In relazione agli atti prodromici che devono essere adottati da altre Amministrazioni ovvero dagli enti locali o, in generale in relazione a procedimenti che devono essere gestiti dai detti enti, il controllo operato dal GSE ha carattere meramente formale

Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 14 maggio 2018, n. 2859.

In relazione agli atti prodromici che devono essere adottati da altre Amministrazioni ovvero dagli enti locali o, in generale in relazione a procedimenti che devono essere gestiti dai detti enti, il controllo operato dal GSE ha carattere meramente formale, ossia di verifica della sussistenza del titolo, non potendosi spingere sino alla verifica della legittimità dello stesso a pena di stravolgimento del riparto di competenze fissato dal legislatore. Una opposta conclusione porterebbe a ritenere che il GSE operi quale Amministrazione sovraordinata rispetto a quelle che concorrono a rilasciare i titoli necessari per l’ammissione alle tariffe incentivanti. Tale esegesi, non sostenuta da una disposizione espressa di legge (che avrebbe chiaramente indole eccezionale), risulterebbe oltretutto in contrasto con i valori e i principi presidiati dagli artt. 5 e 118 Cost. Il GSE, pertanto, si deve limitare a verificare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 42, commi 1 e 2, cit. e 4, co. 2, lett. c), d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, l’esistenza del titolo autorizzativo, non potendo, invece, sindacare la legittimità e conseguentemente l’efficacia dello stesso. Pertanto, qualora il GSE dubiti della legittimità di un atto rilasciato da altra amministrazione deve interloquire con quest’ultima, invitandola ad esercitare i propri poteri di controllo e a trasmettere tempestivamente l’esito degli accertamenti effettuati.

Sentenza 14 maggio 2018, n. 2859
Data udienza 22 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2450 del 2017, proposto dalla società An. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Sa. Ma. ed Er. St. Da., con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via (…);

contro

Ge. dei Se. En. – G.S. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ar. Po., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Lazio (Sezione Terza), n. 1099 del 23 ottobre 2017, resa tra le parti, concernente:

a) declaratoria di nullità e/o annullamento:

a1) del provvedimento di diniego adottato dal Ge. dei Se. En. – G.S. s.p.a. (in prosieguo GS.) in data 10.06.2013 con il quale è stata rigettata l’istanza di riconoscimento della qualifica di “impianto alimentato da fonti rinnovabili (IAFR)”, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del d.m. 18 dicembre 2008 per l’impianto eolico denominato “RE.”;

a2) in parte qua, dell’art. 3 del “Regolamento sui termini dei procedimenti di competenza del GS.”;

b) conseguente riconoscimento di diritto alla qualifica IAFR dell’impianto eolico della An. s.r.l.;

c) condanna del GS. a rilasciare il provvedimento di qualifica dell’impianto ai sensi dell’art. 34, c.1, c.p.a.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ge. dei Se. En. – G.S. S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2018 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Fr. Sa. Ma. e Ar. Po.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Da tutta la documentazione versata in atti emerge, in fatto, quanto segue:

a) la società Wi. Bi. presentava in data 26 febbraio 2008 una d.i.a. al Comune di (omissis) per la realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica, in località (omissis) – F. (omissis) particella (omissis) di potenza inferiore a 1MW; tale d.i.a. rimaneva inseguita;

b) successivamente la detta società cedeva i propri diritti alla società Te. che a sua volta li cedeva alla società Ma. a.r.l., che in data 29 luglio 2010 presentava una variante alla detta d.i.a. avente ad oggetto lo spostamento dell’impianto sul sito individuato dal Foglio n. (omissis), particella n. (omissis) del Catasto terreni del Comune di (omissis);

c) in data 30 luglio 2010 il Comune di (omissis) rilasciava nulla osta rispetto alla detta variante, comportante la citata delocalizzazione. Il detto nulla-osta veniva rilasciato dall’amministrazione comunale: “considerato che la delocalizzazione comporta…la rinunci al principio di prevenzione…che la variante progettuale è migliorativa come rendimento energetico e la delocalizzazione è condivisa in toto da questo Ufficio Tecnico per via dell’accertata interferenza con l’impianto dell’ATS Energia Valle, inoltre si evita l’effetto selva contrastato dal regolamento regionale n. 16 del 4 ottobre 2016…che ad eccezione della classificazione dell’area in PG1 non vi sono vincoli ostativi a livello urbanistico”;

d) in data 28 novembre 2011 la società Ma. a.r.l. avanzava istanza di riconoscimento della qualifica di impianto alimentato da fonti rinnovabili (IAFR) denominato “Re.”;

e) in data 30 maggio 2012 il GS. adottava provvedimento di diniego ritenendo che la variante alla d.i.a. del 26 giugno 2008 comportasse una modifica sostanziale da autorizzarsi mediante autorizzazione unica ex art. 12, d.lgs. 387/2003 (questo provvedimento veniva autonomamente impugnato innanzi al T.a.r. Lazio dalla Ma. s.r.l., dante causa dell’odierna ricorrente, con ricorso n. 7223/12 r.g.);

f) in data 16 novembre 2102 l’odierna appellante, subentrata alla società Ma. a.r.l., presentava nuova domanda di riconoscimento della qualifica di impianto alimentato da fonti rinnovabili (IAFR) (“con impianto in esercizio”), ricevuta dal GS. il 3 dicembre 2012, anche sulla base dell’attestazione comunale concernente l’avvenuta esecuzione della variante in forza di procedura abilitativa semplificata (p.a.s.) attivata dalla propria dante causa (Ma. s.r.l.);

g) con nota del 29 gennaio 2013 il GS. comunicava la data di presa in carico della domanda;

h) in data 15 febbraio 2013 veniva adottato dalla Commissione il provvedimento di non accoglimento;

i) in data 1 marzo 2013 il GS. adottava preavviso di diniego rispetto alla detta istanza;

