Consiglio di Stato, Sentenza|15 marzo 2022| n. 1813.
Condono edilizio ed il termine legale per la formazione del silenzio .
In materia di condono edilizio, il termine legale per la formazione del silenzio -assenso presuppone che la relativa istanza sia stata corredata dalla prescritta documentazione, non sia infedele, sia stata interamente pagata l’oblazione e, inoltre, che l’opera non sia in contrasto con i vincoli di in edificabilità.
Sentenza|15 marzo 2022| n. 1813. Condono edilizio ed il termine legale per la formazione del silenzio
Data udienza 3 marzo 2022
Integrale
Tag- parola chiave: Interventi edilizi – Abusi – Condono edilizio – Formazione del silenzio assenso – Presupposti – Termine legale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3960 del 2019, proposto da
Go. S.r.l., in persona del Legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati Ru. Fr. e Gi. Ni., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo Studio Ru. Fr. in Roma, viale (…);
contro
Comune di Rimini, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Fr. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Bologna, Strada (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna Sezione Prima n. 00793/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rimini;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 marzo 2022 il Cons. Marco Poppi e uditi per le parti gli Avvocati presenti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Condono edilizio ed il termine legale per la formazione del silenzio
FATTO e DIRITTO
La Società Go. S.r.l, odierna Appellante, in data 15 marzo 2004, presentava una pluralità di istanze di condono edilizio ai sensi dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003 n. 269 riferite a porzioni di un più ampio fabbricato già destinato all’esercizio di attività alberghiera (cessata in virtù di comunicazione del 31 dicembre precedente) per la legittimazione di opere consistenti nella “ristrutturazione interna senza apportare modifiche alle strutture portanti” mediante la quale venivano realizzate singole unità immobiliari destinate ad uso residenziale.
L’Amministrazione, riqualificata la natura dell’intervento in termini di ristrutturazione edilizia e rilevata la contrarietà agli strumenti urbanistici vigenti della prospettata modifica della destinazione d’uso dell’immobile, con determinazioni nn. 70171, 70130, 70145, 70122, 70123, 70489, 70124, 70488, 70146, 70131, 70132, 70172, 70128, 70129 e 7012 del 9 maggio 2011, di identico contenuto e riferite, ciascuna, ad una singola porzione immobiliare, respingeva le istanze di condono ritenendole “improcedibili ai fini amministrativi” ex art. 34 comma 2, lett. A) della L.R. n. 23/2004. Contestualmente rilevava che l’oblazione autocalcolata veniva versata “solo in quota parte” e che anche la “quota integrativa dell’oblazione” prevista dall’art. 31 della L.R. n. 23/2004 pari al 10%, veniva versata solo in parte.
La Società impugnava con singoli ricorsi i richiamati dinieghi innanzi al TAR Emilia-Romagna che, all’udienza del 24 ottobre 2018, previa riunione dei giudizi, li respingeva con sentenza n. 793 del 26 ottobre successivo.
Go. impugnava la sentenza di primo grado con appello depositato il 10 maggio 2019 deducendo:
I) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 35, comma 12, Legge n. 47/1985 in relazione all’art. 27 n. 6, L.R. Emilia Romagna n. 23/04 – Erroneità della pronuncia per illogicità, carenza di motivazione e difetto dei presupposti”;
II) “Erroneità della pronuncia di primo grado nella parte in cui non ha ravvisato un difetto di istruttoria e travisamento dei fatti nell’adozione del provvedimento impugnato, non avendo l’Amministrazione adeguatamente valutato la natura e l’entità delle opere realizzate”;
III) “Illegittimità costituzionale degli artt. 34 e 37 L.R. n. 23/2004 per violazione degli artt. 3, 41, 42 e 117 Costituzione”.
Condono edilizio ed il termine legale per la formazione del silenzio
Il Comune si costituiva formalmente in giudizio il 18 gennaio 2010, sviluppando le proprie censure con memoria del 29 gennaio 2022 con la quale affermava la legittimità del proprio operato e chiedeva la reiezione dell’appello.
