Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 12 novembre 2014, n. 5582
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE TERZA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sui ricorsi riuniti
A) – n. 2475/2007 RG, proposto dalla Vo. N.V., con sede nei Paesi Bassi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ri.Tr. ed Al.Fa., con domicilio eletto in Roma, via (…),
contro
il Comune di Parma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dai proff. Sa.Ro. e Gi.Cu., con domicilio eletto in Roma, v.le (…) e
B) – n. 3802/2007 RG, proposto dalla Vo. N.V., come sopra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata,
contro
il Comune di Parma, come sopra rappresentato, difeso ed elettivamente domiciliato,
per la riforma
quanto al ricorso n. 2475/2007 RG, della sentenza del TAR Emilia Romagna – Parma, n. 539/2006, resa tra le parti e concernente l’ottenimento dell’autorizzazione, per l’appellante, per un impianto di telefonia mobile e
quanto al ricorso n. 3802/2007 RG, della sentenza del TAR Emilia Romagna – Parma, n. 347/2006, resa tra le parti e concernente il rigetto dell’istanza attorea per l’installazione in Parma di un impianto di telefonia mobile;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune appellato;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 26 giugno 2014 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Fa. ed altri (…).
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. – Nel territorio comunale di Parma, i gestori di telefonia fissa e mobile presentano al Comune il loro piano annuale per i propri impianti, indicando i siti d’intervento per ciascuno di essi, in una con la relativa documentazione progettuale. Il Comune, ogni anno ed in base ai programmi proposti, approva il piano delle installazioni fisse reputate compatibili, propedeutico al rilascio delle invocate autorizzazioni. Alla Giunta comunale spetta d’approvare il piano comunale, previa acquisizione dei pareri dell’ARPA e della competente ASL, nonché di quelli di conformità urbanistica, edilizia ed ambientale.
Con deliberazione n. 1023/65 del 30 agosto 2004, la Giunta comunale di Parma ha approvato il piano comunale delle installazioni fisse di telefonia mobile, relativo al triennio 2000/2002. Il par. 5) della delibera ha tuttavia stabilito che “ciascun gestore di telefonia mobile possa presentare al Comune di Parma, per i siti oggetto di valutazione negativa, nuova domanda ad integrazione della documentazione prodotta per i programmi annuali 2003 e 2004, entro e non oltre il termine temporale di giorni 60 dalla data di esecutività del presente atto”.
Nell’ambito del piano stesso, però, non è stato previsto, tra i siti puntuali autorizzabili, pure quello dell’edificio sito in Parma, (…). Tanto perché il progetto, a suo tempo indicato per l’inserimento da parte della Vo. N.V., non ha ottenuto il minimo punteggio occorrente per superare il previo vaglio sulla mitigazione dell’impatto visivo. Trattandosi d’un impianto incompatibile e, come tale, non autorizzabile, a detta Società, come ad altri gestori di telefonia, il par. 5) della delibera ha dato però facoltà di presentare una nuova domanda, entro sessanta giorni, allo Sportello Imprese del Comune.
2. – Ciò premesso, detta Società dichiara d’aver proposto un’istanza al Comune di Parma, in data 21 ottobre 2004, per ottenere l’autorizzazione ad installare la stazione radio base GSM – UMTS sul tetto del citato edificio Be., assumendo d’averne inserito il sito nel suo programma per il 2005 (inviato alla P.A. il precedente 29 settembre) ed apportando al progetto originario alcune modifiche per meglio mitigare l’impatto visivo dell’impianto.
Su tal nuovo progetto della Vo. N.V., pur a fronte dei pareri favorevoli dell’ARPA e della competente AUSL, il Comune, anzitutto e con nota del Servizio Industria e imprese del 17 dicembre 2004, le ha reso noto che la trattazione del progetto sarebbe avvenuta nell’ambito del Piano comunale 2000/2002.
Il Comune, poi e con nota n. 16129 del 2 febbraio 2005, le ha comunicato la chiusura dell’istruttoria con la pronuncia dei pareri contrari dell’Ufficio tecnico in data 17 gennaio 2005 e, rispettivamente, del Settore Ambiente in data 4 novembre 2004. In particolare, l’un parere afferma che l’impianto de quo non ricade in zona Attrezzature tecnologiche e non è compatibile con i programmi annuali delle installazioni di telefonia mobile già approvati. L’altro afferma che l’impianto, pur non rientrando tra i siti puntuali di cui alla delibera n. 1023/65/2004, potrebbe esser valutato tra quelli dell’approvando Piano comunale per il triennio 2003/2005, solo in seguito alla cui definizione potendosi accertare se tal intervento non pregiudichi “l’equilibrio ambientale e la configurazione architettonica e panoramica del territorio” e sia compatibile ai fini urbanistici.