1) in data 15 marzo 2013 riceveva le osservazioni dell’odierno appellante e in data 10 giugno 2013 adottava il definitivo provvedimento di diniego, evidenziando:

l1) il rispetto del termine di 90 giorni assegnato dal d.m. 18 dicembre 2008, considerato che il termine di avvio del procedimento (3 dicembre 2012), era stato interrotto dal provvedimento di non accoglimento deliberato dalla Commissione in data 15 febbraio 2013, così impedendo il formarsi del silenzio-assenso;

l2) l’inidoneità della variante alla d.i.a. del 26 giugno 2008, presentata il 29 luglio 2010 alla luce del fatto che la detta domanda di variante risultava essere stata presentata successivamente alla pronuncia della Corte costituzionale n. 119/2010, sicché la stessa non potesse essere oggetto di d.i.a., essendo sottoposta al regime previsto dall’art. 12, d.lgs. 387/2003, sul rilievo della natura di “variazione essenziale” dello spostamento dell’impianto su altro terreno.

2. Il detto provvedimento di diniego veniva impugnato dall’odierna appellante – unitamente all’art. 3, del regolamento del GS. sui termini dei procedimenti di competenza nella parte in cui prendeva in considerazione non la comunicazione bensì l’emanazione del provvedimento finale conclusivo della procedura attivata dalla domanda dell’impresa interessata a conseguire la qualifica IAFR – che ne lamentava l’illegittimità alla stregua dei seguenti sei autonomi motivi:

I) il preavviso di diniego le sarebbe stato comunicato successivamente al decorso del termine per la formazione del silenzio assenso previsto dall’art. 4, co. 3, d.m. 18 dicembre 2008, secondo cui “In tutti i casi, la domanda si ritiene accolta in mancanza di pronunciamento del GS. entro novanta giorni dal ricevimento”;

II) il GS. non avrebbe avuto alcuna competenza ad adottare il provvedimento impugnato, poiché gli sarebbe inibito di apprezzare la validità ed efficacia dei titoli abilitativi posti a base della realizzazione degli impianti;

III) il provvedimento impugnato non conterrebbe alcuna motivazione in ordine alle ragioni per le quali il titolo edilizio sarebbe illegittimo;

IV) non sussisterebbero, in ogni caso, le condizioni per considerare la variante in questione come variante essenziale, in forza di quanto disposto dagli artt. 22 e 32 del d.p.r. n. 380/2001;

V) sarebbe illegittima la motivazione utilizzata dal GS. nella parte in cui sembra fare riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 119/2010, per sostenere l’illegittimità del titolo edilizio rilasciato all’appellante;

VI) il provvedimento di diniego impugnato violerebbe l’art. 5, comma 1 e 3, del d.l. n. 28/2011 e l’art. 7, comma 6, della l.r. Puglia, n. 25/2012.

3. Il primo giudice respingeva il ricorso, esaminandone partitamente ed esaustivamente tutti i motivi.

3.1. In particolare, il T.a.r. disattendeva la prima doglianza, rilevando che per l’operatività del meccanismo del silenzio assenso è indispensabile non solo che la domanda sia almeno formalmente completa degli elementi richiesti dalla norma di riferimento, ma che sussistano anche tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, ossia gli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l’avvenuto perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio assenso non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata non sia conforme a quella normativamente prevista. Nel caso di specie, il riconoscimento della qualifica IAFR per silentium è impedito dall’assenza di idoneo titolo abilitante.

3.2. Passando all’esame della seconda censura rilevava che il Gestore ha il “potere-dovere di verificare l’attendibilità dei dati forniti dal richiedente gli incentivi, potendo a tal fine disporre verifiche e controlli sugli impianti in esercizio o in costruzione.

L’art. 4, co. 2, lett. c), d.m. cit. precisa che alla domanda di qualifica IAFR deve essere allegata, tra l’altro, copia del titolo autorizzativo (autorizzazione unica ovvero d.i.a. o altre comunicazioni necessarie), sicché può ritenersi che lo scrutinio sulla sussistenza del titolo rientri nei compiti di controllo del Gestore.

3.3. Le ulteriori doglianze venivano esaminate congiuntamente e respinte, poiché il T.a.r. condivideva le argomentazioni del GS. secondo le quali la traslazione dell’impianto su una diversa particella – attuata con la d.i.a. del 2010 (presentata successivamente alla pronuncia di incostituzionalità n. 119 del 26 marzo 2010) – sarebbe una modifica essenziale del “progetto in origine abilitato: “al 29.7.2010 la costruzione e l’esercizio dell’impianto eolico in parola, nell’assetto risultante dalla richiamata variante, avrebbero dovuto essere oggetto di una precipua autorizzazione unica […], essendo stata caducata la normativa regionale di semplificazione”, con conseguente inoperatività anche della p.a.s. del 23 ottobre 2012 (ai sensi dell’art. 6 l.r. n. 25/2012).