Go., con atto depositato il l’11 febbraio 2022, premettendo di aver inoltrato, il 2 febbraio precedente, “documentata istanza al Comune di Rimini (…) volta ad ottenere, ai sensi della sopravvenuta normativa regionale, ed in particolare dell’art. 28 della L.R. dell’Emilia Romagna del 29 gennaio 2020 n. 14 (…) il titolo sanante delle opere di cui è causa” corrispondendo all’Amministrazione una somma forfettaria a titolo di sanzione ex art. 21 comma 1, della medesima legge, fatto salvo ulteriore conguaglio, avanzava istanza di rinvio della discussione di merito in attesa della definizione del procedimento avviato.
L’istanza di rinvio veniva reiterata il 28 febbraio successivo allegando ulteriormente che, preso atto della “non demolibilità ” dell’abuso, era in corso, da parte dell’Amministrazione, la determinazione della sanzione amministrativa ex art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 17, comma 2, della L.R. n. 23/2004.
All’esito della pubblica udienza del 3 febbraio 2022, l’appello veniva deciso.
Preliminarmente deve respingersi la richiesta di rinvio presentata dall’Appellante, a fronte del chiaro disposto di cui all’art. 73, comma 1-bis, c.p.a. che consente il rinvio “solo per casi eccezionali”, e stante l’estraneità tanto del pendente procedimento di sanatoria ai sensi della sopravvenuta normativa regionale, quanto del procedimento di liquidazione della sanzione pecuniaria, al presente giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza che respingeva i ricorsi proposti avverso le misure demolitorie adottate nel 2011.
Quanto al merito della controversia, con il primo motivo, l’Appellante deduce l’erroneità della decisione del Tar nella parte in cui riteneva sussistente l’obbligo di pagamento dell’oblazione ai sensi della L.R. n. 23/2004, nonostante la legge fosse entrata in vigore il 21 ottobre 2004, successivamente alla presentazione delle istanze di condono.
Condono edilizio ed il termine legale per la formazione del silenzio
Ne deriverebbe, sotto un primo profilo, l’inapplicabilità al caso si specie dell’obbligo di “pagamento dell’oblazione in forma integrale” introdotto dalla normativa sopravvenuta; sotto altro profilo, l’ormai intervenuta formazione del silenzio assenso disciplinato dalla normativa vigente ratione temporis, individuata nell’art. 35 della L. 47/1985, ai sensi del quale “decorso il termine perentorio di 24 mesi dalla presentazione della domanda quest’ultima si intende accolta ove l’interessato provvede al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento. Trascorsi 36 mesi si prescrive l’eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti”.
L’Appellante lamenta che l’Amministrazione avrebbe agito in violazione anche della stessa L. R. n. 23/2004 laddove, prevede, all’art. 27, comma 6, punto 4 lett. d), che l’Amministrazione “nel corso dell’istruttoria della domanda, per una sola volta, lo Sportello unico per l’edilizia richiede agli interessati, anche convocandoli per una audizione, i chiarimenti necessari e l’integrazione della documentazione presentata, provvedendo altresì a rimuovere le irregolarità e i vizi formali riscontrati”.
Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 27, comma 2, della L.R. n. 23/2004, “le domande presentate in data antecedente all’entrata in vigore della legge 30 luglio 2004, n. 191 di conversione del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, restano salve e sono esaminate dai Comuni nell’osservanza della presente legge. È fatta salva la facoltà per gli interessati di procedere al ritiro, alla modifica e alla integrazione delle stesse, entro la data del 10 dicembre 2004”.
Il richiamato dato testuale è univoco nel ritenere l’applicabilità della disciplina sopravvenuta anche alle domande di condono pendenti al momento dell’entrata an vigore della nuova disciplina.
Ciò premesso, l’art. 31, comma 1, della medesima L.R. n. 23/2004, stabilisce che “l’oblazione da corrispondere ai fini della definizione degli illeciti edilizi, è incrementata di una quota del 10 per cento rispetto alla misura definita dalla Tabella C allegata al decreto-legge n. 269 del 2003”.
Chiarito, quindi, che l’ammontare dovuto deve essere liquidato in ossequio alla normativa sopravvenuta e preso atto che il profilo controverso attiene all’omesso versamento dell’oblazione nella misura dovuta, deve, altresì, precisarsi che nessun rilievo, nei sensi invocati in appello (decorso del termine per la formazione del silenzio assenso), riveste la mancata richiesta di integrazioni o chiarimenti riferite allo specifico pagamento.