Avverso tali atti, l’art. 42-bis del regolamento edilizio comunale, l’art. 193-bis del regolamento di Igiene comunale, l’art. 85 delle NTA del RUE del PRG (laddove richiama l’approvazione del Piano comunale per la localizzazione degli impianti) e, in una con l’art. 67 delle NTA del POC (laddove entrambe dispongono che gli impianti di telefonia mobile siano allocabili solo nelle zone destinate ad attrezzature tecnologiche) è allora insorta detta Società, con il ricorso n. 139/2005 RG, innanzi al TAR Parma. La ricorrente ha colà dedotto: 1) – l’illegittimità del diniego per intervenuto silenzio – assenso ai sensi dell’art. 87, c. 9 del Dlg 1° agosto 2003 n. 259 e dell’art. 8, c. 5 della l. reg. Emilia 31 ottobre 2000 n. 30 e per il mancato uso dell’autotutela; 2) – il contrasto dell’art. 42-bis del REC e dell’art. 193-bis del RCI, in parte qua essi subordinano il rilascio dell’autorizzazione per i singoli impianti all’approvazione del Piano comunale delle installazioni, sia con gli artt. 8 e 9 della l.r. 30/2000 e gli artt. 3, 4 e 8 della l. 22 febbraio 2001 n. 36, sia con gli att. 86 e 87 del Dlg 259/2003, nel frattempo sopravvenuti, donde la necessaria disapplicazione dei due regolamenti; 3) – l’illegittimità di questi ultimi per violazione delle norme sulla semplificazione a favore del servizio di telefonia mobile, per incompetenza dei Comuni in materia di autorizzazioni e localizzazioni di SRB, per violazione del principio di regolazione uniforme dei procedimenti per l’installazione delle infrastrutture di reti mobili, nonché dell’art. 8 della l. 36/2001; 4) – l’illegittimità degli atti gravati e dello stesso Piano comunale per contrasto con le norme regionali sul silenzio-assenso e sulla possibilità di localizzare le SRB anche fuori dalle aree all’uopo previste; 5) – l’illegittimità della statuizione di non rilasciare autorizzazioni fino all’approvazione del nuovo Piano comunale, per contrasto con il principio di legalità degli atti amministrativi; 6) – il difetto di motivazione del diniego impugnato, insufficiente essendo il riferimento alla mancata approvazione di detto piano comunale; 7) – l’illegittimità di quest’ultimo per la sua atipicità e non riconducibilità ad alcuno degli strumenti pianificatori conosciuti nell’ordinamento e l’incompetenza della Giunta comunale al riguardo; 8) – la violazione dell’art. 90 del Dlg 259/2003, in quanto gli impianti di telefonia mobile sono assimilati alle opere d’urbanizzazione primaria e, quindi, risultano compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione comunale sul punto; 9) – l’illegittimità del parere espresso dal Settore Ambiente per falsa applicazione degli artt. 67 delle NTA e 85 del RUE del PRG, in quanto, proprio per tal sua natura, il predetto impianto è da ritenere compatibile con tutte le destinazioni di zona disciplinate dal PRG; 10) – in subordine, l’illegittimità delle testé citate norme comunali, ove si dovessero interpretare nel senso che ammettono l’installazione di tali impianti solo nelle aree destinate ad attrezzature tecnologiche.
3. – Nelle more del giudizio sul ricorso n. 135/2005 RG, la Vo. NV ha proseguito un dialogo con il Comune intimato. Infatti, in un primo tempo (conferenza di servizi del 30 gennaio 2006), quest’ultimo le ha proposto un sito alternativo a quello Be., in particolare quello su un fabbricato universitario esistente in via Kennedy. Su tal nuova localizzazione detta Società, con dichiarazione resa alla c.d.s. del successivo 10 febbraio, non ha inteso accedere, pur se nell’incontro di coordinamento del 12 giugno 2006, essa è addivenuta ad un avviso in parte diverso. Infatti, detta Società, dovendo fornire un servizio UMTS a 64 Kbit/sec indoor, afferma la propria disponibilità a compiere sopralluoghi sul sito di via Kennedy 6/A, “a ovest di Vicolo Santa Maria, in quanto tale area garantirebbe parzialmente il servizio offerto dall’impianto previsto in Borgo Bosazza, che se venissero rispettate le premesse potrebbe quindi venire delocalizzata”.
Nel frattempo, però, detta Società in data 7 marzo 2005 aveva intimato il Comune di Parma, con riferimento alla seduta del 17 dicembre 2004 e con riguardo all’istanza di riattivazione presentata il successivo giorno 20 (dunque, pure per il sito Be.), al rilascio delle autorizzazione per tutti i vari impianti colà indicati.
A seguito dell’inerzia serbata dal Comune stesso, detta Società ha nuovamente adito il TAR Parma, ai sensi dell’art. 21-bis della l. 6 dicembre 1971 n. 1034 e con il ricorso n. 156/2005 RG, chiedendo la condanna della P.A. a provvedere ai sensi dell’art. 8, c. 9-ter della l.r. 30/2000 e dell’art. 87 del Dlg 259/2003, trattandosi di impianti già previsti nel Piano comunale 2000/2002.
Ebbene, l’adito TAR, con sentenza n. 347 del 27 luglio 2006, ha respinto il ricorso n. 139/2005 RG.