In particolare, alla variante del 2010 non sarebbero applicabili gli artt. 27 l.r. n. 1/2008 e 7 l.r. n. 31/2008 (entrata in vigore l’8 novembre 2008), non più vigenti al momento della sua presentazione, mentre la d.i.a. del 2008 non sarebbe “titolo inidoneo ad abilitare la costruzione e l’esercizio dell’impianto secondo la configurazione corrispondente alla variante presentata nel 2010” (con lavori completati nel 2011): si tratterebbe dunque di un titolo del tutto inconferente rispetto all’odierna materia del contendere, con irrilevanza delle argomentazioni sulla “situazione consolidata” che da esso discenderebbe (né, peraltro, tale “situazione” sarebbe ravvisabile con riferimento alla variante del 2010, alla luce del difetto di norme abilitative necessarie per l’operatività del meccanismo di formazione del titolo edilizio).

In definitiva, l’intervento avrebbe dovuto essere realizzato con autorizzazione unica (come attestato anche dal Comune di (omissis) nella nota del 30 luglio 2010, nella parte in cui subordina l’inizio dei lavori “all’ottenimento di tutti i pareri e autorizzazioni di legge”).

Quanto alle argomentazioni concernenti l’asserita non inclusione del cambio di localizzazione dell’impianto tra le ipotesi dell’art. 22 d.p.r. n. 380/2001 e l’irrilevanza dell’art. 32 d.p.r. cit., quest’ultimo articolo espressamente contemplerebbe l'”essenzialità” di variazioni della “localizzazione dell’edificio”, non potendosi distinguere tra modifica richiesta prima o dopo la realizzazione dell’opera, e non essendo l’art. 22 cit. applicabile alla specie (in forza della menzionata declaratoria di incostituzionalità).

In ordine alla p.a.s. del 2012, infine, il Gestore, nel puntualizzare che la ricorrente non avrebbe mai prodotto il documento (né in sede procedimentale né nel corso del giudizio), ha sostenuto l’inapplicabilità della l.r. n. 25/2012 alla fattispecie, essendo la variante intervenuta prima della relativa entrata in vigore, tanto più che l’art. 5, co. 3, d.lgs. n. 28/2011 qualificherebbe l’intervento in termini di sostanzialità, con conseguente necessità di autorizzazione unica.

4. Avverso la su menzionata sentenza ha interposto appello l’originaria ricorrente, reiterando criticamente, in quattro autonomi mezzi, le censure sviluppate in primo grado; in particolare ha evidenziando che il T.a.r. avrebbe errato:

a) nel ritenere che il GS. avrebbe il potere di valutare la sussistenza di un idoneo titolo edilizio. Un simile potere non spettandogli sulla scorta di quanto dispone l’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011, l’art. 13 della direttiva 2009/28, l’art. 27, comma 1, del d.p.r. n. 380 del 2001 e il d.m. controlli del 31 gennaio 2014. Un’esegesi quale quella seguita dal giudice di prime cure condurrebbe a ritenere che l’art. 42 del d.lgs. n. 28/2011 presenti numerosi profili di illegittimità euro-unitaria (in relazione all’art. 13 della direttiva 2009/28/CE) e costituzionale (in relazione all’art. 118 commi 1 e 2 e all’art. 102, comma 2, Cost.);

b) nel non aver ritenuto formato il silenzio assenso in favore dell’impresa sulla scorta di quanto disposto dall’art. 4, comma 3, del d.m. 18 dicembre 2008. Inoltre, nel non avere rilevato l’illegittimità del regolamento sui termini dei procedimenti di competenza del GS. per violazione di quanto dispone l’art. 21-bis, l. 241/1990;

c) nel ritenere che la d.i.a. presentata nel giugno 2008 (e la variante alla stessa) non fossero titoli idonei, poiché travolti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 119 del 2010, che aveva dichiarato l’incostituzionalità della legge regionale n. 31 del 2008; che non esistesse alcuna norma che consentisse all’appellante di effettuare la delocalizzazione dell’impianto con semplice d.i.a. Ciò, in quanto al momento della presentazione della variante, ossia in data 29 luglio 2010, l’art. 27 della l. r. pugliese n. 1 del 2008 risultava abrogato dalla successiva l.r. n. 31 del 2008, nonché dichiarato incostituzionale dalla sentenza della Corte n. 366 del 2010, mentre l’art. 3, comma 1, lett. c), della l. r. n. 31 del 2008 era stato dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 119 del 2010, pubblicata il 3.3.2010. Il primo giudice non avrebbe adeguatamente considerato che tanto la d.i.a. originaria, quanto la successiva variante al progetto, sarebbero state legittimamente richieste ed ottenute sulla base degli artt. 27, della l. r. n. 1 del 2008 e 7 della l. r. n. 31 del 2008. La prima delle richiamate disposizioni estendeva il regime della d.i.a. di cui agli artt. 22 e 23 del d.p.r. n. 380 del 2001 agli impianti, quali quello di cui si discute, con potenza fino ad 1 Mw. Questa norma sarebbe stata successivamente abrogata dalla l. r. n. 31 del 2008, che tuttavia ne avrebbe fatta salva, all’art. 7, la perdurante applicabilità a tutte le d.i.a. presentate fino a 30 giorni prima della sua entrata in vigore. Inoltre, la sentenza della Corte costituzionale n. 119/2010 non avrebbe in alcun modo riguardato i citati artt. 27, l. r. n. 1 del 2008 e 7 l. r. n. 31 del 2008, ma solo gli artt. 2, commi 1, 2, e 3 e 3, commi 1 e 2, della l. r. n. 31 del 2008, con la conseguenza che la declaratoria di incostituzionalità non avrebbe travolto i titoli abilitativi dell’impianto. Ugualmente, la sentenza n. 366 del 2010, che ha dichiarato incostituzionale il richiamato art. 27 della l. r. n. 1 del 2008, sarebbe stata pubblicata in G.U. solo il 29 dicembre 2010, ossia in un momento in cui l’originaria d.i.a. del 2008 e la variante successiva (autorizzata dal Comune il 30 luglio 2010) sarebbero già state regolarmente richieste e riconosciute in conformità alla normativa allora applicabile;