Sul punto la giurisprudenza è, infatti, pacifica nel ritenere che “affinché possa formarsi il silenzio assenso sulle istanze di condono edilizio, il termine di 24 mesi decorre dalla presentazione della medesima domanda, purché risulti completa in ogni sua parte, non essendo peraltro l’Amministrazione tenuta a chiedere l’integrazione della documentazione incompleta nel predetto termine biennale” (Cons. Stato, sez. II, 18 febbraio 2021, n. 1474).
Anche la Sezione, pronunciandosi sul tema, ha già avuto modo di affermare che “in materia di condono edilizio, il termine legale per la formazione del silenzio -assenso presuppone che la relativa istanza sia stata corredata dalla prescritta documentazione, non sia infedele, sia stata interamente pagata l’oblazione e, inoltre, che l’opera non sia in contrasto con i vincoli di in edificabilità ” (Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2020, n. 7382).
In ragione dell’omesso pagamento dell’oblazione nella misura dovuta deve, quindi, ritenersi che non si sia perfezionato alcun silenzio assenso.
Con il secondo motivo, l’Appellante censura la sentenza appellata nella parte in cui statuiva l’infondatezza dei dedotti vizi di motivazione e d’istruttoria del provvedimento impugnato.
Espone l’Appellante che il diniego oggetto di impugnazione in primo grado non menzionerebbe “le ragioni per cui l’amministrazione abbia ritenuto di opporre il contestato diniego”; non esporrebbe le ragioni per le quali l’intervento non assentito non potrebbe essere qualificato in termini di “lavori di ordinaria manutenzione” e, si afferma, sarebbe stato adottato in assenza di qualsivoglia supporto istruttorio (relazione tecnica, sopralluogo, verbale dei vigili Urbani o parere degli organi tecnici consultivi).
A ulteriore sostegno dell’affermato vizio, allega che l’Amministrazione non si sarebbe avveduta che il complesso edilizio in questione veniva realizzato nel 1956 con destinazione residenziale, venendo solo successivamente destinato ad attività ricettiva: per ciò solo sarebbe incongruo un diniego opposto ad una ridestinazione del fabbricato all’originaria funzione.
Illegittimo sarebbe, altresì, il contestato aumento del carico urbanistico atteso che, a fronte di un’autorizzazione all’esercizio di n. 24 camere (40 persone), la trasformazione progettata darebbe vita a n. 15 mini appartamenti che consentirebbero la presenza di circa 30-36 persone.
L’Amministrazione, inoltre, avrebbe contestato all’odierna appellante anche interventi di ristrutturazione interna eseguiti dalla precedente proprietà senza che questi avessero mai costituito oggetto di contestazione alcuna.
L’acquiescenza del Comune in ordine allo “stato amministrativo dell’immobile” si ricaverebbe, inoltre, dall’attribuzione “per ognuno degli appartamenti presenti nell’edificio” della numerazione civica e dal “frazionamento degli stessi disposto proprio in considerazione della variazione della destinazione d’uso da alberghiero a residenziale”.
Allega, infine, che con nota del 26 novembre 2007, il medesimo Ufficio Condono Edilizio del Comune di Rimini comunicava alla società Go. la “piena ammissibilità delle istanze” preannunciando la riattivazione del procedimento istruttorio di condono evidenziando come, l’opposto diniego a distanza di quattro anni, avrebbe leso il proprio affidamento al rilascio del titolo sanante.
Il motivo è infondato.
In primis deve ritenersi destituito di fondamento il vizio di difetto di motivazione.
Il provvedimento impugnato:
– richiamava la disciplina urbanistica vigente (PRG approvato dalla Giunta comunale con delibere n. 351/1999 e 379/1999 e, in particolare, l’art. 22 bis delle NTA) nella parte in cui preclude la trasformazione “in residenza a quelle strutture che non siano inattive dal 10/09/96 (oppure 10/09/99 se avevano meno di 25 camere)”: fattispecie estranea al caso di specie atteso che la cessazione della destinazione ad esercizio di attività alberghiera dell’immobile risale al 31 dicembre 2002;
– descriveva l’intervento come “suddivisione in più unità immobiliari di struttura ricettiva con contestuale mutamento d’uso in destinazione residenziale” pervenendo alla qualificazione dello stesso in termini di ristrutturazione edilizia richiamando “la normativa vigente” e gli “specifici chiarimenti impartiti con circolare del Ministero delle Finanze e Ministero dei Lavori Pubblici 24/02/1998 n. 57/E Categorie di intervento edilizio)”;
– richiamava l’art. 34 comma 2 lettera a) della citata L.R. n. 23/04 a norma del quale “nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia che siano conformi alla legislazione urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003, il rilascio del titolo in sanatoria è ammesso qualora ricorrano le seguenti condizioni: a) non comportino aumento delle unità immobiliari, fatte salve quelle ottenute attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari”:
– rilevava il mancato versamento dell’oblazione nella misura dovuta.