Con sentenza n. 539 del 22 novembre 2006, il TAR, avendo constatato che l’interesse colà azionato s’era ristretto al solo sito Be., in parte ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso n. 156/2005 RG e lo ha respinto con riguardo al solo predetto sito. Quest’ultima, per il sito Be., aveva precisato che “lo strumento pianificatorio ha a suo tempo statuito trattarsi di “impianto non compatibile”, onde difetta in realtà un obbligo di provvedere sulla relativa richiesta; che i successivi contatti tra le parti, in sede di conferenza di servizi evidenziano il mero tentativo, del tutto interlocutorio, di ricercare un accordo circa soluzioni alternative, senza perciò allo stato creare alcun effettivo impegno e senza dare luogo a pretese giuridicamente rilevanti; che non è stato neppure comprovato dalla società ricorrente di essersi essa avvalsa della facoltà di cui al punto 5. della deliberazione giuntale di approvazione del piano delle installazioni”.
4. – Appella la Vo. NV, con il ricorso n. 2475/2007 RG in epigrafe, anzitutto contro la sentenza n. 539/2006. L’ appellante deduce in punto di diritto l’erroneità della sentenza: A) – per l’impossibilità di configurare la delibera n. 1023/65/2004 come statuizione escludente definitiva del sito Be., mentre essa delinea un’unica procedura autorizzativa, distinta in più fasi, relativa all’unica programmazione 2000/2002 e riattivata da detta Società in forza del par. 5) della delibera stessa; B) – per l’impegno del Comune di regolare detto sito nell’ambito della programmazione 2000/2002, come s’evince dalla conferenza di servizi del 17 dicembre 2004, dalla nota di convocazione (20 gennaio 2006) di quella poi tenuta il successivo giorno 30 (ove si richiama espressamente l’art. 14 della l. 241/1990) e dalla nota comunale del 20 dicembre 2005; C) – per aver l’appellante chiesto la riattivazione del procedimento per il sito de quo proprio in esecuzione del par. 5) della citata delibera n. 1023. Resiste in giudizio il Comune intimato, concludendo per il rigetto dell’appello.
La Vo. NV, con il ricorso n. 3802/2007 RG, s’appella pure contro la sentenza n. 347/2006, deducendone in punto di diritto l’erroneità perché, oltre a non aver considerato la formazione del silenzio-assenso sulla sua istanza del 21 ottobre 2004 (nonostante i pareri favorevoli dell’ARPA e dell’AUSL), né l’esplicita contestazione dell’illegittimo uso d’un atto di diniego a posto di quello in autotutela, né tampoco la censura ab initio dell’omesso avvio di quest’ultima, non ha tenuto conto di tutti gli articolati motivi dell’impugnazione di primo grado, nonché dei dati istruttori richiesti sull’effettiva copertura di rete nel territorio comunale di Parma. Anche in questo giudizio s’è costituito il Comune intimato, che conclude per l’improcedibilità e, nel merito, per l’infondatezza dell’appello.
Alla pubblica udienza del 26 giugno 2014, su conforme richiesta delle parti, i due ricorsi in epigrafe sono congiuntamente assunti in decisione dal Collegio.
5.1. – I due ricorsi in epigrafe vanno riuniti e contestualmente decisi con la presente sentenza, stante sia la loro connessione soggettiva, sia, soprattutto, l’identità dell’oggetto del contendere, ossia la pretesa dell’appellante d’installare la propria SRB nel sito Be., in b.go Bosazza in Parma, contro l’avviso (espresso e più volte reiterato) del Comune intimato.
5.2. – Va poi integralmente confermata la sentenza n. 539/2006, resa sul preteso silenzio serbato da detto Comune sull’istanza dell’odierna appellante in data 21 ottobre 2004.
Invero, quest’ultima fu proposta per installare tal impianto in tecnologia G. sul tetto del citato edificio Be., attivando così un procedimento autorizzativo ammesso espressamente dal par. 5) della delibera n. 1023/65/2004.
Come si vede ed in base a quanto detto in premessa, il primitivo progetto della stessa appellante risultò escluso, per insufficiente punteggio, appunto in forza della delibera n. 1023/65, dal che l’esercizio della facoltà di cui al citato par. 5). Sicché fin d’ora va disattesa la censura dell’appellante sulla sussistenza d’un unico procedimento autorizzativo suddiviso in più fasi, giacché sul primo progetto la vicenda fu chiusa dalla delibera stessa. Al contempo la c.d. “riattivazione” non è che una nuova e distinta iniziativa procedimentale, concessa sì da detta delibera, ma alla luce di nuove soluzioni tecniche, al fine d’emendare il primo dalle criticità riscontrate (nella specie, per meglio mitigare l’impatto visivo dell’impianto). Il secondo progetto fu a sua volta definito con la citata nota comunale n. 16129/2005, con cui fu chiusa (in senso sfavorevole alla tesi attorea) l’istruttoria con la pronuncia dei pareri contrari dell’Ufficio tecnico e del Settore Ambiente, di talché, per definizione e al di là della configurabilità di silenzi negativi nelle procedure comunque riconducibili all’art. 87, commi 3 e ss. del Dlg 259/2003, nella specie il dedotto silenzio comunque non sussiste più. Tanto per la ben nota ragione per cui, di regola, il decorso del termine stabilito di legge per la formazione del silenzio-rifiuto non comporta di per sé la perdita, in capo alla P.A. procedente, della potestà di statuire sull’affare, onde la sopravvenienza del provvedimento espresso determina l’improcedibilità del ricorso contro l’inerzia (cfr., per tutti, Cons. St., V, 8 marzo 2006 n. 1193).