d) nel non considerare che l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, avrebbe consentito all’operatore – in deroga al regime dell’Autorizzazione unica – di effettuare varianti “sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti, a prescindere dalla potenza nominale […]”, mediante la “procedura abilitativa semplificata” di cui al successivo art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011.

5. Costituitosi in giudizio, il GS. ha insistito per la conferma dell’impugnata sentenza.

In particolare, ha evidenziato che sarebbe competente ad adottare il provvedimento impugnato, sulla base del combinato disposto degli artt. 4, co. 2, lett. c), del d.m. 18 dicembre 2008 e 42 del d.lgs. n. 28/2011: la detta disciplina attribuirebbe al Gestore un potere di supervisione circa la congruità della posizione dei singoli Soggetti Responsabili in relazione alla possibilità di accedere alla qualifica IAFR, sulla base di quanto rappresentato e della documentazione trasmessa ad opera degli stessi, e ciò nell’ottica di tutelare l’interesse pubblico al riconoscimento dei benefici solo a fronte di situazioni formalmente e sostanzialmente conformi al dettato normativo. Al GS., quindi, non sarebbe assegnato un mero potere di controllo, dell’effettiva sussistenza ed invio dei documenti (in ipotesi) rilevanti e necessari. L’opposta tesi, invece, porterebbe a ritenere che tale potere di controllo e verifica affidato al GS. si rivelerebbe sostanzialmente vuoto e privo di significato, limitato al solo accertamento dell’intervenuto invio di un documento che – in astratto – sarebbe suscettibile di legittimare la realizzazione dell’impianto da parte dei soggetti richiedenti la qualifica. Nel senso auspicato dall’appellato militerebbe anche il tenore letterale dell’art. 42, d.lgs. n. 28/2011, che utilizza l’espressione “verifica dei dati forniti”, che non può che essere intesa come la verifica della veridicità e legittimità del contenuto degli stessi finendosi, al contrario, per incorrere nello svuotamento sostanziale dell’essenza stessa del potere di verifica e controllo nei termini di cui sopra. Una siffatta interpretazione, d’altra parte, sarebbe anche coerente con la previsione di cui all’art. 4 del d.m. 18 dicembre 2008 precedentemente richiamato, laddove stabilisce che l’istanza volta all’ottenimento della qualifica IAFR sia corredata da copia del conferente titolo abilitativo.

Del pari infondata sarebbe la tesi dell’appellante secondo la quale sulla sua istanza si sarebbe formato il silenzio assenso, atteso che è proprio l’art. 20, l. 241/1990 ad escludere i procedimenti riguardanti l’ambiente.

6. In data 22 gennaio 2018 l’impresa ricorrente ha depositato memoria nella quale ha argomentato ulteriormente in ordine alle doglianze contenute nell’appello. In particolare e per quanto di interesse:

a) ha sottolineato che l’affermazione secondo la quale spetta al GS., in base all’art. 42, d.lgs. n. 28 del 2011, e al d.m. 18 dicembre 2008, verificare la “sussistenza” del titolo abilitativo, dovrebbe essere rettamente intesa. Ed, infatti, una cosa sarebbe l’accertamento che il titolo esista e sia ricollegato all’impianto per cui è richiesta la qualifica, altra sarebbe rimettere al Gestore il potere di sindacare l’idoneità di quel titolo ai fini della realizzazione dell’impianto: competenza che la normativa di riferimento – d.p.r. n. 380 del 2001, e lo stesso d.lgs. n. 28 del 2011, art. 42, comma 2, ma anche a monte la normativa euro unitaria – rimetterebbe agli enti territoriali competenti al rilascio del titolo stesso. In definitiva, quella del Gestore sarebbe una verifica estrinseca e formale, potendo quest’ultimo in caso di dubbio avviare un’interlocuzione con gli enti locali competenti;

b) qualora non dovesse essere accolta la tesi propugnata, ha chiesto la rimessione di una questione pregiudiziale interpretativa, ex art. 267 TFUE, alla Corte di giustizia, ovvero, in subordine, alla Corte costituzionale:

b1) per violazione della riserva di funzioni amministrative attribuite, in via principale, dall’art. 118 cost., comma 1, ai Comuni. Inoltre, sarebbe violato il secondo comma della predetta disposizione costituzionale, secondo cui i Comuni sono titolari di funzioni proprie, tra le quali rientra certamente la tradizionale attribuzione in tema di governo del territorio e di rilascio dei titoli abilitativi;

b2) per violazione degli artt. 103 e 113 Cost., in quanto nella lettura qui contestata verrebbe attribuito a un organo amministrativo un generalizzato potere di controllo sulla legittimità degli atti amministrativi rilasciati da tutte le Amministrazioni, statali e locali, in contrasto con il principio di separazione dei poteri e con la riserva, contemplata in Costituzione, spettante all’autorità giudiziaria relativa al sindacato sulla legittimità dell’attività compiuta dalla P.A. Sotto tale profilo, sarebbe addirittura ipotizzabile l’elusione del divieto di istituzione di giudici speciali sancito dall’art. 102, comma 2, Cost., nella misura in cui verrebbero attribuiti a una Società pubblica poteri spettanti in via esclusiva al potere giurisdizionale;