Tali articolati motivazionali, coerentemente con il precetto di cui all’art. 3 della L. n. 241/1990, consentono al destinatario della misura la piena percezione degli elementi di fatto e di diritto assunti a presupposto del diniego.
Quanto al dedotto vizio di istruttoria, non può che evidenziarsi come, contrariamente a quanto affermato in appello, l’Amministrazione:
– dava atto delle verifiche effettuate circa “gli atti legittimativi a carattere edilizio-urbanistico rilasciati” relativamente al fabbricato”;
– richiamava i criteri dettati dal Dirigente l’ufficio Condono, da applicarsi ai procedimenti di sanatoria;
– dava atto di aver proceduto all’esame dei contributi partecipativi dell’Appellante.
È ulteriormente documentato agli atti del giudizio che veniva redatto, a seguito di sopralluogo della Polizia municipale, un “Verbale di accertamento tecnico” (n. 165622 del 13 settembre 2007) dal quale emergeva la realizzazione di unità immobiliari aggiuntive rispetto a quelle oggetto delle istanze di sanatoria con trasformazione in unità abitativa anche di locali non destinati precedentemente all’ospitalità (Hall dell’albergo), nonché, l’esecuzione di modifiche strutturali interessanti la muratura portante, in difetto di autorizzazione sismica.
Quanto alla natura dell’intervento non può che confermarsi la sentenza di primo grado laddove lo qualifica come intervento di ristrutturazione.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001 sono “interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
In termini analoghi si esprime la legislazione regionale che alla lett. f) dell’allegato 1 alla L. R. n. 31/2002, stabilisce che sono “interventi di ristrutturazione edilizia”, quelli “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente”.
Circa la portata delle suesposte definizioni normative, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che l’elemento distintivo della ristrutturazione “deve rinvenirsi nella trasformazione del territorio già compiuta, che può avvenire con due modalità operative, una conservativa e una sostitutiva della preesistente struttura fisica, mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sentenze nn. 1763/2015 e 443/2017)” (Cons. Stato, Sez. IV, 4 febbraio 2020, n. 907).
Anche la Sezione ha avuto modo di affermare che “gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica dell’immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia” precisando che “il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio ed una alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile con la modifica dell’originaria destinazione d’uso sono incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo a cui si riferiscono i titoli fatti valere dall’appellante, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio (cfr.Cons. St., sez. V, 5 settembre 2014, n. 4523; Cons. St., sez. V, 17 marzo 2014, n. 1326; Cons. St., sez. V, 18 ottobre 2002, n. 5775)” (Cons. Stato, Sez. VI, 9 ottobre 2020, n. 5992).
Nessun rilievo assume la circostanza che l’immobile avesse già in precedenza destinazione alberghiera atteso che la compatibilità dell’intervento attuale deve essere dall’Amministrazione valutata avuto riguardo all’impatto dello stesso nel tessuto urbanistico configurato dagli strumenti vigenti e dalla conformazione attuale del territorio.
Allo stesso modo è irrilevante la circostanza che l’immobile fosse stato in passato interessato da analoghi interventi non repressi.
A tacere del fatto che, in materia edilizia, non è configurabile alcun affidamento alla legittimazione di un abuso in virtù della sola inerzia dell’autorità competente a reprimerlo, la censura è priva di pregio poiché che si tratta di interventi venuti a conoscenza dell’Amministrazione, solo in occasione degli accertamenti disposti nell’ambito del procedimento avviato dall’Appellante mediante la presentazione delle istanze di condono.
Nessuna acquiescenza dell’Amministrazione in ordine alla situazione di fatto dell’immobile può, inoltre, ricavarsi, come apoditticamente affermato in appello in difetto di ulteriori allegazioni, dalla attribuzione dei numeri civici o dall’evocato frazionamento.