5.3. – Né a diversa conclusione si deve giungere sol perché vi sarebbe stato l'”impegno” del Comune di regolare il sito Be. nell’ambito della programmazione 2000/2002.
È materialmente vero che tal enunciato fu reso nella conferenza di servizi del 17 dicembre 2004, ma, al netto dell’enfasi che vi mette l’appellante, esso non servì altro che a ribadire l’assunzione del nuovo progetto (e del relativo impianto) nell’àmbito del Piano comunale 2000/2002, anche perché il relativo procedimento era stato previsto proprio da quest’ultimo. Tutto ciò, però, non ha alcun valore dirimente, certo non a favore della tesi attorea, sulla definizione negativa del procedimento stesso, la cui statuizione finale si basò sul contenuto del progetto e sulla sua concordanza materiale con il Piano, i regolamenti comunali e l’art. 87 del Dlg 259/2003.
Né va sottaciuto come tal definizione fosse in sé una pronuncia lesiva della posizione della Società appellante, tant’è che formò oggetto dell’impugnazione ora oggetto del ricorso n. 3802/2007 RG in epigrafe e non risulta esser stata mai revocata in dubbio o ritirata dal Comune di Parma. La serena lettura della nota comunale del 20 dicembre 2005, nonché della nota di convocazione (20 gennaio 2006) della conferenza di servizi poi tenutasi il successivo giorno 30, in disparte la loro posteriorità alla statuizione stessa, esclude ogni volontà del Comune ad autorizzare la SRB sul sito Be.. Invero, l’una non fu che una mera ricognizione di tutte le questioni sugli impianti dei vari gestori, tra cui l’appellante, per i quali il Comune aprì varie trattative per trovare allocazioni alternative, mentre l’altra si limitò a convocare una conferenza di servizi nella quale si propose a detta Società d’ubicare il suo impianto nel fabbricato universitario di via (…).
È appena da osservare che tali vicende sopravvenute sono estranee in fatto alla pretesa formazione del censurato silenzio e, comunque, ove mai fossero definite, al più sarebbero valse nell’àmbito di una programmazione comunale successiva, come chiarì il parere del Settore Mobilità del Comune in data 5 novembre 2004.
6. – Quanto poi alla questione posta con il ricorso n. 3802/2007 RG, questo Consiglio (sez. VI), con l’ordinanza n. 6309/2005, accolse la domanda cautelare dell’odierna appellante, proposta appunto per ottenere la sospensione degli atti impugnati in primo grado.
Tanto perché sia il mancato rilascio dell’autorizzazione alla SRB prima dell’approvazione del Piano comunale degli impianti, sia la stessa previsione di quest’ultimo risultano incompatibili con la normativa nazionale. Inoltre, le esigenze sottese all’art. 8, c. 7 della l.r. 30/2000 (che pone la potestà comunale di porre misure di coordinamento sull’installazione di tali impianti) non possono creare un regime autorizzativo in deroga con detta normativa, specie con quella sul silenzio-assenso ex art. 87, c. 9 del Dlg 259/2003.
Deve fin d’ora il Collegio, prima di passare alla disamina delle questioni dell’appello, dissentire dall’avviso così espresso in sede cautelare, per un duplice motivo. Per un verso, l’istanza originaria dell’appellante fu a suo tempo respinta per insufficienza della soluzione progettuale dal punto di visto architettonico e del decoro urbano, mentre per la successiva il Comune si limitò a far constare la possibilità di prevedere l’impianto nella futura programmazione comunale, oltre a rifiutarlo allo stato perché non ricadente in zona dedicata alle attrezzature tecnologiche. Per altro verso, siffatta programmazione, più che determinare limiti quantitativi indebiti alle SRB, s’appalesa piuttosto porsi nell’alveo integrativo o applicativo in campo urbanistico ed edilizio attribuito ai Comuni dall’ art. 8, c. 6 della l. 36/2001. Nell’un caso, come nell’altro, si tratta d’una potestà comunale più volte riconosciuta come legittima dalla giurisprudenza, sia costituzionale che amministrativa, con l’unica eccezione che la norma regolamentare non detti limiti generalizzati alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile, ma ne disciplini solo il corretto insediamento urbanistico e territoriale, minimizzando altresì l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici (arg. ex Cons. St., III, 23 luglio 2014 n. 3924).
È solo da soggiungere la compatibilità (peraltro affermata dalla stessa appellante nel primo motivo del ricorso al TAR) tra l’art. 87, c. 9 del Dlg 259/2003 e l’art. 8, c. 7 della l.r. 30/2000, visto che il precedente c. 5 va letto (né si vede quale altro significato potrebbe avere, in presenza della norma nazionale) proprio come fonte concorrente dell’istituto del silenzio- assenso.
Ciò posto, il ricorso in epigrafe non può esser condiviso, per le ragioni qui di seguito indicate.
7.1. – Si duole l’appellante che sulla sua istanza del 21 ottobre 2004 si sarebbe formato il silenzio-assenso di cui al ripetuto art. 87, c. 9, sicché la nota comunale del successivo 2 febbraio 2005 è in sé tardiva e al più potrebbe valere come atto d’autotutela, statuito però senza il previo avviso d’avvio del relativo procedimento.
