

30.2. La relazione prefettizia elenca dettagliatamente numerose e significative vicende, che lasciano apprezzare in modo concreto, univoco e rilevante, la sussistenza di contiguità dell’amministrazione locale con il mondo delle consorterie criminali.

30.3. Basti qui menzionare tra i numerosi e allarmanti episodi, che non hanno costituito oggetto di analitica contestazione nemmeno da parte degli odierni appellanti, le gravi anomalie riscontrate dalla Commissione nella gestione del servizio idrico cittadino, dovendosi qui ricordare, come fa la relazione prefettizia, che il Comune di Mileto fin dal 1991, a seguito di licitazione privata, affidò in concessione la gestione, il potenziamento e l’estensione dell’acquedotto comunale nonché della rete fognate e pluviale all’impresa “Costruzioni Edili e Stadali s.a.s. di Restuccia & C.”, risultata aggiudicataria.

30.4. Tale impresa, ha rilevato anzitutto la relazione, è stata recentemente destinataria di una informazione antimafia “atipica” rilasciata dalla Prefettura di Vibo Valentia con nota n. 24294 del 23.8.2011.

30.5. Dall’attenta verifica eseguita dalla Commissione, ad esempio, è emerso che l’impresa del Restuccia abbia proceduto con modalità poco trasparenti negli adempimenti previsti dall’atto di concesso, soprattutto per quanto riguarda la formazione delle liste di carico degli utenti del servizio idrico, modalità alle quali hanno corrisposto, peraltro, la totale inerzia, da parte del Comune, nell’attivazione di tutte quelle iniziative amministrative finalizzate al regolare recupero delle somme dovute dai contribuenti ed utenti del servizio, inerzia che ha finito per compromettere la gestione e il regolare assolvimento del servizio stesso.

31. Ben più gravi ombre ed irregolarità sono emerse, poi, da una disamina della gestione dei lavori pubblici e degli appalti, siccome ha documentato la relazione ispettiva, poiché il responsabile dell’area tecnica ha proceduto a numerosi affidamenti diretti di lavori senza l’esperimento di qualsivoglia indagine di mercato e nel totale spregio delle regole che presiedono all’evidenza pubblica.

31.1. Molti di tali affidamenti sono stati fatti in favore delle imprese “Romano Pasquale” e “Romano FOPA”, riconducibili, secondo la relazione prefettizia e sulla base di recenti elementi investigativi emersi in sede di indagini svolti dalla D.D.A. di Catanzaro, alla cosca dei “Mancuso”.

31.2. Gravi ed allarmanti si rivelano, ancora, gli episodi relativi alla progettata discarica di Mileto, in località Fego, sulla quale le cose locali avrebbero appuntato i loro interessi, siccome riferito anche in sede di audizione, da parte della Commissione, del consigliere Dinardo, il quale ha affermato di essere stato allontanato dalla maggioranza a seguito del dissenso manifestato alla costruzione della discarica, voluto dalla compagine amministrativa comunale su pressione delle associazioni criminali.

31.3. La circostanza, riferita alla Commissione dal Dinardo, che nel corso di una seduta comunale relativa all’argomento egli sarebbe stato zittito da un soggetto presente nel pubblico, identificabile in Francesco Mesiano, noto personaggio mafioso condannato per l’omicidio di Nicholas Green, circostanza fermamente contestata dagli appellanti i quali hanno inteso provare che simile episodio mai si sarebbe verificato, nulla aggiunge o toglie di significativo alla gravità indiziaria degli eventi relativi alla progettata discarica di Mileto, siccome accertata o ricostruita dalla Commissione in un quadro complessivo di eventi, connessi alla gestione delle commesse pubbliche, sicuramente concludenti ed allarmanti.

31.4. Anomali e allarmanti sono ancora gli episodi relativi alle pressioni della criminalità organizzata sulla redazione del piano strutturale comunale e alle logiche spartitorie che presiederebbero alla sua formazione, ben evidenziate nella relazione prefettizia, e sul risarcimento del danno riconosciuto dal Comune a Saverio Mesiano, esponente dell’omonima famiglia mafiosa della frazione Calabrò, per il danno lamentato alla propria autovettura, sulla base di un accordo transattivo, implicante il riconoscimento anche di interessi e maggiori spese, senza il previo riconoscimento, in via giudiziale, della fondatezza di tale pretesa, con un sostanziale e del tutto insolito dispendio di risorse pubbliche da parte del Comune non preceduto, come normalmente accade in casi del genere anche ad evitare responsabilità contabili degli amministratori, da una sentenza di condanna e, quindi, da un rigoroso vaglio in sede giurisdizionale delle pretese avanzate dal presunto danneggiato nei confronti dell’ente pubblico.