c) ha evidenziato l’inammissibilità delle considerazioni svolte dal GS., perché risolvendosi in critiche alla pronuncia di prime cure, non sono state introdotte con appello incidentale. In particolare, non potrebbero essere incluse nel thema decidendi le tesi dell’appellata, secondo le quali:

c1) l’istituto del silenzio-assenso previsto dall’art. 20, della legge n. 241 del 1990, non sarebbe applicabile alla presente fattispecie, in forza del quarto comma della norma in esame, trattandosi di procedimento riguardante l’ambiente;

c2) l’unica norma applicabile sarebbe quella speciale prevista dal d.m. 18 dicembre 2008, art. 4, comma 3, che considera perfezionato il procedimento in base al solo “pronunciamento” del GS. entro i 90 giorni successivi al ricevimento dell’istanza, senza necessità che entro lo stesso termine il provvedimento sia anche comunicato al destinatario, come invece richiesto dall’art. 20, della l. n. 241 del 1990;

c3) anche il “Regolamento sui termini dei procedimenti di competenza del G.S.E.” prevede, all’art. 3.3., che il termine massimo di conclusione del procedimento deve intendersi rispettato allorquando l’organo competente del GS. abbia adottato il provvedimento finale, anche se lo stesso non sia stato ancora comunicato.

d) infine, ha rilevato l’illegittimità dell’impugnato diniego anche alla luce della l. n. 205/2017 (art. 1, comma 960 recante la novella all’art. 42, comma 3, seconda parte, d.lgs. n. 28 del 2011), che avrebbe escluso che il G.S.possa impedire l’accesso al regime di incentivazione, funzionale al perseguimento degli obiettivi europei in materia di energie rinnovabili, potendo soltanto applicare una decurtazione dell’incentivo in ragione dell’entità della violazione riscontrata.

7. Con memoria depositata in pari data, il GS. si è limitato a ribadire le proprie richieste, rinviando alla memoria di replica, depositata il successivo 1° febbraio 2018, le proprie controdeduzioni.

In tal sede ha rilevato, in particolare:

a) che il GS. sarebbe pienamente legittimato ad accertare la sussistenza del titolo abilitativo e la sua idoneità ai fini dell’accesso ai benefici, ferme restando, secondo quanto disposto dai commi 2 e 4 dell’art. 42 del d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, le competenze in tema di controlli e verifiche spettanti alle amministrazioni statali, regionali, agli enti locali nonché ai gestori di rete e fermo restando il potere sanzionatorio loro spettante, per i profili di loro stretta competenza. Il potere attribuito al GS. non potrebbe affatto circoscriversi alla mera verifica, ad opera di quest’ultimo, della materiale esistenza e dell’avvenuto invio dei documenti (in ipotesi) rilevanti e necessari. La stessa espressione: “verifica dei dati forniti dai soggetti responsabili che presentano istanza”, utilizzata dall’art. 42 d.lgs. n. 28 del 2011, dovrebbe essere intesa nel senso che la verifica in ordine all’idoneità di tali dati ai fini dell’ammissione ai benefici alla cui erogazione sovrintende il GS.. Una siffatta interpretazione sarebbe anche coerente con la previsione di cui all’art. 4 del d.m. 18 dicembre 2008, ove si prevede che l’istanza di qualifica IAFR sia corredata da copia del conferente titolo abilitativo;

b) che sarebbe inammissibile, perché non ritualmente dedotto, il motivo nuovo esplicitato dall’appellante in sede di memoria non notificata con il quale si sostiene l’illegittimità del provvedimento impugnato alla luce della l. n. 205/2017; in subordine, il detto motivo sarebbe infondato, in quanto la novella non sarebbe applicabile né ratione temporis, né in relazione alla fattispecie de qua, poiché la norma sarebbe limitata agli impianti che al momento dell’accertamento della violazione percepiscono incentivi;

c) che sarebbe del pari inammissibile la censura in ordine alla pretesa violazione del d.m. 31 gennaio 2014 (attuativo dell’art. 42 del d.lgs. n. 28/2011), non articolata con il ricorso introduttivo in primo grado e svolta per la prima volta dinanzi il TAR nella memoria del 14 novembre 2016, inammissibilità già contestata dal GS. con la memoria di replica del 25 novembre 2016. In ogni caso il d.m. 31 gennaio 2014 non sarebbe applicabile ratione temporis all’odierna vicenda controversa, risalendo i provvedimenti impugnati al 2013;

d) l’infondatezza dell’argomento secondo cui le considerazioni sviluppate in relazione alla non operatività del meccanismo del silenzio-assenso dal GS., nella memoria da questo depositata, sarebbero inammissibili per mancata interposizione di appello incidentale; tali considerazioni, infatti, costituiscono una riproposizione di difese ritualmente dedotte in prime cure. Inoltre, rispetto a tali rilievi, non vi sarebbe stata una formale reiezione ad opera dell’impugnata sentenza sicché sarebbe escluso qualsivoglia profilo di soccombenza a carico del Gestore.

e) l’inammissibilità delle doglianze inerenti la non corretta applicazione degli artt. 22 e 32, d.p.r. n. 380/2001, poiché argomenti sviluppati in prime cure ma non dedotti come motivo d’appello.