Il TAR ha respinto tal assunto, perché, per un verso, l’atto sopravvenuto alla formazione di detto silenzio non può esser considerato come inesistente e, per altro verso, la deduzione sulla mancata comunicazione è avvenuta soltanto con la memoria depositata il 28 aprile 2006 e non notificata al Comune. L’appellante replica in questa sede d’aver contestato a detta P.A. non già l’inesistenza, ma l’illegittimità d’un diniego successivo alla formazione del silenzio, ossia d’un diniego in luogo dell’autotutela, ferma restando la presenza della predetta deduzione fin dal ricorso introduttivo.
Per vero non è così e, anzi e dalla serena lettura del primo motivo del ricorso al TAR, ben si nota come quest’ultimo non contiene, in modo espresso, la specifica deduzione de qua, che giustamente non è stata presa in considerazione. E ciò nonostante il vizio in essa lamentato originasse da un evento immediatamente lesivo e fosse un argomento se non dirimente, certo essenziale di tal doglianza.
Inoltre, rettamente il TAR evidenzia che l’atto sopravvenuto alla formazione del silenzio, anche nei casi di silenzio-assenso, non solo non è irrilevante, ma interviene a regolare ab imis un assetto di interessi dato. Il senso e la sostanza di detto intervento fanno aggio sulla denominazione dell’atto, quantunque erronea o fuorviante o infelice, nella misura in cui solo essi e non il nomen adoperato sono in grado di ridefinire efficacemente ed in modo completo tal assetto.
Sicché è vera, ma inutile la doglianza dell’appellante per cui essa, in primo grado, volle far constare l’illegittimità e non certo l’inesistenza del diniego. È inutile perché, perlomeno nel primo mezzo del ricorso in epigrafe la censura d’illegittimità s’incentra proprio nella circostanza, per vero nominale, del diniego al posto dell’autotutela (con ogni evidenza, con esito di riforma), come se poi l’effetto d’entrambi non fosse l’identica impossibilità d’accedere al bene della vita invocato. E lo è perché i successivi motivi dei ricorsi, innanzi al TAR ed in questa sede, aggrediscono la coerenza del contenuto sostanziale di tal diniego con le norme, primarie e regolamentari, sull’apprendibilità del bene stesso.
È appena da osservare la scarsa significatività al riguardo della giurisprudenza di questo Consiglio, citata dalla stessa appellante, in conclusione della doglianza in esame. Per vero, la prima delle due citate decisioni (Cons. St., VI, 22 giugno 2004 n. 4355), afferma tout court, ma in poche righe e con riguardo ad una licenza di commercio, che a fronte della formazione del silenzi-assenso, la P.A. può procedere all’annullamento in autotutela dell’autorizzazione così assentita e non adottare un diniego espresso. Più articolata s’appalesa la seconda decisione (Cons. St., V, 17 marzo 2003 n. 1381), per cui, se il diniego esplicito sopravviene alla formazione del silenzio assenso, si ha la “situazione in cui all’assenso tacito fa seguito, in effetti, una rinnovata espressione, stavolta, in via di sostanziale autotutela, del potere di regolazione della materia di cui l’amministrazione è e resta titolare e di cui va comunque verificata la legittimità”. E ciò per la qualità di fictio juris riconosciuta (cfr., per tutti, Cons. St., V, 16 settembre 2011 n. 5165) al silenzio assenso in sé, in virtù della quale questo è considerato espressione di attività provvedimentale (o, per meglio dire, situazione di fatto trattata dall’ordinamento come se fosse stata regolata da tal attività), su cui può essere esercitata ex post la valutazione di legittimità omessa, o non tempestivamente effettuata. Ebbene, nel caso visto dalla Sez. V nel 2003, è apparsa significativa “la decisione della Sezione VI, 21 aprile 1999, n. 494, che ammette la possibilità… di assumere un provvedimento di diniego espresso pur dopo la formazione del silenzio-assenso, ma ciò nei soli limiti in cui detto provvedimento possa valere quale sostanziale esercizio dei poteri di autotutela”.
Si deve rammentare altresì un più recente arresto della Sezione (cfr. Cons. St., III, 23 dicembre 2011 n. 6810), in virtù del quale la c.d. “revoca” del silenzio-assenso serbato dalla P.A. sull’istanza del privato ben può esser motivata solo esponendo quelle considerazioni e valutazioni che, ove fossero state svolte al momento debito, avrebbero condotto al diniego. Al più, ma non è questo il caso per il breve tempo intercorso tra i diversi eventi, si potrà riconoscere un certo aggravamento dell’onere di motivazione, limitatamente al profilo della comparazione degli interessi, ove mai sul silenzio-assenso si siano già formati affidamenti tutelabili.
7.2. – Lamenta ancora l’appellante che il TAR ha reso un giudizio favorevole sui regolamenti del Comune di Parma, laddove prevedono la formazione del Piano delle installazioni di telefonia, sulla scorta dei programmi presentati dai gestori ai fini del futuro rilascio delle autorizzazioni.