31.5. Un tale quadro, serio e concludente, conferma ancor di più, laddove ve ne fosse bisogno, la sussistenza di entrambi i presupposti previsti dall’art. 143, comma 1, T.U.E.L.

32. Né ad inficiare simile complessivo panorama di compromissione della gestione comunale, a causa di collegamenti e condizionamenti mafiosi, può certo bastare la prova che l’amministrazione comunale avrebbe riscosso buona (o gran) parte dei tributi locali, seppur con ritardo, come hanno inteso fare gli appellanti producendo, in sede e a conforto della riproposizione dell’istanza cautelare di sospensione della sentenza impugnata, le numerose reversali dei pagamenti ricevuti.

33. Non può pertanto il Collegio che ribadire, anche in questa sede e conclusivamente, quanto già chiarito nell’ordinanza cautelare n. 3891 del 3.10.2013 e, cioè, che nitido e persino appare inquietante, da un’attenta e complessiva lettura degli atti impugnati e di quelli istruttori e, in particolare, nella relazione della Commissione di indagine richiamata nella Relazione del Ministero dell’Interno, un quadro di reiterati, pesanti e perniciosi condizionamenti, da parte di associazioni criminali di stampo mafioso ben radicate nel territorio, sull’amministrazione comunale di Mileto, condizionamenti i quali hanno assunto, nel tempo e grazie alle pressioni e ai favori di alcuni dei locali amministratori, una ripetitività e una pervasività tali da condurre ad una diffusa prassi di illegalità alla base delle scelte politiche, ispirate da logiche clientelari, contiguità e parentele con ambienti mafiosi, e non di rado ad una paralisi della stessa attività amministrativa del Comune nei più svariati settori della res publica affidati alla sua cura.

34. Le puntigliose censure sollevate dagli appellanti anche con il terzo motivo di appello alla sentenza impugnata, imperniate come sono sull’atomistica e riduttiva analisi dei singoli elementi, senza tener conto dell’imprescindibile contesto locale e dei suoi rapporti con l’amministrazione del territorio, non colgono nel segno perché, al di là di talune non inverosimili inesattezze contenute negli atti istruttori, inevitabilmente complessi, e degli omissis imposti dal segreto istruttorio, i quali non hanno comunque impedito di cogliere le recondite motivazioni del disposto scioglimento, indubbio appare che le vicende dell’ente, ben evidenziate e attentamente ricostruite dall’impugnato provvedimento, debbano essere considerate nel loro insieme, come ha ben fatto la sentenza impugnata, perché “solo dal loro esame complessivo si può ricavare, da un lato, il quadro e il grado del condizionamento mafioso e, dall’altro, la ragionevolezza della ricostruzione di quest’ultimo qual presupposto per la misura dello scioglimento del corpo deliberante dell’ente” (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 28.5.2013, n. 2895).

35. La relazione del Ministro dell’Interno al Presidente della Repubblica, pertanto, legittimamente e doverosamente ne ha concluso che le vicende descritte nella relazione prefettizia “denotano una serie di condizionamenti nell’amministrazione comunale di Mileto che, disattendendo ogni principio di buon andamento, imparzialità e trasparenza, hanno compromesso il regolare funzionamento dei servizi con grave pregiudizio degli interessi pubblici”.

36. Ne segue che la sentenza impugnata, nel ritenere la legittimità degli atti con i quali il Ministero dell’Interno, ai sensi dell’art. 143, comma 1, del d. lgs. 267/2000, ha proceduto allo scioglimento del Consiglio comunale di Mileto, appare corretta e immune dai difetti censurati in questa sede, meritando piena conferma per tutte le esposte ragioni.

37. Le spese del presente grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono solidalmente la soccombenza degli appellanti nei confronti del Ministero dell’Interno e del Comune di Mileto in persona della Commissione Straordinaria.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando per l’effetto la sentenza impugnata.

Condanna in solido Vincenzo Varone, Armando Mangone, Salvatore Cicchello, Vincenzo Nicolasi, Salvatore Vallone, Antonino Fogliaro, Antonio Furci, Domenico Colloa, Fortunato Greco a rifondere in favore del Ministero dell’Interno le spese del presente grado di giudizio, che liquida nell’importo di € 4.000,00, oltre gli accessori di legge.

Condanna in solido Vincenzo Varone, Armando Mangone, Salvatore Cicchello, Vincenzo Nicolasi, Salvatore Vallone, Antonino Fogliaro, Antonio Furci, Domenico Colloa, Fortunato Greco a rifondere in favore del Comune di Mileto, in persona della Commissione Straordinaria, le spese del presente grado di giudizio, che liquida nell’importo di € 4.000,00, oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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