Quanto, infine, all’evocata nota del 26 novembre 2007 si rileva che, in detta sede, l’Amministrazione si esprimeva per l’ammissibilità delle istanze di condono (ai fini del loro successivo esame), e non sulla legittimità delle opere.
Con il terzo motivo l’Appellante ripropone la questione di legittimità costituzionale, già sollevata in primo grado, degli artt. 34 e 37 L.R. n. 23/2004 per violazione degli artt. 3, 41, 42 e 117 Costituzione.
Espone l’Appellante che la negata possibilità di restituire l’immobile alla sua originaria, e unica possibile, destinazione una volta cessata l’attività commerciale, determinerebbe una limitazione all’esercizio dei diritti, costituzionalmente garantiti dagli artt. 41 e 42 della Costituzione.
Il divieto posto alla realizzazione di un intervento di ordinaria manutenzione, finalizzato a garantire un “uso minimo” dell’immobile lederebbe il contenuto minimo del diritto di proprietà incidendo sulla stessa “possibilità di mantenere e conservare il bene oggetto del diritto”.
La fonte regionale applicata (L.R. n. 23/2004), nella misura in cui determina i descritti effetti, si porrebbe in contrasto con gli invocati principi costituzionali.
La questione, formulata essenzialmente mediante richiami giurisprudenziali, non è fondata.
Circa la pretesa incompatibilità con gli artt. 41 e 42, l’Appellante pare enunciare, quale effetto dei precetti invocati, una sorta di (inesistente) generale divieto di interferenza dell’Autorità nelle forme di godimento del bene.
L’estrema genericità dell’allegazione, non altrimenti supportata, determina l’inammissibilità della doglianza.
Quanto all’operato richiamo alla sentenza parziale della Sezione n. 4718/2018, (riportata per stralcio alle pagg. 14 e 15 dell’appello) con la quale veniva sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, lettera a), della L.R. n. 23/2004, applicativa della normativa statale di cui all’art. 32 del D.L. n. 269/2003, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 208/ del 26 luglio 2019, la dichiarava non fondata.
La Corte, in particolare:
prendeva atto che il Collegio remittente “riteneva che “che la citata disposizione regionale” dettasse “una disciplina arbitraria e ingiustificata, nella parte in cui limita le eccezioni al divieto di condono di interventi di ristrutturazione edilizia, che comportino un aumento delle unità immobiliari, all’ipotesi delle sole unità immobiliari “ottenute attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari”;
precisava che la Regione Emilia-Romagna, con la norma censurata, interveniva “a dare attuazione a quanto previsto dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito, con modifiche, nella legge n. 326 del 2003”;
evidenziava come detto decreto avesse “subì to, per effetto della sentenza n. 196 del 2004 di questa Corte, “una radicale modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento alle Regioni del potere di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantità e alla tipologia degli abusi sanabili” (sentenza n. 49 del 2006)”;
affermava il principio per il quale “la legislazione regionale è chiamata a determinare le condizioni e le modalità per la sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio (di cui all’Allegato 1 del d.l. n. 269 del 2003), nonché l’eventuale individuazione di limiti volumetrici inferiori a quelli indicati dalla normativa statale (in specie dal comma 26 del citato art. 32 del d.l. n. 269 del 2003), con riguardo agli interventi edilizi abusivi condonabili” (affermazioni che privano di rilievo il dedotto profilo di illegittimità per contrasto con l’art. 117 Cost.):
rilevava, quindi, che “per dare attuazione a tali indicazioni, la Regione Emilia-Romagna ha provveduto, con l’art. 34, a identificare tassativamente le condizioni per la sanatoria di interventi di ristrutturazione edilizia “conformi alla legislazione urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003” (comma 2) e quindi abusivi. Fra tali condizioni ha espressamente indicato, alla lettera a), la necessità che simili interventi non comportino aumenti delle unità immobiliari, “fatte salve quelle ottenute attraverso il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari””.
In virtù di tale premesse riteneva infondato il profilo di contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
Deve, quindi, ritenersi l’insussistenza dei presupposti della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dall’Appellante.
Per quanto precede l’appello deve essere respinto con condanna della Parte soccombente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la Parte appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in Euro 6.000,00 oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:
Hadrian Simonetti – Presidente FF
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere
Marco Poppi – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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