Giova fin d’ora precisare che il predetto Piano è espressamente previsto dall’art. 8, c. 2 della l.r. 30/2000, oltre a costituire un documento che regola gli interessi, di rilevanza pubblica, alla capillare copertura del servizio di telefonia mobile con le esigenze d’un ordinato insediamento delle SRB sotto i profili paesaggistici ed ambientali. Al riguardo, la Sezione da ultimo ha fatto presente (cfr. Cons. St., III, 28 marzo 2014 n. 1494; id., n. 3924/2014, cit.) che la potestà autorizzativa comunale investe l’impianto di telefonia nelle sue componenti strutturali, con verifica del suo impatto sul territorio e della sua compatibilità ambientale e sanitaria. Sicché i regolamenti comunali non hanno titolo a coinvolgere l’attività di telecomunicazione, che trova il suo legittimo ed unico presupposto nell’autorizzazione generale di telecomunicazione (in esito alla scelta selettiva nazionale del gestore di telefonia mobile), né per limitare o vietare in modo generalizzato e tali da non consentire la diffusa localizzazione sul territorio del relativo servizio pubblico.
Tutto questo, però, quando detto potere sia rivolto agli aspetti collegati con la salute umana, giacché tali interessi sensibili sono già valutati dagli organi statali a ciò deputati (cfr., così, Cons. St., III, 19 marzo 2014 n. 1361), mentre per gli interessi urbanistici ed ambientali generali, dunque al di là della singola autorizzazione ex art. 87, c. 1 del Dlg 259/2003, può provvedere il Comune con i propri regolamenti. La Sezione ha chiarito (cfr. Cons. St., III, 5 febbraio 2013 n. 687; id., 10 luglio 2013 n. 3690) che “la potestà assegnata ai Comuni dall’art. 8, comma 6, della legge quadro 36/2001, deve tradursi nell’introduzione, sotto il profilo urbanistico, di regole a tutela di zone e beni di particolare pregio ambientale, paesaggistico o storico-artistico (ovvero, per ciò che riguarda la minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, nell’individuazione di siti che per destinazione d’uso e qualità degli utenti possano essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche), ma non può trasformarsi in limitazioni alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni del territorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa (cfr. Cons. Stato, III, 4 aprile 2013, n. 1873)”.
Immune da critiche appare allora al Collegio l’impugnata sentenza dove afferma che il Piano delle installazioni “che contempera l’esigenza di copertura del servizio sul territorio comunale con quella pianificatoria di un corretto insediamento degli impianti – per lo più di rilevante impatto urbanistico e ambientale – oltre che con l’esigenza di minimizzare l’esposizione degli abitanti ai campi elettromagnetici, assicurando nel contempo ai gestori uniformità di trattamento in sede di vaglio congiunto delle relative richieste…”.
Invero, sfugge al Collegio in che cosa tal assunto del TAR si discosti non solo dalle norme invocate dall’appellante, ma anche dagli arresti testé citati, posto che il predetto Piano al contempo risponde alla regola dell’art. 8, c. 6 della l. 36/2001 ed al contemperamento razionale, equilibrato e paritario tra le iniziative personali dei gestori e gli interessi sensibili della collettività. In altri termini, il Piano è il contenitore in cui in modo collaborativo tra tutti i soggetti coinvolti sono ordinate le iniziative manifestate nei programmi che i gestori propongono ai fini della localizzazione e della potenza trasmissiva dei loro impianti. Esso s’informa in tal modo a criteri di razionalità dell’azione della P.A. in materia, rispetto alla tutela delle esigenze collettive, quando individua siti che per destinazione d’uso, pregio peculiare e qualità di utenti insediati posseggono caratteristiche di sensibilità rilevante, di cui lo sviluppo delle infrastrutture di rete deve tener conto. E ciò sia con riguardo alle immissioni radioelettriche, sia agli interessi di un’ordinata ed armonica espansione di infrastrutture di rete per telecomunicazioni rispetto ai bisogni collettivi sottesi alla vita ed allo sviluppo urbano.
A parte che l’art. 85 del RUE del PRG di Parma rinvia al Piano stesso, in ciò risiede la differenza tra quest’ultimo e le norme del regolamento urbanistico ed edilizio, ché l’uno serve a programmare gli insediamenti e le altre a dettare le regole di costruzione di essi, con la doverosa precisazione che queste hanno senso solo se esprimono rilevanti e concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio.
Anzi, appunto perché occorre la predetta collaborazione, il sistema pone una correlazione speculare tra la pianificazione comunale e l’autotutela, da un lato ed il silenzio-assenso e l’assimilazione degli impianti de quibus alle opere di urbanizzazione primaria (sulle implicazioni di tal istituto cfr., p. es., Cons. St., III, 15 gennaio 2014 n. 119), dall’altro. Il silenzio-assenso è il metodo di superamento di ogni ostruzionismo non collaborativo, più o meno simulato con il Piano, o del malinteso ed abusivo utilizzo di esso ultra vires (e, dunque, non esimente della responsabilità del Comune), ma non può forzare la legittimità delle scelte pianificate. Infatti, come non è legittimamente possibile la totale soggezione del rilascio dell’autorizzazione a una qualunque valutazione di gradimento del Comune ancorché espressa nel Piano, così non potrebbe sfuggire al controllo del Comune, anche ex post, un’interpretazione del silenzio-assenso per una qualunque iniziativa egoistica del gestore, che tendesse a considerare tutti gli interessi sottesi al Piano come inesistenti o irrilevanti intralci. Si può allora chiamare virtuosa quella pianificazione che agevoli e coordini la localizzazione degli impianti secondo una visione ordinata ed organizzata (se del caso, pure gerarchicamente) di tali interessi, non certo quella che la impedisca mercé l’uso strumentale di criteri localizzativi e di standard urbanistici.