8. Alla pubblica udienza del 22 febbraio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è solo in parte fondato, nei limiti meglio precisati in prosieguo.

1.1. Preliminarmente il Collegio rileva che non può essere esaminato il motivo sollevato dall’impresa ricorrente (ed incentrato sulla violazione, da parte del GS., dell’art. 1, comma 960, l. n. 205 del 2017), per un duplice autonomo ordine di ragioni:

a) il vizio – motivo è stato sollevato, in spregio al divieto dei nova sancito dall’art. 104, comma 1, c.p.a., per la prima volta in sede di appello e, per giunta, in sede di memoria difensiva avente, come noto, natura puramente illustrativa (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, n. 1130 del 2016; sez. V, n. 5868 del 2015);

b) la norma in esame, stante il suo univoco tenore letterale, è applicabile ratione temporis, solo in relazione a provvedimenti emanati dal Gestore successivamente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2018, cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, ordinanza 20 aprile 2018, n. 1749).

2. In ordine logico occorre partire dalla disamina del secondo motivo di appello con il quale la ricorrente sostiene che sulla propria domanda del 3 dicembre 2012 si sarebbe formato il silenzio-assenso per il decorso del termine di 90 giorni, in omaggio a quanto disposto dall’art. 4, comma 3, d.m. 18 dicembre 2008, secondo cui “In tutti i casi, la domanda si ritiene accolta in mancanza di pronunciamento del GS. entro novanta giorni dal ricevimento”.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Prima di scendere nel dettaglio della questione, deve premettersi che è infondata l’eccezione di inammissibilità spiegata dall’odierna appellante secondo la quale le considerazioni sviluppate dal GS. (nella memoria da questo depositata in vista dell’udienza di discussione), in relazione alla non operatività del meccanismo del silenzio-assenso, sarebbero inammissibili per mancata interposizione di appello incidentale.

La necessità di proporre appello avverso la pronuncia di primo grado sorge solo in caso di soccombenza. Nella fattispecie il primo giudice ha respinto tutti i motivi contenuti del ricorso proposto dall’odierna appellante, sicché la mancata utilizzazione degli argomenti esposti dall’amministrazione nel giudizio di prime cure, non onerano quest’ultima nel senso di imporle l’impugnazione di una pronuncia, che la vede vittoriosa su tutta la linea, ben potendo le argomentazioni non vagliate, né utilizzate dal giudice di prime cure essere riproposte in sede di appello con semplice memoria.

2.3. La base normativa del citato decreto del 2008 è costituita dall’art. 2, comma 150, l. n. 244/2007, successivamente abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2013, dal n. 1) della lettera b) del comma 11 dell’art. 25, d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28.

Tanto premesso, deve essere affrontata la questione concernente l’ascrivibilità del procedimento in parola nell’ambito di quelli relativi alla tutela dell’ambiente ai fini di cui all’art. 20, l. n. 241 del 1990.

La risposta al quesito non può che essere positiva e ciò si desume in modo chiaro sia dalla normativa statale ed europea che regola la materia sia dal concreto impatto che gli impianti in questione hanno sul territorio.

2.3.1. Quanto al primo profilo si rileva che la Direttiva 23/04/2009, n. 2009/28/CE, nel primo considerando pone in luce che: “Il controllo del consumo di energia europeo e il maggiore ricorso all’energia da fonti rinnovabili, congiuntamente ai risparmi energetici e ad un aumento dell’efficienza energetica, costituiscono parti importanti del pacchetto di misure necessarie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e per rispettare il protocollo di Kyoto della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e gli ulteriori impegni assunti a livello comunitario e internazionale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra oltre il 2012”.

2.3.2. Quanto al secondo, invece, è sufficiente esaminare la giurisprudenza della Corte costituzionale a cominciare proprio dalla sentenza n. 119/2010, evocata nella presente controversia per essere certi dell’attinenza della disciplina in esame alla tutela dell’ambiente.

Così il giudice delle leggi aveva modo di esprimersi nella citata pronuncia: “Pur non trascurandosi la rilevanza che, in relazione agli impianti che utilizzano fonti rinnovabili, riveste la tutela dell’ambiente e del paesaggio, occorre riconoscere prevalente risalto al profilo afferente alla gestione delle fonti energetiche in vista di un efficiente approvvigionamento presso i diversi ambiti territoriali (sent. n. 166 del 2009): diversamente, l’adozione, da parte delle Regioni, nelle more dell’approvazione delle linee guida previste dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, di una disciplina come quella oggetto di censura provoca l’impossibilità di realizzare impianti alimentati da energie rinnovabili in un determinato territorio, dal momento che l’emanazione delle linee guida nazionali per il corretto inserimento nel paesaggio di tali impianti è da ritenersi espressione della competenza statale di natura esclusiva in materia di tutela dell’ambiente”.