Da un lato, questi ultimi devono solo limitare l’impatto negativo visivo e paesaggistico, in particolare (per la peculiare natura delle SRB) sul territorio; dall’altro, devono tener conto pure del testé citato art. 86, c. 3 che assimila tutte le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria. Dal che si ha certo la loro compatibilità con qualunque destinazione urbanistica, ma non anche o non per forza la loro prevalenza sui prescrizioni o vincoli paesaggistici ed ambientali. Il principio della c.d. “indifferenza urbanistica” degli impianti in parola non osta a che i Comuni regolino l’uso del loro territorio, a condizione, appunto, che le regole di conformità urbanistica, paesaggistica, ambientale e di tutela dei siti sensibili non si traduca in spuri ostacoli o in indebiti impedimenti allo sviluppo della rete di telecomunicazione (come già a suo tempo disse Cons. St., VI, 16 novembre 2006 n. 5591)
Da ciò discende la concordanza sia della pianificazione con i regolamenti edilizi e con gli strumenti urbanistici di Parma, sia di quest’ultima con le fonti primarie ricordate, ché, come correttamente ricorda il TAR, posto che nella specie la fissazione di regole d’insediamento rigorose, con riguardo ai siti più sensibili, è scelta non solo non arbitraria, ma neppure eversiva del sistema positivo.
Resta così assorbito il settimo motivo del ricorso in epigrafe.
7.3. – Inoltre non dura fatica il Collegio a constatare taluni e non sempre giustificati ritardi, da parte del Comune, nell’approvazione di detti Piani, ma non per ciò solo si può legittimante concluderne per un’interpretazione eversiva.
Il Piano dev’esser sì tempestivo, ma pure atto a garantire non il singolo richiedente per un dato anno, bensì il paritario ed equilibrato accesso di tutti i gestori alle risorse di localizzazione e di potenza trasmissiva ammissibili nell’arco di tempo considerato.
La censurata vicenda, per cui talune autorizzazioni non sono rilasciate, da parte del Comune per mancata approvazione del Piano, in realtà s’appalesa un falso problema. Infatti, il sistema pone il rimedio appunto attraverso il silenzio-assenso: una volta che il programma del gestore si traduca in un progetto specifico, al Comune non resta che regolare la fattispecie singola approvandola o respingendola ove siano coinvolti interessi sensibili. Tanto alla luce dei programmi proposti da tutti i gestori, affinché il Comune abbia il quadro completo dei piani di sviluppo della rete di telefonia mobile, da regolare attuando criteri e metodi razionali, trasparenti e non discriminatori, ai sensi dell’art. 86, c. 1 del Dlg 259/2003. Decorso, però, il termine di legge ed in presenza di un’istanza completa e conforme a legge, si forma il silenzio-assenso ed al Comune non resta di reprimere tal assetto così determinatosi se non in via d’autotutela (in base ai criteri dianzi esposti), secondo le linee elaborate nel Piano vigente.
E si badi: in Emilia-Romagna la competenza spetta ai Comuni, anzitutto alla luce del riparto di funzioni tra i diversi livelli di governo, secondo il criterio sancito dalla l. 36/2001. È affidato allo Stato di stabilire le soglie di esposizione, ai fini di un efficace sistema di radioprotezione, mentre le Regioni ed i Comuni hanno il compito di porre le norme sulla regolazione e, rispettivamente, di regolare l’uso del territorio, per il combinato disposto dell’art. 8, c. 4 della l. 36/2001 e dell’art. 8, c. 2 della l.r. 30/2000. In particolare, quest’ultima disposizione affida appunto ai Comuni regola la potestà di piano, che va letta in una con il successivo c. 7, che dà sostanza al coordinamento delle richieste di autorizzazione dei diversi gestori, “al fine di ridurre l’impatto ambientale e sanitario nonché di favorire sia una razionale distribuzione dei nuovi impianti fissi di telefonia mobile, sia il riordino delle installazioni esistenti e l’utilizzo delle medesime strutture impiantistiche nella realizzazione di reti indipendenti”. Già a suo tempo questo Consiglio (v. Cons. St., VI, 21 giugno 2006 n. 3764) precisò come fosse consentito a Regioni e Comuni, ciascuno per la sua competenza, introdurre i criteri localizzativi degli impianti di telecomunicazione, nell’ambito della funzione di definizione degli obiettivi di qualità ai sensi dell’art. 3, c. 1, lett. d) e dell’art. 8 commi 1, lett. e) e 6 della l. 36/2001, individuando sì i siti sensibili dove NON allocare le SRB, compresi gli immobili vincolati o di peculiare pregio, parchi pubblici, parchi giochi, ecc.) e dettando criteri distanziali concreti, omogenei e specifici, ma non anche misure di cautela distanziali generiche ed eterogenee.