2.3.3. E’ chiaro, dunque, che il procedimento in questione attiene anche alla materia ambientale, trattandosi di attività amministrativa che ha come fine, sia pure in modo non esclusivo, quello della tutela dell’ambiente. Questo rilievo risulta di particolare importanza, al fine di operare una corretta disamina delle disposizioni contenute nel d.m. del 18 dicembre 2008, rubricato: “Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai sensi dell’articolo 2, comma 150, della legge 24 dicembre 2007, n. 244”, e in particolare dell’art. 4, comma 3, secondo il quale: “Il GS. valuta la domanda secondo i criteri indicati nell’allegato A determinando in via presuntiva l’energia elettrica incentivata. In tutti i casi, la domanda si ritiene accolta in mancanza di pronunciamento del GS. entro novanta giorni dal ricevimento”. La disposizione in questione non può essere ricondotta, sic et simpliciter, all’interno del meccanismo del silenzio-assenso, come ritenuto dall’appellante, dal momento che il tenore letterale della disposizione in questione deve omogeneizzarsi alla disciplina generale contenuta nel comma 4 dell’art. 20, l. 241/90, che esclude che un simile istituto possa essere utilizzato in relazione ad atti e procedimenti riguardanti l’ambiente.

Il carattere imperativo della disposizione in parola è stato ribadito a più riprese dalla giurisprudenza di questo Consiglio (da ultimo Cons. Stato, Sez., IV, 25 gennaio 2018, n. 499 che ha posto in luce anche l’ulteriore limite derivante dalla necessità che il procedimento debba concludersi con un atto espresso in base al diritto europeo; Id., 3 ottobre 2015, n. 4712), che ha, anche nel suo massimo consesso (Cons. Stato, Ad. plen., 24 maggio 2016, n. 9), attribuito particolare rilievo ai limiti esistenti nell’utilizzo dello strumento del silenzio-assenso in caso di procedimenti aventi ad oggetto la tutela degli interessi sensibili indicati dal citato comma 3 dell’art. 20.

2.4. In ogni caso, la norma regolamentare deve essere interpretata, giusta il suo tenore testuale, nel senso che il decorso del termine di novanta giorni dal ricevimento della domanda di incentivazione non faccia maturare un titolo in capo all’istante, che non venga a conoscenza del provvedimento di diniego nel detto termine, essendo sufficiente che l’amministrazione abbia adottato nel termine in questione un pronunciamento.

E’ evidente, infatti, che la circostanza che il procedimento in questione non abbia ad esclusivo oggetto la tutela dell’ambiente non rende il detto meccanismo di per sé incompatibile con l’utilizzo del silenzio assenso, ma ciò nonostante è del pari evidente che deve privilegiarsi un’esegesi che consenta di giungere all’adozione di un provvedimento esplicito attraverso il quale apprezzare adeguatamente gli interessi in gioco. Nella specie il preavviso di diniego del 1 marzo 2013 risulta essere stato adottato prima della scadenza del termine di novanta giorni decorrente dal 3 dicembre 2012 e ciò consente di ritenere che la fattispecie legale invocata dall’appellante non si sia realizzata. Risulta, infatti, che l’amministrazione ha preso in esame espressamente le ragioni contrarie all’accoglimento dell’istanza e le abbia adeguatamente esternate, indicando i motivi contrari all’accoglimento della richiesta di ammissione ai benefici incentivanti prima della scadenza del termine de quo. Da ciò discende la necessità di dare spazio al provvedere esplicito dell’amministrazione e di escludere l’operatività del meccanismo del silenzio-assenso, che porterebbe a sacrificare in modo eccessivo quegli interessi sensibili di natura ambientale e derivazione europea che il procedimento intende perseguire. In definitiva l’adozione del preavviso di diniego entro il termine di novanta giorni ha consentito nella fattispecie l’interruzione del detto termine secondo il meccanismo generale di cui all’art. 10-bis, l. 241/1990 nella parte in cui prevede espressamente che “…la comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni…”.

3. Quanto al primo motivo di gravame – con il quale l’appellante sostiene che il T.a.r. avrebbe erroneamente interpretato i poteri attribuiti al GS. dall’art. 42, del d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28 – ritiene il Collegio che sia meritevole di accoglimento.

3.1. Preliminarmente è necessario precisare, come meglio si illustrerà in prosieguo, che tale motivo è stato erroneamente qualificato dall’impresa ricorrente come attinente alla incompetenza del Gestore ad emanare il provvedimento di diniego mentre in realtà si sostanzia in una critica al cattivo esercizio (ovvero ad un esercizio esorbitante dai limiti imposti dal micro ordinamento di settore) del potere di controllo e verifica che pacificamente la legge assegna a quest’ultimo.

3.2. La norma in questione (art. 42 cit.) contiene la disciplina relativa ai poteri di controllo e di sanzione del GS.. Il comma 1 definisce l’oggetto della verifica dei dati forniti dai soggetti responsabili che presentano istanza, che deve avvenire sulla documentazione trasmessa, nonché con controlli a campione sugli impianti. La natura del controllo sulla documentazione si spiega alla luce di quanto dispongono i successivi commi 2 e 4 dello stesso art. 42.

Il primo, infatti, fa salve le competenze in tema di controlli e verifiche spettanti alle amministrazioni statali, regionali, agli enti locali nonché ai gestori di rete.

Il secondo, invece, stabilisce che, nel caso in cui le violazioni riscontrate nell’ambito dei controlli di cui ai commi 1 e 2 siano rilevanti ai fini dell’erogazione degli incentivi, le amministrazioni e gli enti pubblici, deputati ai controlli relativi al rispetto delle autorizzazioni rilasciate per la costruzione e l’esercizio degli impianti da fonti rinnovabili, fermo restando il potere sanzionatorio loro spettante, trasmettono tempestivamente al GS. l’esito degli accertamenti effettuati.

Da ciò si ricava, quanto alla fattispecie de qua, che in relazione agli atti prodromici che devono essere adottati da altre Amministrazioni ovvero dagli enti locali o, in generale in relazione a procedimenti che devono essere gestiti dai detti enti, il controllo operato dal GS. ha carattere meramente formale, ossia di verifica della sussistenza del titolo, non potendosi spingere sino alla verifica della legittimità dello stesso a pena di stravolgimento del riparto di competenze fissato dal legislatore.

Una opposta conclusione porterebbe a ritenere che il GS. operi quale Amministrazione sovraordinata rispetto a quelle che concorrono a rilasciare i titoli necessari per l’ammissione alle tariffe incentivanti.

Tale esegesi, non sostenuta da una disposizione espressa di legge (che avrebbe chiaramente indole eccezionale), risulterebbe oltretutto in contrasto con i valori e i principi presidiati dagli artt. 5 e 118 Cost. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza del giudice delle leggi e di questo Consiglio (cfr. ex plurimis e da ultimo Corte cost., 20 maggio 2016, n. 110; Cons. Stato, sez. IV, ordinanza 4 dicembre 2017, n. 5711).

Il GS., pertanto, si deve limitare a verificare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 42, commi 1 e 2, cit. e 4, co. 2, lett. c), d.m. cit., l’esistenza del titolo autorizzativo, non potendo, invece, sindacare la legittimità e conseguentemente l’efficacia dello stesso.

Non può, in definitiva, dubitarsi che il cd. principio di equiparazione in termini di efficacia degli atti amministrativi illegittimi a quelli legittimi, operi anche nei rapporti fra Amministrazioni, a meno che il legislatore in via eccezionale non consenta ad un soggetto pubblico di sindacare e ritenere tamquam non esset in caso ne valuti l’illegittimità, l’atto adottato da altra amministrazione.

Pertanto, qualora il GS. dubiti della legittimità di un atto rilasciato da altra amministrazione deve interloquire con quest’ultima, invitandola ad esercitare i propri poteri di controllo e a trasmettere tempestivamente l’esito degli accertamenti effettuati.

3.3. Per completezza si evidenzia che le conclusioni appena raggiunte sono coerenti con la prassi invalsa del GS. che, in situazioni speculari a quelle oggetto del presente giudizio, ritiene correttamente di non poter superare il diniego opposto al Soggetto Responsabile dalle altre Amministrazioni in ordine al rilascio di titoli comunque necessari per la realizzazione e gestione delle infrastrutture energetiche di riferimento.

3.4. Da ciò deriva che nel caso in esame il GS. non può dirsi incompetente alla verifica dei dati emergenti dalla documentazione depositata dall’istante, ma che necessita – per superare l’efficacia degli atti amministrativi rilasciati dalle altre amministrazioni che corredano l’istanza – dell’ausilio dell’ente pubblico che li ha adottati. Spetta a quest’ultimo, infatti, il potere di porli nel nulla e di sanzionare eventuali comportamenti del privato contrari alla legge.

3.5. La fondatezza del motivo di gravame in esame fa venire meno la necessità di disporre un’eventuale rimessione della questione alla Corte di giustizia ovvero alla Corte costituzionale come richiesto dall’appellante.

4. L’accoglimento del primo motivo di appello consente di assorbire in senso logico e giuridico (secondo le coordinate dettate dalla Adunanza plenaria n. 5 del 2015) i rimanenti motivi aventi ad oggetto i capi della sentenza di prime cure che hanno ritenuto corretta la valutazione del GS. nel ritenere inidonei, quale titolo abilitante, sia la d.i.a. del 2008 che la variante del 2010 (del pari assentita con d.i.a.), di cui era titolare l’impresa ricorrente che, invece, secondo le conclusioni del GS. condivise dal TAR, si sarebbe dovuta dotare di autorizzazione unica ex art. 12, d.lgs. 387/2003.

Da un lato, infatti, risulta che il motivo di appello inerente l’ambito dei poteri del GS. sia stato proposto dall’appellante in via prioritaria rispetto ai detti motivi.

Dall’altro, è evidente che l’affermazione secondo la quale il GS. non può valutare nel merito l’idoneità del titolo concesso da altra amministrazione nei termini sopra indicati elide tout court la ponderazione operata dallo stesso.

5. L’appello in esame deve, pertanto, ritenersi solo in parte fondato con ciò che consegue in termini di parziale riforma della sentenza di prime cure e di annullamento del provvedimento di diniego adottato dal GS. in data 10 giugno 2013 con il quale è stata rigettata l’istanza di riconoscimento della qualifica di “impianto alimentato da fonti rinnovabili (IAFR)”, ai sensi dell’art. 4, c.1 del d.m. 18 dicembre 2008 per l’impianto eolico denominato “RE.”.

5.1. Resta salvo il potere del GS. di provvedere secondo le indicazioni esposte in motivazione, e, quindi, di interrogare, ove lo ritenga, l’amministrazione comunale e l’amministrazione regionale in ordine all’idoneità delle due d.i.a. ad assentire la costruzione ed esercizio dell’impianto in questione, ovvero alla necessità di acquisire l’autorizzazione unica, alla luce della normativa ratione temporis vigente come risultante dalla più volte menzionata pronuncia di incostituzionalità.

6. La novità delle questioni trattate consente di compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, accoglie in parte il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento di diniego adottato dal GS. in data 10 giugno 2013 ai sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli – Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere, Estensore

Luca Lamberti – Consigliere

Daniela Di Carlo – Consigliere

Nicola D’Angelo – Consigliere

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