Ebbene, anche in questo caso, la corretta interpretazione delle tre norme citati e dei principi indicati dalla giurisprudenza impone non la prevalenza di un interesse purchessia dell’ente su quelli dei gestori allo sviluppo della rete di telecomunicazioni o viceversa. A ben vedere, infatti, dalla lettura delle norme stesse, che implicano comunque un continuo aggiornamento dei criteri d’installazione con il divenire del progresso scientifico e delle nuove tecnologie, si evince come fare correttamente una pianificazione virtuosa, di cui s’è fatto cenno poc’anzi e che è preordinata al coordinamento collaborativo tra gli interessi in campo.
7.4. – Passando poi alla disamina delle ragioni concrete dell’impugnato diniego, è materialmente vero (sesto motivo) che esso si basa anche, ma non solo, sull’incompatibilità con i programmi già approvati degli impianti di telefonia mobile.
Ma pure quest’ultima è vera, giacché l’intervento sul sito Be. non fu già a suo tempo inserito tra i siti puntuali e, nonostante l’uso della procedura speciale ex par. 5) della delibera n. 1023/65, il suo progetto non supera le criticità riscontrate.
Queste ultime si incentrano propriamente, più che sul mancato inserimento, sulla circostanza che la SRB non ricadeva in zona Attrezzature tecnologiche ex artt. 67 e 85 del RUE comunale e che si sarebbero dovuti inserire il progetto ed il relativo programma nell’àmbito del Piano per il triennio 2002/2004. Entrambe le situazioni non furono attuate dall’appellante con l’istanza del 22 ottobre 2004, che ottenne sì i pareri sanitario (AUSL) e ambientale (ARPA), ma non anche la compatibilità urbanistica. Tali impianti debbono esser sì allocati in tali zone, le quali, però, servono ad insediare proprio le opere d’urbanizzazione primaria corrispondenti alle reti tecnologiche, ai relativi impianti ed alle imprese che li gestiscono. Dal canto suo, l’art. 85 chiarisce come, per un verso, sia ammesso installare gli impianti di telefonia mobile solo nelle zone in cui non sussistano i divieti di cui alla l.r. 30/2000 e, per altro verso, spetti al predetto Piano d’individuare le zone, che così sono classificate zone per attrezzature tecnologiche, qualora gli impianti abbiano carattere di stabilità ed insistano su aree autonome. Il che è come dire che, essendo tali impianti assimilati alle opere di urbanizzazione primaria, essi vanno allocati nelle zone a ciò deputate, le quali, però, non coprono una singola e separata porzione del territorio comunale, bensì si rinvengono in tutto il territorio stesso e, man mano che procede l’aggiornamento della pianificazione, tende alla capillare copertura c.d. “a nido d’ape” di questo territorio, secondo l’esigenza propria della tecnologia U..
Non si ravvisa dunque la censurata carenza di motivazione al riguardo, essendo mera petizione di principio che il sito Be. sia collocato, o no, in un’area sensibile, nonché il rigetto pure dell’ottavo e del nono motivo del ricorso in epigrafe.
Quanto al decimo motivo, non pare che le citate norme del RUE siano in sé irrazionali o in patente contrasto con l’art. 8 della l. 36/2001 e dell’art. 9 della l.r. 30/2000, ché le une non vietano in modo categorico, al di fuori dei divieti di legge, l’insediamento di detti impianti in una certa area, anziché in un’altra, rendendo possibili lo strumento urbanistico la creazione di zone ad hoc per gli impianti singolari, corridoi tra le zone e costruzioni a confine con le altre.
In ordine, poi, all’istruttoria espletata a cura del locale Ispettorato dell’allora Ministero delle comunicazioni, per espresso ordine del TAR e su delega e per conto dell’ARPA, non ha motivo il Collegio di discostarsi, anzi condivide le conclusioni della relazione tecnica di detto Ufficio sulla necessità di capillare copertura di rete in tecnologia UMTS. La relazione, a ben vedere, conclude nel senso che la predetta copertura non si può limitare alle sole aree poco o non abitate e deve investire anche aree popolate e densamente edificate. Tutto ciò, non dimostra comunque per qual motivo si renda indispensabile, come diretta e necessaria conseguenza della relazione stessa e contro ogni diverso avviso, la localizzazione dell’impianto attoreo solo nel sito Be. e non anche altrove. Dal che la sostanziale irrilevanza d’una valutazione al contempo ovvia e generica, che non è in grado d’apportare un serio e dirimente argomento per il rilascio dell’invocata autorizzazione.
8. – In definitiva, i ricorsi in epigrafe, qui riuniti, vanno respinti, ma la complessità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – sez. III – definitivamente pronunciando sui ricorsi n. 2475/2007 RG e n. 3802/2007 RG in epigrafe, previa loro riunione, li respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 26 giugno 2014, con l’intervento dei sigg. Magistrati:
Carlo Deodato – Presidente FF
Angelica Dell’Utri – Consigliere
Hadrian Simonetti – Consigliere
Dante D’Alessio – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore
Depositata in Segreteria il 12 novembre 2014.
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